ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

giovedì 23 aprile 2009

C'era una volta «Nannarella»: storia di una grande attrice italiana

Roma, 1945. L’occupazione nazista è appena terminata, eppure in una strada dello storico quartiere Pigneto, via Raimondo Montecuccoli, una donna di 37 anni corre, al grido di «Francesco, Francesco!», dietro al camion con il quale i soldati tedeschi stanno portando via il suo compagno, un giovane tipografo militante nella Resistenza partigiana. Quella donna era l’attrice Anna Magnani (Roma, 1908 – ivi, 1973) nei panni della schietta e volitiva «sora Pina», figura in parte ispirata alla storia di Teresa Gullace. E quella corsa disperata e fiera, con il braccio proteso in avanti e il palmo della mano spalancato per un ultimo contatto con l’uomo amato, fino alla caduta mortale sotto le raffiche del mitra di un soldato tedesco, è la «scena madre» del film Roma città aperta (1945) di Roberto Rossellini, prima pellicola e grande capolavoro del cinema neorealista italiano, che la critica internazionale premiò con la Palma d’oro al Festival di Cannes 1946 e con tre Nastri d’argento, uno dei quali proprio per la miglior attrice. Nasceva così il mito di Anna Magnani, «una bruna e non bella, ma con occhi –ebbe a dire Giulio Cesare Castello- di una divorante, fonda, febbrile vivezza, lucenti sopra le occhiaia peste, tra ciocche di capelli eternamente arruffati e spioventi», il cui temperamento schietto, rude, vulcanico, indipendente e caparbio, ma allo stesso tempo dolce e fragile, ne fece non solo «l’emblema […] dei corrosivi, motteggianti umori e dei palpiti emotivi della gente di Roma», ma anche l’anima di una delle stagioni più alte del nostro cinema, il Neorealismo. Alla figura di questa diva-antidiva -capace, con un istrionismo proprio solo dei grandi interpreti, di passare dalla comicità più sfrenata alla profonda drammaticità, dalle assi del palcoscenico al cinema e alla televisione- è dedicato il seminario-spettacolo Nannarella. In ricordo di Anna Magnani, in programma alle 21.00 di giovedì 26 marzo al Sociale di Busto Arsizio, presso gli spazi del ridotto Luigi Pirandello, nell’ambito della rassegna Donna è…teatro e del cartellone BA Teatro-Stagione cittadina 2008-2009, che riunisce, sotto l’egida e il contributo economico dell’amministrazione comunale, le programmazioni di Palkettostage–International theatre productions e dei teatri Manzoni, San Giovanni Bosco e Sociale. L’appuntamento, per la regia di Delia Cajelli, ripercorrerà la vicenda umana e lavorativa di quella che Gilles Jacob ha definito la «Lupa romana», prima interprete italiana a vincere il prestigioso premio Oscar come miglior attrice protagonista, attraverso la drammatizzazione di alcune pagine dell’appassionante romanzo-biografia Nannarella, scritto dal giornalista e autore televisivo Giancarlo Governi nel 1981 e ripubblicato dai tipi della Minimum Fax lo scorso anno, in occasione del centenario dalla nascita dell’artista, in una versione rivisitata e ricca di documenti inediti, aneddoti curiosi e testimonianze di amici e compagni di lavoro, da Federico Fellini a Giovanni Ralli, da Alberto Sordi a Marisa Merlini, da Renato Rascel a Franco Zeffirelli. La narrazione –che vedrà in scena Ambra Greta Cajelli, Gerry Franceschini, Mario Piciollo, Anita Romano e la piccola Gaia Verrini- si apre con l'immagine di una bambina che cammina per mano a un’anziana signora, intonando