ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

domenica 11 febbraio 2018

A Milano una mostra sui disegni di Fausto Melotti per «Linee»

È una mostra importante dal punto di vista storico e filologico quella che presenta in questi giorni la galleria Tonelli di Milano. Fino al prossimo 28 febbraio lo spazio espositivo di via Aurelio Saffi propone «Sul disegno», rassegna curata da Marco Meneguzzo, che allinea venti disegni di Fausto Melotti (1901-1986), di cui ben diciotto esposti per la prima volta assieme. Questi lavori, di recente acquisizione, sono tutti databili ai primi anni Settanta, uno dei periodi più fecondi dell’artista trentino, e sono stati in parte utilizzati per accompagnare la pubblicazione dei due quaderni di «Linee», editi l’uno nel 1975, l’altro nel 1978 per i tipi della casa editrice Adelphi.
Considerato uno dei maggiori scultori del Novecento, Fausto Melotti è noto anche come scrittore e poeta. Suoi sono una serie di aforismi acuti, pungenti, lirici e talvolta amari, raccolti in volume alla vigilia dell’ultima felice stagione artistica.
In questo contesto di rinnovata creatività, la pratica del disegno, come della grafica, diventa fondamentale: non tutti i disegni esposti sono progetti di sculture, ma tutti possiedono quella particolare atmosfera di sottile narratività, e stilisticamente si ricollegano ai lavori dell’anteguerra, molto più di quanto non si possano ricondurre le sculture degli anni Settanta e Ottanta a quelle degli anni Trenta.
«Linee» è un titolo che richiama alla mente «un note-book» o per usare le parole che si trovano nel risvolto di copertina scritto da Giuseppe Zampa, «uno zibaldone d’artista che raccoglie riflessioni, ricordi, moralità, poesie, agudezas, considerazioni tecniche». Si ritrova qui la purezza e la brevità delle forme dell’artista: il timbro aereo delle sculture si fa in queste pagine parola e segno. Le incisioni arricchiscono e completano il volume, conferendole, in ragione della tiratura limitata, un alto pregio bibliografico. A tal proposito Giorgio Manganelli, sulle pagine del quotidiano «Il messaggero», ha parlato per questi aforismi di «frammenti di una storia delicata, inquietante grazia; forse raccontata in una lingua in cui abbiamo accesso nei sogni, nei giochi». In occasione della mostra, di concerto col curatore Marco Meneguzzo, la Galleria Tonelli ha inteso fornire a collezionisti, studiosi e appassionati uno strumento storico-critico, basato sullo studio analitico di questo gruppo di disegni, che si è concretizzato in un ampio volume, per certi aspetti sistematico, sul disegno melottiano, e sui metodi di comparazione tra disegni e sculture, alla ricerca di temi e stilemi sia comuni che peculiari al disegno e alla scultura.
Il risultato è un volume bilingue (italiano-inglese), edito da Silvana Editoriale, di oltre centocinquanta pagine: un lungo saggio introduttivo del curatore sulla pratica del disegno, precede le singole ampie schede, sempre curate da Meneguzzo, che mostrano apparentamenti e temi ricorrenti nella poetica melottiana, attraverso l’accostamento visivo di disegni e sculture concettualmente vicini a quelli esposti; una biografia «raccontata» a cura della storica dell’arte Sarah Boglino e una bibliografia completano il volume.
Il percorso espositivo è arricchito da una ventina di sculture e ceramiche, come il «Vaso Sole» del 1950, i «Bambini» del 1953, il «Cavallino» del 1960, Il grande «Contrappunto Piano», nella versione unica, del 1973, uno dei lavori più famosi e importanti dell’artista, o ancora vasi, ciotole e altre ceramiche degli anni Cinquanta e Sessanta.  Un’occasione preziosa, dunque, quella offerta da Milano per accostarsi al mondo lirico, lieve e delicato di Fausto Melotti, grande interprete dell’Astrattismo italiano.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1]Fausto Melotti, Disegno, 1978, matita e tempera su carta pesante con impronta feltro, 41x28 cm; [fig. 2] Fausto Melotti, Disegno, 1970, matita e carboncino su carta pesante con impronta feltro, 33,2x25,3 cm; [fig. 3] Fausto Melotti, Vaso, 1961, ceramica policroma smaltata, h 15 cm

