ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

lunedì 25 novembre 2013

Dalla «Cenerentola» alla «Bella addormentata»: favole sulle punte per il tour italiano del «New Classical Ballet of Moscow»

«Uno spettacolo di pura grazia, eleganza e sontuosità»: è stato definito così dalla critica «Il lago dei cigni», balletto con il quale si apre il tour italiano del «New Classical Ballet of Moscow», giovane compagnia che si avvale della prestigiosa direzione artistica di Arkady Ustianzev, ex solista del teatro dell’Opera e Balletto di Novosibirsk, e alla quale collaborano étoile provenienti dai migliori teatri stabili della Russia e professionisti che hanno studiato nelle più prestigiose accademie di danza di Mosca e del resto del Paese.
Il debutto per questo spettacolo, la cui ineffabile magia è data dall’unione della raffinata musica di Pëtr Il'ič Čajkovskij con le eleganti coreografie di Marius Petipa, è fissato per giovedì 28 novembre a Trieste, negli spazi del teatro Orazio Bobbio. La tournée toccherà, poi, diverse piazze italiane, tra le quali Siracusa (5 dicembre 2013), Palermo (7 dicembre 2013), Catania (8 dicembre 2013), Cuneo (17 dicembre 2013), Asti (18 dicembre 2013) e Modena (3 gennaio 2014).
Romantica contrapposizione tra realtà e sogno, «Il lago dei cigni», senz’altro uno dei balletti classici più popolari e acclamati al mondo, mutua la propria trama da un’antica fiaba tedesca: «Der geraubte Schleier» («Il velo rubato») di Johann Karl August Musäus, pubblicata nella raccolta «Volksmärchen der Deutschen». È il topos romantico di un amore corrisposto, ma impossibile ad animare i suggestivi pas de deux, gli eleganti pas de trois e le danze di gruppo, ora nostalgiche, ora brillanti, di questo balletto, che racconta, forse più di ogni altro spettacolo del suo stesso genere, tutta la gamma delle emozioni umane: disperazione, terrore, speranza, tenerezza, malinconia ed estasi, per sconfinare poi nell’eterna e universale lotta tra il bene e il male. Una lotta, questa, rappresentata in scena dalla doppia immagine di un cigno, bianco e nero: l’angelicata Odette e la diabolica Odile.
Composto musicalmente da Pëtr Il'ič Čajkovskij tra il 1875 e il 1876, «Il lago dei cigni» fu rappresentato per la prima volta al Bolshoi di Mosca, nel 1877, con le coreografie di Julius Wenzel Reisinger, ma raggiunse il successo tanto agognato solo nel gennaio 1895, quando andò in scena, al Mariinskij di San Pietroburgo, nella versione realizzata dal coreografo francese Marius Petipa, con la collaborazione di Lev Ivanov. Da allora il balletto ciaikovskijano è diventato uno dei più rappresentati al mondo, epitome del repertorio tardo-romantico russo. Fascino e tradizione, dunque, in scena con questa storia, metafora della raffinatezza e della femminilità, che accende le luci dei riflettori anche sui sentimenti di un uomo, il principe Siegfried, posto, suo malgrado, di fronte a un non facile dilemma: scegliere tra l'amore eterno e la sensualità ingannatrice. Il giovane rimane, infatti, colpito dal fascino di Odette, che un perfido sortilegio costringe a trascorrere le ore del giorno sotto le sembianze di un cigno bianco. Sa che la maledizione potrà essere sconfitta solo da un giuramento di amore e fedeltà, ma rimane, inconsapevolmente, vittima di un tranello, facendosi sedurre da Odile, il cigno nero, sosia perfetta della sua amata, ma suo opposto nell’anima. Alla fine, però, l’amore vincerà sul male: Odette, destinata alla morte, scompare nelle acque del lago. Sigfrid, disperato, decide di seguirla: è proprio questo suo gesto a rompere l'incantesimo consentendo ai due giovani innamorati di vivere per sempre felici.
Romanticismo ed eleganza sulle punte saranno i protagonisti anche dell’altro capolavoro ottocentesco, nato dalla collaborazione tra il coreografo Marius Petipa e il compositore Pëtr Il'ic Čajkovskij, che il «New Classical Ballet of Moscow» porterà in scena nel nostro Paese: «La bella addormentata», tra i vertici di quello stile imperiale russo che, per molti, rappresenta l’idea stessa di balletto.
Il tour italiano della romantica favola della principessa Aurora si aprirà martedì 3 dicembre a Perugia, negli spazi del teatro Morlacchi, e toccherà, poi, città come Agrigento (6 dicembre 2013), Roma (16 dicembre 2013), Torino (19 dicembre 2013), Busto Arsizio (21 dicembre 2013), Genova (22 dicembre 2013), Venezia (26 dicembre) e Verona (27 dicembre 2013).
Le musiche per questo balletto, la cui trama è giocata sull’eterna lotta tra il bene e il male, vennero commissionate a Pëtr Il'ic Čajkovskij, già autore dell'ouverture-fantasia «Romeo e Giulietta» (1869-70) e del «Concerto n. 1 per pianoforte e orchestra op. 23» (1874-75), nel 1888 dal principe Ivan Vsevolozhsky, sovrintendente dei Teatri imperiali di San Pietroburgo e uomo di profonda erudizione, al quale si deve anche il libretto del balletto, tratto dalla fiaba «La belle au bois dormant», inserita in una collezione di favole seicentesche di Charles Perrault.
Il compositore russo fu stimolato nel suo lavoro dalle richieste di Marius Petipa, che non si limitò a organizzare la trama e la suddivisione dei ruoli, ma che diede anche meticolose indicazioni per la realizzazione musicale, prescrivendo tempi e numero di battute di ciascun episodio e fornendo anche suggerimenti sull’orchestrazione. Malgrado o, forse, proprio grazie a questi vincoli, il compositore romantico scrisse quella che in molti considerano la miglior partitura per un balletto, pervasa come è da una grande profondità emotiva e da una ricchezza drammatica, che dà maggior risalto alle raffinatezza delle scelte coreografiche rispetto alla vicenda narrata e che offre agli interpreti il più ampio spettro espressivo, dalla danza virtuosistica allo studio di carattere.
Il debutto dello spettacolo si ebbe il 15 gennaio 1890 al teatro Mariinskij di San Pietroburgo, sotto la direzione orchestrale di Riccardo Drigo e con la partecipazione nel corpo di ballo, in qualità di protagonista, dell'italiana Carlotta Brianza. Da allora, anche se l’esito non fu immediatamente trionfale, «La bella addormentata» continua ad appassionare il pubblico, compreso quello dei più piccoli, affascinati dalla favola della bella principessa Aurora, che viene colpita dalla maledizione di una strega malefica, la maga Carabosse, e che, dopo un sonno di oltre cent’anni, viene salvata dalla sua madrina, la Fata dei lillà, e dal bacio di un principe azzurro, il giovane e attraente Désiré.
Suggestivo e romantico il gran finale, che vede i due innamorati festeggiati da alcuni personaggi nati dalla fantasia di Charles Perrault, come il Gatto con gli stivali, Cappuccetto rosso e Cenerentola. E proprio la favola della dolce fanciulla che ha fatto sognare grandi e bambini con la sua scarpetta di cristallo e la sua carrozza a forma di zucca è stata scelta dal «New Classical Ballet of Moscow» come terza proposta del suo tour invernale nel nostro Paese. Lo spettacolo, con le musiche di Sergej Sergeevič Prokof'ev e le coreografie di Arkadi Ustantsev, farà tappa a Conegliano (29 novembre 2013), Pescara (12 dicembre 2013) e Cesena (29 dicembre 2013).
Mentre la notte di San Silvestro il teatro Verdi di Padova accompagnerà il suo pubblico nel nuovo anno a ritmo di valzer e polche con l’esclusivo «Gala Strauss», che vedrà la compagnia moscovita danzare su musiche indimenticabili come «Sul bel Danubio blu», «Racconti del bosco viennese», «Valzer dell’Imperatore» o la «Marcia di Radetzky», ricreando le fiabesche atmosfere, tutte luci e colori scintillanti, della Vienna imperiale.

Didascalie delle immagini
[fig. 1, 2, 3 e 4] Una scena del balletto «La bella addormentata nel bosco», per le musiche di  Pëtr Il'ič Čajkovskij e con le coreografie di Marius Petipa, che vedrà in scena il «New Classical Ballet» di Mosca. Foto: Massimo Rinaldi - Archivio Fondazione Teatro lirico siciliano; [fig. 5 e 6] Una scena del balletto «Cenerentola», per le musiche di Sergej Sergeevič Prokof'ev e con le coreografie di Arkadi Ustantsev, che vedrà in scena il «New Classical Ballet» di Mosca. Foto: Massimo Rinaldi - Archivio Fondazione Teatro lirico siciliano. 

