ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

martedì 11 marzo 2014

«Rhome», la grande bellezza della Capitale raccontata dai migranti

Trentaquattro migranti, dodici fotografi, sessantotto scatti e una città: sono questi i numeri della mostra «Rhome - Sguardi e memorie migranti», allestita fino a mercoledì 30 marzo a Roma, negli spazi di Palazzo Braschi, per iniziativa dell’Assessorato alla cultura e della Sovrintendenza capitolina, con il plauso dell’Unar – Ufficio nazionale anti-discriminazioni razziali e con la collaborazione di Zetema Progetto Cultura, dell’associazione «éarrivatoGodot», del Cnr – Centro nazionale delle ricerche e di Officine Fotografiche Roma.
L’esposizione, curata da Claudia Pecoraro, nasce come iniziativa di rilievo nell’ambito delle attività cittadine di prevenzione e contrasto delle discriminazioni razziali. Quello dei migranti è, infatti, un vero e proprio popolo a Roma, dove vivono oltre 352mila stranieri, con un’età media di circa 37 anni, single in oltre il 50% dei casi. Trentaquattro di loro, appartenenti a quattordici comunità e di ventisette differenti nazionalità, hanno scelto di raccontare la propria storia e il proprio rapporto con la «Città eterna» davanti all’occhio del fotografo.
«Qual è un luogo di Roma che non dimenticherai mai e che porterai con te anche se dovessi andare a vivere altrove?» è la domanda che fa da filo rosso alla mostra a Palazzo Braschi. Ogni migrante, insieme a un fotografo, è andato nel posto scelto per costruire l’immagine da esporre; le parole dell’uno hanno fatto da regia al lavoro dell’altro. In una specie di intervista a microfono spento, i trentaquattro protagonisti di «Rhome» raccontano così perché hanno lasciato il proprio Paese, in quale luogo e per quale motivo –a Roma– si sono sentiti accolti o rifiutati.
Ne è nata una galleria di volti e luoghi che tratteggia la stretta appartenenza dei migranti interpellati a una città che, talvolta, ha sostituito affettivamente quella di origine, diventando punto di arrivo e di ritorno per le loro nuove vite.
Ci sono immagini che fanno parte dell’iconografia classica di Roma. Il camerunense Jacques Ngomsi ha chiesto, per esempio, a Massimo Bottarelli di ritrarre la magnificenza della Basilica San Pietro. La rumena Cameluşa Strachinaru ha indicato al fotografo Ernesto Notarantonio la Fontana di Trevi. Il peruviano Roberto Montoya ha condotto Marco Santi a immortalare piazza di Spagna. Mentre l’iracheno Nabaz Kamil Nori ha fatto imprimere sulla pellicola fotografica a Nazzareno Falcone le mura antiche del Colosseo.
