Su quell’aereo, i cui detriti furono trovati la mattina dopo, c’erano ottantuno persone, che ancora oggi cercano giustizia per la loro morte senza spiegazione: 64 passeggeri adulti, 11 ragazzi tra i due e i dodici anni, due bambini di età inferiore ai 24 mesi e 4 uomini dell’equipaggio.
Dopo decenni di indagini e di processi, tra reticenze e depistaggi, la tesi più accreditata è che il volo di linea Itavia IH870 si sia inabissato nel mare per errore, durante una battaglia in cielo tra un Mig libico, su cui ci sarebbe stato Gheddafi, e alcuni velivoli delle forze Nato.
Ma cos’è successo realmente quella sera? Perché quell'aereo è caduto? Cosa lo ha distrutto in volo? A quarantuno anni di distanza queste domande rimangono ancora senza risposta. La strage di Ustica è uno dei tanti misteri italiani ed è anche quello che più di tutti ha suggestionato il mondo delle arti, dal teatro alla danza, dalla letteratura al cinema, dalla poesia alla fotografia.
«A nessun evento, dal secondo Dopoguerra a oggi, è stata dedicata una mole altrettanto ampia, per quantità e qualità, di produzione artistica». Questa è la tesi del libro «Il segno di Ustica», a cura di Andrea Mochi Sismondi, autore e direttore del collettivo di produzione artistica e teatrale Ateliersi di Bologna, che con Fiorenza Menni, sua compagna di vita e lavoro, ha debuttato nel 2016 con l'opera poetica elettronica «De Facto», ideata a partire dal testo della sentenza-ordinanza depositata il 31 agosto 1999 dal giudice istruttore Rosario Priore, l’unico documento giudiziario complessivo cui possa fare riferimento chi cerchi di comprendere cosa sia accaduto nei cieli italiani la sera del 27 agosto 1980.
Edito da Cuepress, e in uscita il 22 giugno, il volume verrà presentato in anteprima giovedì 17 a Mantova, al Cinema del Carbone; seguiranno, poi, due incontri di presentazione in altrettanti luoghi simbolici come Bagnacavallo (24 giugno), dove è nata l’iniziativa «Teatri per la Verità», e Bologna (15 luglio), dove sono conservati i relitti dell’aereo.
Il libro è strutturato in una serie di conversazioni tra l’autore e gli artisti che, in questi quarantuno anni, hanno sentito l’urgenza di confrontarsi, attraverso diversi approcci e differenti linguaggi, con la strage di Ustica.
Grazie anche al ricco apparato iconografico e alle conversazioni con studiose e studiosi che hanno approfondito questa vicenda, «emerge con nettezza – si legge nella quarta di copertina - la forza delle opere prodotte, e il segno comune di un contributo originale e incisivo alla riflessione sulla dimensione politica dell’arte e sul suo rapporto con la storia».
Tra i protagonisti delle conversazioni c’è Christian Boltanski, uno tra gli interpreti più sperimentali e innovativi del nostro tempo, quello che più di chiunque altro ha saputo interpretare e raccontare in maniera viva e pulsante il tema della memoria. Nel 2007 l’artista francese ha realizzato, nell’allora nascente museo bolognese sulla strage di Ustica, un’imponente e drammatica installazione permanente intorno ai resti del DC-9. Oggi come allora dal soffitto dello spazio di via Saliceto, visitabile anche on-line, scendono ottantuno lampadine, una per ogni vittima, che si accendono e si spengono a intermittenza, al ritmo del respiro. Tutt’intorno ci sono ottantuno specchi neri che riflettono l’immagine di chi percorre il ballatoio posto attorno al relitto. Mentre, dietro ognuno di essi, ottantuno altoparlanti emettono parole e frasi sussurrate a sottolineare la casualità e l’ineluttabilità della tragedia. Infine, nove casse, coperte da un drappo nero, contengono, gli oggetti appartenuti alle vittime: scarpe, pinne, boccagli, occhiali e vestiti che documenterebbero la scomparsa di un corpo, rimangono così invisibili agli occhi dei visitatori.
Andrea Mochi Sismondi ha interpellato anche Nino Migliori, che a quella «guerra in tempo di pace» ha dedicato la mostra «Stragedia», allestita lo scorso anno, in occasione del quarantesimo anniversario, negli spazi dell’ex chiesa di San Mattia a Bologna.