Informazioni utili

Sul sito www.moscowballet.eu  è possibile trovare tutte le informazioni utili sui teatri che ospiteranno il tour del il «New Classical Ballet» di Mosca.

venerdì 22 novembre 2013

Paolo Caccia Dominioni, un artista sul fronte di guerra

La sua opera più conosciuta è il Sacrario militare di El Alamein, all’interno del quale sono sepolte le spoglie di oltre cinquemila soldati italiani, per lo più della brigata «Folgore», caduti nell’estate del 1942 durante la campagna d’Africa, nello scontro finale con l’VIII armata britannica. Ma l’architetto, ingegnere, soldato, scrittore, illustratore e pittore Paolo Caccia Dominioni di Sillavengo (Nerviano- Milano, 1896 – Roma, 1992), discendente di una famiglia della nobiltà novarese e figlio di un diplomatico che gli trasmise l’amore per i viaggi e per le culture straniere, ha raccontato la storia dei due conflitti bellici novecenteschi, ai quali ha partecipato attivamente, anche attraverso molti altri suoi lavori, tra i quali un’eccezionale serie di disegni realizzati sul fronte del Carso e libri illustrati come «Alpino alla macchia. Cronache di latitanza (1943-1945)» (Cavallotti edizioni, Milano 1977) o «El Alamein (1933-1962)» (Longanesi, Milano 1962), testo che gli è valso il Premio Bancarella nel 1962.
Documenta chiaramente questo interesse creativo del progettista lombardo -al quale si deve, tra l'altro, la costruzione dell’ambasciata italiana ad Ankara (Turchia)- il progetto espositivo «Paolo Caccia Dominioni. Un artista sul fronte di guerra», ideato e curato dall’architetto Marianna Accerboni, con l’approfondimento storico dell’Ammiraglio di squadra Ferdinando Sanfelice di Monteforte, per anni rappresentante militare italiano alla Nato e all’Unione europea e oggi docente a contratto presso la Cattolica di Milano, l'università di Firenze e il distaccamento goriziano dell'ateneo di Trieste.
Sette le sedi espositive del Friuli Venezia Giulia coinvolte in questo importante evento, atteso per il prossimo anno a Bruxelles, che ripercorre la poliedrica attività dell’artista «milanese di Milano» (come egli stesso amava definirsi) attraverso più di seicento opere, molte delle quali inedite, tra progetti, disegni, dipinti, scritti, bozzetti, lettere, fotografie e documenti di vario genere, provenienti dal Museo della Grande guerra di Gorizia, dal Museo del Genio di Roma e da numerose collezioni private.
Alla Galleria «Dora Bassi» è allestita, per esempio, la mostra «L’uomo, l’architetto, il pittore, il soldato», con numerose testimonianze biografiche e autobiografiche di Paolo Caccia Dominioni, tra le quali si segnalano due inediti: le tavole genealogiche disegnate per ricostruire le origini e gli intrecci della famiglia d’origine, imparentata con le più importanti casate nobiliari italiane, e il «Registro dei lavori», un album con progetti ed elaborati tecnici, nella stesura originale redatta dallo stesso artista e confezionata a mano, nel quale sono riassunte, in ordine cronologico, seicentoquattordici opere, realizzate tra il 1924 e il 1971.
Una sezione della rassegna racconta, poi, i restauri di prestigiose magioni friulane come il Castello di San Floriano del Collio e Palazzo Lantieri a Gorizia (dove è allestita una parte del progetto espositivo), ma anche la costruzione di nuove architetture come il villaggio turistico di Riva dei Tessali (Taranto), inserito dall'architetto lombardo in un paesaggio boschivo senza abbattere alcun albero, ma adattando anzi armonicamente e con eleganza le nuove edificazioni alla natura, nel più assoluto rispetto per l’ambiente.
Alla Galleria «Dora Bassi» sono, infine, presenti dipinti di grandi dimensioni, eseguiti al tratto e a tecnica mista, che raccontano le storie e i luoghi del primo conflitto bellico, tra i quali va segnalata la grande tela «Fronte del Carso» (1917-1964), di solito ospitata all’albergo «De Tommaso» di Gabria.
Un’ideale continuazione di questa sezione espositiva è presente al Museo della Grande Guerra di Gorizia; mentre nella vicina sede della Prefettura sono esposti materiali e testimonianze relative ad El Alamein, dove Paolo Caccia Dominioni combatté a capo del «Battaglione Guastatori d’Africa» e dove ritornò, nel 1948, per costruire il cimitero di guerra italiano (l’ormai nota «Quota 33») compiendo inoltre, nell’arco di quattordici anni, una ricerca capillare su tutti i caduti di quella battaglia, che gli è valsa riconoscimenti anche da parte britannica e tedesca. Tra le opere esposte, si trovano le illustrazioni originali per il libro «Takfir» (Alfieri, Milano 1948) e disegni di tema africano; mentre alla Biblioteca statale Isontina di Gorizia, la mostra «La parola e il segno» focalizza l’attenzione su alcuni volumi illustrati dall’autore e documenta l’essenzialità del tratto di Paolo Caccia Dominioni attraverso una selezione di disegni scherzosi, cartoline augurali, ex libris ed etichette per i vini.
La rassegna alla Stazione di Redipuglia (Gorizia) propone, invece, progetti e documenti dedicati a monumenti ai caduti come quello al Duca d’Aosta, all’aeroporto di Gorizia, o quello dedicato al 3° Reggimento artiglieria da montagna di Gemona, oggi alla caserma Cantore di Tolmezzo. In questa sede, è presente anche un’appendice relativa ad alcuni disegni navali, poco noti ed emozionanti, che l'artista ha realizzato, con grande perizia, fin dall’età di quattordici anni, come l'opera «Al marinaio d’ogni ventura» (1985) per Punta Ristola (Leuca). Mentre alla Caserma Guastatori «Berghinz» di Udine è possibile ammirare, tra l’altro, la riproduzione dello splendido Diario ad immagini del 31° Genio Guastatori, realizzato in Africa durante la Seconda guerra mondiale.
Il tutto concorre a restituire la visione di quello che Eric J. Hobsbawm ha definito «il secolo breve» attraverso gli occhi di Paolo Caccia Dominioni: militare di grande coraggio ed etica, architetto dal tratto colto ed essenziale, pittore dalla cifra squisitamente originale, disegnatore e illustratore dal segno rapido ed estremamente comunicativo, scrittore efficace e coinvolgente nella sua essenzialità espressiva. Uomo ed artista d’eccezione ancora tutto da scoprire.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Paolo Caccia Dominioni in Africa Settentrionale durante il secondo conflitto mondiale; [fig. 2] Sacrario militare italiano di El Alamein (Egitto), eretto tra il 1954 e il ’58 per conto del Governo italiano su progetto di Paolo Caccia Dominioni nell’area occupata dal cimitero italiano ivi esistente dal ’43, a ricordo dei caduti della 1° e 2° battaglia di El Alamein del ’42. Custodisce i resti di 5.200 caduti italiani riesumati dall'architetto lombardo e dai suoi collaboratori; [fig. 3] Paolo Caccia Dominioni, «Castagnevizza, fronte del Carso», 1917 - 1964. Tecnica mista su tavola. Gabria (Gorizia), Albergo «Da Tommaso»; [fig. 4] Paolo Caccia Dominioni, «La pattuglia astrale», 1935. Tecnica mista su carta; [fig. 5] Paolo Caccia Dominioni, Disegno umoristico d’ispirazione militare, 1982. Tecnica mista; [fig. 6] L'inedito registro dei lavori di Paolo Caccia Dominioni, confezionato e redatto a mano, che riassume in ordine cronologico 614 opere dal 1924 al 1971; [fig. 7] Paolo Caccia Dominioni, «Villa Fausta sull’Isonzo sotto Lucinico» (Gorizia), 1916 - 1964. L’artista dipinse dal vero a china e tempera su carta i resti della grande villa padronal friuliana e lo rifece 48 anni dopo. Dell’edificio oggi esistono solo le fondamenta, neppure visibili in quanto coperte da vegetazione.  

Informazioni utili
«Paolo Caccia Dominioni. Un artista sul fronte di guerra». Friuli Venezia Giulia, sedi varie. Informazioni e visite guidate: Marianna Accerboni, cell. 335.6750946; Iat di Redipuglia, tel. 0481.489139. 
Sedi espositive:
- Galleria Dora Bassi, via Rima 5 - Gorizia. Orari: martedì-sabato, ore  10.30-13.00 e ore 17.00-20.00; domenica, ore 11.00-13.00 e ore 17.00-20.00; lunedì chiuso; visite guidate la domenica, alle ore 18. Fino al 6 gennaio 2014. 
- Prefettura di Gorizia, piazza della Vittoria, 64 - Gorizia. Orari: tutti i giorni, ore 10.00-18.00. Fino al 15 dicembre 2013. 
- Museo della Grande guerra, Borgo Castello 13 - Gorizia. Orari: martedì-domenica, ore 9.00-19.00; lunedì chiuso. Fino al 6 gennaio 2014. 
- Biblioteca Statale Isontina di Gorizia, via Mameli, 12 - Gorizia. Orari: lunedì-venerdì, ore 10.30-18.30; sabato, ore 10.30-13.30; festivi chiuso. Fino al 30 novembre 2013. 
- Palazzo Lantieri a Gorizia, piazza S. Antonio, 5 - Gorizia. Orari: martedì-sabato, ore 10.30-13.00 e ore 17.00-20.00; domenica, ore 11.00-13.00 e ore 17.00-20.00; lunedì chiuso; visite guidate la domenica, alle ore 16.30. Fino al 29 novembre 2013.
- Stazione di Redipuglia - Gorizia. Orari: tutti i giorni, ore 10.00- 13.00 e ore 17.00 -20.00. Fino al 30 novembre 2013.
- Caserma Guastatori «Berghinz», via San Rocco, 180 - Udine. Orari: mostra aperta su appuntamento al numero 0432.231584. Fino al 6 gennaio 2014. 
 

