ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

sabato 20 gennaio 2018

Michelangelo e i migranti per il debutto milanese della galleria Poggiali

Guarda a Michelangelo Buonarotti l’opera scelta dalla Galleria Poggiali per inaugurare la sua nuova sede a Milano. Fabio Viale, l’artista selezionato per il debutto dello spazio espositivo di Foro Bonaparte, porta, infatti, in mostra una replica della «Pietà», conservata in Vaticano.
L’opera, realizzata con l’aiuto del Cas – Centro accoglienza straordinaria di Torino, presenta, però, un elemento di novità: la figura del Cristo è stata sostituita da quella di un ragazzo di colore e un audio spiega il motivo di questa scelta. Quel giovane effigiato è un ragazzo nigeriano di fede cristiana costretto all’età di diciassette anni a lasciare il suo Paese per le persecuzioni religiose Il tutto va a comporre, insieme con un manifesto di grandi dimensioni che ritrae il giovane africano, la mostra «Lucky Hei», a cura di Sergio Risaliti. Il visitatore si trova così davanti a un unico racconto, ben coordinato, «in cui -si legge nella nota stampa- pratica artistica e storia dell’arte, teologia e poesia, media diversi, si scontrano e misurano con la cronaca, tra fatti quotidiani e geopolitica, per fondersi con l’umano destino, con le sofferenze e ingiustizie nel mondo».
Con questo progetto Fabio Viale affronta una sfida con se stesso: la sua sorprendente abilità tecnica, ai limiti del virtuosismo, lo porta a confrontarsi con uno dei modelli più alti e più studiati della scultura religiosa (e non solo) di tutti i tempi, la «Pietà» michelangiolesca, e a fare un passo oltre, riportando il divino alla dimensione umana attraverso il gesto semplice e toccante di “strappare” il Cristo dal grembo di Maria. Nella versione di Viale le braccia della Madonna sono aperte e vuote, pronte ad accogliere simbolicamente un nuovo corpo, in attesa di ricongiungersi con il frutto del suo sangue. E sta proprio qui l’atto più coraggioso dell’artista, che non ha timore di aggiungere nuovi contenuti a quelli già notevolmente complessi della «Pietà», suggerendo come novello Cristo contemporaneo un giovane di colore -Lucky Ehi, appunto- migrante nigeriano con una grande croce cristiana tatuata su una spalla, fuggito da un inferno di violenza, e dopo dure e lunghe traversie arrivato in Italia. Lucky è uno dei tanti ultimi della nostra società, che l’artista ha voluto ritrarre in una dimensione di amore materno che travalica oggi più che mai ogni confine – geografico, politico, sociale e religioso.
«È la storia individuale di Lucky Ehi che diventa centrale -sottolinea Sergio Risaliti, curatore della mostra e studioso di Michelangelo (autore con Francesco Vossilla del saggio «Michelangelo. La Pietà vaticana», edito da Bompiani)-: la sua è una storia esemplare, paradigmatica, eppure simile a quella di migliaia di uomini e di donne che fuggono dal proprio Paese di origine in cerca di pace e di benessere, di libertà e fratellanza. La storia di Lucky Ehi si sovrappone così a quella di Gesù. Il giovane è l’esausto che trova pace sulla Pietà al posto del Messia. Il messaggio cristiano in cui Lucky ha riposto speranza, così come ci testimonia il tatuaggio, trova un compimento simbolico. E in questa storia dei nostri tempi, Maria, che è anche chiesa e comunità nell’iconografia religiosa – è la madre, la comunità laica che accoglie e abbraccia consolando».
Un appuntamento, dunque, che farà sicuramente parlare di sé quello scelto dalla Galleria Poggiali per inaugurare i suoi spazi milanesi, che vanno ad aggiungersi a quelli storici di Firenze e Pietrasanta. La nuova sede di Foro Bonaparte è concepita come un ampio contenitore cubico nella tradizione del piece unique: un luogo di ricerca, a metà tra una project-room e una vetrina su larga scala, destinata a ospitare soltanto mostre site-specific, per le quali gli artisti coinvolti saranno chiamati a realizzare un unico progetto appositamente concepito come nel caso di questo primo appuntamento.