Informazioni utili
Fausto Melotti. Sul disegno. Galleria Tonelli, via Aurelio Saffi, 33 (angolo corso Magenta) – Milano. Orari: dal lunedì al venerdì, dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 14.00 alle 19.45; sabato, dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 14.00 alle 19.45. Ingresso libero. Informazioni: tel. 02.4812434; 333.1426971; info@galleriatonelli.it. Fino al 28 febbraio 2018. 

venerdì 9 febbraio 2018

«Venezia Pop»: Luciano Zarotti e gli anni di Ca’ Pesaro

Ha scritto pagine importanti per la storia della Galleria internazionale d’arte moderna di Ca’ Pesaro e, di conseguenza, per la storia dell’arte a Venezia. Stiamo parlando della duchessa Felicita Bevilacqua La Masa, il cui impegno per la destinazione del palazzo di San Stae quale casa delle Avanguardie e dei «giovani artisti ai quali spesso è interdetto l’ingresso nelle grandi mostre» fu determinante.
Alla figura di questa donna generosa e lungimirante sarà dedicata, nei prossimi mesi, una serie di esposizioni, la prima delle quali analizza la figura di Luciano Zarotti e la sua attività tra i primi anni Settanta e la fine degli anni Ottanta.
Dell’artista, nato a Venezia nel 1942, il museo conserva due importanti tele -«La finestra del poeta» e «Paesaggio»- provenienti dalle Esposizioni Bevilacqua La Masa, una sorta di contro-Biennale- che rappresentano l’alto traguardo di un’intera stagione artistica condensata in lavori ricchi di coraggio e ambizione.
La mostra, allestita fino al prossimo 18 febbraio, intende dare conto della prodizione di Luciano Zarotti, considerato uno dei «figli Bevilacqua La Masa», tra i primi anni Settanta e la fine degli anni Ottanta.
Nel 1967 l’artista, all'epoca venticinquenne, avvia la sua attività all'interno dell'istituzione veneziana, in uno degli studi concessi ai giovani artisti a Palazzo Carminati; qui lavorerà fino al 1975.
A Parigi, dove soggiorna a più riprese negli anni precedenti, l'impatto con la pop art europea scuote profondamente la sua cultura visiva basata sulla tradizione figurativa veneziana.
Dall'incontro con i disegni di Graham Sutherland il suo trasporto verso la natura, le isole e l'acqua della laguna s’innesta in una simbologia vegetale che diviene elemento di primo piano nella composizione dei suoi dipinti.
Assieme alla scoperta delle piscine di David Hockney, dei suoi tuffi, dei suoi blu, queste immagini si stendono in una partitura accordata su un nuovo sentimento dello spazio che il premio a Robert Rauschenberg, alla Biennale d'arte del 1964, comincia a far circolare anche a Venezia.
Le grandi tele presenti in mostra, ed esposte al secondo piano, sintetizzano i risultati di vent'anni di ricerche, in cui Zarotti fonde in una personale visione pittorica i molti stimoli provenienti dalle esperienze contemporanee, mantenendo al centro del suo racconto l’indagine sul mistero dell’esperienza umana e affiancando a una nuova sintassi compositiva il tonalismo, la tavolozza, la tecnica e le materie, l’attenzione alla luce appresi dai maestri veneziani del passato.
Completa la mostra, nelle salette al piano terra, una selezione di incisioni con le quali, fin dalla sua prima personale alla Bevilacqua La Masa, nel 1970, l’artista sperimenta composizioni, segni, effetti chiaroscurali, in lastre spesso di grandi dimensioni, cosa non consueta nella tradizione calcografica, in un percorso complementare a quello della sua pittura.
Lo stile pittorico dell’artista, a cui sarà dedicato in mostra anche un video a cura di Pierantonio Tanzola, è ben descritto da Elisabetta Barisoni, responsabile di Ca’ Pesaro, nel catalogo edito dalla casa editrice Antiga (Crocetta del Montello, TV, 2018): «Nei tormentati anni Settanta si leva un urlo umano, in cui si mescolano numerose eco, di Francis Bacon e Lucian Freud, di David Hockney e di Georg Baselitz, di David Salle e di Enzo Cucchi, di Richard Hamilton e di Chaïm Soutine, condensate in una figurazione espressiva e in una coerenza creativa che è soprattutto ed esclusivamente la firma di Luciano Zarotti».