mercoledì 20 novembre 2013

«Scatti di Industria», centosessanta anni di Ansaldo

È un vecchio scatto in bianco e nero raffigurante la mitica Sampierdarena (1854), la prima locomotiva a vapore prodotta in Italia, ad aprire il percorso espositivo della mostra «Scatti di Industria. 160 anni di immagini della Fototeca Ansaldo», allestita a Genova, presso la sala del Munizioniere di Palazzo Ducale, con l’intento di raccontare, attraverso più di un migliaio di fotografie, la lunga stagione del «saper fare» italiano che ha avuto nella città della Lanterna, grazie allo stabilimento industriale fatto costruire nel 1853 dal conte Camillo Benso Conte di Cavour, uno dei suoi simboli più prestigiosi.
Foto d’epoca, gigantografie in bianco e nero, immagini presentate su supporti multimediali scorrono lungo le pareti dell’elegante spazio espositivo affacciato su piazza Matteotti, ripercorrendo le vicende dell’Ansaldo, azienda che ha attraversato da protagonista più di un secolo e mezzo di storia italiana, dal Risorgimento alle due guerre mondiali e, poi, al miracolo economico degli anni Cinquanta e Sessanta, fabbricando (ed esportando nel mondo) locomotive a vapore, maestosi transatlantici, corazzate, cannoni, aerei, carri armati, ma anche la grande meccanica delle caldaie, delle turbine e degli apparati motore.
La prima locomotiva a corrente delle Ferrovie dello Stato (1934), le fasi di costruzione dell’«Andrea Doria» (1950), l’idrovolante Sva che lo scrittore Gabriele D’Annunzio usò per sorvolare il cielo di Vienna nel 1918, il varo dell’incrociatore «Garibaldi» (1899) e quello del «Rex», la grande nave da crociera che nel 1933 vide arrivare al porto di Genova Benito Mussolini e i Savoia, sono solo alcuni dei soggetti ritratti nelle mille fotografie esposte a Palazzo Ducale, selezionate tra i più di quattrocentomila scatti conservati presso la fototeca della Fondazione Ansaldo, istituzione presieduta da Luigi Giraldi che si configura, oggi, come la più vasta e ricca concentrazione di archivi economici e d’impresa in Italia.
La mostra, pensata per raggiungere un pubblico vasto e culturalmente diversificato, non obbliga il visitatore a un percorso prestabilito. Ci si può limitare a una veloce vista d’insieme percorrendo, in pochi minuti, la galleria delle gigantografie, stampate con accuratezza nel bianco e nero delle lastre originali e disposte in ordine cronologico: un gruppo di scatti, questo, che consente di intravvedere le forme del paesaggio industriale, le filiere produttive, gli uomini al lavoro e i loro manufatti dalla metà dell’Ottocento fino ai giorni nostri, epoca nella quale domina l’esplosione di colore delle fotografie di Edoardo Montaina (La Spezia, 1954).
Ma per chi fosse curioso di saperne di più sull’opera dell’Ansaldo nelle officine, nei cantieri e nei porti sono state ideate anche delle postazioni interattive che permettono di addentrarsi nel vasto patrimonio fotografico della fondazione, visualizzando vecchie immagini o sfogliando, virtualmente, album d’antan. In mostra c’è anche un gioco interattivo che mette a confronto la Genova di ieri con quella di oggi: il pubblico, con delle torce luminose che pendono dal soffitto, può cancellare le immagini che vede, scoprendo quelle sottostanti. Non manca, poi, una curiosità: «Il laboratorio do sciù Campostano», ovvero la ricostruzione del luogo di lavoro di Antonio Campostano (1877-1965) ricco signore genovese che, tra il 1901 e il 1960, realizzò più di cinquecento fotografie originali in negativo e a stampa.
Al centro dello spazio espositivo sono, infine, presenti quattro postazioni video che si attivano al passaggio dei visitatori e che, grazie a brevi filmati, raccontano storie di uomini e di officine, di tecnologie e di produzioni. Sono storie poco note e apparentemente lontane, ma importanti perché ci restituiscono il volto di un’epoca, quella che vide l’Italia scrivere una pagina importante nella storia industriale mondiale.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] La nave passeggeri Rex pronta al varo nel Cantiere navale di Genova-Sestri Ponente (1931); [fig. 2] Lavoratrici nello stabilimento metallurgico Delta di Genova Cornigliano (1937); [fig. 3] Gabriele D'Annunzio dopo il raid aereo su Vienna del 1918 con l'idrovolante Sva dell'Ansaldo;

Informazioni utili
«Scatti di industria. 160 anni di immagini della Fototeca Ansaldo». Palazzo Ducale, piazza Giacomo Matteotti - Genova. Orari: martedì-domenica, ore 10.00-19.00; lunedì, ore 14.00-19.00. Inhresso libero. Catalogo: disponibile in mostra. Sito internet: www.palazzoduacle.genova.it. Fino a sabato 30 novembre 2013. 

lunedì 18 novembre 2013

«Relazioni reciproche»: sette coppie d’arte in mostra a Bergamo

«In due è meglio»: è questo vecchio adagio popolare a fare da filo rosso a «Relazioni reciproche», progetto artistico studiato da Claudia Santeroni, con la collaborazione di Paolo Simonetti e Marco Ronzoni, per i suggestivi spazi della Sala alla porta Sant’Agostino di Bergamo.
Sette coppie di artisti tra le più interessanti della scena contemporanea italiana esplorano il «processo di creazione collettiva condivisa», un modus operandi che sempre più si sta diffondendo nella sfera sociale e in quella culturale.
Tante le domande che tessono la trama allestitiva della rassegna, di cui rimarrà documentazione in un catalogo pubblicato da Lubrina editore: come nasce un sodalizio? Quanto è vantaggioso lavorare avendo come filosofia ideativa quella della cooperazione e della condivisione dei saperi? Che tipo di progetti nascono dal confronto tra due individualità? A rispondere a questi quesiti sono i lavori di Alis-Filliol, Bianco-Valente, Botto&Bruno, Cuoghi-Corsello, Ferrario-Frères, Mocellin-Pellegrini e dei Richard Sympson: immagini e video, che vanno a formare un’unica grande installazione.
La marginalità, il sesso, la dualità fra corpo e mente sono solo alcuni degli argomenti sviluppati dagli autori esposti, talenti emergenti del panorama contemporaneo o precursori di questa particolare modalità espressiva giocata sull’interazione tra due pensieri creativi. Tra i veterani del genere ci sono, per esempio, Monica Cuoghi e Claudio Corsello, il cui sodalizio artistico è nato ventisette anni fa a Bologna, tra le aule dell' Accademia. Cinque le loro opere in mostra, tra le quali una scultura in legno della serie «Suf!», la fotografia-soglia «Standing Door» e la gigantografia «18.10.91», fermo immagine di un video girato anni prima dalla coppia, appoggiata direttamente a terra come fosse una scultura.
Altro duo storico a cui rende omaggio Claudia Santeroni con il suo progetto espositivo, patrocinato dalla Regione Lombardia e dall’assessorato alla Cultura del Comune di Bergamo, è quello formato da Ottonella Mocellin e Nicola Pellegrini, in mostra con la fotografia «Quella sensazione di eterna felicità che si trova alla fine delle favole senza fine», nella quale sono ritratti i due artisti, distesi insieme su un prato, intenti nella lettura del medesimo libro. Porta sempre la loro firma il video «Generalmente le buone famiglie sono peggiori delle altre», nella quale le voci di Ottonella e Nicola raccontano la storia della loro infanzia alla figlia Rosa Dao, mentre scorrono le immagini di quando erano bambini.
Coppia di recente formazione è, invece, quella formata da Cosimo Pichierri e Marco Trinca Colonel, che nel 2006 hanno dato vita al progetto Richard Sympson. A «Relazioni reciproche», i due artisti espongono la fotografia «Ghirlanda di alloro e il video «Variazioni su un segno», lavori nei quali concentrano l’attenzione su due simboli della nostra cultura visiva: la ghirlanda e la croce.
Botto&Bruno presentano, invece, una riflessione sul concetto di marginalità, intesa come espressione di disagio giovanile e di degrado urbano e sociale, attraverso le opere «Kids Riot» e «This is a Love Song», rispettivamente una battaglia di scatole di cartone e un’esplorazione solitaria all’interno di una periferia desolata.
Mentre Il viaggio e la riflessione sul tema dello scambio sono due dei territori d’indagine prediletti da Bianco-Valente, come si evince dalle opere esposte: «Complementare» e «When the Sun touches you». La prima è la storia di due coppie di mani che scrivono l’una sui palmi dell’altra, intrecciando relazioni tra loro e con quanto le circonda; la seconda compone un cielo ipotetico, intessendo diverse immagini scattate dagli artisti durante i loro viaggi attorno al mondo.
Alis/Filliol riflettono, invece, sul valore dell’«essere in due» attraverso «Calco di due corpi in movimento nello spazio», documentazione fotografica, divenuta opera indipendente, di una performance della coppia svoltasi allo spazio Cripta 747 di Torino nel 2010.Un'occasione, questa, per analizzare le molteplici tensioni del fare in coppia, tensioni che spesso si muovono tra ideazione e improvvisazione, tra forma e informe.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Mocellin Pellegrini, «Quella sensazione di 'eterna felicità che si trova alla fine delle favole senza fine», 2005. Stampa lambda su alluminio, 100x135 cm. Edition of 3. Courtesy Galleria Lia Rumma - Milano; [fig. 2] Bianco Valente, «Complementare», 2010.Video, 2'40" (loop). Courtesy l’artista; [fig. 3] Cuoghi Corsello, «Suf!», 2008.Light Box, 93 x 130 x 15.5 cm. Courtesy l’artista; [fig. 4] Alis Filliol, «Calco di due corpi in movimento nello spazio», 2010. Stampa su carta fotografica, 50 x 70 cm ciascuna. Courtesy l’artista

Informazioni utili 
«Relazioni reciproche». Alis/Filliol, Bianco-Valente, Botto&Bruno, Cuoghi Corsello, Ferrario Frères, Mocellin Pellegrini, Richard Sympson. Sala alla Porta Sant'Agostino,via Porta Dipinta, 46 – Bergamo. Orari: martedì-venerdì, ore  15.30-19.00; sabato e domenica, ore 10.00-12.30 e ore 15.00-19.30. Ingresso libero. Catalogo: Lubrina editore, Bergamo. Informazioni: tel. 328.4179207 o info@relazionireciproche.it. Fino al 24 novembre 2013. 

