ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

mercoledì 4 febbraio 2015

«I vestiti dei sogni», abiti da Oscar in mostra a Roma

Dallo scialle verista che Francesca Bertini indossa nella pellicola «Assunta Spina» del 1915, vera e propria icona del cinema muto, all'abito barocco di Salma Hayek per il film, ancora inedito, che Matteo Garrone ha tratto dal «Cunto de li cunti» di Giambattista Basile. È un viaggio lungo un secolo quello offerto dalla mostra «I vestiti dei sogni», allestita al Museo di Roma in Palazzo Braschi, gioiello barocco-neoclassico affacciato su piazza Navona, per la curatela di Gianluca Farinelli, direttore della Fondazione Cineteca di Bologna, e con l’allestimento luci di Luca Bigazzi, uno tra i più apprezzati direttori della fotografia nel panorama contemporaneo.
Un centinaio di abiti originali, decine di bozzetti, fotografie, sequenze filmiche e una selezione di oggetti, tra i quali spicca l’unicum della pressa che Danilo Donati costruì per foggiare gli abiti dell’«Edipo Re» di Pier Paolo Pasolini, pongono l’accento su una maestria artigianale tutta italiana, quella che ha visto tanti nostri costumisti  -da Vittorio Nino Novarese a Gino Sensani, da Piero Tosi a Gabriella Pescucci, da Piero Gherardi a Milena Canonero (fresca candidata all’Oscar per «The Gran Budapest Hotel»)- lavorare con prestigiose case sartoriali come Tirelli, Peruzzi, Gattinoni, Fanani, Annamode e Attolini per abbigliare star nazionali e internazionali del cinema e dare così materia, luce e colori a film come «Marie Antoinette» di Sofia Coppola o «Barry Lyndon» di Stanley Kubrick.
Il percorso espositivo, visibile fino a domenica 22 marzo, è impaginato secondo un ordine cronologico e muove dalle origini della «settima arte» -con il muto e le sue dive bizantineggianti, medusee e serpentine- per giungere fino ai giorni nostri con l’omaggio al film «La grande bellezza», capace di ridare al cinema italiano un nuovo Oscar dopo quindici anni da quello vinto con «La vita è bella». Ecco così gli audaci abiti di Lyda Borelli per «Rapsodia satanica» del 1915, fatti di veli, trasparenze e punti vita all’altezza del seno, e la giacca colorata e da dandy di Daniela Ciancio per Tony Servillo, diretto da Paolo Sorrentino, nei passi di Jep Gambardella.
Nel mezzo c’è una galleria di abiti impressi nella memoria di generazioni e generazioni di amanti del cinema, a cominciare dal vestito in sontuosa crinolina indossato da Claudia Cardinale nella parte di Angelica per il gran ballo del film «Il gattopardo» di Luchino Visconti e da quello in organza e satin, altrettanto bianco, che Maria de Matteis disegnò per Audrey Hepburn, protagonista nel 1956 del film «Guerra e pace» di King Vidor.
Non mancano, poi, lungo il percorso espositivo il tailleur indossato da Anna Magnani per «Bellissima», la giacca di Totò per «Uccellacci e uccellini», il vestito di Alberto Sordi cucito Gianna Gissi per «Il Marchese del Grillo» di Mario Monicelli, il bustino di Sandra Milo in «Giulietta degli spiriti», ma anche le creazioni di Gabriella Pescucci per «L’età dell’innocenza» di Martin Scorsese o gli abiti cardinalizi di Lina Nerli Taviani per il film «Habemus papam» di Nanni Moretti: tanti modi diversi, questi, per far emergere il senso di una scuola, di una tradizione artigianale italiana che ha fatto grande il cinema al pari del lavoro di registi e attori.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Costume di Piero Gherardi per il film «Giulietta degli spiriti» di Federico Fellini; [fig. 2] Costumi di Milena Canonero per il film «Marie Antoniette» di Sophia Coppola; [fig. 3] Bozzetto per il costume di Audrey Hepburn per il film «Guerra e pace». Cineteca di Bologna, Fondo Renzo Renzi 

Informazioni utili
«I vestiti dei sogni - La scuola italiana dei costumisti per il cinema». Palazzo Braschi, ingresso da Piazza Navona, 2 e da Piazza San Pantaleo, 10 - Roma. Orari: martedì-domenica, ore 10.00-20.00; la biglietteria chiude alle ore 19.00. Ingresso (integrato museo e mostra): intero € 11,00, ridotto € 9,00. Informazioni: tel. 06.0608 (tutti i giorni, ore 9.00 - 21.00). Sito internet: www.museodiroma.it o www.cinetecadibologna.it. Fino al 22 marzo 2015.  