L’esposizione nasceva da lontano. Nel 2007, poco tempo dopo che il relitto del velivolo, recuperato al largo dell’isola di Ustica, aveva compiuto lo straziante percorso a ritroso che dall’aeroporto di Pratica di Mare lo aveva riportato a Bologna, il fotografo emiliano aveva ottenuto il permesso per entrare negli ampi spazi dell'ex magazzino dell’azienda di trasporti cittadina Atc., che, da lì a poco, sarebbero diventato un museo. Nino Migliori era rimasto in quel luogo quattro notti e, a lume di candela, aveva fotografato i resti dell’aereo non ancora ricomposto nella sua forma originaria intorno allo scheletro della fusoliera. Il risultato sono ottantuno immagini, una per ogni vittima, che illuminano, con una tremula fiamma che ha il sapore di un cero votivo, i muti testimoni - rottami contorti, piegati, spezzati e rotti - di quella che il fotografo emiliano definisce una «stragedia», neologismo inventato per congiungere l’idea della tragedia a quella di una volontà stragista.
Non poteva, poi, mancare tra gli intervistati Marco Paolini, uno dei principali interpreti del teatro civile italiano, che nel 2000, qualche anno dopo lo spettacolo sul Vajont, ha scritto «I – Tigi. Canto per Ustica», un monologo, presentato in centinaia di repliche in tutta Italia, che parte dalla sentenza istruttoria depositata dal giudice Priore per raccontare una storia che contiene in sé – scrive l’autore - «tutti gli elementi della tragedia classica, come l’insepoltura, la mancanza di giustizia, il confronto impari tra vittime e potere».
Tra gli intervistati ci sono, anche Marco Risi, regista del film «Il muro di gomma» (1991), i giornalisti Michele Serra e Andrea Aloi, autori di un dossier per il settimanale «Cuore» dal titolo «Com'è profondo il mare. La strage di Ustica e la satira» (1994), la cantautrice Giovanna Marini, che ha firmato «Ballata di Ustica» e altri brani sulla tragedia, confluiti nell'opera «Cantata del secolo breve».
Per questo incontro tra cultura e storia, è stata fondamentale l'azione dell’associazione parenti delle vittime, che ha scelto di integrare la sua battaglia decennale per la verità con la sperimentazione artistica, assumendo un ruolo produttivo particolarissimo nel contesto della creatività contemporanea.
«Dalla voce degli artisti emerge la potenza dell'incontro con i parenti delle vittime, in particolare con Daria Bonfietti, con il relitto del DC-9 e con il materiale documentario relativo alla strage - afferma Andrea Mochi Sismondi -. L'incontro con la strage di Ustica solleva negli artisti la necessità di confrontarsi con il proprio sé più profondo, con la propria autenticità, andando oltre il proprio armamentario formale consolidato per ripensare il proprio gesto creativo. Le questioni sollevate dalla vicenda che forse - a causa delle innumerevoli menzogne, dei tanti depistaggi e dei continui insabbiamenti - più di ogni altra ha segnato il trauma collettivo della rottura del patto di fiducia tra Stato e cittadini, fa sì che Ustica porti gli artisti ad allontanarsi dalla retorica del «Mai più!» per concentrarsi invece sui nodi irrisolti, sulle crepe del contemporaneo, sugli aspetti ancora attuali che essa squarcia. Ecco perché il libro parla del passato ma guarda, attraverso l'arte e la sua capacità interpretativa, al presente e al futuro».
Didascalie delle immagini
1. Il segno di Ustica. Copertina del libro; 2. Andrea Mochi Sismondi. Ritratto di Margherita Caprilli; 3. Nino Migliori, Stragedia, 2007-2020. © Fondazione Nino Migliori; 4. Polvere (b) / Fuga. Opera musicale di Franck Krawczyk. Foto di Tomaso Mario Bolis; 5. I-TIGI Racconto per Ustica. Marco Paolini con il fondale creato appositamente per lo spettacolo da Germano Sartelli. Foto di Tomaso Mario Bolis; 6. Di fronte agli occhi degli altri, di Virgilio Sieni. In scena lo stesso Sieni insieme a Daria Bonfietti. Foto di Tomaso Mario Bolis; 7. Lamberto Pignotti,Memorandum I, composit, 50x35 cm, 2018
Informazioni utili
https://www.cuepress.com/catalogo/il-segno-di-ustica
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