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Luciano Zarotti, «Il pittore e la modella», (lo studio del Maestro), 1979 - 2017, olio e tempera grassa su tela, cm 290x480; [fig. 2] Luciano Zarotti, «Il tuffatore», 1978, olio su tela, cm 130x185; [fig. 3] Luciano Zarotti, «La stanza», 1974, tempera magra su tela, cm 175x200

Informazioni utili
«Veneziano Pop. Luciano Zarotti e Ca' Pesaro negli anni '70-'80». Ca’ Pesaro, Galleria internazionale d’arte moderna, Santa Croce, 2076 – Venezia. Orari: martedì-domenica, ore 10.00 - 17.00 (la biglietteria chiude un’ora prima); chiuso il lunedì. Ingresso: intero € 10,00, ridotto € 7,50, ridotto scuole € 4,00. Informazioni: info@fmcvenezia.it | 848082000 (dall’Italia) | +3904142730892 (dall’estero). Sito internet: http://capesaro.visitmuve.it/. Fino al 18 febbraio 2018.

mercoledì 7 febbraio 2018

Art for Kids, alla scoperta della Commedia dell'arte

La storia delle maschere di Arlecchino e Pulcinella, che ogni anno a Carnevale escono dal baule dei ricordi per diventare realtà viva sui palcoscenici, inizia in Italia nella seconda metà del Cinquecento, ma varca presto i confini nazionali e attraversa, cambiandolo, il teatro mondiale.
A quel tempo si formano delle compagnie di attori professionisti chiamati «comici dell’arte»: sono autori, interpreti, registi dei loro spettacoli e il loro modo di fare teatro viene chiamato Commedia dell’arte (dove il termine «arte» va inteso nel significato medioevale di «mestiere») o Commedia all’italiana.
La particolarità di questo nuovo genere è la «recita a soggetto»: gli attori non interpretano cioè testi letterari o copioni del teatro classico, ma si servono di «canovacci», ovvero di semplici tracce che delineano situazioni, intrecci e finali. Questi racconti, detti anche «scenari», contengono, inoltre, l’ordine delle scene, le entrate e le uscite.
Su queste trame, gli attori improvvisano, secondo le richieste e i desideri del pubblico, dialoghi, scherzi, frizzi, lazzi e burle, dando sfogo a tutto il loro estro di ballerini, acrobati, mimi e cantanti.
Questo modo di recitare si chiama «teatro all’improvviso». Improvvisare non significa, però, «recitare a caso», ma saper sfruttare al momento giusto certe dosi teatrali e suscitare, quindi, nel pubblico divertimento e partecipazione.
Per rendere i personaggi più riconoscibili, gli attori usano costumi e maschere di cuoio sul volto, e i personaggi stessi sono detti maschere o «tipi fissi», rappresentando i caratteri della società, aspetti eterni e immutabili dell’animo umano.
Ci sono, per esempio, il vecchio avaro (Pantalone), il servo fannullone (Arlecchino o Pulcinella) e quello obbediente e astuto (Brighella), la giovane innamorata (Isabella, Flaminia o Rosalba), il pretendente alla sua mano (Leandro, Lelio o Fabrizio), il militare (capitan Spaventa o capitan Fracassa, Rugantino, Scaramouche), il dottore pedante e un po’ saccente (Balanzone), la servetta civettuola (Colombina, Corallina, Smeraldina).
Ogni maschera, di origine regionale e con un proprio dialetto, ha un proprio repertorio di battute e detti che la caratterizzano; sono, per esempio, tipiche le «tiritere» del dottor Balanzone, interminabili sproloqui senza senso, e le «smargiassate» di Capitan Spaventa, discorsi roboanti da persona vanagloriosa.