la struggente Reginella di Libero Bovio. La bambina è Anna Magnani e l’anziana signora è l’amata nonna, la donna che si prese cura di lei durante tutta l’infanzia, trasmettendole la passione per la musica e il pianoforte. E’ così che, all’età di 17 anni, «Nannarella» si iscrive alla prestigiosa Accademia di Santa Cecilia e, per un gioco del destino, finisce a calcare le tavole del palcoscenico. Frequentando il conservatorio, la giovane si imbatte, infatti, ogni giorno negli allievi della scuola di recitazione Eleonora Duse, diretta da Silvio D’Amico. La loro allegria la contagia e un giorno del 1927, su consiglio di Paolo Stoppa, fa il provino di ammissione e viene accettata. Due anni dopo è l’ora della prova del pubblico: Anna Magnani entra a far parte della compagnia Vergani-Cimara, diretta da Dario Nicodemi, per passare, nel 1934, all’avanspettacolo e alla rivista con i fratelli De Rege nel ruolo di attrice, soubrette e cantante, e per finire a lavorare, nel 1941, con Totò in una serie indimenticabile di spettacoli: Quando meno te l’aspetti, Volumineide, Che ti sei messo in testa? e Con un palmo di naso. Il cinema bussa alla porta nel 1934 con il film La cieca di Sorrento di Nunzio Malasumma; il successo, però, arriva solo nel 1945 con Roma città aperta di Roberto Rossellini, toccante affresco dell’inverno che la capitale dovette subire sotto il giogo nazista. Cala così il sipario sulla cosiddetta «stagione cinematografica dei telefonici bianchi», con le sue ragazze graziose e sognanti alla ricerca del grande amore, e inizia l’epoca del Neorealismo, con i suoi film girati nei luoghi della vita reale e tesi a rappresentare la quotidianità nel suo farsi. Anna Magnani diventa il volto simbolo di questa nuova avventura cinematografica tutta italiana, regalando alla nostra storia una straordinaria carrellata di personaggi femminili dal temperamento indomito e dalla grande umanità, in lotta contro le ingiustizie e le delusioni della vita, “armate” solo della propria dignità e del proprio orgoglio. Ecco così la popolana impegnata in politica de L’onorevole Angelina (1947), la madre abbagliata dai falsi miti di Bellissima (1951), la detenuta del film Nella città dell’inferno (1958), la comparsa cinematografica di Risate di gioia (1960), e l’ex prostituta in cerca di redenzione di Mamma Roma (1962), solo per fare qualche esempio. Contemporaneamente, Anna Magnani si emancipa dal ruolo di star totalmente italiana e si afferma anche all’estero: La carrozza d’oro (1952) di Jean Renoir la rende beniamina in Francia; il film La rosa tatuata di Daniel Mann, su soggetto di Tennessee Williams, le procura, il 21 marzo 1956, l’ambita statuetta come miglior attrice protagonista e le consente di girare altri due film negli studios, Selvaggio è il vento (1957) di George Cukor e Pelle di serpente di Sidney Lumet (1959). Il teatro la vede ritornare in scena nel 1965 con le intense interpretazioni de La lupa di Giovanni Verga, per la regia di Franco Zeffirelli, e della Medea di Jean Anouilh, nell’allestimento di Giancarlo Menotti. Il commiato, straziante e bellissimo, è affidato alla piccola apparizione nel film Roma (1972), dove Federico Fellini riprende Anna Magnani durante una camminata per le vie della «città eterna», fino al portone di casa, esaltandola come simbolo della romanità e consegnando alla storia il suo sorriso ora irridente, ora canzonatorio, ora gioioso: il sorriso di «Nannarella». 