Informazioni utili 
Fabio Viale. Lucky Ehi. Galleria Poggiali, Foro Buonaparte 52 – 20121 Milano. Ingresso libero.  Orari: dal martedi al sabato, ore 10.30-13.30 e ore 15-19 | domenica e lunedì chiuso. Informazioni: tel. 02.72095815 o info@galleriapoggiali.com. Sito internet: www.galleriapoggiali.com. Fino al 30 marzo 2018. 

giovedì 18 gennaio 2018

«Mercoledì d’essai», a Busto Arsizio dodici appuntamenti con il cinema d'autore


È il documentario «Noi, i neri» del regista varesino Maurizio Fantoni Minnella ad aprire la seconda parte della rassegna «Mercoledì d’essai – Stagione 2017/2018», promossa dal cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio nell’ambito del circuito «Sguardi d’essai – Sale cinematografiche culturali a Busto Arsizio».
Dal 24 gennaio al 2 maggio, accanto alla consueta programmazione settimanale di prime visioni, la sala di via Calatafimi offrirà al suo pubblico una nuova serie di appuntamenti con il cinema di qualità e di autore. Dodici i titoli in agenda, attenti anche a tematiche di argomento sociale, per i quali si terrà una doppia proiezione: alle ore 16.00 e alle ore 21.00.
Girato in Italia e in Senegal dall’agosto del 2016 al gennaio del 2017, il documentario «Noi, i neri», scelto per aprire il cartellone, «affronta un tema attuale come quello dell’emigrazione -si legge nella sinossi- da un’angolazione particolare, che non punta sulle immagini degli sbarchi o dei luoghi di detenzione temporanea, ma che osserva le vite dei migranti in una zona grigia, una sorta di limbo sospeso tra la tragedia dell’arrivo e l’illusione e la speranza di una vita nuova».
Filo conduttore del film sono le storie di Lamine, senegalese del Casamance, novello scrittore fuggito dal suo Paese per ragioni politiche, e di Valentin, giovane cantante e musicista congolese, che vive con la madre anziana e sogna di diventare un grande artista africano. Alle loro storie si alternano quelle sulle vite di giovani profughi africani fuggiti dalla guerra, riuniti in alcuni appartamenti, in attesa di una nuova vita. «Di essi - si legge nella sinossi- vengono colti i tempi morti durante le sere: cellulari, televisione, brevi conversazioni, andirivieni per strada e molta solitudine. Ma anche la volontà, spesso illusoria, di conoscere una nuova lingua in un Paese nuovo».
La rassegna proseguirà, quindi, nella giornata di mercoledì 31 gennaio con la proiezione di uno dei film di guerra più belli e importanti del nuovo millennio: «Dunkirk» di Christopher Nolan. Al centro della storia c'è una gloriosa pagina di patriottismo, passata alla storia con il nome di «miracolo di Dunkerque», ovvero l'operazione di evacuazione navale su larga scala delle forze alleate da parte degli Spitfire della RAF e di centinaia di piccole imbarcazioni, che ebbe luogo dal 27 maggio al 4 giugno 1940 nella città portuale francese di Dunkerque (Dunkirk è il nome britannico), teatro di un episodio fondamentale della Seconda guerra mondiale.
Mercoledì 7 febbraio sarà, invece, la volta del film «Una donna fantastica» del regista cileno Sebastián Lelio, presentato e premiato al Festival di Berlino 2017 con l’Orso d’argento per la miglior sceneggiatura e scelto per rappresentare il Cile agli Oscar. La pellicola, interpretata da Daniela Vega, parla di identità sessuale, ma anche di dolore e di perdita attraverso la figura di Marina, una transessuale che perde all’improvviso il suo grande amore, vedendosi così costretta a fare i conti non solo con la sofferenza, ma anche con l’ostilità carica d’odio e di rancore della famiglia di lui, ignara della relazione.
Si interroga sulla complessità dei rapporti interpersonali anche il film in agenda mercoledì 14 febbraio: «Song to song» di Terrence Malick, struggente dramma sentimentale ambientato nel mondo musicale texano che parla di amore, gelosia, invidia e competizione attraverso un cast stellare formato, tra gli altri, da Michael Fassbender, Ryan Gosling, Natalie Portman e Rooney Mara.