Lo stesso luogo, considerato da molti stranieri la «carta di identità di Roma» e il «simbolo dell’Italia nel mondo», è stato raccontato da Massimo Bottarelli per la cilena Rosita Castro Dominguez, da Claudio Imperi per l'inglese Laura Sampedro e da Gianclaudio Hashem Moniri per l’indiana Sanjay Kansa Banik. Il camerunense Jean Claude Moniri ha, invece, fatto fotografare ad Elda Occhinero la via dei Fori imperiali; mentre la francese Celine Cougoule ha raccontato di portare nel proprio cuore la vista del Pincio, la californiana Roberta Escamilla Garrison quella del Pantheon e la russa Ekaterina Suleymanova l'Appia antica con il suo silenzio.
Ci sono, poi, in mostra luoghi che rappresentano una personale geografia del cuore. L’albanese Adriano Haska ha fatto, per esempio, imprimere sulla carta fotografica a Emanuele Inversi uno scorcio di via Magnanapoli, la strada in cui lavora. Shammi Perera ha chiesto a Marco Marotto di ritrarre la sua casa in via Molfetta. Mentre l’eritrea Ascalu Tesfai Tzegu ha condotto il fotografo Gaetano Di Filippo alla scuola Fausto Cecconi di Centocelle, dove hanno studiato i suoi figli. José Augusto Alves Dos Santos ha, invece, segnalato come suo posto preferito il Centro di studi brasiliani, dove negli anni Ottanta, appena giunto a Roma, si incontrava con i suoi connazionali e studiava musica. Mentre la statunitense Susan Levenstein ha invitato Alessandro Amoruso a fotografare la pasticceria del ghetto, un luogo nel quale si è sempre sentita ben accolta e che ricorda per «i ‘mattoni’, quei meravigliosi dolci ebraici che, come il vino del contadino, sono sempre uguali ma sempre diversi».
La cinese Wang Fang ha scelto, infine, l’Ospedale Cristo Re: «la porta del Pronto soccorso –ha raccontato- significa, per me, un confine. Qui ho partorito. Questo luogo è la separazione dal mondo di prima al mondo di dopo: ero donna e sono diventata mamma, da ragazza sono diventata moglie. Qui è nato un prodotto misto, frutto di due razze, italiana e cinese. Ha cambiato tutta la mia vita. Prima avevo un po’ di dubbio se andar via dall’Italia o rimanere. Ora c’è una cosa più importante, che è diventata il centro del mio mondo e che mi tiene legata qui».
Storie di integrazione e accoglienza scorrono, dunque, lungo le pareti di Palazzo Braschi raccontando «la grande bellezza» di una città che sa incantare con la sua storia millenaria e i suoi monumenti, che sa emozionare con la sua capacità di aprirsi all’altro.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Sanjay Kansa Banik. Foto di Gianclaudio Hashem Moniri. Officine Fotografiche Roma; [fig. 2] La Pasticceria del ghetto ebraico, luogo segnalato da Susan Levenstein. Foto di Alessandro Amoruso. Officine Fotografiche Roma; [fig. 3] Celine Cougoule. Foto di Nazzareno Falcone. Officine Fotografiche Roma; [fig. 4] Cupola di San Pietro, luogo scelto da Jacques Ngomsi. Foto di Massimo Bottarelli. Officine Fotografiche Roma; [fig. 5] Wang Fang. Foto di Elda Occhinero. Officine Fotografiche Roma