venerdì 15 novembre 2013

Wayne McGregor, quando la danza incontra l’arte. Alla collezione Maramotti di Reggio Emilia il debutto di «Scavenger»

Ha curato i movimenti coreografici del film «Harry Potter e il calice di fuoco» e del videoclip «Lotus Flower» dei Radiohead, nel quale Thom Yorke si muove in modo sincopato al suono della sua musica. Ha creato più di trenta coreografie per la «Random Dance», compagnia in residenza al teatro Sadler Wells di Londra, di cui è fondatore e direttore artistico. Dal 2006 è coreografo al Royal Ballet, per il quale ha realizzato, tra l'altro, il pluripremiato «Infra», «Raven Girl», «Machina for Metamorphosis: Titian 2012» e «Carbon Life». Nel gennaio 2011 è stato insignito del titolo di Commander of the Order of the British Empire. Wayne McGregor (Stockport, Gran Bretagna, 1970), uno dei miti della danza contemporanea, sarà a Reggio Emilia, ospite del teatro municipale Valli e della Collezione Maramotti, nell'ambito del Festival Aperto 2013, un fitto programma di musica, balletti, teatro contemporaneo e tecnologie che, quest'anno, rende omaggio a Giuseppe Verdi e che si intitola «Inventare il vero».
L'appuntamento, programmato per le giornate da venerdì 15 a domenica 17 novembre, nasce dalla collaborazione tra la Fondazione I Teatri, la collezione Maramotti e Max Mara, nell’ambito di un proficuo dialogo tra coreutica e arti visive, avviato nel 2009 con il coinvolgimento della Trisha Brown Dance Company e proseguito nel 2011 con la Shen Wei Dance Arts.
La tre giorni emiliana si aprirà con la prima nazionale dello spettacolo «Atomos» al teatro Valli (venerdì 15 novembre, alle ore 20.30), una coreografia per dieci danzatori, su partitura musicale del duo ambient neo-classico A Winged Victory For The Sullen e con i video di Ravi Deepres, che riflette sulle relazioni tra arte e scienza, corpo e mente attraverso una nebulizzazione di corpi, luci, suoni e movimento.
In concomitanza con questo evento, la collezione Maramotti ospiterà la prima assoluta della performance site specific «Scavenger» (sabato 16 e domenica 17 novembre, alle ore 16.00 e alle ore 19.00), frutto di un lavoro condotto da Wayne McGregor e dai suoi ballerini tra le oltre duecento opere d’arte contemporanea esposte nel museo reggiano, aperto nel 2007 nella vecchia fabbrica cittadina della Max Mara.
Wayne McGregor si è aggirato tra lavori di Alberto Burri, Piero Manzoni, Lucio Fontana, Mimmo Paladino, Bill Viola e di molti altri protagonisti delle principali tendenze artistiche italiane dal secondo dopoguerra ad oggi, con l’attenzione di un entomologo e con l’entusiamo di chi scopre un luogo affine alla sua sensibilità. I danzatori della sua «Random Dance» hanno fatto altrettanto, appuntandosi impressioni e note su dei piccoli quaderni, ognuno scegliendo un’opera della raccolta da fare propria, da indagare, metabolizzare per poi restituirla al pubblico e agli altri danzatori rimessa al mondo con il proprio corpo, in uno scambio di flussi di energia.
Il coreografo inglese, che si è affermato nel mondo grazie allo studio del rapporto tra danza e nuove tecnologie, è rimasto, inoltre, affascinato dall’architettura brutalista e organicista dell’edificio che accoglie la collezione Maramotti, scelta –si legge nella presentazione- come «risorsa primaria per la creazione di una grammatica attorno al corpo, la cui punteggiatura è costituita da prossimità e distanza prospettica fra performer e spazio e in cui il dialogo fra le parti diviene realmente organico».
Il risultato finale di «Scavenger» sarà, quindi, dato dalla combinazione delle creatività dei danzatori e della visione corale di Wayne McGregor, ai quali si aggiungerà un terzo e innovativo elemento detto becoming: un undicesimo performer virtuale, un software in grado di trasformare le sollecitazioni raccolte dai movimenti dei danzatori in creazione autonoma, visibile su uno schermo e per la prima volta presente live come parte integrante della rappresentazione. Un appuntamento imperdibile, dunque, quello di Reggio Emilia per vedere all’opera Wayne McGregor e per rimanere affascinati dalla sue coreografie: vere e proprie poesie danzate, metafisiche, astratte, quasi allucinate.

Didascalie delle immagini
[Figg. 1, 2 e 3] Wayne McGregor | Random Dance, «Atomos», 2013. Ph. C. Rick Guest with Olivia Pomp; [fig. 4] Wayne McGregor | Random Dance, Prove di «Scavenger». Collezione Maramotti, Reggio Emilia, 2013. Ph. D.Lasagni

Informazioni utili
La Wayne McGregor | Random Dance. «Atomos» - Prima nazionale. Ideazione, direzione e scene: Wayne McGregor; coreografia: Wayne McGregor in collaborazione con i danzatori; musica: A Winged Victory For The Sullen; disegno luci: Lucy Carter; video: Ravi Deepres; costumi: Studio XO. Teatro municipale Valli, piazza Martiri del 7 luglio, 7 - Reggio Emilia. Ingresso: da € 35,00 a € 25,00. Informazioni: tel.  0522.458811. Sito web: http://www.iteatri.re.it/Sezione.jsp?idSezione=2901. Venerdì 15 novembre 2013, ore 20.30 (Festival Aperto 2013). 

Wayne McGregor | Random Dance. «Scavenger»  - prima assoluta. Performance site specific. Ideazione, direzione e coreografia Wayne McGregor. Collezione Maramotti, via Fratelli Cervi, 66 - Reggio Emilia. Ingresso: posto unico € 20,00. Informazioni: tel. 0522.382484. Sito web: http://www.iteatri.re.it/Sezione.jsp?idSezione=2903. Nota: Durante questo weekend, la collezione e le mostre temporanee alla Maramotti saranno accessibili solo agli spettatori dello spettacolo, al termine di ogni performance. sabato 16 e domenica 17 Novembre 2013, ore 16.00 e 19.00 (Festival Aperto 2013)

mercoledì 13 novembre 2013

Monza, «Mondi (im)possibili» in aiuto dei bambini di Calcutta

«Mondi impossibili per una solidarietà possibile»: è così che l'agenzia «Tramite» di Carate Brianza presenta la mostra fotografica di Giancarlo Cazzaniga attualmente allestita al Cam di Monza. Dopo aver sostenuto le attività culturali della biblioteca San Gerardo, l’artista lombardo, direttore creativo dell’agenzia «Publitrust» e appassionato di smartphone art, dà vita a una nuova tappa del progetto benefico «Mondi (im)possibili».
In questa seconda edizione i proventi saranno devoluti a favore di un’altra eccellenza monzese: l'associazione Vital Italy onlus, organizzazione no profit fondata da Allegra Viganotti, Federica Gironi, Anna Dossi e Katia Ambrosini a sostegno dei bambini bisognosi di Calcutta, città nella quale vivono oltre duecentocinquanta mila street children.
Particolare il taglio del lavoro di Giancarlo Cazzaniga, che mette in mostra al Centro di analisi mediche di viale Elvezia scatti fotografici realizzati e rivisti con l’ausilio dello smartphone e di qualche app di fotoritocco.
Uno sguardo obliquo e geometrico sulla città di Monza, ma anche fresche e inaspettate riletture visive di scorci ripresi in tante località turistiche internazionali, come il Battistero di san Giovanni a Firenze o la tour Eiffel di Parigi, è quello che offre al pubblico l’autore. Trascurando l’ovvio, l’occhio di Giancarlo Cazzaniga si è, infatti, lasciato sedurre da dettagli solo apparentemente minori e da prospettive inconsuete, che hanno il potere di svelare realtà inaspettate. «Mediante audaci trattamenti cromatici, i paesaggi -scrive Ilaria Barzaghi, nella presentazione del progetto - si colorano letteralmente di nuove identità, che ci raccontano la gioia di vivere, la fanciullesca curiosità e anche l’ironia del fotografo. Mondi impossibili, ricreati da uno sguardo trasfigurante e amorevole: luoghi familiari o distanti, la rinnovata scoperta di architetture frequentate quotidianamente e le sorprese riservate dalle mete di viaggio».
Giancarlo Cazzaniga si è prestato alla causa di Vital Italy accettando di donare incondizionatamente le opere esposte per la vendita: l’intero ricavato servirà per sostenere le attività dell’associazione, una delle poche onlus a garantire che il 100% delle donazioni ricevute vadano direttamente ai bambini. Tutti i costi amministrativi e operativi dell’organizzazione sono, infatti, coperti dalle socie e ogni sei mesi i soldi raccolti sono spediti a destinazione. Tra i numerosi programmi sostenuti, c'è il mantenimento della casa-rifugio «Keertika» a Calcutta, in India, dove sono ospitate diciotto bambine tra i 6 e i 17 anni, alle quali è stato offerto un riparo dalle situazioni di estrema violenza e degrado da cui provenivano. L'iniziativa assicura loro la soddisfazione dei bisogni primari (vitto, alloggio, vestiti, etc.), un’istruzione, una formazione professionale e, soprattutto, assistenza psicologica continuativa e attività terapeutiche.
La mostra al Cam di Monza rimarrà aperta fino alle festività natalizie e così le fotografie esposte diventano anche un’ottima occasione per un regalo all’insegna della solidarietà. Un regalo che donerà un sorriso a un bambino sofferente e un sogno a occhi aperti per chi entrerà in possesso di uno dei tanti «mondi (im)possibili» di Giancarlo Cazzaniga.