La Commedia dell’arte prende vita nelle piazze, nei mercati, nei luoghi frequentati dalla gente semplice, dove si incominciano a rappresentare situazioni che parlano dei temi della vita, come l’amore, la povertà, la tirannia del forte sul debole.
Un’altra grande novità della Commedia dell’arte è la partecipazione delle donne agli spettacoli; prima di allora le parti femminili erano affidate solo a uomini giovani.
Gli attori si riuniscono in piccole compagnie e vanno di villaggio in villaggio, cercando di mettere insieme ogni giorno il pranzo con la cena (spesso il pubblico paga il «biglietto» con uova, verdura e, nel migliore dei casi, con una gallina per il brodo).
Viaggiano su carrozzoni che di sera si trasformano in palcoscenici illuminati da lanterne magiche, usano costumi vistosi e multicolori, e la musica accompagna il loro arrivo e le loro rappresentazioni.
Dopo due secoli, verso la metà del Settecento, la Commedia dell’arte incomincia a decadere; al suo posto si sviluppa un nuovo tipo di teatro. Le commedie sono completamente scritte, per mano di un autore. Il più grande rappresentante di questo genere è Carlo Goldoni (1707-1792), autore della riforma della Commedia dell’arte, che sostituisce i tipi fissi e le maschere con i caratteri, ripresi dalla vita di tutti i giorni, il canovaccio con il testo drammaturgico. L'autore si propone di far divertire il pubblico, ma si sforza sempre di comunicare un messaggio educativo, che tende a premiare gi autentici valori umani, a porre in buona luce le classi sociali medie o basse, denunciando invece la sciocca superficialità della mentalità degli aristocratici o degli arricchiti.
La Commedia dell’arte continua, però, ad affascinare ancora il pubblico di oggi per quella sua storia magica fatta di attori girovaghi, carrozzoni con teatri smontabili, bauli pieni di bellissimi abiti di scena e maschere della tradizione. Una storia, questa, che, dalla metà del Cinquecento alla riforma goldoniana, ha visto i comici dell’arte viaggiare di città in città, di paese in paese, chiamando tutti quanti a vedere i loro spettacoli con musica vivace, sonagli e, come ricorda Francesca Rossi nel libretto «Ti conosco, mascherina», con annunci roboanti: «Tragicommedia e meraviglie, avari, guerrieri e damigelli un soldo e un cosciotto per chi si siede un pane e una pera per chi sta in piedi!».

[Questo approfondimento sulla Commedia dell'arte è stato scritto nell'ambito del laboratorio di scrittura creativa della scuola multidisciplinare di teatro «Il cantiere delle arti», promossa dall'associazione «Culturando» al cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio. Il progetto dedicato alle maschere della tradizione si chiuderà nella serata di venerdì 18 maggio con un saggio-spettacolo che vedrà salire in scena trentasei bambini e ragazzi tra i 6 e i 15 anni, iscritti ai corsi «Piccoli attori» e «Attori in erba»]

Per saperne di più 
Casalini, Angelini, Crepaldi, «Maschere – Un libro per leggere, per fare teatro, per divertirsi», Editrice Piccoli, Torino 1997; 
Gina Bellot e Viviana Benini, «Storie di maschere», Nuove edizioni romane, Roma 1980; 
Gina Bellot, «Comandi, sior paròn. Storie e storielle del Carnevale di Venezia», Nuove edizioni romane, Roma 2007; 
Vito Montemagno, «Le maschere. Caratteri, storia e costumi», Capitol, Bologna 1990; 
Carla Poesio, «Le maschere italiane», Edizioni Primavera, Firenze 1992; 
Francesca Rossi, «Ti conosco, mascherina», edizioni corsare, Spello 2011.