Informazioni utili
Rhome. Sguardi e memorie migranti. Museo di Roma – Palazzo Braschi, piazza Navona, 2 – Roma. Orari: martedì-domenica, ore 10.00-20.00 (la biglietteria chiude un’ora prima); chiuso il lunedì. Ingresso gratuito. Informazioni: tel. 06.0608 (tutti i giorni, ore 9.00-21.00). Sito web: www.museodiroma.it. Fino al 30 marzo 2014.

lunedì 10 marzo 2014

Venezia, riapre al pubblico Palazzo Cini a San Vio

Giotto, Sandro Botticelli, Filippo Lippi, Piero di Cosimo, Guariento e Dosso Dossi: è un viaggio tra i pittori di area toscana e ferrarese quello che propone la collezione di Palazzo Cini a San Vio, casa-museo veneziana la cui riapertura è programmata per questa primavera, in occasione dei sessant’anni dell’Istituto di storia dell’arte della Fondazione Giorgio Cini.
Main partner dell’iniziativa, che prevede anche un’importante campagna di studio delle opere conservate e la pubblicazione di un catalogo generale per il 2015, è Assicurazioni Generali.
In attesa dell’evento, in agenda dal 24 maggio al 2 novembre, «la Fondazione Cini -spiega Luca Massimo Barbero, direttore dell'Istituto di storia dell'arte- ha iniziato dei lavori di miglioramento dell'illuminazione e conservazione dei dipinti, rendendo più agevole il percorso espositivo pur mantenendo la dimensione domestica, intima ed esclusiva della casa-museo. Inoltre, per promuovere la conoscenza di questi capolavori e per restituire la preziosità filologica delle opere custodite, sono stati coinvolti studiosi di arte antica di nuova generazione per l’analisi dei dipinti e degli oggetti che si trovano all’interno del palazzo». Con la riapertura di queste sale, la città avrà, dunque, l'opportunità di scoprire pregevoli dipinti del periodo tra il XIII e il XVI secolo e significativi esempi di arti applicate, ma anche di accedere, per almeno sei mesi l’anno, alla straordinaria residenza appartenuta a Vittorio Cini, che gli eredi hanno donato alla fondazione veneziana esattamente trent’anni fa e che è ubicata nel cosiddetto Museums mile, tra le Gallerie dell'Accademia, la Collezione Peggy Guggenheim e Punta della Dogana.
Nelle sale del primo piano nobile, arredate con mobili e oggetti d'arte che riflettono il carattere originario dell'abitazione e il gusto personale del suo proprietario, sono esposti una trentina di dipinti di scuola toscana, come «Il giudizio di Paride» di Sandro Botticelli e la «Madonna con il Bambino e due angeli» di Piero di Cosimo, donati da Yana Cini Alliata di Montereale alla fondazione nel 1984. Nelle stesse sale sono visibili anche una serie di dipinti rinascimentali di scuola ferrarese, concessi nel 1989 da Ylda Cini Guglielmi di Vulci, tra i quali si segnala il «San Giorgio» di Cosmè Tura. Non mancano in esposizione, poi, significativi esempi di arti applicate, come un servizio completo di porcellana della manifattura settecentesca veneziana dei Cozzi, placchette e cofanetti d'avorio della bottega degli Embriachi, smalti rinascimentali, oreficerie, sculture in terracotta, credenze, cassapanche di notevole importanza, tra le quali un raro cassone nuziale senese della metà del Trecento e una portantina napoletana del Settecento.
Una collezione, dunque, ricca e preziosa quella di Palazzo Cini della quale viene dato, in questi giorni, un piccolo assaggio nella mostra «Pontormo e Rosso Fiorentino. Divergenti vie della Maniera», in programma al Palazzo Strozzi di Firenze. All’interno dell’esposizione, curata da Carlo Falciani e Antonio Natali, si trova, infatti, il «Doppio ritratto di amici» del Pontormo, pregevole esempio di caratterizzazione psicologica dei personaggi, la cui raffinata tessitura materica è tutta giocata sulla trasparenza delle lacche.


Didascalie delle immagini
[fig. 1] Scala ovale di Palazzo Cini a San Vio, in Venezia, progettata da Tomaso Buzzi; [fig. 2] Pontormo (Jacopo Carucci; Pontorme, Empoli 1494-Firenze 1557), «Doppio ritratto di amici», 1523-1524. Olio su tavola e lacche. cm 88,2 x 68. Venezia, Fondazione Giorgio Cini; [fig. 3] Piero di Cosimo, «Madonna con il Bambino e due angeli», 1505-1510 circa. Olio su tavola, 116x85 cm. Venezia, Fondazione Giorgio Cini

Informazioni utili
Palazzo Cini, Campo San Vio, Dorsoduro 864 – Venezia. Orari: ore 11.00–19.00, chiuso il martedì (ultimo ingresso ore 18.15). Ingresso: intero € 10,00, ridotto € 8,00. Catalogo: disponibile in mostra guida breve (€ 4,00). Informazioni: info@cini.it. Sito web: www.cini.it. Dal 24 maggio al 2 novembre 2014.