Didascalie delle immagini
[fig. 1] Giancarlo Cazzaniga, «Mondi (im)possibili 2» - Vicolo di Monza; [fig. 2] Giancarlo Cazzaniga, «Mondi (im)possibili 2» - Installazione di Mimmo Paladino davanti al Palazzo Reale di Milano; [fig. 3] [fig. 1] Giancarlo Cazzaniga, «Mondi (im)possibili 2» - Il duomo di Firenze

Informazioni utili
«Mondi (im)possibili 2» - Fotografie di Giancarlo Cazzaniga. Cam – Centro analisi mediche, viale Elvezia – Monza. Orari: lunedì-venerdì, ore 8.00-20.00 e sabato, ore 8.00-12.00. Ingresso libero. Informazioni: «Publitrust», tel. 039.329586. Sito internet: www.mondimpossibili.it. Fino al 4 gennaio 2014.

lunedì 11 novembre 2013

«Above/Below Ground», l’arte di Mark Dion e Amy Yoes per il patrimonio scientifico di Siena

«L'unico vero viaggio verso la scoperta non consiste nella ricerca di nuovi paesaggi, ma nell'avere nuovi occhi». Siena fa proprie queste parole di Marcel Proust e guarda con una prospettiva inedita alle collezioni scientifiche dei suoi musei, da quello dell'Accademia dei Fisiocritici a quelli del Simus-Sistema museale universitario, che comprende, tra l’altro, raccolte di preistoria e di archeologia classica e medievale, uno spazio dedicato agli studi sull’Antartide e un Dipartimento di scienze fisiche, della terra e dell'ambiente.
Fino al prossimo 31 gennaio, la città del Palio ospita, infatti, un'inedita installazione di Mark Dion e Amy Yoes, primo esito del progetto «Above/Below Ground», promosso dal Siena Art Institute (polo d'eccellenza per la formazione e la ricerca per l'arte contemporanea fondato da Paul Getty III), in partnership con la Fondazione musei senesi e il Castello di Ama. L’iniziativa, che gode del sostegno della Regione Toscana e del patrocinio della Provincia di Siena e della Camera di Commercio, sta coinvolgendo dallo scorso settembre, insieme ai due artisti americani, anche dodici studenti provenienti dalle migliori accademie d’arte di Stati Uniti, Inghilterra e Italia.
L’evento espositivo, allestito al Museo dell'Accademia dei Fisiocritici, fonde, ricontestualizzandoli e creando tra loro connessioni inedite, alcuni dei più affascinanti esemplari delle collezioni scientifiche senesi e gli elaborati artistici da loro ispirati, che hanno visto all’opera tutti i protagonisti di «Above/Below Ground». Sotto gli occhi dei visitatori scorrono così strumenti di misurazione scientifica del Cutvap (Centro Universitario per la tutela e la valorizzazione del patrimonio scientifico senese), rocce e preziosi esemplari di meteoriti provenienti dal Museo nazionale dell'Antartide, disegni e collage che Mark Dion e Amy Yoes hanno realizzato in maniera collaborativa, ma anche opere di piccolo formato frutto del lavoro che gli studenti residenti stanno svolgendo all'interno dei musei e che continueranno a svolgere in un working space allestito all'ingresso dell’Accademia dei Fisiocritici.
Giocando con l'idea che esistano due mondi, speculari ma diversi – uno sopra, l'altro sotto terra - e utilizzando il disegno come mezzo espressivo, i due artisti americani hanno analizzato, con questo lavoro, le caratteristiche geologiche e naturali della città ed esplorato il suo patrimonio scientifico per reinterpretarlo e rileggerlo in una prospettiva nuova. Una prospettiva capace di coinvolgere i più giovani in un’avventura creativa stimolante e coinvolgente.
La mostra sarà, infatti, anche uno strumento educativo a disposizione delle scuole del territorio, grazie a una serie di laboratori didattici che, fino a maggio dell'anno prossimo, coinvolgeranno gli studenti dei licei di Siena e provincia. Un'iniziativa, questa, pensata per dare ai ragazzi l'opportunità di entrare in contatto diretto con la pratica artistica contemporanea e di rileggere il patrimonio storico-scientifico del loro luogo di appartenenza attraverso lo sguardo di artisti internazionali, lavorando in modo collaborativo a progetti che andranno a dialogare con le opere in mostra.

Didascalie delle immagini 
[Fig. 1] Mark Dion e Amy Yoes al lavoro sul territorio senese e nelle istituzioni museali cittadine; [fig. 2] Mark Dion and Amy Yoes, Above/Below Ground: Eagle, Parrot, Moth Cabinet. Collage, 40,5 cm x 30,5 cm, 2013; [fig. 3] Una studentessa del Siena Art Institute al lavoro sul territorio senese e nelle istituzioni museali cittadine; [fig. 4] Una studentessa del Siena Art Institute al lavoro sul territorio senese e nelle istituzioni museali cittadine 
[Si ringrazia Natascia Maesi dell'ufficio stampa del Siena Art Institute per le immagini fotografiche]

Informazioni utili 
«Above/Below Ground». Accademia dei Fisiocritici, piazzetta Silvio Gigli, 2 - Siena. Orari: lunedì, martedì, mercoledì e venerdì, ore 9.00-13.00 e ore 15.00-18.00; giovedì, ore 9.00-13.00; chiuso il sabato e la domenica. Ingresso libero e gratuito. Sito internet: http://abovebelowground.tumblr.com/. Fino al 31 gennaio 2014.

venerdì 8 novembre 2013

I doni persiani alla Serenissima: diplomazia e arte ai tempi dello Shah Abbas il Grande

Venezia e l’Oriente, una storia fatta di scambi commerciali, viaggi e omaggi diplomatici: ecco quanto racconta la mostra «I doni di Shah Abbas il Grande alla Serenissima», allestita nella Sala dello scrutinio di Palazzo ducale per la curatela di Elisa Gagliardi Mangilli e con il coordinamento di Camillo Tonini.
Il percorso espositivo, di cui rimarrà documentazione in un catalogo pubblicato da Marsilio editore, prende spunto dalla tela «Il doge Marino Grimani che riceve gli Ambasciatori persiani» (1603), esposta nella Sala delle quattro porte: un’opera, questa, nella quale sono illustrati i rapporti amichevoli e proficui tra Venezia e il Persia Safavide, terre unite dal comune obiettivo di contrastare la minacciosa espansione ottomana.
Le relazioni diplomatiche, con l’invio di delegazioni e omaggi preziosi reciproci, rappresentarono, infatti, una prassi strategica molto diffusa nei rapporti tra la Serenissima e le grandi potenze, soprattutto d’Oriente, per evitare eventi bellici, ma anche per sviluppare o mantenere rotte commerciali. Un esempio emblematico in tal senso è rappresentato dagli scambi intercorsi in età moderna tra la Repubblica e lo Shah Abbas il Grande (r. 1587-1629), durante il cui regno, a partire dal 1600, sono almeno tre i periodi che videro doni e relative contropartite quali strumenti per avviare un vero e proprio commercio.
Questa storia viene raccontata dalla mostra allestita fino a domenica 12 gennaio a Palazzo Ducale, anche grazie al patrocinio dell’Ambasciata d’Italia a Teheran, della Fondazione Bruschettini per l’arte Islamica e asiatica e dell’Università degli Studi di Udine.
Incisioni, mappe, portolani, monete e manufatti, insieme con lettere di presentazione e i documenti con i quali questi oggetti sono giunti in Laguna, compongono l’esposizione, che prevede anche un percorso attraverso le stanze di Palazzo ducale, indirizzando il visitatore all’Armeria e alla Sala delle mappe, in una sorta di «caccia la tesoro», dove si possono ammirare le opere relative alla Persia presenti nella collezione permanente.
Il percorso espositivo si apre con alcune incisioni, provenienti dal Gabinetto dei disegni e delle stampe e dalla Biblioteca del museo Correr, in cui sono illustrati i volti dei protagonisti dell’epoca, dettagliatamente ritratti da artisti europei. La cura dei particolari, degni di un trattato di fisiognomica, permettono di comprendere quali fossero i costumi presso la corte Safavide e di apprezzare preziosi dettagli quali la foggia delle vesti, la qualità dei tessuti impiegati e dei gioielli.
Non meno interessante è la sezione dedicata alla rappresentazione cartografica della Persia, nella quale vengono presentati mappe e portolani utilizzati dai viaggiatori per orientarsi nel Mediterraneo orientale e in Medio Oriente, tra i quali la variante ridotta in forma piccola del «Theatrum orbis terrarum» di Abramo Ortelio, il primo atlante di moderna concezione in formato tascabile. La qualità di questi lavori rivela la straordinaria capacità tecnico-scientifica dei cartografi di tracciare, tra la fine del XVI e l’inizio del XVII secolo, i profili di territori della cui esistenza ben pochi all’epoca erano a conoscenza.
A testimonianza delle buone relazioni intercorse tra Venezia e la Persia Safavide viene, poi, presentata una serie di i documenti del XVII secolo, tra i quali spiccano i firmani originali col sigillo dello Shah conservati presso l’Archivio di Stato di Venezia, nei quali viene costantemente rinnovata la promessa di collaborazione ed amicizia, suggellata dall’invio di doni diplomatici e dalla richiesta dettagliata da parte persiana della fornitura di alcuni manufatti veneziani, sia di grande pregio, sia destinati all’uso quotidiano.
Importante esempio della sontuosità e preziosità di queste regalie sono, per esempio, due manufatti offerti al doge Marino Grimani, in occasione dell’ambasceria persiana del 5 marzo 1603: un tappeto in seta, broccato in oro con motivi floreali a nastro, conservato al museo di San Marco, e un velluto, anch’esso di seta broccato in oro, raffigurante «La Vergine e il Bambino» e proveniente da Palazzo Mocenigo, quasi sicuramente prodotto da maestranze specializzate armene nei laboratori di Nuova Giulfa ad Isfahan.
Completano il percorso espositivo altri preziosità come l’edizione a stampa dei «Viaggi» di Pietro della Valle e uno scudo e un bracciale facenti parte di un’armatura e giunti fino a noi incompleti, ovvero senza l’incastonatura di gemme e turchesi che in passato è stata rimossa, ma della quale rimane testimonianza in un disegno acquerellato da Giovanni Grevembroch.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Gabriele Caliari, Il doge Marino Grimani riceve i doni degli ambasciatori persiani nel 1603. Olio su tela, 367 x 527 cm. Venezia, Palazzo Ducale, Sala delle Quattro Porte; [fig. 2]  Filips Galle, Persia in Abraham Ortelius, Filips Galle (incisore, editore). Theatro d'Abrahamo Ortelio ridotto in forma piccola, tradotto in italiano da Giovanni Paulet, in Anversa nella stamperia Platiniana, 1593. Stampa calcografica, 7,5 x10,6 cm. Venezia, Biblioteca del Museo Correr; [fig. 3] Velluto figurato con la Vergine e il Bambino. Persia, Isfahan, fine XVI – inizio XVII secolo. Velluto tagliato operato a più corpi, broccato, lanciato, 136 x 136 cm. Venezia, Museo di Palazzo Mocenigo

