ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

martedì 14 luglio 2015

«Leonardo non era vegetariano». Con Maschietto editore alla tavola del maestro toscano

«Verrà il tempo in cui l'uomo non dovrà più uccidere per mangiare, ed anche l'uccisione di un solo animale sarà considerato un grave delitto»: è stata questa affermazione a far inserire, per lungo tempo, Leonardo da Vinci tra i vegetariani convinti. In occasione di Expo Milano 2015, il mito, uno dei tanti legati alla figura del genio toscano, viene sfatato grazie a una ricerca di Alessandro Vezzosi e Agnese Sabato pubblicata dalla casa editrice fiorentina Maschietto in una duplice edizione, inglese e italiana, la cui prefazione porta la firma di Oscar Farinetti, fondatore e ideatore di Eataly.
Il volume, intitolato «Leonardo non era vegetariano», non solo smentisce una leggenda tramandata mal interpretando le fonti antiche, a partire dal libro «Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori» di Giorgio Vasari nel quale si parlava dell’amore del maestro per gli animali, ma offre anche una rilettura, in chiave contemporanea, della cucina leonardesca attraverso quindici ricette ideate dallo chef Enrico Panero a partire dalle liste della spesa redatte dall’artista di suo pugno in occasione di cerimonie e banchetti, momenti conviviali nei quali abbondavano carne e pesce.
Ecco così nascere manicaretti come le sfere di gamberi rossi con burrata, albicocche e menta, il risotto alla lattuga con crudo di pesce e il petto di piccione con le more raccontati nel volume, in libreria dallo scorso 8 luglio, grazie alla presentazione di Annamaria Tossani e alle fotografie di Yari Marcelli. Il libro tratteggia, dunque, un ritratto inedito del maestro toscano -illustrato da opere, disegni e documenti, compresi materiali inediti o poco noti- e, allo stesso tempo, si configura come un vero e proprio manuale di cucina contemporanea, con ricette sfiziose alla portata di tutti, illustrate fotograficamente in ogni fase di preparazione.
Le due anime del libro -storico/artistica e culinaria- sono armonizzate grazie agli interventi del gastronauta Davide Paolini, che introduce le tappe di un viaggio tra i luoghi, le opere e i sapori delle terre vinciane, soffermandosi sulle nuove invenzioni culinarie di Enrico Panero. Ad arricchire il volume, che presenta anche un glossario con gli ingredienti usati e una cronologia leonardesca, c’è, inoltre, un saggio sul Cenacolo milanese di Cristina Acidini, tra le massime studiose al mondo dell’opera leonardesca.
«Leonardo non era vegetariano» getta così nuova luce su uno dei miti più grandi di tutti i tempi, mostrando come la passione e il genio dell’artista toscano si siano dedicati anche ai temi del cibo, della cucina, dell’alimentazione, tanto da poter ravvisare in contributi di varia natura riferimenti importanti per la definizione della moderna cultura gastronomica e culinaria. Non mancano, per esempio, studi di strani marchingegni per il girarrosto e degli effetti del calore sulle pietanze.
«Maestro di feste, cerimonie e banchetti a Firenze, Milano e Amboise, Leonardo –si legge nella presentazione di Maschietto editore- studiò le materie prime, inventò macchine e utensili, ragionò sulle caratteristiche dei territori di produzione, codificò disciplinari di prodotti come l’olio, il pane e il vino, esplorò le proprietà degli alimenti in relazione alla salute del corpo, scrisse favole, ‘profezie’, indovinelli e rebus ispirati al tema del cibo, realizzò straordinari disegni di macchine innovative per la produzione. E ovviamente il cibo è rappresentato in alcuni suoi dipinti, a partire dal Cenacolo milanese, che senza dubbio è la mensa più famosa del mondo».

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Cover del libro «Leonardo non era vegetariano. Dalla lista della spesa di Leonardo alle ricette di Enrico Panero»; [fig. 2] Una ricetta di Enrico Panero ispirata a Leonardo da Vinci; [fig. 3] Alessandro Vezzosi del Museo ideale Leonardo da Vinci, tra gli autori del libro  «Leonardo non era vegetariano. Dalla lista della spesa di Leonardo alle ricette di Enrico Panero»; [fig. 4] Lo chef Enrico Panero

Informazioni utili 
AA.VV., «Leonardo non era vegetariano. Dalla lista della spesa di Leonardo alle ricette di Enrico Panero». Maschietto editore, Firenze 2015. Dati tecnici: formato cm 20x24, pagine 192, copertina brossura con bandelle, doppia edizione italiano e inglese - ISBN italiano: 978-88-6394-100-5; ISBN inglese: 978-88-6394-101-2. Prezzo di copertina: € 19,00. Informazioni utili: Maschietto editore, via del Rosso Fiorentino, 2 D - 50142 Firenze, tel./fax 055.701111. Sito internet: www.maschiettoeditore.com





lunedì 29 giugno 2015

Cristina Morganti su Rai5 con il suo «Jessica and me»