Il cineforum del Manzoni proseguirà, quindi, nella giornata di mercoledì 28 febbraio con «L’intrusa», storia di redenzione e camorra firmata dal regista napoletano Leonardo Di Costanzo.
Porta lo spettatore a Napoli anche il film in cartellone mercoledì 7 marzo: «Ammore e malavita» dei Manetti Bros, scoppiettante mix tra action-movie e musical, che vale la pena assaporare per la spassosa ironia sul mondo mafioso partenopeo, ma anche per la bravura del cast, tutto italiano, formato da Giampaolo Morelli, Serena Rossi, Claudia Gerini e Carlo Buccirosso.
Mercoledì 14 marzo la sala di via Calatafimi ospiterà, invece, la proiezione del film «La signora dello zoo di Varsavia», versione cinematografica diretta dalla regista neozelandese Niki Caro del libro «The Zookeeper’s Wife» (edito in Italia da Sperling & Kupfer), che l’americana Diana Ackerman ha scritto a partire dal diario inedito di Antonina Zabinski, nel quale si racconta una storia realmente accaduta negli anni della Shoah, quella dei coniugi Zabinski che, nella loro Polonia, misero in salvo circa trecento persone e furono insigniti, nel 1965, del titolo di «Giusti tra le Nazioni».
Spazio poi, nella giornata di mercoledì 21 marzo, al film vincitore della palma d’oro al Festival di Cannes nel 2017: «The Square» del regista svedese Ruben Östlund, pellicola disturbante che critica aspramente le ipocrisie umane, celate dietro al perbenismo. Protagonista della storia è Christian, un quarantenne rampante, elegante ed educato, curatore di un museo d’arte moderna e contemporanea a Stoccolma, dove si sta allestendo un’installazione che invita all’altruismo e alla condivisione. Una serie di eventi non previsti, come il furto del cellulare e del portafoglio per strada, metteranno in gioco i sentimenti del protagonista, facendone uscire la parte più brutale.
A seguire, nella giornata di mercoledì 4 aprile, la sala di via Calatafimi avrà in agenda «Ogni tuo respiro», film che segna l'esordio alla regia dell'attore Andy Serkis, nel quale si racconta la storia di Robin Cavendish, un uomo spigliato, ironico e avventuroso, rimasto paralizzato dal collo in giù all'età di ventotto anni e di come egli abbia affrontato la sua malattia, reagendo al suo destino, dando un grande contributo a migliorare la mobilità e l'accesso dei disabili.
Appuntamento, quindi, con il cinema italiano. Mercoledì 11 aprile è in agenda «L’esodo», film-denuncia di Ciro Formisano che racconta, per la prima volta, una pagina amara della storia recente del nostro Paese: il tema degli esodati, uomini e donne improvvisamente trovatisi in un limbo -senza pensione, senza stipendio e senza ammortizzatori sociali- a seguito dell’entrata in vigore di alcune misure contenute nella legge varata dal ministro Elsa Fornero.
Mercoledì 18 aprile il cartellone del Manzoni proporrà, invece, di scoprire la vera storia del papà di Winnie The Pooh, lo scrittore A. A. Milne, con il film «Vi presento Christopher Robin».
A chiudere il cartellone sarà nella giornata di mercoledì 2 maggio il film «Un sacchetto di biglie» di Christian Duguay, tratto dall’omonimo romanzo storico di Joseph Joffo, bestseller mondiale (in Italia edito da Bur Rizzoli), che ha venduto oltre venti milioni di copie in ventidue Paesi ed è già stato adattato per il grande schermo nel 1975 da Jacques Doillon. Il film, in uscita in Italia in occasione della Giornata internazionale della memoria 2018, racconta la storia di due fratelli, di credo ebraico, che si trovano a vivere l’occupazione tedesca in Francia e che, con una dose sorprendente di malizia, coraggio e ingegno, riescono a sopravvivere alle barbarie naziste e a ricongiungersi alla propria famiglia.
Un cartellone, dunque, vario quello proposto dal cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio che permette, comunque, di rintracciare alcune linee guida: la Seconda guerra mondiale e l'Olocausto, il tema degli esodati, le difficoltà dei migranti africani nel nostro Paese, l'identità sessuale e la vita di chi è disabile.