martedì 3 febbraio 2015

Leonardo da Vinci, il Fai rende omaggio al genio rinascimentale con un corso di storia dell’arte

Il 2015 sarà l’anno di Leonardo da Vinci. Il merito è senza dubbio della grande mostra, curata da Pietro Marani e Maria Teresa Fiorio per Expo Milano 2015, che dal 15 aprile al 19 luglio traccerà un ritratto a tutto tondo del poliedrico genio rinascimentale attraverso opere come il «Musico» della Pinacoteca ambrosiana, il «San Gerolamo» dei Musei vaticani, la «Scapigliata» della Galleria nazionale di Parma, la «Madonna Dreyfuss» della National Gallery di Washington e tre lavori di inestimabile valore provenienti dal Louvre di Parigi quali la «Bella Ferronière», il «San Giovanni Battista» e l’«Annunciazione».
Il Fai – Fondo per l’ambiente italiano non si lascia sfuggire l’occasione offerta da questo importante espositivo, che coinvolgerà non solo Palazzo Reale, ma anche altri luoghi leonardeschi della città come il Cenacolo della Basilica di Santa Maria delle Grazie o il Castello sforzesco, e, da giovedì 26 febbraio a mercoledì 16 dicembre, presenta il corso di storia dell’arte «Leonardo - Una vita», curato da un comitato scientifico di alto profilo accademico composto da Simone Albonico, Guido Beltramini, Vittoria Romani, Gianni Romano e Jacopo Stoppa, sotto il coordinamento del professor Giovanni Agosti.
Venticinque le lezioni in programma a Milano, prima al teatro Dal Verme (tutti i giovedì, fino all’11 giugno, dalle ore 18 alle ore 19.15) e poi, a partire dal 23 settembre, nell’Aula magna dell’Università degli studi di Milano (il mercoledì pomeriggio, sempre dalle ore 18 alle ore 19.15), che tracceranno, sul filo della cronologia, l’intera parabola del grande pittore, architetto, scienziato e ingegnere, nato a Vinci nel 1452 e morto in Francia nel 1519, la cui notorietà è legata a capolavori, invenzioni e misteri, la cui fama affascina ancora oggi, come dimostrano, per esempio, le tante interpretazioni legate al dipinto «La Gioconda» del Louvre.
«La biografia, sempre fondata su una sceneggiatura di testimonianze contemporanee (non limitate ai soli scritti dell’artista), sarà interrotta –spiega il professor Giovanni Agosti, docente di storia dell’arte moderna all’Università degli studi di Milano,- in sette occasioni affidate a specialisti di riconosciuta competenza che daranno vita a diorami in grado di offrire fondali alla comprensione della narrazione principale. Le lezioni saranno tenute da giovani studiosi, che dialogheranno in brevi video-interviste con personaggi noti del mondo delle scienze. A dare voce alle testimonianze del passato sarà un gruppo di attori usciti dalla scuola di Luca Ronconi», quella del Piccolo Teatro di Milano.
Tra i docenti si segnala la presenza degli studiosi Stefano de Bosio, Francesco Caglioti (Università Federico II di Napoli), Claudio Gulli (Scuola normale superiore di Pisa), Chiara Pidatella (The Warburg Institute di Londra) e Barbara Savy (Università degli studi di Padova).
«Ma il corso non si limita alle lezioni. I giovani studiosi – racconta ancora il professor Agosti -accompagneranno gli iscritti in visite ad hoc: nelle sale del Museo nazionale della scienza e della tecnologia a scoprire la meccanica leonardesca, nel cantiere della Sala delle Asse nel Castello sforzesco e persino tra i muri del refettorio di Santa Maria delle Grazie per contemplare il Cenacolo, che tanti milanesi hanno visto magari una volta sola nella vita o forse neanche quella».
Le iscrizioni al corso, che vanta il patrocinio della Regione Lombardia e del Comune di Milano, sono aperte negli uffici milanesi del Fai – Fondo per l’ambiente italiano in via Carlo Foldi o a Villa Necchi Campigli. Il costo per la frequenza dell’intero ciclo di lezioni è fissata ad euro 139,00 per gli adulti ed 80,00 per i giovani fino ai 25 anni; mentre ogni singola lezione ha un tagliando di ingresso di 10,00 euro per gli adulti e 3,00 per i giovani.
Per maggiori informazioni sul programma delle lezioni è possibile consultare le pagine www.fondoambiente.it/Cosa-facciamo/Index.aspx?q=leonardo-corso-d-arte-fai-2015 o www.facebook.com/pages/I-grandi-Maestri-dellArte/103416429759972. L’Ufficio cultura e ricerca del Fai – Fondo per l’ambiente è a disposizione per informazioni e iscrizioni ai numeri 02.467615252/349 o all’indirizzo e-mail ufficio_cultura@fondoambiente.it.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Cover del pieghevole realizzato per il corso «Leonardo. Una vita» promosso dal Fai - Fondo per l'ambiente italiano. Nell'immagine: Leonardo da Vinci, «Una donna nel paesaggio», 1517-18, Royal Collection Trust/ © Her Majesty Queen Elizabeth II, 2014; [fig. 2] Leonardo da Vinci, «Ultima cena» (particolare), 1494-1498. Tempera grassa su intonaco, 460×880 cm. Milano, Convento di Santa Maria delle Grazie; [fig. 3] Leonardo da Vinci, Testa di donna detta «La Scapiliata», primo decennio del XVI secolo. Terra d’ombra, ambra inverdita e biacca su tavola, cm 24,6 x 21. Provenienza: Collezione Gaetano Callani, nella Galleria nazionale di Parma dal 1839. Inventario N. 362

