È Bruxelles la prima tappa di un ciclo espositivo dedicato a Leonor Fini (Buenos Aires 1907 - Parigi 1996), artista argentina di nascita e triestina d’adozione, conosciuta come una delle più importanti, significative e raffinate rappresentanti del Surrealismo, autrice di un linguaggio molto personale e pervaso d’inquietudine, assai apprezzato da critica e pubblico in un’epoca in cui non era facile per le donne operare nel campo dell’arte, a causa di molti pregiudizi.
Parigi, Laveno Mombello (Varese) e Trieste, città dove Leonor Fini crebbe e si formò, saranno le prossime tappe di questa rassegna, ideata da Marianna Acerboni per festeggiare i centodieci anni dalla nascita dell’artista.
L’esposizione -che si avvale di un allestimento introspettivo, nel quale le opere avvolte nella penombra della sala sono illuminate da fasci di luce- allinea in tutto un’ottantina di lavori, tra cui undici quasi totalmente inediti, che provengono dalla collezione della cugina triestina Mary Frausin.
La mostra presenta, inoltre, una collezione di trentadue opere su carta, in buona parte fuori commercio o prove d’autore inedite, donate all’amico triestino Giorgio Cociani, con il quale Leonor Fini intrattenne per quasi vent’anni una corrispondenza fatta di telefonate quotidiane, lettere e cartoline inedite e al quale l’artista era unita dalla comune passione per i gatti, motivo ispiratore di sue svariate opere.
Questi lavori sono in mostra accanto a rari libri d’arte e a sei affiches di importanti mostre personali realizzati dalla pittrice in Europa, oltre ad alcuni suoi vestiti appartenuti, tra cui una preziosa cappa da sera in pelliccia molto evocativa della sua personalità.
Sono, inoltre, presenti lungo il percorso espositivo lettere di Arturo Nathan e di Gillo Dorfles a testimoniare simbolicamente le affinità elettive tra questi tre artisti, la pittura introspettiva e visionaria che li accomunava e la loro grande amicizia, oltre a offrire un quadro dell’intellighenzia e dell’arte triestina che ruotavano intorno alla Fini in quegli anni di formazione, rimasti fondamentali nell’elaborazione del suo fare artistico.
A completare il percorso è un video realizzato dalla curatrice, che raccoglie una sintesi delle testimonianze e interviste inedite ad amici e conoscenti triestini dell’artista, tra i quali Gillo Dorfles, Daisy Nathan, Giorgio Cociani, Eligio Dercar (gallerista di riferimento della Fini a Trieste).
Immaginifica, enigmatica, sensuale e trasgressiva, ribelle, anticonformista e per certi versi ambigua, la Fini era dotata di un poliedrico ingegno creativo.
Oltre che pittrice, fu, infatti, dagli anni Quaranta, illustratrice di più di cento testi, tra cui quelli di Edgar A. Poe e del marchese de Sade, considerato un nume tutelare dei surrealisti. Ma fu anche disegnatrice, incisore, scrittrice e, tra gli anni Quaranta e Sessanta, scenografa e costumista per il cinema e per il teatro a Milano, Roma, Parigi e Londra.
Protagonista del panorama culturale del Novecento e considerata per certi versi uno dei capiscuola del Surrealismo, l’artista ebbe una carriera lunga e straordinariamente fortunata, costellata di eventi e relazioni importanti, che hanno fatto di lei una sorta di icona.
Cantata da Eluard e ritratta, tra gli altri, da Man Ray, Cartier Bresson, Cecil Beaton e Richard Overstreet, ha ispirato numerose biografie, tra le quali l’ottimo saggio «Leonor Fini ou les metamorphoses d’une oeuvre» (1996) di Jocelyne Godard.