Informazioni utili 
«Mercoledì d’essai – Stagione 2017/2018». Cinema teatro Manzoni, via Calatafimi, 5 - Busto Arsizio (Varese). Ingresso: l’abbonamento per la seconda sezione della rassegna cinematografica «Mercoledì d’essai – Stagione 2017/2018» ha un costo complessivo di 30,00 euro; il biglietto per ogni singola proiezione, in vendita anche on-line, è fissato a 5,00 euro. Note: tutte le proiezioni saranno corredate da schede di approfondimento; all’appuntamento pomeridiano, pensato specificatamente per il pubblico della terza età, seguirà sempre un momento conviviale con tè e dolci. Le schede e i trailer di tutti i film in programmazione sono consultabili sul sito www.cinemateatromanzoni.it, dove è anche possibile procedere all’acquisto on-line dei singoli biglietti tramite circuito Crea Informatica (www.webtic.it). Informazioni: per maggiori informazioni sulla programmazione cinematografica della sala è possibile contattare lo 0331.677961 (in orario serale, dalle ore 20.30 alle ore 21.30, tranne il martedì) o scrivere all’indirizzo info@cinemateatromanzoni.it. Sito web: www.cinemateatromanzoni.it. Dal 24 gennaio al 2 maggio 2018. 

martedì 16 gennaio 2018

«Queste pazze donne», sentimenti e nevrosi femminili in scena

Si tinge di rosa il palcoscenico del cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio per il terzo appuntamento della stagione «Mettiamo in circolo la cultura», inserita nel cartellone cittadino «BA Teatro».
Dopo gli appuntamenti con Lorella Cuccarini e Sergio Sgrilli, giovedì 25 gennaio, alle ore 21, la sala di via Calatafimi accoglie tre apprezzate protagoniste della scena contemporanea -Paola Quattrini, Vanessa Gravina ed Emanuela Grimalda- con la commedia «Queste pazze donne» del drammaturgo viennese Gabriel Barylli, nella traduzione e per l’adattamento di Maria Teresa Petruzzi.
Lo spettacolo, che si avvale della regia di Stefano Artissunch, mette sotto i riflettori le storie di tre donne, diverse nel temperamento e nelle scelte di vita, che si ritrovano a trascorrere insieme la sera della vigilia di Natale. «Gli uomini -si legge nella sinossi- sono fuori, girano intorno a loro come satelliti di un pianeta. Linda ne ha troppi, Cristina nessuno, Barbara uno solo, il marito, che l’ha pure tradita».
Dalle confessioni delle tre protagoniste, che danno vita a un irresistibile mix tra commedia e melodramma, emergono -afferma la produzione dello spettacolo, curata da Daniela Celani per Synergie Arte Teatro- «storie di amori negati o vissuti, intrecci, gelosie, figli segreti, case, vestiti colorati, scenari quotidiani a tinte vagamente gialle».
Commedia molto applaudita in Austria, Francia e Germania, dove ha vinto anche i premi Bavarian Film e Adolf Grimme, «Queste pazze donne» offre così al pubblico -si legge ancora nella sinossi- «uno sguardo autentico, divertente, sensuale, brillante e disincantato sul mondo femminile». Grazie a questo racconto teatrale, che nella versione italiana ha debuttato questa estate nell’ambito della cinquantunesima edizione del Festival di Borgio Verezzi, gli uomini possono, dunque, «ascoltare cosa le donne dicono di loro tra loro» e le donne possono ritrovarsi con le loro paure e indecisioni, con le loro emozioni e i repentini cambiamenti di umore. Lo spettacolo racconta, infatti, «con sguardo amorevolmente satirico», i sentimenti e le nevrosi femminili, regalando, -afferma Stefano Artissunch- stralunate e visionarie atmosfere «alla Almodovar» che strappano sorrisi e invitano alla riflessione.
Il modo colorito di indagare i rapporti del regista spagnolo, le atmosfere tipiche dei suoi film, ricche di colori sgargianti, rivivono in scena anche grazie alle scenografie di Matteo Soltanto, ai costumi di Marco Nateri e al disegno luci di Giorgio Morgese.
 Ha tutti, dunque, tutti gli ingredienti per accontentare l’affezionato pubblico del cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio (quasi trecentoquaranta gli abbonati della sala) la commedia «Queste pazze donne», scelta da Maria Ricucci dell’agenzia «InTeatro» di Opera (Milano) per la stagione «Mettiamo in circolo la cultura», ideata con l’intento di offrire al pubblico occasioni di riflessione, ma anche di divertimento leggero, attraverso otto spettacoli di prosa con noti personaggi della scena contemporanea, da Lorella Cuccarini a Giampiero Ingrassia, da Geppi Cuccari a Ivano Marescotti, passando per Debora Caprioglio, Gianfraco Jannuzzo, Valentina Lodovini e Max Pisu.
 La stagione proseguirà nella serata di mercoledì 21 febbraio, alle ore 21, con un altro appuntamento tutto al femminile: l’ironica e tagliente Geppy Cucciari porterà in scena, sotto la regia di Matteo Torre (autore anche del testo), il suo nuovo one woman show: «Perfetta».
Lo spettacolo, il cui debutto è fissato per il 15 febbraio ad Orvieto, si configura come una «radiografia sociale ed emotiva, fisica, -si legge nella sinossi- di ventotto comici e disperati giorni della vita» di una donna, attraverso le quattro fasi del ciclo femminile.