Informazioni utili 
«Leonardo. Una vita». Teatro Dal Verme, via San Giovanni sul Muro, 2 - Milano  (dal 26 febbraio all'11 giugno 2015); Università degli Studi di Milano - Aula Magna, via Festa del Perdono, 7 - Milano (dal 23 settembre al 16 dicembre 2015). Orari: ore 18.00-19.15. Costi: intero corso - € 139,00 per gli adulti, € 80,00 per i giovani fino ai 25 anni; una lezione - € 10,00 per gli adulti, € 3,00 per i giovani fino ai 25 anni. Informazioni e prenotazioni: Ufficio cultura e ricerca del Fai – Fondo per l’ambiente italiano, via Carlo Foldi, 2 - Milano, tel. 02.467615252/346 (dal lunedì al venerdì, dalle 10 alle 13 e dalle 14 alle 17) o indirizzo e-mail ufficio_cultura@fondoambiente.it; Villa Necchi Campiglio, via Mozart, 14 - Milano, tel. 02.76340121 (dal mercoledì alla domenica, dalle 10 alle 18). Sito internet: www.fondoambiente.it/Cosa-facciamo/Index.aspx?q=leonardo-corso-d-arte-fai-2015. Pagina Facebook: www.facebook.com/pages/I-grandi-Maestri-dellArte/103416429759972. Dal 26 febbraio al 16 dicembre 2015.