Didascalie delle immagini 
[fig. 1, fig. 2, fig. 3] Ritratti di Anna Magnani; [fig. 4] Gerry Franceschini in una scena del seminario-spettacolo "Nannarella. Omaggio ad Anna Magnani", prodotto dall'associazione Educarte-teatro Sociale di Busto Arsizio. 

Informazioni utili 
Nannarella. In ricordo di Anna Magnani. Teatro Sociale - ridotto "Luigi Pirandello", piazza Plebiscito 8 - 21052 Busto Arsizio (Varese). Data: giovedì 26 marzo 2009, ore 21.00. Ingresso: intero: € 8.00, ridotto € 6.00 (giovani fino ai 21 anni, ultra 65enni, militari, Cral, biblioteche, dopolavoro e associazioni con minimo dieci persone). Orari botteghino: il botteghino, ubicato negli uffici del primo piano, è aperto nelle giornate di lunedì, mercoledì e venerdì, dalle 16.00 alle 18.00. Prenotazioni telefoniche possono essere effettuate allo 0331.679000, in orario lavorativo: dal lunedì al venerdì, dalle 9.30 alle 12.30 e dalle 15.00 alle 18.00, e il sabato,dalle 9.30 alle 12.30. Informazioni: tel. 0331.679000. Sito internet: www.teatrosociale.it.