È un anno di grandi soddisfazioni per Cristina Morganti, storica danzatrice del Tanztheater Wuppertal Pina Bausch, che ha preso parte, con la compagnia tedesca, anche ai film «Parla con lei» (2001) di Pedro Almodovar e «Pina» (2011) di Wim Wenders.
Giovedì 9 luglio, alle ore 22.20, il nuovo spettacolo della danzatrice toscana, intitolato «Jessica and me», sarà trasmesso su Rai5, per la regia televisiva di Felice Cappa, prima di partire per una lunga tournée che toccherà alcune tra le più importanti città del territorio italiano, da Catania a Cagliari, da Venezia a Vicenza, senza dimenticare Genova, dove Cristina Morganti sarà in scena giovedì 22 e venerdì 23 ottobre all’Archivolto.
«Jessica and me», secondo solo dell’artista dopo «Moving with Pina» del 2010, è stato presentato in anteprima alla passata edizione del «Festival Aperto» della Fondazione I Teatri di Reggio Emilia, per poi toccare le piazze di Rimini, Modena, Perugia, Roma, Piacenza, Civitanova Marche e Torino, registrando sempre un grande successo di pubblico e stampa, coronato lo scorso gennaio anche dalla vittoria del premio «Danza&Danza 2014» che ha visto Maria Luisa Buzzi, Rossella Battisti, Valentina Bonelli, Elisabetta Ceron, Francesca Pedroni, Silvia Poletti, Ermanno Romanelli e Sergio Trombetta assegnare a Cristina Morganti il riconoscimento per la migliore interprete/coreografa.
In attesa di rivedere lo spettacolo dal vivo, Rai5 offrirà più di un’occasione per godere della visione di «Jessica and me». Dopo la prima televisiva del 9 luglio, sono, infatti, previste repliche l’11 luglio, alle ore 12.45, il 12 luglio, alle ore 19, e il 16 luglio, alle 15.30.
L’evento vede il coinvolgimento di numerose persone: Felice Cappa firma la regia televisiva, Luciano Cricelli la direzione della fotografia, Claudio Barca il montaggio, Flavio Renna la direzione di produzione, Elena Beccalli la produzione esecutiva Rai5, Edoardo Fioravanti la produzione esecutiva Rai Com, Giovanna Facciuto l’assistenza alla regia.
«Jessica and me» è una riflessione danzata e finemente ironica sul particolare percorso artistico di Cristiana Morganti, dagli studi di danza classica al lavoro con Pina Bausch. Questo secondo solo di cui la danzatrice firma idea, coreografia e interpretazione -con la collaborazione artistica di Gloria Paris, il disegno luci di Laurent P. Berger, i video di Connie Prantera e la consulenza musicale di Kenji Takagi - è concepito dall’artista partendo da alcune domande cruciali, non solo in campo artistico e non solo per il suo percorso professionale, domande che affrontano il delicato tema della memoria, delle radici e delle eredità: «lei vuole che io danzi, oppure vuole che io parli?». Da questo primo quesito che Cristiana Morganti rivolge ad uno spettatore, se ne aprono a catena svariati altri. Come gestire l’influenza artistica di un grande maestro? Come non cedere alla consuetudine di una certa estetica? Come rielaborare un passato di studi di danza classica lavorando a Wuppertal? In «Jessica and me», Cristiana Morganti, giunta a un momento importante del suo percorso, si ferma anche a pensare al rapporto con il proprio corpo e con la danza, al significato dello stare in scena, al senso dell’«altro da sé» che implica il fare teatro. Ne risulta una sorta di autoritratto idealmente a due voci («Jessica and me», appunto) di efficace e spiazzante ironia, dove Cristiana rivela ciò che accade nel backstage del suo percorso professionale. Un puzzle di gesti, ombre, muscoli, tenacia, spavalderia e timidezza.
Tra i progetti che l’artista ha in cantiere in questi giorni si segnala, inoltre, un workshop per attori e danzatori dal titolo «Teatro per la danza/Danza per il teatro», in programma dal 2 al 5 luglio al Funaro di Pistoia. Nel corso dei quattro giorni, che vedrà anche la partecipazione di Kenji Takagi, danzatore della TW Pina Bausch e vincitore nel 2008 del prestigioso premio teatrale tedesco «Der Faust», verrà svolto un lavoro attento ed accurato sulle qualità del movimento, sulla presenza scenica, sul potere evocativo del gesto eseguito con precisione e giusta tensione emotiva. L’obiettivo è rivelare ai partecipanti qualità personali a loro sconosciute.