lunedì 2 febbraio 2015

Dai samurai a Mazinga: il Giappone è a Treviso

Era l’8 luglio del 1853 quando quattro «navi nere», ovvero quattro battelli a vapore occidentali, attraccarono, sotto il comando del commodoro statunitense Matthew Perry, nel porto di Uraga, all’imboccatura della baia di Tokyo, mettendo fine a secoli di isolamento politico e commerciale del Giappone. Fino ad allora, un editto emanato dallo shōgun Tokugawa Iemitsu nel 1641 aveva, infatti, vietato agli stranieri l'ingresso nel Paese e gli scambi mercantili erano consentiti solo con la Cina e l’Olanda.
Il colpo dato alla politica isolazionista nipponica, detta sokoku, da questa dimostrazione di forza americana fu tale che lo shōgun Tokugawa Ieyoshi, allora capo militare e politico del Paese, decise di ritirarsi subito a vita privata, lasciando l’incarico al figlio Iesada, al quale si deve il trattato di Kanegawa con l'apertura dei porti di Shimada e Hakodate ai commerci internazionali, e morendo -si racconta- non più di un mese l’episodio delle «navi nere» per il dolore.
Quindici anni dopo, caduto definitivamente lo shōgunato, l'avvento al potere dell'imperatore Mutsuhito segnò l'inizio dell'era Mejii (1868-1912), un periodo di profonde trasformazioni politiche, economiche e sociali che rese il Giappone una moderna potenza internazionale, ma che lo vide anche affermare nel mondo la sua cultura millenaria e i suoi valori tradizionali. Se il Sol Levante fu debitore verso l'Occidente per il rinnovamento dei suoi costumi e per il miglioramento delle sue condizioni di vita, l'Europa non rimase, infatti, immune al fascino dei feroci guerrieri samurai e delle raffinate geishe, all’antico e immutabile rituale del tè o, ancora, all’alto livello qualitativo delle arti decorative nipponiche con porcellane, lacche e tessuti che diedero vita, soprattutto in Francia, al fenomeno del «giapponismo».
Il 1868 fu, dunque, una data spartiacque per l’Estremo Oriente che, da allora, vide divulgarsi, da Tokyo a Okayama, una cultura del tutto originale, generata dal fondersi delle contaminazioni europee con il suo spirito più misterioso e con la sua storia millenaria, in un connubio di rara eleganza e straordinaria raffinatezza che ancora oggi parla al gusto e alla sensibilità dell’uomo occidentale.
Ma il Giappone è per noi europei anche la patria dei manga, della moderna tecnologica robotica o di personaggi come Mazinga Z, Jeeg Robot d'acciaio e Goldrake, le cui storie furono raccontate in cartoni animati di culto per tanti ragazzini degli anni Settanta e Ottanta.
Questi due differenti volti del Sol Levante, Paese ipermoderno eppure ancora segreto, dialogano nella mostra «Giappone. Dai Samurai a Mazinga», a cura di Adriano Màdaro e Francesco Morena, con l’allestimento degli architetti Marco Sala e Giovanna Colombo, in programma fino al 31 maggio alla Casa dei Carraresi di Treviso, a chiusura di un ciclo espositivo dedicato all’Oriente che in precedenza ha focalizzato la propria attenzione su Cina, Tibet e India.
Il percorso espositivo, che si apre all'esterno del museo con una statua gigante di Mazinga Z realizzata in vetroresina da un artigiano toscano, presenta in principio venti armature di samurai, corredate di elmi, spade e alcune preziose maschere da combattimento. Si trovano, poi, nelle sale della Casa dei Carraresi oltre cinquecento reperti, databili tra il XVII e il XX secolo, come ceramiche, porcellane, rotoli dipinti, paraventi, straordinarie lacche, maschere del teatro Nō, tessuti, preziosi Kimono, sculture in legno, fumetti, manga (tra i quali i quindici volumi con opere di Katsushika Hokusai), fotografie di Nobuyoshi Araki, stralci di film del grande Akira Kurosawa.
Non mancano a Treviso nemmeno le celebri stampe dell’Ukiyo-e realizzate da grandi maestri come Hokusai, Utamaro e Hiroshige, le preziose e proibite Shunga (immagini erotiche custodite in un stanza vietata ai minori) e alcuni dettagli charmant dei dandy nipponici come le scatoline inro, i fermagli netsuke e gli anellini ojime. Disseminati lungo il percorso espositivo ci sono, infine, circa centoventi robot databili tra il 1972 ed il 1984, come Mazinga Z, Goldrake, Jeeg Robot d’acciaio, che veglieranno sui visitatori, quasi come samurai di un futuro che per molti oggi è nostalgico ed appassionato ricordo di gioventù.

Didascalie delle immagini 
[Fig. 1] Utagawa Hiroshige, «Il Giardino dei susini a Kameido» (Kameido Umeyashiki), dalla serie «Cento vedute dei luoghi celebri di Edo» (Meisho Edo Hyakkei), 1857; [fig. 2] Beltà femminile, Giappone, metà del XIX secolo. Bambola in legno, carta, tessuto e gofun, h. cm. 35,5. Università degli studi di Padova, Museo di antropologia; [fig. 3] Toyotomi Hideyoshi. Giappone, metà del XIX secolo. Bambola in legno, carta, tessuto, metallo e gofun, h. cm. 39. Università degli studi di Padova, Museo di antropologia

Informazioni utili 
«Giappone: dai samurai a Mazinga». Casa dei Carraresi, via Palestro, 33/35 - Treviso. Orari: lunedì-venerdì, ore 9.00-19.00; sabato e domenica, ore 9.00-20.00. Ingresso: intero adulti € 12,00, intero bambini (dai 6 ai 12 anni) € 9,00, ridotto € 12,00 (ragazzi dai 13 ai 18 anni, studenti universitari), biglietto gratuito per i bambini fino ai 5 anni, biglietto gruppo € 10,00 + € 1,00; biglietto scuole € 5,00; biglietto speciale aperto € 13,00. Catalogo: disponibile in mostra. Informazioni: tel. 0422.513150. Sito web: www.giapponedaisamuraiamazinga.com. Fino al 31 maggio 2015.