sabato 7 marzo 2009

Eleonora Duse e Gabriele D'Annunzio, una storia d'amore tra teatro e letteratura

«Gli perdono di avermi sfruttata, rovinata, umiliata. Gli perdono tutto, perché ho amato». Morendo a migliaia di chilometri di distanza dal suo Paese natale, sola e gravemente malata, è a Gabriele D'Annunzio che pensa Eleonora Duse (Vigevano, 3 ottobre 1858–Pittsburgh, 21 aprile 1924), straordinaria attrice drammatica di fine ‘800 e inizio ‘900, che ha infiammato le platee di mezzo mondo e che ha ammaliato personaggi del calibro di Konstantin Stanislavskij, Anton Cechov, Charlie Chaplin, George Bernard Shaw, Isadora Duncan, Matilde Serao e Sibilla Aleramo.
La travagliata e intensa storia d'amore con il Vate, iniziata dopo la separazione dal marito Tebaldo Checchi (suo collega di lavoro nella Compagnia Città di Torino e padre della figlia Enrichetta) e il sofferto distacco dall’amante Arrigo Boito (personalità di spicco della Scapigliatura milanese e stimato librettista di Giuseppe Verdi), sembra aver lasciato un segno indelebile nel cuore della Divina.
La passione tra questi due leggendari protagonisti della cultura italiana fin de siécle scoppia a Venezia nel settembre 1894 e dura una decina d’anni. Attrazione fisica, curiosità intellettuale e interesse pratico caratterizzano la relazione, durante la quale Gabriele D’Annunzio scrive cinque opere teatrali dedicate all’attrice -Sogno di un mattino di primavera, La Gioconda, La gloria, Francesca da Rimini e Sogno d’un tramonto d’autunno- ed Eleonora Duse sostiene finanziariamente le imprese artistiche e le dissolutezze del suo compagno, amandolo contro ogni ragionevolezza. Numerosi sono, infatti, i tradimenti sentimentali e professionali che la Divina deve sopportare: l'alcova del Vate continua a essere affollata di donne. I suoi segreti più intimi vengono messi nero su bianco nel romanzo Il fuoco. Due grandi tragedie dannunziane a lei destinate, La città morta e La figlia di Iorio, vengono affidate, all’ultimo, dal suo stesso amante ad altre due interpreti: Sarah Bernhardt ed Irma Gramatica.
Eleonora Duse  fu, dunque, una donna dalla vita travagliata, che -malgrado questo- seppe fondere il suo straordinario talento artistico e il suo fascino misterioso e seduttivo, rivoluzionando l'arte della recitazione, con la sua capacità di trasmettere emozioni e di comunicare messaggi attraverso un linguaggio non verbale, caratterizzato da movenze impercettibili e sguardi
espressivi. L'intensità delle interpretazioni, il faticoso lavoro di penetrazione psicologica dei personaggi e lo stile scarno, privo di enfasi declamatoria e con scene e costumi semplici, fecero, infatti, dell’attrice veneta l'antesignana del teatro moderno, in netto contrasto con la sua storica rivale, Sarah Bernhardt.
Figlia d'arte, Eleonora Duse esordì a quattro anni nella compagnia di giro del padre, interpretando la parte di Cosetta nei Miserabili di Victor Hugo. La prima prova della sua bravura, secondo una tradizione biografica consolidata che ha le proprie origini nel romanzo Il fuoco di Gabriele D’Annunzio, risale, invece, al 1873 con l’interpretazione della Giulietta shakespeariana, sul palco dell’Arena di Verona. Mentre è del 1879, con la rappresentazione della Teresa Raquin di Emile Zola a Napoli, che l’attrice ottiene la sua definitiva consacrazione. Da allora, fatta eccezione per la difficile parentesi dannunziana e il ritiro dalle scene negli anni compresi tra il 1909 e il 1921, la Divina miete un successo dietro l’altro, da La locandiera di Carlo Goldoni a La cavalleria rusticana di Giovanni Verga, da Antonio e Cleopatra di William Shakespeare a La porta chiusa di Marco Praga, da Monna Vanna di Maurice Maeterlinck a I bassifondi di Maksim Gor'kij, senza dimenticare i numerosi allestimenti di opere teatrali scritte da Giuseppe Giacosa, Alexandre Dumas figlio e del prediletto Henrik Ibsen, del quale l’artista porta in scena Casa di bambola, Spettri, Rosmersholm, La donna del mare ed Hedda Gabler.
Due le rappresentazioni più note della Duse: l’interpretazione del Romeo e Giulietta di William Shakespeare all’Arena di Verona e la mancata partecipazione alla tragedia La figlia di Iorio di Gabriele D’Annunzio.
La prima rappresentazione è passata alla storia per l’innovativa recitazione di netto stampo tardo-romantico dell’attrice, che colorò l’intera opera di un connotato tipicamente simbolista e liberty-decadente come l’uso di un bouquet di fiori: Eleonora Duse –ricorda, infatti, Renato Simoni, sulle pagine del Corriere della Sera- «aveva profumato la tragedia con la grazia fragile di una rosa che, tra le sue mani, assumeva, ad ogni atto e ad ogni frase della passione, un significato nuovo».
La figlia di Iorio è, invece, nota per un gossip d’antan. La parte della protagonista dell’opera, Mila di Codro, era stata promessa da D’Annunzio alla Duse. A pochi giorni dalla “prima”, l’attrice veneta, che aveva già studiato il copione a memoria e preparato l’abito, venne sostituita da Irma Gramatica. Il Vate mandò un fattorino a ritirare il costume di scena, con accluso un biglietto: «Il teatro è un mostro che divora i suoi figli: devi lasciarti divorare». Di fronte all'evidenza del tradimento, la «Divina» gli scrisse: «Non ti difendere, figlio, perché io non ti accuso. Non parlarmi dell'impero della ragione, della tua vita carnale, della tua sete, di vita gioiosa. Sono sazia di queste parole! Da anni ti ascolto dirle…Parto di qui domani. A questa mia non c'è risposta». In effetti, non ci fu mai una replica a quell’addio, se non molti anni dopo, quando Gabriele D’Annunzio, alla notizia della scomparsa dell’attrice, disse: «E’ morta quella che non meritai».