Informazioni utili
I doni di Shah Abbas il Grande alla Serenissima. Relazioni diplomatiche tra la Repubblica di Venezia e la Persia Safavide. Palazzo Ducale – San Marco, 1 – Venezia. Orari: Ore 8.30-17.30 (Ingresso Fino Alle 16.30). Ingresso (Biglietto I musei di piazza San Marco): intero € 16,00, ridotto (ragazzi da 6 a 14 anni; studenti dai 15 ai 25 anni; accompagnatori (max. 2) di gruppi di ragazzi o studenti; cittadini oltre 65 anni; personale del Ministero per i beni e le attività culturali; titolari di Carta Rolling Venice; soci Fai) € 8,00; gratuito per residenti e nati nel Comune di Venezia, membri Icom, bambini da 0 a 5 anni, portatori di <i>handicap</i>, guide e interpreti turistici con gruppi. Catalogo: Marsilio editore, Venezia-Mestre. Informazioni: info@fmcvenezia.it, call center 848082000 (dall’Italia), +39.041,42730892 (dall’estero). Sito internet: palazzoducale.visitmuve.it. Fino a domenica 12 gennaio 2014. 


mercoledì 6 novembre 2013

Sam Durant, anarchia e marmo in mostra a Carrara

Ci sono anche i busti di Gino Lucetti, l’uomo noto per il fallito attentato a Benito Mussolini, e di Marie Louise Berneri, la donna che animò la casa editrice londinese Freedom Press, tra le opere in mostra nella rassegna «Propaganda of the deed. I protagonisti dell’azione anarchica», allestita presso il Centro arti plastiche di Carrara per iniziativa dell'Amministrazione comunale e dell’associazione culturale «Ars Gratia Artis».
Primo attore di questo progetto espositivo, che si avvale della curatela di Federica Forti, è Sam Durant, uno dei protagonisti di «Post Monument», la Biennale di scultura di Carrara del 2010, durante la quale l’artista americano ha avuto modo di approfondire la conoscenza dei laboratori artigiani, delle segherie e della cave di marmo che popolano la città toscana. Ed ha potuto anche studiare la storia di questa terra, che vide l’affermarsi del movimento anarchico a cavallo tra XIX e XX secolo.
Da queste due fascinazioni è nata la rassegna «Propaganda of the deed. I protagonisti dell’azione anarchica», prodotta dalla Franco Soffiantino Contemporary Art Productions di Torino nell’ambito della seconda edizione del progetto «Database».
Sei sculture in marmo bianco riproducono i volti di altrettanti leader del movimento anarchico. Accanto a Gino Lucetti e Marie Louise Berneri, ci sono, infatti, in mostra anche i busti, volutamente non finiti, di Errico Malatesta, Carlo Cafiero, Francesco Saverio Merlino e del poeta futurista Renzo Novatore, esponente di punta della frangia individualista del gruppo nella provincia della Spezia.
Il percorso espositivo, arricchito dalla proiezione del film documentario «Non son l’uno per cento» (2006) del regista Antonio Morabito, è completato dalle riproduzioni scultoree di tre casse per il trasporto della polvere da sparo e di oggetti legati alle cave, come un recipiente in legno per la dinamite, esplosivo che veniva utilizzata come metodo estrattivo fino al secolo scorso, e un sacco di carbonato di calcio, forte rimando alle tante polemiche che, negli anni, si sono susseguite sullo sfruttamento del marmo, più visto come merce che risorsa unica e bene da destinare ad usi nobili.
Concordemente al volere di Sam Durant, nelle didascalie delle opere vengono ricordati tutti gli artigiani che hanno reso possibile la realizzazione di questo lavoro. Una sala della rassegna è, poi, dedicata all’installazione esatta del laboratorio di scultura Telara come si è conservato dopo la lavorazione delle sculture. E’ così possibile vedere i modelli in gesso delle teste dei personaggi anarchici scolpiti, le fotografie fornite dall’artista per la realizzazione dei modelli in creta, strumenti di lavoro, ma anche documenti e testi scritti dagli uomini e dalle donne che San Durant ha deciso di ritrarre. Uomini e donne che erano animati dall’utopia di un mondo migliore, dove la propaganda si univa al fatto, il pensiero all'azione. L'autore ha cercato così di vestire di nuovi abiti l'anarchia, liberandola dal concetto negativo che sempre la contraddistingue per far riscoprire al pubblico quell'anelito al bene comune che ha caratterizzato l'opera di molti suoi componenti.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Sam Durant, «Black Flag, Unfinished Marble (Marie-Luise Berneri)». Marmo di Carrara scolpito presso il Telara studio d'arte da Adriano Gerbi, Mauro Tonazzini, Sara Atzeni (assistente), Maria Teresa Telara (direttrice di produzione). Bandiera di raso, tubo in acciaio; dimensione variabile (busto, 45 cm x 28 cm x 23 cm); 2011.
Courtesy Franco Soffiantino Contemporary Art Productions, Torino; [fig. 2] Sam Durant, «Black Flag, Unfinished Marble (Renzo Novatore)».
Marmo di Carrara scolpito presso il Telara studio d'arte da  Adriano Gerbi, Mauro Tonazzini, Sara Atzeni (assistente), Maria Teresa Telara (direttrice di produzione), Bandiera di raso, tubo in acciaio; dimensione variabile, (busto, 52 cm x 29 cm x 32 cm); 2011. Courtesy Franco Soffiantino Contemporary Art Productions, Torino; [fig. 3] Sam Durant, «Calcium Carbonate (Non c’è altro modo per le idée che nascere dall’azione)». Marmo di Carrara scolpito presso il Telara studio d'arte da Adriano Gerbi, Mauro Tonazzini, Sara Atzeni (assistente), Maria Teresa Telara (direttrice di produzione)- 15 cm x 61 cm x 31 cm; 2011.  Courtesy Franco Soffiantino Contemporary Art Productions, Torino

Informazioni utili
«Propaganda of the deed. I protagonisti dell’azione anarchica». Centro arti plastiche, via Canal del Rio – Carrara. Orari: lunedì e mercoledì, ore 9.00–13.00; giovedì, venerdì e sabato, ore 9.00-13.00 e ore 15.00-18.00. Ingresso: € 2,00. Catalogo: disponibile in mostra. Informazioni: info@database-carrara.com o 349.7252647. Sito internet: www.database-carrara.com. Fino al 25 novembre 2013. 

lunedì 4 novembre 2013

«Un mare di inchiostro» per «Il Bisonte» di Firenze. Due mostre per i trent'anni della scuola d'arte grafica toscana