venerdì 30 gennaio 2015

Venezia, la Chiesetta del Doge torna al suo antico splendore

Un altro luogo d’arte e un altro brano di storia si sono da poco aggiunti alla già corposa offerta culturale della Fondazione musei civici di Venezia. Lo scorso ottobre Palazzo Ducale, il monumento più noto della città e il museo che meglio racconta la grandezza e lo splendore della Serenissima negli anni dei commerci con l’Oriente e dell’attività di grandi artisti come Tiziano, Tintoretto o Tiepolo, ha visto portare a compimento il lungo restauro conservativo della Chiesetta e dell’Antichiesetta del Doge. Si tratta due siti suggestivi e di notevole pregio per la qualità artistica e architettonica dei loro ambienti, da anni chiusi al pubblico o impiegati in mondo inadeguato, ovvero utilizzati, in epoca austriaca, come aule d’udienza e uffici del Tribunale generale di appello e, nel passato più recente, come magazzini e locali di deposito, dopo essere stati spogliati delle opere che li adornavano.
L’intervento di riqualificazione, durato sette anni (dal 2006 al 2013), è stato reso possibile grazie alla fattiva sinergia tra il Comune, la Fondazione musei civici e le due Soprintendenze competenti e attive in città, quella per i beni architettonici e quella per il patrimonio storico-artistico.
Il recupero di questi spazi, condotto sotto l’alta sorveglianza della dottoressa Annalisa Bristot e del restauratore Alessandro Longega, con la direzione degli architetti Daniela Andreozzi e Arianna Abbate, è, poi, frutto di un virtuoso processo di mecenatismo che ha visto in prima linea il Comitato italiano per la salvaguardia di Venezia, posto sotto l’egida dell’Unesco, grazie alla generosità della Maison Cartier.
A dare concretezza al progetto di riqualificazione dei festosi apparati decorativi ad affresco dei due siti, opera realizzata fra il 1766 e il 1767 dal maestro figurista Jacopo Guarana e dai pittori quadraturisti Girolamo e Agostino Mengozzi Colonna nei modi della lezione pittorica del tardobarocco-rococò, è stato l’Istituto veneto per i beni culturali con una sessantina di suoi studenti, nel contesto dei propri corsi di formazione. Un’ altra importante collaborazione, tesa al recupero dei dossali lignei presenti nella Chiesetta, ha visto, invece, in prima linea gli allievi del Centro di formazione professionale «Giuseppe Terragni» di Meda, realtà formativa specializzata nel recupero del mobile e dei legni antichi.
Nella cappella sono stati, infine, riportati al loro originario splendore anche l'altare in marmi policromi, realizzato da Vincenzo Scamozzi durante il dogado di Antonio Cicogna (1585-1595), e il gruppo scultoreo «Madonna col bambino» di Jacopo Sansovino (1536-1537); le due stanze hanno visto, inoltre, un ammodernato dell’impianto di illuminazione, con il ripristino delle torciere originarie in legno policromo.
La Chiesetta e l’Antichiesetta verranno inserite dalla prossima primavera in un nuovo itinerario di Palazzo Ducale che comprenderà l’appartamento del Doge e le sale Foscari e del Tesoro; nel frattempo per ammirare la bellezza di questi ambienti, scoprirne la storia e le varie fasi dell’intervento conservativo si può sfogliare un volume della trevigiana Antiga edizioni, a cura di Camillo Tonini, con saggi di Daniela Andreozzi, Annalisa Bristot, Alberto Craievich, Paolo Delorenzi, Lorenzo Lazzarini e Camillo Tonini.