Informazioni utili 
Queste pazze donne. Cinema teatro Manzoni, via Calatafimi, 5 - Busto Arsizio (Varese). Ingresso: € 33,00 per la poltronissima, € 30,00 (intero) o € 27,00 (ridotto) per la poltrona, € 28,00 (intero) o € 25,00 (ridotto) per la galleria | le riduzioni sono previste per studenti, over 65 e per gruppi (Cral, scuole, biblioteche e associazioni) composti da minimo dieci persone | il diritto di prevendita è di euro 1,00. Botteghino: da giovedì 18 gennaio, dal lunedì al sabato, dalle ore 17 alle ore 19.  Prevendita on-line: www.cinemateatromanzoni.it e www.webtic.it. Informazioni: cell. 339.7559644, tel. 0331.677961 (negli orari di apertura del botteghino e in orario serale, dalle ore 20.30 alle ore 21.30, tranne il martedì), info@cinemateatromanzoni.it. Quando: 25 gennaio 2018, ore 21.00.

domenica 14 gennaio 2018

«Il mondo in una perla»: Murano celebra la sua storia

A mosaico, soffiate, a lume, sommerse, a occhi, a spirale, a bandiera, monocrome, piumate, a inserzioni di murrine, puntinate, sinusoidali, a pettine, incamiciate o figurate: c’è da perdersi nell’antico e magico mondo delle perle di vetro, manufatti la cui tradizione si rinnova di secolo in secolo e che perdura ancora oggi grazie alla straordinaria maestria e alla tecnica delle tante vetrerie presenti a Murano. Sull’isola veneziana si trova anche un museo che promuove questa pregevole storia, il cui patrimonio collezionistico è stato di recente sottoposto a catalogazione e a studio da parte di Augusto Panini, tra i massimi esperti sull’argomento, il cui lavoro ha dimostrato come le perle furono non solo uno strumento decorativo, ma anche una preziosa merce di scambio esportata in grande quantità nel XIX secolo verso le colonie dell’Africa Occidentale, dell’India e delle Americhe.
Dopo il catalogo edito questa estate dalla casa editrice Antiga di Treviso, il lavoro dello studioso comasco diventa ora una mostra, allestita fino al prossimo 15 aprile negli spazi delle ex conterie del Museo del vetro.
Venezia inizia la sua produzione verso il XIV secolo e una delle prime tecniche impiegate fu quella a speo: utilizzando una piccola quantità di vetro fuso e un ago di ferro (speo o spiedo) che si faceva girare al fuoco di un lume, si realizzava una perla forata. Ma la tecnica che divenne prevalente nei secoli successivi fu la fabbricazione delle perle a partire da bacchette o canne di vetro forate o massicce. Nella seconda metà del XV secolo viene messa a punto la molatura di perle da canna forata a più strati, con sezione a stella (perla rosetta), e solo verso il XVI secolo si riscopre e si affina la tecnica delle perle alla lucerna o a lume, che prevedeva l’uso di canne massicce.
La collezione del Museo del vetro di Murano è costituita oggi da 85 cartelle campionarie contenenti 14.182 perle, da tre pannelli di stoffa del 1863, dono della Società delle Fabbriche Unite contenenti 2015 perle e 266 mazzi di conterie, da 91 mazzi di perle a lume, di cui alcuni incompleti, da 8957 perle integre e 274 frammentate e 492 mazzi di conterie.