(sam) È una delle forme più antiche di espressione artistica, ma è con la diffusione dell’uso della carta, intorno alla metà del Trecento, e con l’invenzione della stampa a caratteri mobili, ideata da Johannes Gutenberg nel secolo successivo (tra il 1448 e il 1454), che l’incisione si afferma, diventando veicolo di circolazione culturale a prezzi contenuti. Non è, dunque, un caso che le prime xilografie stampate su carta fossero immagini devozionali realizzate nei monasteri da autori anonimi e che queste opere illustrassero episodi della vita di Gesù Cristo e dei santi, come la «Madonna di Bruxelles» del 1418 (Bruxelles, Bibliotèque Royale) e il «San Cristoforo» del 1423 (Manchester, J. Rylands Library).
In Italia, la produzione incisoria al bulino nacque, secondo quanto afferma Giorgio Vasari, nella bottega orafa di Maso Finiguerra (1426-1464), che trasferì sulla carta l’impronta dei suoi nielli per giudicarne lo stato di finitura e, forse, per conservarne l’immagine. Mentre uno dei principali incisori del Quattrocento fu il tedesco Martin Schongauer (1453?-1491), autore di composizioni di notevole suggestione e armonia, come «La Natività» (1470-1473), e di rappresentazioni inquietanti e fantastiche, come il «Sant’Antonio tormentato dai demoni» (1470-1473).
L’arte incisoria, considerata a ragione una delle principali espressioni dell’epoca rinascimentale, si diffuse ben presto in tutta Europa, divenendo il mezzo che meglio di altri rispondeva alla richiesta di moltiplicare opere letterarie e figurative. Attraverso l’incisione di traduzione, molte persone ebbero, infatti, modo di conoscere l’iconografia della pittura e della scultura a loro coeva o dei tempi passati.
Diversi grandi artisti, a cominciare da Sandro Botticelli (1445-1510) e da Andrea Mantegna (1431-1506), guardarono, poi, a questa forma comunicativa come linguaggio creativo autonomo e con Albrecht Dürer (1471-1528), autore a cui si devono le prime sperimentazioni all’acquaforte, quest'arte raggiunse il suo massimo splendore. Dalle mani e dalla creatività dell’artista tedesco uscirono, infatti, più di trecento opere tra xilografie, bulini, acqueforti e puntesecche. Si tratti di un insieme di lavori di rilevante complessità tecnica e di singolare elaborazione figurativa e iconografica, tanto è vero che Erasmo da Rotterdam, nel suo «Dialogus de recta Latini Graecique sermonis pronunciattione» (1528), affermò che l’artista era migliore di Apelle perché non aveva bisogno del colore, ma solo di linee nere per creare.
Il Parmigianino (1508-1540), con il suo stile «libero e arioso», fu, invece, il primo grande interprete dell'acquaforte in Europa, un genere molto amato anche da autori seicenteschi come Rembrandt (1610-1669) e settecenteschi quali Giovan Battista Piranesi (1720-1778) e il Canaletto (1697-1768), solo per fare alcuni nomi. Mentre, a cavallo tra Settecento e Ottocento, uno dei più grandi interpreti della grafica fu Francisco Goya (1746-1828), che mise a punto due nuove tecniche di grande effetto come l’acquatinta e la litografia. Di quest’arte si appropriarono, poi, i romantici, gli impressionisti, i simbolisti, gli espressionisti, i macchiaioli, i cubisti e così via dicendo, fino ad arrivare ai giorni nostri. Nonostante ciò, l’incisione è ancora considerata un prodotto artistico prevalentemente destinato a élite di intenditori.
Con l’intento di far conoscere e diffondere tra un pubblico più vasto questa forma di espressione figurativa, Firenze apre le porte di due suoi templi della grafica, l’Accademia delle arti del disegno e la Galleria del Bisonte, presentendo un progetto espositivo dal titolo «Un mare di inchiostro», del quale rimarrà documentazione in un catalogo di Polistampa, curato dal professor Rodolfo Ceccotti e con testi, tra gli altri, di Simone Guaita, Antonio Natali, Swietlan Kraczyna e Maria Donata Spadolini.
L’occasione è offerta dalle celebrazioni per i trent'anni della Scuola internazionale di arte grafica del Bisonte, aperta nel 1983 presso le ex-Scuderie di Palazzo Serristori e nata da una costola dell’omonima stamperia inaugurata nel 1959 per iniziativa di Maria Luigia Guaita e di un gruppo di fini intellettuali come il letterato Giorgio Luti, il critico Carlo Ludovico Ragghianti e l’editore Enrico Vallecchi.
Numerosi sono gli artisti che, dagli anni Sessanta, legarono il proprio nome a quello della galleria toscana, da Gino Severini a Giò Pomodoro, da Carlo Mattioli a Mino Maccari, da Alexander Calder a Graham Sutherland, senza dimenticare Pablo Picasso (che al Bisonte stampò l'unica lito fatta in Italia) ed Henry Moore (che realizzò un’indimenticabile serie di incisioni sulla figura umana per dare il proprio aiuto alla ricostruzione dello spazio, duramente colpito dall’alluvione del 4 novembre 1966).
Questa storia viene, ora, celebrata da due mostre. All’Accademia delle arti del disegno è in programma, da mercoledì 6 a sabato 30 novembre, una rassegna antologica con una settantina di lavori selezionati dall’archivio della Scuola del Bisonte, nel quale sono conservate oltre settemila opere, che coprono le più svariate tecniche della grafica d’arte studiate e sperimentate dai migliori discenti dei corsi e dai maestri incisori che si sono succeduti dal 1983 al 2012. Al fine di avvicinare il pubblico alla raffinata arte dell’incisione e della stampa manuale, l’esposizione sarà integrata da una sezione didattica.
Alla galleria di via San Niccolò, cuore della Rive Gauche fiorentina, verrà, invece, presentata, da giovedì 7 a venerdì 29 novembre, una collettiva in cui artisti affermati a livello
nazionale e internazionale, già allievi della scuola toscana, saranno messi a confronto con giovani talenti del Bisonte, che stanno muovendo i loro primi passi nel mondo della grafica d’autore. Trentadue gli incisori che esporranno, tra i quali Sandro Brachitta, Giovanni Turria e Toni Pecoraro.
Un’occasione, queste due rassegne, per conoscere la storia di una realtà che con passione, coraggio e visionarietà ha scritto una pagina importante nel mondo della cultura italiana.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Il Bisonte, logo per i trent'anni della scuola internazionale di arte grafica; [fig. 2] Stampa di matrice calcografica; [fig. 3] Stesura della colla per le stampe; [fig. 4] Aula della  Scuola internazionale di arte grafica del Bisonte [Per le foto si ringrazia Alessandra Pozzi dello Studio Pozzi di Milano] 

Informazioni utili 
«Un mare d’inchiostro. Trenta anni di attività della Scuola internazionale di grafica d’arte Il Bisonte» . Sala esposizioni dell’Accademia delle arti del disegno, via Ricasoli, 68 (piazza San Marco) - Firenze.Orari: martedì-sabato, ore 10.00–13.00 e ore 17.00–19.00; domenica, ore 10.00–13.00; lunedì chiuso. Ingresso libero. Informazioni: tel. 055.2342585 o gallery@ilbisonte.it. Catalogo: Polistampa, Firenze. Da mercoledì 6 novembre (ore 18) a sabato 30 novembre 2013.  

«Un mare d’inchiostro. La generazione del Bisonte». Galleria Il Bisonte, via San Niccolò, 24 rosso - Firenze.Orari: lunedì–giovedì, ore 9.00-13.00 e ore 15.00-19.00; venerdì, ore 15.00-19.00; sabato e domenica visitabile su appuntamento. Ingresso libero.Catalogo: Polistampa, Firenze. Informazioni: tel. 055.2342585 o gallery@ilbisonte.it. Sito internet: www.ilbisonte.it. Da giovedì 7 novembre (ore 18) a venerdì 29 novembre 2013.    


venerdì 1 novembre 2013

Dalle geishe alle pagode buddiste: lo «Spirito del Giappone» secondo Suzanne Held

E’ un viaggio nel Paese del Sol Levante quello che propone il Mao - Museo d’arte orientale di Torino con la mostra «Spirito del Giappone», già presentata al Musée d’Arts Asiatiques di Nizza. Quaranta immagini della fotografa francese Suzanne Held restituiscono il volto intimo di una terra abitata dalla tradizione, dalla spiritualità e dalla contemplazione di una natura divinizzata e amata anche attraverso la meditazione. Quattro i grandi temi nei quali è articolato il percorso espositivo: la geisha, i giardini, i luoghi di culto dello Shinto e del Buddhismo.
Il grande formato delle immagini esposte consente al visitatore l’immersione in un Giappone senza tempo, lontano dall’effervescenza delle megalopoli e dalla febbre industriale, e nel quale l’armonia e la delicatezza del gesto si mescolano al rigore e alla precisione dei riti ancestrali.
Tra gli antichi cerimoniali nipponici di cui la mostra torinese dà conto vi è, per esempio, quello del tè, che vede protagoniste le geishe, non prostitute come si crede erroneamente in Occidente, ma «persone d’arte», ossia donne istruite nella musica, nella danza e nel canto, altamente apprezzate e richieste dai clienti per il loro talento. Suzanne Held ne racconta la filosofia di vita attraverso immagini cariche di colori, di luci cromatiche che irradiano dalle vesti indossate: kimono di seta decorati da motivi ricchi di significato, che variano in base alla stagione o all’età di chi li indossa (tinte vivaci per le giovani, tenui per le donne in età matura).
Altro elemento essenziale della cultura nipponica sono i giardini. Per i giapponesi, tutto è abitato. La pietra più piccola, il più piccolo ciuffo di muschio, ogni albero, foglia o fiore racchiudono uno spirito. Anche una porzione di natura che agli occhi di un occidentale può apparire casuale è, in realtà, un giardino minuziosamente organizzato, sistemato in modo da riprodurre lo spazio naturale nel quale vivono gli spiriti, con lo scopo di attirarli e di assicurarsene la benevolenza.
Le foto di Suzanne Held raccontano di spazi verdi all’insegna della perfetta integrazione tra uomo e natura e sono affiancate in mostra ad immagini suggestive di luoghi di culto legati allo Shintō e al Buddhismo, religioni che convivono pacificamente sul territorio, al punto che si usa dire: «i giapponesi nascono shintoisti e muoiono buddhisti».
La mostra fotografica, che prevede anche un ricco calendario di conferenze sulla cultura giapponese (con, tra l’altro, interventi sull’arte della calligrafia e sulla danza butoh), è arricchita dalla presenza di due antiche sculture buddhiste, ma anche di kimono, haori e di altri elementi che richiamano le tradizioni estetiche e culturali dell’arcipelago. Tra questi spiccano i bonsai e l’ikebana, l’arte di disporre composizioni floreali in vaso, con esemplari realizzati della Wafu School of Ikebana e dall'atelier di ceramica del monastero di Bose.
In contemporanea, il Mao – Museo d’arte orientale presenta un nuovo allestimento nella galleria delle stampe e dei disegni giapponesi. Al secondo piano dello spazio espositivo torinese è, infatti, possibile vedere la prima metà della serie «Le 53 stazioni della Tokaido», realizzata da Utagawa Hiroshige (1797-1858) nel biennio 1833-34. Si tratta di xilografie policrome dove il maestro, principale rivale di Katsushika Hokusai (1760-1849) per le opere paesistiche, restituisce il volto della cosiddetta «Strada del mare orientale», la maggiore arteria che collegava la capitale shogunale del Giappone, Tokyo, a quella imperiale, Kyoto, lungo la costa meridionale dell’isola di Honshu.
Tra le stampe esposte meritano una segnalazione «Neve notturna a Kambara», «Nebbia mattutina a Mishima» e «Scenario del lago a Hakone», un’opera tra le più famose dell’artista, che influenzò profondamente la pittura europea tra il XIX e il XX secolo con i suoi colori vivaci e irreali, le sue superfici scomposte e campite delle rocce, la sua profondità di campo.
Nella sala principale al secondo piano sono, invece, stati sostituiti otto kakemono (dipinti in formato verticale), che forniscono un assaggio della produzione pittorica dal periodo Momoyama (1573-1603) all’era Meiji (1868-1912). Tra di essi meritano una segnalazione l’opera «Gibbone e luna riflessa nell'acqua», realizzata sul finire del XVI secolo da Kaiho Yusho (1533-1615), e la tela «Pesce palla (fugu)», datata alla prima metà del XIX secolo e attribuibile a Katsushika Hokusai (1760-1849). Non meno interessante è il «Paesaggio con pagoda e capanne», realizzato intorno alla metà XVII secolo da Tan'yu (1602-1674), pittore capo dell’Edokoro, l’ufficio dei pittori alla corte shogunale di Tokyo, e grande maestro di scuola Kano, realtà fondata tra il XV e il XVI secolo, che riuscì nell’intento di mediare tra l’austera tradizione dello stile cinese e il decorativismo che caratterizzava lo stile giapponese. Nel rotolo presentato a Torino la mano dell’artista ha sconfinato nel terreno delle raffigurazioni incorporee e astratte del buddhismo zen: con ampie velature e pochi tratti decisi di inchiostro più carico ha reso magistralmente l’atmosfera nebbiosa di un villaggio montano, con un tempio seminascosto dalla vegetazione su uno sperone roccioso.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Suzanne Held, Kyoto, Sanctuaire shintoiste Heian-jingu, cm 120x180; [fig. 2] K Suzanne Held, Kyoto, quartier de Gion, deux maiko de do, cm 180x120; [fig. 3]  Suzanne Held,Tokyo, temple Senso-ji d'Asakura, bonze mediant, cm 180x120; [fig. 4] Suzanne Held, Kyoto, jardin du temple buddhique Ryoan-ji, erables, cm 180x120