Visse per oltre cinquant’anni a Parigi, ma deve molto alla città di Trieste, dove fu portata nel 1908 dalla madre, Malvina Braun, appartenente a una colta famiglia della borghesia intellettuale triestina, in fuga da Buenos Aires, e dal marito argentino di origini beneventane, dalla dubbia personalità. Qui la Fini si formò artisticamente nei primi vent’anni della sua vita nel fervido e vivace milieu culturale della Trieste dell’epoca, sospeso tra pensiero mitteleuropeo e suggestioni italiane, a contatto con personalità di livello internazionale.
Arturo Nathan, Gillo Dorfles, Leo Castelli, Umberto Saba, Italo Svevo e Bobi Bazlen, il grande traghettatore in Italia della letteratura dell’Est europeo in lingua originale, sono solo alcuni degli artisti, letterati e intellettuali, che lei frequentò nei primi vent'anni della sua vita e che influirono molto sulla sua formazione concettuale ed estetica, oltre che sulla sua forma mentis internazionale.
Approdata in Francia negli anni Trenta, l’«l’italienne de Paris» (questo era l’appellativo con cui era conosciuta Oltralpe) ebbe l’occasione di esporre assieme a celebri artisti come Salvador Dalì, Max Ernst e Meret Oppenheim alla mostra inaugurale della Galerie Drouin che il gallerista Leo Castelli (triestino, di origine ungherese) aveva appena aperto nella capitale francese con l’architetto Renè Drouin.
Sempre a Parigi l’artista conobbe e frequentò personaggi storici quali il fotografo Henri Cartier-Bresson, lo scrittore e poeta Jules Supervielle e Max Jacob, pittore e critico amico di Picasso, Braque, Cocteau e Modigliani.
La sua pittura, sofisticata e a volte sottilmente torbida, è nota per essere pervasa di elementi magici e simbolici. L’ibrido, il doppio, il duplice, palesati attraverso apparizioni e sfingi sono alcuni dei temi che compaiono nei suoi quadri, ascrivibili agli anni a cavallo tra i Trenta e i Quaranta. In questo periodo fanno la loro comparsa anche sofisticate citazioni dei grandi del Quattrocento e del Cinquecento italiano come Tiziano, Arcimboldo e il suo maestro ideale Piero della Francesca.
Dopo la parentesi romana, in cui era divenuta la ritrattista per eccellenza del bel mondo, la Fini approcciò le figure minerali, in una tensione verso il rinnovamento e la modernità che sfociò negli anni Sessanta in una produzione molteplice, spesso connotata da suggestioni preraffaellite e di gusto floreale. Alla fine degli anni settanta subentrò in lei una maturità creativa inquieta, ispirata a tematiche nordiche: raffinatezza, mistero, eros galleggiavano in atmosfere oppressive e oscure.
Fil rouge della sua creatività, il complicato rapporto uomo-donna, spesso interpretato da una figura femminile, sovente con l’aspetto di una sfinge e con il volto dell’artista, che domina un maschio debole e androgino.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Leonor Fini a Parigi, Anni `60. Collezione privata, Trieste; [fig. 2] Leonor Fini, Figura con gatto, Anni `70. Litografia, 74x52 cm. Coll. Giorgio Cociani, Trieste; [Fig. 3] Leonor Fini, Luna, 1982. Olio su tela, 73x60 cm. Collezione privata, Trieste; [fig. 4] Elegante cappa da sera di breitschwanz con bordo in faina appartenuta a Leonor Fini, 2017. Pezzo fotografato sullo sfondo di Trieste. Coll. Giulietta Frausin, Trieste; [fig. 5] Leonor Fini, Ballerina al banco, Anni `60. Aquerello, 40x60 cm. Coll. Giulietta Frausin, Trieste
Informazioni utili
Leonor Fini. Memorie triestine. Istituto Italiano di Cultura (IIC), Rue de Livourne, 38 - 1000 Bruxelles. Orari: lunedì – venerdì, ore 9.30-13.00 e ore 14.30-17.00. Ingresso libero. Informazioni: tel + 32 (0)25332720. Sito internet: www.iicbruxelles.esteri.it. Fino al 5 gennaio 2018
Nessun commento:
Posta un commento