Vedi anche
Cristina Morganti debutta con «Jessica and me»

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] «Jessica and me». Foto di Claudia Kempf; [fig. 2] «Jessica and me». Foto di Virginia Khan

Informazioni utili 
 «Jessica and me». Creazione, direzione, coreografia e interpretazione Cristiana Morganti, collaborazione artistica Gloria Paris, disegno luci Laurent P. Berger, video Connie Prantera, consulenza musicale Kenji Takagi, editing musica Bernd Kirchhoefer, direttore tecnico Jacopo Pantani, suono Simone Mancini. Produzione il Funaro – Pistoia, in coproduzione con Fondazione I Teatri - Reggio Emilia. Durata: 70 minuti senza intervallo. Versione televisiva dello spettacolo: Una produzione Rai Cultura, regia di Felice Cappa, direttore della fotografia Luciano Cricelli, montaggio Claudio Barca, direzione di produzione Flavio Renna, produzione esecutiva RAI5 Elena Beccalli, produzione esecutiva Rai Com Edoardo Fioravanti, assistenza alla regia Giovanna Facciuto. Quando: in onda su Rai 5 il 9 luglio alle ore 22.20 e in replica l’11 luglio, alle ore 12.45, il 12 luglio, alle ore 19 e il 16 luglio, alle ore 15.30. Informazioni: Il Funaro centro culturale, via del Funaro, 16/18 – Pistoia, tel. 0573.976853, e-mail info@ilfunaro.org. Sito web: www.ilfunaro.org.

martedì 23 giugno 2015

Ugo Ojetti, la Grande guerra e le ferite dell’arte. A Venezia una mostra sul patrimonio storico-artistico italiano sotto le bombe