È attraverso queste pagine che si può ripercorrere l’avventura costruttiva della Chiesetta, un ambiente destinato a scopi devozionali che nel Cinquecento venne sistemato al terzo piano del palazzo su progetto di Vincenzo Scamozzi. L’intervento principale dell’architetto consistette nella creazione di un sontuosissimo altare ornato di marmi preziosi ed elementi bronzei, sopra la cui mensa, in una profonda nicchia, venne collocata la già citata statua di Jacopo Sansovino. In quell'occasione le pareti della Chiesetta furono abbellite con la tavola «La Madonna con il bambino tra San Marco, San Giovanni Battista e il doge Leonardo Loredan in adorazione» (post 1501-1510) di Vincenzo Catena, tuttora custodita a Palazzo Ducale, con un «Cristo al limbo» e una «Sommersione di Faraone» (1510 circa) di Andrea Previtali, entrambe alle Gallerie dell’Accademia e, infine, con la «Cena in Emmaus» (1530 circa), un capolavoro di Tiziano oggi appartenente alla collezione dell’Earl of Yarborough e in deposito alla Walker Art Gallery di Liverpool. Nell’antichiesetta si poteva, invece, ammirare una «Resurrezione di Cristo» di Jacopo Tintoretto, oggi perduta.
Nella seconda metà del Settecento, i senatori vollero rinnovare le decorazioni del luogo sacro, facendolo affrescare dai pittori quadraturisti Girolamo e Agostino Mengozzi Colonna, padre e figlio, e dal maestro figurista Jacopo Guarana. La nuova composizione, incentrata sul tema della «Pubblica Felicità», univa scene di intonazione religiosa con allegorie della virtù civile. «San Marco e l’occhio trinitario –racconta Camillo Tonini, direttore del Museo di Palazzo Ducale- campeggiano al centro della volta ad accogliere le invocazioni di Venezia attorniata dalle figurazioni della «Mercanzia», dell’«Agricoltura» e della «Navigazione». Lo stesso messaggio si ripropone anche nel registro inferiore dell’affresco, in cui al centro delle pareti maggiori appaiono le immagini statuarie realizzate ad affresco monocromo del «Consiglio» e della «Prudenza». Le due figure, che volgono lo sguardo benevolmente ammonitore al centro della sala dove presumibilmente sostava il doge in preghiera, sono raffigurate l’una in sembiante senile mentre sorregge una civetta e l’altra, secondo l’iconografia tradizionale, in aspetto di giovane donna che porta una serpe e uno specchio».
Efficace prologo allo splendore e alle tematiche iconografiche dello spazio sacro è il non meno arioso ambiente dell’Antichiesetta, progettato nel 1774 dall’architetto Bernardino Maccaruzzi, della cui decorazione si occuparono lo stuccatore Francesco Re e il frescante Jacopo Guarana, che diede forma al tema del «Buon Governo», attorniato da quattro ovati che ne fanno corona nei quali si ribadisce la reiterata celebrazione delle virtù politiche della Serenissima: «Scienza», «Dominio», «Giustizia», e «Salute Pubblica». (sam)