Didascalie delle immagini[fig. 1] Mario Nunes Vais, Eleonora Duse, Roma, 1910 ca. [fig. 2] Eleonora duse come Margherita Gautier ne La signora delle camelie di Alexander Dumas. Fils.Fotografia di Mario Nunes Vais, 1904 circa. [fig. 3] La copertina del Times, dedicata ad Eleonora Duse.

martedì 24 febbraio 2009

«Isadora», a Busto Arsizio un omaggio alla «dea della danza»

«Addio, amici! Vado alla gloria!»: con queste parole, la sera del 14 settembre 1927, la ballerina e coreografa statunitense Isadora Duncan (San Francisco, 28 maggio 1878 – Nizza, 14 settembre 1927) salutò gli amici con cui aveva cenato. Pochi minuti dopo, le lunghe frange del suo appariscente scialle veneziano, di color rosso fuoco, si impigliarono nelle ruote dell'automobile decapottabile Bugatti che la stava riportando a casa, strangolandola in una stretta mortale e sbalzandola fuori dal sedile. Si concludeva così, con un vero e proprio coupe de theatre, la vita di una delle madri del balletto moderno americano e del «teatro-danza».
Alla figura magica e leggendaria di questa artista, che calcò a piedi nudi, con i capelli sciolti al vento e vestita di morbidi pepli di velo le ribalte di mezzo mondo, è dedicato Isadora. Omaggio alla Duncan, spettacolo che il Centro arte danza di Olgiate Olona e la compagnia Attori del teatro Sociale portano in scena alle 21.00 di giovedì 26 febbraio al teatro Sociale di Busto Arsizio, nell’ambito di BA Teatro–Stagione cittadina 2008/2009, rassegna che riunisce, sotto l’egida e il contributo economico dell’amministrazione comunale bustese, i cartelloni di Palkettostage–International theatre productions e dei teatri Manzoni, San Giovanni Bosco e Sociale.
La rappresentazione, per le coreografie di Antonella Colombo e con la regia di Delia Cajelli, ripercorre la vita della «divina» Duncan, usando come fonti documentarie due scritti che la stessa artista ha lasciato -Lettere dalla danza e La mia vita, entrambi pubblicati postumi, nel 1928 -, nonché la biografia scritta dalla giornalista Curzia Ferrari per i tipi della Viennepierre edizioni di Milano.
Ne emerge il ritratto di una donna eccentrica e affascinante, emancipata e impetuosamente anticonvenzionale, che è stata non solo il simbolo del rinnovamento della danza tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento, ma anche una figura estremamente interessante per gli studiosi del costume, ammaliati dal suo innovativo abbigliamento ispirato all’antica Grecia, e per gli appassionati della cultura dell'epoca, avvinti dal suo volto di scrittrice e intellettuale fuori dagli schemi, oltre che di madre affettuosa e di amante appassionata e sensibile.
Nata a San Francisco il 27 maggio 1877 ed emigrata giovanissima in Europa, Isadora Duncan è, infatti, conosciuta come l’esponente più prestigiosa della cosiddetta «danza libera e naturale», nuovo genere che si pose in aperta polemica con l’Accademia e la grammatica esasperatamente virtuosistica del balletto classico, proponendo coreografie incentrate sul libero e fluido movimento del corpo, sugli impulsi emotivi ed espressivi degli interpreti. Ecco perché, abbandonate le scomode scarpette a punta e gli artificiosi vestiti delle ballerine del XIX secolo, che il pittore Edgar Degas ha consegnato alla storia, l’artista americana predilesse morbide e leggere tuniche drappeggiate, chitoni o pepli, in grado di facilitare i gesti dei danzatori, il cui linguaggio coreutico doveva rifarsi alla plasticità della scultura greca, ma anche ai moti degli elementi naturali: aria, acqua, fuoco e terra.
Le «danze libere» di Isadora Duncan, che la vedevano ballare sola o con pochi allievi su un grande palco spoglio, privo di scenografia, furono, dunque, interpretazioni emotive ed improvvisate, che avevano come colonna sonora musiche trascinanti, non espressamente scritte per il balletto, come potevano essere quelle di Frédéric Chopin e Ludwig Van Beethoven.
Fu con queste coreografie, ispirate alle onde del mare e al soffio del vento, ma anche con il suo carattere estremamente emancipato e con la sua vivace intelligenza che la ballerina americana affascinò i più grandi protagonisti del suo tempo, dall’arciduca Ferdinando d’Amburgo allo scultore Auguste Rodin, dal vate Gabriele D’Annunzio allo scrittore Massimo Gorki e al regista Kostantin Sergeevič Stanislavskij, senza dimenticare i suoi tre grandi amori: il coreografo Gordon Craig e il milionario Paris Singer, dai quali ebbe i figli Dendrie e Patrick, nonché il poeta russo Sergej Esenin.
La vicenda affascinante di questa ballerina, passata alla storia come la «dea della danza», rivivrà sul palco del teatro Sociale di Busto Arsizio grazie a quattro attori –Ambra Greta Cajelli, Gerry Franceschini, Mario Piciollo e Anita Romano-, che daranno voce ad alcuni suoi scritti e a una cinquantina di ballerini, dai dodici anni in su, che interpreteranno una decina di coreografie, corali e soliste, per lo più ispirate ai movimenti della natura.
Lo spettacolo, per la cui realizzazione il Centro arte danza di Olgiate Olona ha ottenuto un contributo economico di 6mila euro dalla Fondazione comunitaria del Varesotto, è inserito nel cartellone della rassegna Donna è…teatro, che prevede, tra l’altro, omaggi ad Anna Magnani, Eleonora Duse e Maria Callas.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1 e fig. 2] Isadora. Omaggio alla Duncan. Coreografia di Antonella Colombo. Foto: Silvia Consolmagno.

Informazioni utili

Isadora. Omaggio alla Duncan
. Teatro Sociale, piazza Plebiscito 1 - 21052 Busto Arsizio (Varese). Data: giovedì 26 febbraio 2009, ore 21.00. Ingresso: intero: € 16.00, ridotto € 12.00 (giovani fino ai 21 anni, ultra 65enni, militari, Cral, biblioteche, dopolavoro e associazioni con minimo dieci persone). Orari botteghino: il botteghino, ubicato negli uffici del primo piano, è aperto nelle giornate di lunedì, mercoledì e venerdì, dalle 16.00 alle 18.00. Prenotazioni telefoniche possono essere effettuate allo 0331.679000, in orario lavorativo: dal lunedì al venerdì, dalle 9.30 alle 12.30 e dalle 15.00 alle 18.00, e il sabato,dalle 9.30 alle 12.30. Informazioni: tel. 0331.679000. Sito internet: www.teatrosociale.it.