Scomparso sin dal 1912 l’inventario redatto dall’abate Zanetti, solo ora si è riusciti a ricondurre molte di queste perle, mazzi e cartelle alle vetrerie attive a Venezia e Murano tra il 1820 e il 1890 e dunque ai maestri vetrai, giganti dell’arte e imprenditori illuminati come Giovanni Battista Franchini, Domenico Bussolin, Benedetto Giorgio Barbaria, Antonio Salviati, Pietro Bigaglia e Giovanni Giacomuzzi, che con generosità e senso civico avevano donato al museo cittadino il meglio della propria produzione nascente.
Tra i materiali del Museo ora identificati vi sono due grandi cartelle genericamente definite «Lavori in vetro alla Lucerna» che comprendono perle prodotte dalla famiglia Franchini dal 1820 al 1860 dove spiccano le invenzioni del «geniale» Giovanni Battista Franchini: dalle «Perle a Coste di Mellone» alle «Perle in cristallo animate», dalla «Madre perla rosea» alle «Canne lavorate». Nelle collezioni civiche veneziane troviamo, inoltre, quelle che paiono essere le prime perle millefori prodotte in epoca moderna, presumibilmente tra il 1843 e il 1845. In nessun campionario antecedente di altri musei europei o americani risultano infatti perle millefori, che inventate in epoca alessandrina e romana, dopo la caduta dell’impero Romano d’Occidente avevano continuato fino al XV secolo a essere prodotte in Medio e Vicino Oriente.
Va, inoltre, sottolineato che se le cartelle campionarie conservate a Palazzo Giustiniani, equiparabili ai moderni campionari delle vetrerie, non contengono o quasi perle «rosetta» molate alla rotina, è significativo che nella collezione di perle ve ne sia invece una notevole quantità, di ogni misura (anche molto grandi) e di diversa tipologia: perle uniche nel loro genere -perle «rosetta» con strati di avventurina, con inserzioni di canne forate, fino a dieci strati e dai coloro assolutamente inusuali- segno di una accesa sperimentazione e di virtuosismi tecnici legati alla rinascita di un’antica tradizione che si era completamente dimenticata.
Era stata, infatti, Marina Barovier nel 1482 o qualche anno prima a inventare la perla «rosetta», protagonista delle prime esportazioni di perle nel Nuovo Mondo e in Africa tra la fine del 1400 e gli inizi del 1500. Ma dopo tale data non sia hanno più testimonianze di produzioni di perle rosetta molate, di grandi dimensioni. La rinascita di queste, in epoca moderna, pare dunque attestarsi tra il 1882 e il 1888, anno di un’importante commessa ricordata nelle cronache del tempo (251.000 perle rosetta di dimensioni tra i 13x14 mm e i 38x52 mm) e della conseguente vivace polemica tra vetrerie, circa la paternità di quella che ai più pareva una nuova produzione, ma che in realtà rinnovava i fasti di una perla inventata cinquecento anni prima.
In mostra a Murano, oltre alle collezioni storiche, si sono volute esporre le perle realizzate oggi da vetrerie dell’Isola, frutto di una storia che non si disperde e di una realtà che vuole salvaguardare maestria e capacità tecniche innervandole di nuovi stimoli.
Lungo il percorso espositivo, a tu per tu con il caleidoscopico mondo delle perle, ci vuole poco per lasciarsi sedurre da questi magici e antichi manufatti la cui tradizione tuttavia perdura e si rinnova anche oggi.