giovedì 6 marzo 2014

Dai beni Unesco alla Fiera veneziana: tutta la cultura del Baden-Württemberg

Quattro beni per un viaggio in seimila anni di storia: si potrebbe riassumere con questa frase il ricco patrimonio Unesco del Baden-Württemberg, land nel sud-ovest della Germania, confinante con Francia e Svizzera, che offre una grande varietà di panorami e paesaggi, dagli incontaminati boschi della Foresta nera alla vivacissima Stoccarda, senza dimenticare il lago di Costanza. Ed è proprio su questo specchio lacustre, a Unteruhldingen, che è possibile vedere uno dei beni più carichi di storia della Germania: il Museo archeologico delle palafitte, tra i più grandi in Europa nel suo genere, con una ventina di case ricostruite dell’età della pietra e del bronzo (circa 4.000 – 850 a. C.), periodo nel quale un gruppo di agricoltori della regione si stabilì presso i laghi alpini e costruì i propri insediamenti direttamente sull’acqua, proteggendosi dall’umidità del suolo e dalle inondazioni con l’edificazione di abitazioni poggiate su pali.
Un altro patrimonio Unesco tedesco, ubicato sul lago di Costanza, è l’isola di Reichenau, oggi famosa per le sue coltivazioni di frutta e verdura e nell’VIII secolo nota per essere la sede di uno dei monasteri benedettini più importanti della Germania meridionale. La cattedrale di Santa Maria e di San Marco, la chiesa dei Santi Pietro e Paolo e quella di San Giorgio sono i tre edifici romanici ancora visibili sull’isola, tutti costruiti tra il IX e il XII secolo, i cui preziosi affreschi murari raccontano il passato glorioso del luogo, che vide il primo insediamento abbaziale nel 724 ad opera del vescovo itinerante e abate benedettino San Pirmino.
Un altro monastero tedesco, dal 1993 tra i siti Unesco, è l’abbazia cistercense di Maulbronn, considerata uno tra i complessi monastici meglio conservati a nord delle Alpi. All’interno di questa costruzione, che ha fatto da scenario anche al film «Il nome della rosa», si trovano esempi di tutti gli stili architettonici del Medioevo, dal romanico al tardo-gotico, ma ad affascinare è soprattutto la profonda sensazione di pace e di sacralità che emanano le pietre di questo monastero, ammirato, tra gli altri, da Keplero, Hölderlin ed Herman Hesse.
A chiudere il percorso tra i beni Unesco del Baden-Württemberg è il Limes, uno dei monumenti archeologici più lunghi e impressionanti in Europa, ai quali è dedicato anche un museo ad Aalen, nella regione del Giura Svevo. Si tratta di un insieme di fortini, torri di guardia, mura e palizzate, estesi per oltre cinquecento chilometri e collocati sul confine dell’Impero romano, tra il Reno e il Danubio.
Ottima occasione per visitare questi quattro luoghi sono i festeggiamenti che, nel 2014, interesseranno il Ludwigsburg, uno dei castelli barocchi più grandi d'Europa, che, a partire dal 1704, il duca Eberhard Ludwig fece trasformare in quella che oggi viene chiamata «Versaille di Svevia». Nella cittadina, a pochi chilometri da Stoccarda, si stanno preparando due grandi eventi: l’annuale «Festival del Castello», la più antica e importante rassegna di musica classica della regione, e la «Fiera veneziana», che ogni due anni porta in Germania un pezzo della città lagunare.
Dal 15 maggio al 30 luglio, solisti, orchestre, strumentisti, cori e ballerini di fama internazionale daranno vita a più di settanta eventi in alcune delle location storiche più suggestive del land; cuore della manifestazione, nata nel 1932, sarà il concerto «Klassik Open Air» negli scenografici spazi del castello sul lago di Monrepos, uno degli altri castelli di Ludwigsburg. Dal 12 al 14 settembre, un mare colorato di maschere e costumi, acrobati, musicanti, danzatori e teatranti trasformeranno, invece, la città in un sogno veneziano. Gruppi di artisti nazionali e internazionali si esibiranno in ogni angolo della piazza, con performance teatrali, musicali e pirotecniche. Una festa per gli occhi sarà anche il suggestivo mercato dell’arte e dell’artigianato con oggettistica tipica della città lagunare: dalle maschere ai tessuti, dal vetro di Murano all’arte orafa. Una tradizione, questa fiera, giunta in Germania nel 1768 grazie al duca Carl Eugen, che, durante un viaggio nella città italiana, scoprì e subito si innamorò delle feste in maschera del tempo e pensò di importarle nella sua città, trasformando così la sua piazza del Mercato in piazza San Marco. 

Per saperne di più 
www.pfahlbauten.eu 
www.reichenau.de 
www.kloster-maulbronn.de 
www.aalen-tourismus.de 
 www.schlossfestspiele.de 
www.ludwigsburg.de 

Didascalie delle immagini 
[Fig.1 ] Ludwigsburg. Foto: Tourismus & Events Ludwigsburg; [fig. 2] Museo Palafitte Unteruhldingen. Foto: Tourismus-Marketing GmbH Baden-Württemberg; [fig.3] Abbazia cistercense di Maulbronn. Facciata esterna della chiesa

Informazioni utili 
 Ufficio turistico del Baden-Württemberg, Esslinger Straße 8 - 70182 Stoccarda (Germania), tel +49(0)7.11/23858-0, fax +49(0)7 11/23858-98, info@tourismus-bw.de. Sito internet: www.tourism-bw.com