Informazioni utili
«Spirito del Giappone». Fotografie di Suzanne Held. Mao - Museo d’arte orientale, via San Domenico, 11 – Torino. Orari: martedì-domenica, ore 10.00-18.00 (la biglietteria chiude un’ora prima); chiuso il lunedì. Ingresso mostra e collezioni museali: intero € 10,00, ridotto € 8,00 gratuito fino 18 anni. Informazioni. tel. 011.4436928. Sito internet: www.maotorino.it. Fino a domenica 12 gennaio 2014. 

mercoledì 30 ottobre 2013

Apre a Venezia il museo più profumato d’Italia

(sam) «Il profumo ha una forza di persuasione più convincente delle parole, dell'apparenza, del sentimento e della volontà». Vengono in mente queste parole dello scrittore tedesco Patrick Suskind passeggiando tra le sale di Palazzo Mocenigo a Venezia, elegante dimora nobiliare di impronta settecentesca, con annesso un Centro studi di storia del tessuto e del costume, che venerdì 1° novembre 2013 riapre le porte al pubblico, dopo un importante intervento di restyling degli spazi e di riassetto dei percorsi espositivi.
Il nuovo progetto museografico, studiato dall’architetto e regista teatrale Pier Luigi Pizzi per il sistema dei Musei civici veneziani, include, infatti, un inedito capitolo espositivo sulla storia del profumo e delle essenze, realizzato grazie alla consulenza della Mavive Spa, azienda veneziana della famiglia Vidal.
L’iniziativa, unica nel panorama museale italiano, nasce con l’intento di far riscoprire e valorizzare la vocazione millenaria che colloca il nostro Paese, e in particolare la città di Venezia, tra i capostipiti della tradizione profumiera mondiale. Fu, infatti, proprio nel centro lagunare che gli spezieri inventarono, nel Quattrocento, le prime eau de toilette con essenze diluite in alcool, o meglio in purissima acquavite, e che, nei decenni successivi, si diffuse il commercio di saponi profumati per l’igiene personale.
Sotto gli occhi del visitatore curioso scorrono così ricettari antichi, boccette, astucci, flaconi e manuali di cosmetica, tra i quali il prezioso volume «I Notandissimi Secreti de l’Arte Profumatoria» di Giovanventura Rosetti, primo ricettario d’Occidente, risalente al 1555, che cataloga più di trecento formule per la cura della persona in uso nella città veneta durante il Rinascimento.
Insieme con una selezione di preziosi compendi sul regno vegetale provenienti dal Museo di storia naturale di Venezia, tra i quali il celebre Erbario Mattioli, il percorso espositivo presenta anche alcuni esemplari del fondo bibliotecario della Cosmetica Italia (l’ex Unipro) e la straordinaria collezione di flaconi Storp: oltre duemilacinquecento oggetti, alcuni dei quali databili fino al 2.000 a.C., che sono stati donati al circuito Muve dalla nota casa essenziera tedesca Drom. Tra questi manufatti sono, tra l’altro, degni di rilievo un’elegante ampolla pendente in oro, con madreperla e rubini, risalente all’Ottocento e una colorata boccetta in vetro, a forma di animale marino, fabbricata nel XVII secolo.
Il progetto, che vede anche il coinvolgimento del Centro di cosmetologia della Università di Ferrara e della Seguso vetri d'arte, prevede, inoltre, la presenza di sei «stazioni olfattive» didattiche, per introdurre il pubblico alla conoscenza del profumo, straordinaria invenzione legata al mondo olfattivo, che si pone anche in stretta relazione con la moda.
Completa il viaggio tra le sale del museo -donato dall’ultimo discendente della famiglia Mocenigo, Alvise Nicolò, al Comune di Venezia nel 1945 ed entrato nel circuito dei Musei civici nel 1985- un focus sugli usi e i costumi del Settecento, che mette in mostra arredi, tessuti, ricami, dipinti, cornici, accessori e abiti d’epoca: manufatti provenienti dalle collezioni e dai depositi dell’antico palazzo sulla Salizada di San Stae, ma anche da altre raccolte dei musei cittadini (come il Correr e Ca’ Rezzonico), in gran parte restaurati per l’occasione.
Il nuovo layout espositivo, che coinvolge diciannove sale al piano nobile di palazzo Mocenigo, ripropone, dunque, fedelmente le suggestioni di un’abitazione nobiliare veneziana del XVIII secolo, restituendone all'antico splendore i principali elementi architettonici e strutturali, ma anche i fastosi affreschi, gli stucchi e i marmorini, i preziosi pavimenti e gli infissi. Il tutto concorre a portare lo spettatore in una Venezia da mito, quella di Giacomo Casanova e di Carlo Goldoni, quella della quale rimangono indimenticabili pagine sui volumi di storia dell’arte mondiale, con gli spaccati di vita quotidiana dei Tiepolo, con le luminose vedute del Canaletto e del Guardi.

Didascalie delle immagini
[fig. 1] Palazzo Mocenigo – Centro studi di storia del tessuto e del costume. Fondazione Musei civici di Venezia. Foto di Stefano Soffiato; [Fig. 2] Chatelaine. Necessaire per cinque pezzi e digitale e contenitore per profumo. Agata marrone con montatura in bronzo dorato. Francia o Inghilterra, 2° metà del XVIII secolo. Lunghezza 210 mm. Collezione Storp, Germania. Venezia, Palazzo Mocenigo – Centro studi di storia del tessuto e del costume _sezione del profumo. Fondazione Musei civici di Venezia; [fig. 3] Spruzzatore per acqua di rose. Bottiglietta a forma sferica che si assottiglia a mo’ di imbuto. Elegante beccuccio a pomello con decorazione. Vetro Cobalto. Persia (Shiraz), XVIII-XIX secolo. Altezza 165 mm Collezione Storp, Germania. Venezia, Palazzo Mocenigo – Centro studi di storia del tessuto e del costume _sezione del profumo. Fondazione Musei civici di Venezia; [fig. 4]  Flacone. Forma di animale marino, bianco avorio con strisce colorate e rilievi di lamponi; margine a pettine. Vetro, tappo in argento. Italia, Venezia, XVII secolo. Altezza 90 mm. Collezione Storp, Germania. Venezia, Palazzo Mocenigo – Centro studi di storia del tessuto e del costume _sezione del profumo. Fondazione Musei civici di Venezia

Informazioni utili 
Palazzo Mocenigo – Centro studi di storia del tessuto e del costume, Santa Croce, 1992 - Venezia. Orari: dal 1° novembre al 31 marzo, ore 10.00-16.00 (la biglietteria chiude mezz'ora prima); dal 1° aprile al 31 ottobre, ore 10.00-17.00 (la biglietteria chiude mezz'ora prima); chiuso il lunedì. Ingresso: intero € 8,00, ridotto (ragazzi da 6 a 14 anni, studenti dai 15 ai 25 anni, cittadini over 65, personale del Ministero per i beni e le attività culturali e il turismo; titolari di Carta Rolling Venice; soci FAI) € 5,50; ingresso gratuito per residenti e nati nel Comune di Venezia, bambini da 0 a 5 anni, membri Icom, portatori di handicap, guide autorizzate e interpreti turistici che accompagnino gruppi. Informazioni e prenotazioni: call center 848082000 (dall’Italia) e +39.041.42730892 (dall’estero). Sito internet: mocenigo.visitmuve.it. Inaugurazione: giovedì 31 ottobre, dalle ore 10.00 alle ore 17.00, esclusivamente su invito e fino a esaurimento dei posti disponibili. Aperto da venerdì 1° novembre 2013.