Didascalie delle immagini 
[Fig. 1] Perle di vetro a canna a strati forata, XIX secolo. Perle di vetro a canna a strati forata, molate a piramide tronca e a botticella, forma sferica, cilindrica, a oliva e prismatica con decorazioni a rosetta. Misure: diametro x lunghezza da mm 16x24 a mm 75x90; [fig. 2] Perle di vetro a canna forata, XIX secolo. Forma cilindrica con decorazioni lineari e a spirale. Misure: diametro x lunghezza da mm 7x7 a mm 13,5x16; [fig. 3] Perle di vetro a lume, XIX secolo. Forma sferica con decorazioni fiorate. Misure: diametro x lunghezza da mm 11x11 a mm 22 x 20; [fig. 4] Perle di vetro rosetta, XIX secolo. Perle di vetro a canna a strati forata, molate a piramide tronca e a botticella, forma sferica, cilindrica, a oliva e prismatica con decorazioni a rosetta. Misure: diametro x lunghezza da mm 16x24 a mm 75 x 90 

Informazioni utili 
«Il mondo in una perla». Museo del Vetro, Fondamenta Giustinian, 8 – Murano. Orari: ore 10.00-17.00; dal 1° aprile 2018 il museo chiude un’ora dopo, alle ore 18.00. Ingresso: intero € 10,00, ridotto € 7,00. Informazioni: tel. 041.739586, museo.vetro@fmcvenezia.it. Sito internet: http://museovetro.visitmuve.it/it/. Fino al 15 aprile 2018.