«L'ira degli eserciti d’Austria contro i monumenti e le opere d'arte italiane non è cominciata nel 1915 con questa guerra, quando i cannoni della flotta imperiale hanno colpito San Ciriaco d'Ancona e gli idrovolanti hanno bombardato Sant'Apollinare Nuovo a Ravenna e gli Scalzi a Venezia. È un'ira tenace che dura da secoli, fatta d’invidia e di viltà: invidia di quello che i nemici non hanno, che non potranno mai avere e che è il segno dovunque e sempre riconoscibile della nostra nobiltà, così che ferir l'Italia nei suoi monumenti e nella sua bellezza dà a costoro quasi l’illusione di colpirla sul volto; viltà perché sanno che questa nostra singolare bellezza è fragile e non si può difendere, e percuoterla e ferirla è come percuotere davanti alla madre il suo bambino. Quest'ira dura da secoli, immutabile, come immutabili sono rimaste, sotto il velo del progresso, le razze e le loro affinità e i loro istinti. Pure non è necessario risalire ad Attila e a Genserico, per ritrovarla. Basta ricordare ai troppi immemori la storia di ieri, e le guerre del nostro ultimo risorgimento». È il luglio 1917 quando Ugo Ojetti (1871 - 1946), vivace protagonista del panorama culturale italiano del Novecento, giornalista eclettico e critico d’arte dalla penna raffinata, sfoga tutto il suo furore per i danni inferti al patrimonio artistico italiano durante il primo conflitto bellico, al quale sta partecipando come volontario in qualità di sottotenente dell’Esercito Regio con l’incarico di tutelare i monumenti delle Terre Redente.
A questo periodo storico risale la formazione del fondo fotografico donato nel novembre 1957 dalla moglie dell’intellettuale romano di nascita e fiorentino d’adozione, che fu anche direttore del «Corriere della Sera» tra il 1925 e il 1927, all’Istituto di Storia dell’arte della Fondazione Cini di Venezia, oggi comprendente oltre cinquecento immagini, tra gelatine e albumine, realizzate tra il 1915 e il 1919, che documentano i danni causati dai bombardamenti nemici nell’area del Friuli Venezia Giulia, del Veneto e del Trentino e le opere realizzate a tutela del patrimonio storico-artistico nazionale.
Una selezione di queste fotografie è attualmente esposta nella mostra «La salvaguardia dei monumenti durante la Grande guerra», allestita fino al prossimo 31 luglio nella Biblioteca della nuova Manica lunga della Fondazione Giorgio Cini, splendido complesso monumentale sull’isola di San Giorgio, proprio davanti alla basilica di San Marco, noto per il Chiostro, il Cenacolo Palladiano, la Biblioteca del Longhena e altri interventi di grandi architetti del passato.
L’esposizione, promossa in occasione del centenario del primo conflitto bellico, è accompagnata e integrata da una rassegna on-line, che propone sulle pagine della fototeca dell’ente veneto un album di fotografie ojettiane. Un’occasione in più, questa, per ricostruire la fitta rete di rapporti costruita dal giornalista durante il conflitto bellico, che lo vide rivestire il ruolo di presidente della Commissione istituita presso il Comando supremo per la protezione dei monumenti e delle opere d’arte.
Ugo Ojetti è una figura complessa e difficile da delineare. Eterno amante del bello con la sua penna e il suo forte carattere, il giornalista è stato in grado di descrivere la complessità dei cambiamenti culturali e politici che si sono susseguiti nell’intricato periodo storico tra la fine dell’Ottocento e la seconda guerra mondiale. Durante il primo conflitto bellico, lo scrittore lavora senza sosta. Vara anche un piano in quattro punti a tutela del patrimonio artistico che prevede catalogazioni, ammassamento delle opere trasportabili in stazioni ferroviarie, vagoni a disposizione per il trasferimento e una classificazione delle opere stesse, nel caso si dovesse forzatamente scegliere quelle da salvare ad ogni costo. Ma nonostante queste attenzioni, i danni al patrimonio saranno molti: la volta dipinta dal Tiepolo per la chiesa degli Scalzi a Venezia viene, per esempio, distrutta; il teatro Verdi a Padova crolla parzialmente sotto le bombe; alcuni calchi in gesso della Gipsoteca di Canova a Possagno vanno a pezzi.
Per Ugo Ojetti, in quegli anni, la fotografia non è solo strumento di documentazione, ma anche mezzo usato per esortare i cittadini alla difesa del proprio Paese. L’immagine stampata trasmette, infatti, con forza ed efficace la volontà distruttiva del nemico più delle colonne scritte dei giornali: «la propaganda più efficace -scrive il giornalista, con lo pseudonimo di Salio- è quella per gli occhi: fotografie, cinematografie, disegni, manifesti. Essa sola raggiunge gli analfabeti, i pigri, i distratti: cioè il pubblico».
Da Rovereto a Trieste, da Gorizia a Jesolo, tante sono le fotografie che raccontano il Nord-Est martoriato dalla guerra, entrate a far parte della collezione privata di Ojetti. Di questa attività di raccolta ne parla la moglie Fernanda, in una lettera datata 26 marzo 1957 inviata al professor Giuseppe Fiocco, allora direttore dell’Istituto di storia dell’arte della Cini: «[…] ho molte centinaia di fotografie sia della Venezia Giulia che del Trentino e del Veneto raccolte da mio marito durante la grande guerra. Bellissime intatte fotografie e documentazione completa ad esempio della Basilica e del Museo di Aquileja ecc. ecc. Ho anche moltissime fotografie che riguardano i danni di guerra, la protezione dei monumenti ecc. Tutte fotografie ordinate e benissimo conservate […]». Queste immagini, che all’inizio erano oltre mille e che in parte furono rovinate dall’alluvione veneziana del 1966, scorrono in questi giorni sotto gli occhi di chi entra nella Biblioteca della Fondazione Cini, raccontando di monumenti «impacchettati», di chiese blindate, di sacchi di sabbia davanti a statue e frontoni, di tele sigillate e spedite nell’Italia centrale, al riparo. Raccontando l’arte sotto le bombe, a cento anni di distanza dallo scoppio della Grande guerra.

Didascalie delle immagini
[Fig.1 ]L’interno della chiesa di Rubbia a Savogna d’Isonzo danneggiato dai bombardamenti. [Comando Supremo, Direzione del Servizio Fotografico.]Credits: Fototeca dell’Istituto di Storia dell’Arte di Venezia/Fondo Ugo Ojetti; [fig. 2] La protezione del monumento Valier danneggiata dal bombardamento del 12 ottobre 1916. Credits: Fondo Ugo Ojetti; [fig. 3] Tomaso Filippi, Un cavallo imbragato. Credits: Fondo Ugo Ojetti; [fig. 4] Danni alla chiesa di Sant’Andrea a Gorizia. [Sezione Cinematografica del Regio Esercito Italiano]. Credits: Fototeca dell’Istituto di Storia dell’Arte di Venezia/Fondo Ugo Ojetti

Informazioni utili
Fondazione Giorgio Cini onlus – Biblioteca Nuova Manica Lunga – Isola di San Giorgio Maggiore (Venezia). Orari: dal lunedì al venerdì, dalle ore 9.00 alle ore 18.00; sabato e domenica, dalle ore 10.00 alle ore 16.00, solo tramite il servizio di visite guidate. Informazioni: tel. 041.2201215 o segreteria@civitatrevenezie.it; tel. 041.2710440 o fototeca.digitale@cini.it. Fino al 31 luglio 2015.