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Chiesetta del Doge a Venezia, veduta di insieme; [fig. 2] Chiesetta del Doge a Venezia, altare realizzato da Vincenzo Scamozzi durante il dogado di Antonio Cicogna (1585-1595), con gruppo scultoreo «Madonna col bambino» di Jacopo Sansovino (1536-1537); [fig. 3] Chiesetta del Doge a Venezia, soffitto con il dettaglio dell'affresco sulla Pubblica Felicità; [fig. 4] Chiesetta del Doge a Venezia, soffitto con il dettaglio dell'affresco di San Marco in Gloria; [fig. 5] Antichiesetta del Doge a Venezia, particolare del soffitto   

Informazioni utili 
Palazzo Ducale, San Marco, 1 - Venezia, tel. 041.2715911 o info@fmcvenezia.it. Sito internet: http://palazzoducale.visitmuve.it.

Camillo Tonini (curatore) e AA.VV., «La chiesetta del Doge a Palazzo Ducale di Venezia», Antiga Edizioni, Crocetta del Montello - Treviso 2014. Dati: 128 p., brossura. Prezzo: € 20,00. Informazioni: tel. (+39)0423.6388 o info@graficheantiga.it. Sito internet: www.graficheantiga.it.

giovedì 29 gennaio 2015

Pesaro, tutto il bianco delle collezioni di Palazzo Mosca

Per i nostri antenati era uno dei tre colori basilari insieme con il rosso e il nero. Le sue prime tracce si trovano, infatti, nelle grotte paleolitiche dove veniva usato per dare forma alle figure degli animali; mentre nel Medioevo era impiegato per schiarire le pergamene dalle tinte guscio d’uovo dei manoscritti miniati.
Con il passare dei secoli, il bianco ha finito per assumere nell’immaginario sociale svariati significati, diventando –ricorda lo storico Michel Pastoureau nel libro «I colori del tempo» (Ponte delle Grazie, Milano 2010)- simbolo di purezza, castità, innocenza, candore, pulizia, freddo, vecchiaia, spiritualità, speranza e divino.
A questa tinta, data dalla somma di tutte le cromie esistenti nello spettro solare, guarda la mostra studiata da Alessandro Marchi (funzionario della Soprintendenza per i Beni storici, artistici ed etnoantropologici delle Marche) e Benedetta Montevecchi, con il contributo di Francesca Banini ed Erika Terenzi, per i Musei civici di Palazzo Mosca a Pesaro.
«Bianco - Dalle stanze segrete al candore della luce», questo il titolo della rassegna, allinea oltre duecento opere diverse per materia, tecnica, funzione, forma, periodo, ambito culturale e collezione, ma accomunate dalla provenienza: i depositi delle collezioni civiche pesaresi, uno scrigno di tesori ancora poco conosciuto al grande pubblico. Si spazia così dal candore del marmo e dell'alabastro all'iridiscenza della madreperla, dal bianco tipico della porcellana all'eleganza di pizzi e merletti, fino alla raffinatezza assoluta di manufatti in avorio.
Il percorso espositivo, visitabile fino al prossimo 31 maggio, si suddivide in tre sezioni. La prima sala ospita tessuti ricamati e oggetti da cucito in avorio, eleganti porcellane di soggetto profano o di culto, terraglie pesaresi dell'Ottocento. Nella seconda stanza trovano, invece, posto sculture in marmo ed alabastro del XVIII e XIX secolo, quasi tutte di arredo e all’antica, come imponevano l’etichetta e le mode dei nobili dell'epoca. Busti di imperatori romani, profili aristocratici, mitologici e tondi devozionali a sfondo religioso scorrono così sotto gli occhi del visitatore prima di arrivare all’ultima tappa del percorso, nella quale sono visibili oggetti devozionali provenienti dai laboratori dediti alla lavorazione della madreperla promossi dai Francescani di Terra Santa fin dal Seicento.
In mostra ci sono anche ritratti nei quali l'abbigliamento dei personaggi di alto lignaggio raffigurati, con colletti ornati da trine, richiama i manufatti esposti e quadri con capricci architettonici accostati a modelli di tempietti marmorei, in origine eleganti centrotavola che sovrastavano le tavole principesche tra il Seicento e l'Ottocento.
Alla base di tutto il bianco, colore che in Occidente si è caricato di implicazioni simboliche diverse e che, a partire dall'età moderna e in particolare nell'estetica neoclassica, viene adottato per esprimere ideali di perfezione formale. È, infatti, lo storico dell'arte Johann Joachim Winckelmann nei suoi «Pensieri sull'imitazione delle opere greche nella pittura e nella scultura» (1755) che consacra definitivamente il mito di questo colore elevando i candidi capolavori della statuaria greca a modelli di bellezza ideale.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Coppa con decoro vegetale, alabastro. Fabbrica Inghirami (?).Volterra, sececolo XIX. Provenienza: collezione Mosca, Pesaro; [fig. 2] Necessaire per cucito, avorio tornito e intagliato. Artigianato francese, inizio secolo XIX. Provenienza: collezione Mosca, Pesaro; [fig. 3] Gian Domenico Cerrini (Perugia, 1609 - Roma, 1681), «Allegoria della scultura». Olio su tela, XVII secolo.  Provenienza: collezione Mosca, Pesaro

Informazioni utili 
«Bianco. Dalle stanze segrete al candore della luce». Musei civici di Palazzo Mosca, piazza Toschi Mosca, 29 - Pesaro. Orari: martedì-giovedì, ore 10.00-13.00; venerdì-domenica e giorni festivi, ore 10.00-13.00 e ore 15.30–18.30.Ingresso: intero € 9,00(include la mostra, le collezioni permanenti dei Musei civici e Casa Rossini) ridotto € 7,50 (gruppi minimo 20 persone; over 65; soci Fai, Touring club, Coop Adriatica, Italia nostra);€ 5,00 possessori Card Pesaro Cult (la card ha validità annuale e si acquista al prezzo di 3,00 euro alla biglitteria dei Musei civici); ingresso libero fino ai 19 anni. Informazioni: tel. 0721.387541 o pesaro@sistemamuseo.it. Siti web: www.pesaromusei.it o www.pesarocultura.it. Fino al 31 maggio 2015.