venerdì 12 gennaio 2018

Roberto Daolio, un critico d'arte e la sua collezione

È una donazione importante quella giunta al Mambo: il Museo d’arte moderna di Bologna riceve, grazie alla liberale volontà degli eredi Stefano Daolio e Antonio Pascarella, l’intera collezione di opere d’arte e documenti appartenuti a Roberto Daolio.
Le opere, quasi sempre di piccolo formato e spesso accompagnate da una dedica, sono state donate dalle artiste e dagli artisti con cui il critico d'arte, fra i più attivi e stimati in ambito nazionale, ha intessuto fitte relazioni intellettuali e operative, di carattere sia professionale sia amicale.
La raccolta costituisce, quindi, una significativa testimonianza, per quanto parziale, di una vicenda biografica densa di incontri e attraversamenti, dialoghi e scambi, che ha dato un impulso sostanziale alla crescita e alla diffusione dell'arte emergente, componendone uno spaccato rappresentativo degli sviluppi più rilevanti, soprattutto in area emiliana, nel corso di oltre quarant'anni.
In considerazione del valore storico e artistico di questo corpus di opere, attraverso cui è possibile cogliere quanto sia stata centrale la figura di Daolio come riferimento critico per il contesto artistico bolognese durante tutti gli anni ‘80 e ‘90, nonché come attento osservatore della scena nazionale in contatto con le più importanti gallerie e istituzioni museali, l'Amministrazione comunale ha accettato con gratitudine la proposta di donazione degli eredi, in coerenza con l'obiettivo programmatico volto all'acquisizione di opere, documenti e testimonianze in grado di ampliare ed integrare le proprie collezioni museali esistenti.
Per presentare la raccolta è stata ideata nella Project Room una piccola mostra, a cura di Uliana Zanetti, con la collaborazione di Giulia Pezzoli e Barbara Secci, e con il contributo scientifico di Davide Da Pieve, Lara De Lena, Roberto Pinto e Caterina Sinigaglia dell'Alma Mater Studiorum di Bologna.
La mostra si articola per passaggi che consentono di individuare i principali tracciati della ricerca e dell'attività di Daolio, attraverso una scelta ragionata di un centinaio di pezzi dei centoquarantasei che compongono la donazione, alcuni dei quali sottoposti a interventi di restauro conservativo per questa occasione.
I lavori di tale collezione, «involontaria» in quanto priva di un organico indirizzo distintivo, appartengono il più delle volte a una produzione di non facile classificazione, che può essere definita «minore», apparendo talvolta perfino di statuto artistico incerto, come nel caso delle lettere e dei messaggi stupendamente decorati spediti per posta da Luciano Bartolini. Tuttavia, il loro addensarsi intorno alla personalità di Daolio le rende, nel loro insieme e nella corrispondenza di complicità affettive che sottendono, sintomatiche di un metodo di lavoro originale, costantemente rivolto verso l'insorgenza di fenomeni e di talenti nascenti, osservati e interpretati con disinteressata e selettiva partecipazione.
L'acquisizione della raccolta, oltre a consentire al Mambo di accogliere nel proprio patrimonio testimonianze dell'attività di artisti spesso molto noti e affermati anche a livello internazionale, permette di arricchire le potenzialità di lettura delle opere d'arte con riflessioni allargate sulla loro genesi, spostando l'attenzione da una semplificata e lineare storia delle forme alla complessità dei rapporti di cooperazione che sempre ne accompagnano l'origine, l'esecuzione, l'esposizione e la trasmissione.
Nel suo costante raccordare analisi teorica e attuazione pratica, Daolio ha intrecciato in un continuum di rigorosa coerenza i diversi ruoli e ambiti nei quali si è trovato ad operare. Dall'insegnamento all'Accademia di Belle Arti di Bologna, dove è stato titolare della cattedra di Antropologia e sociologia dell'arte dal 1977 al 2012, alla collaborazione con quotidiani e riviste specializzate, dall'incoraggimento e dalle presentazioni di giovani artisti alla curatela di mostre, la sua multiforme attività si è svolta seguendo una rara uniformità di principi, improntati al riconoscimento e allo sviluppo delle fun-zioni sociali dell'arte contemporanea.
Daolio ha collaborato attivamente con la Galleria d'arte moderna di Bologna, diventata poi Mambo. In considerazione di questo rapporto intenso e continuativo, l'acquisizione della sua raccolt appare ancor più calzante, contribuendo a rendere conto della sua partecipazione a numerose attività che hanno significativamente contrassegnato, in diverse fasi, la storia e il posizionamento del museo: dalle grandi rassegne collettive degli anni Settanta e Ottanta fino alla densa e innovativa programmazione dello Spazio Aperto fra anni Novanta e anni Duemila.
In questa prospettiva, assume un'ulteriore rilevanza la volontà del museo di segnare con questa mostra l'avvio di una nuova configurazione espositiva della sala Project Room, la cui funzione sarà prevalentemente dedicata alla ricognizione e alla ricerca storica sulle eccellenze della cultura contemporanea espresse in ambito territoriale.

Didascalie delle immagini 
[Fig.1] Roberto Daolio, ritratto; [fig. 2] Alessandra Tesi, «Verde HL 1», 1996, fotografia a colori su carta lucida 225 x 150 cm; [fig. 3] Annalisa Cattani e Fabrizio Rivola, «Warm Up, 1:3», 2002, stampa fotografica su ceramica; [fig. 4] Paolo Bertocchi, «Perduti nel tempo. Per un S. Gerolamo contemporaneo», 2004, stampa lambda montata su alluminio (1/4)

Informazioni utili
«Roberto Daolio. Vita e incontri di un critico d'arte attraverso le opere di una collezione non intenzionale». MAMbo – Museo d'arte moderna di Bologna | Project Room, via Don Minzoni, 14 – Bologna. Orari: martedì, mercoledì, domenica e festivi, ore 10.00 – 18.00; giovedì, venerdì e sabato, ore  10.00 – 19.00; lunedì chiuso. Ingresso: intero € 6,00; ridotto € 4,00; gratuito per possessori Card Mu-sei Metropolitani Bologna e la prima domenica del mese. Informazioni: tel. 051.6496611 o info@mambo-bologna.org. Sito internet: www.mambo-bologna.org. Fino al 6 maggio 2018.