ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

venerdì 30 ottobre 2020

«Trésors de Venise», trasferta francese per la Fondazione Giorgio Cini

I tesori della Fondazione Giorgio Cini volano all’estero, e più precisamente in Francia. L’istituzione veneziana, che ha sede sull’isola di San Giorgio, ha annunciato, nei giorni scorsi, l’apertura di una mostra sulle opere della sua collezione al Centre d’art Hôtel de Caumont, riferimento culturale e artistico di Aix-en-Provence.
«Trésors de Venise» è il titolo del progetto espositivo, in cartellone dal 17 dicembre al 28 marzo, che vede la curatela di Luca Massimo Barbero, direttore dell’Istituto di storia dell’arte, in collaborazione con l’architetto Daniela Ferretti.
Dai dipinti ai disegni, dalle miniature alle stampe, senza dimenticare le sculture, gli avori e gli smalti, il percorso allineerà un’ottantina di opere, inclusi capolavori raramente visibili, consentendo ai visitatori di scoprire il gusto collezionistico, raffinato ed eclettico, di Vittorio Cini, il mecenate che Bernard Berenson definì come «l’italiano più faustiano che io abbia mia conosciuto».
Accanto a nomi della pittura toscana come Botticelli, Beato Angelico, Filippo Lippi e Piero di Cosimo, ci saranno maestri veneziani del calibro di Lorenzo e Giandomenico Tiepolo, Giambattista Piranesi e Giuseppe Porta detto il Salviati.
La mostra presenterà anche opere del Rinascimento ferrarese, in un percorso che spazierà da Cosmè Tura a Ludovico Mazzolino. E permetterà, infine, di vedere lavori di artisti contemporanei quali Vik Muniz, Adrian Ghenie ed Ettore Spalletti, che in anni recenti hanno dialogato con le opere esposte nella casa-museo di Vittorio Cini.
«La mostra ad Aix-en-Provence - spiega il curatore Luca Massimo Barbero - è un primo felice e importante tentativo di proporre a un pubblico internazionale alcuni esempi emblematici delle opere conservate nella casa-museo di Palazzo Cini accanto a una selezione dei tesori di cui il mecenate ha voluto dotare l’Istituto di storia dell’arte con munifica generosità. Percorrere le sale dell’Hôtel de Caumont è, quindi, per il pubblico come godere idealmente di ciò che potranno vedere in una vera e propria visita a Venezia».
L’appuntamento si rivela importante per la fondazione, che il prossimo anno festeggerà i settant’anni di attività, e che così potrà far scoprire anche al pubblico straniero la sua ricca e articolata collezione. 
Va ricordato che Vittorio Cini dotò l’istituzione di opere d’arte provenienti sia dalla sua raccolta personale sia dal frutto di acquisti e donazioni di rilievo. 
Fu proprio grazie alle acquisizioni del mecenate che nel 1962 nacque il pregevole e apprezzato Gabinetto dei disegni e delle stampe, una vera e propria gemma per gli amanti dell’arte. Qui confluirono le collezioni appartenute a Giuseppe Fiocco, Antonio Certani, Elfo Pozzi e Daniele Donghi e il corpus di miniature e manoscritti già Hoepli. 
Ad accrescere ulteriormente la consistenza e l’importanza delle raccolte si sono aggiunti nel tempo i lasciti di personalità della cultura, collezionisti e artisti legati da rapporti di amicizia con il fondatore o persuasi dal prestigio dell’istituzione. 
Non meno pregevole è la raccolta di Palazzo Cini a San Vio, dal 1919 residenza dell’imprenditore e dal 1984 casa-museo in seguito alla donazione da parte della principessa Yana Cini Alliata di Montereale, figlia del mecenate, di un cospicuo gruppo di dipinti toscani, alcune sculture di pregio e diversi oggetti di arte decorativa. 
Nel 1989 si è aggiunto a questo nucleo un gruppo di tavole ferraresi in deposito per gentile concessione dell’altra figlia di Vittorio Cini, Ylda Cini Guglielmi di Vulci; nel 2015 gli eredi Guglielmi hanno, infine, donato al museo altre opere d’arte di pregio, tra dipinti, maioliche e arredi. 
La casa, aperta al pubblico stagionalmente dopo i restauri del 2014, è oggi una tappa obbligata per gli amanti dell’arte insieme agli altri musei del cosiddetto Dorsoduro Museum Mile: la Gallerie dell’Accademia, la Collezione Peggy Guggenheim e Palazzo Grassi – Punta della Dogana. 
In tempi di spostamenti difficili a causa dell’emergenza sanitaria per il Covid-19, la Fondazione Cini porta così Oltralpe un angolo amato di Venezia, la Serenissima che conquistò tanti francesi illustri, da Marcel Proust a Claude Monet, e di cui Guy de Maupassant diceva: «esiste una città più ammirata, più celebrata, più cantata dai poeti, più desiderata dagli innamorati, più visitata e più illustre? […] Esiste un nome nelle lingue umane che abbia fatto sognare più di questo?»

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Piero di Cosimo, Madonna con bambino e due angeli, circa 1505–1510, olio su tavola, 163 x 133 cm. Palazzo Cini a San Vio, Venezia, Fondazione Giorgio Cini© Fondazione Giorgio Cini; [fig. 2] Luca Signorelli (?), Madonna con Bambino, circa 1470-1475, tempera su tavola, 61,8 x 53,3 cm. Venezia, Fondazione Giorgio Cini © Fondazione Giorgio Cini; [fig. 3] Giuseppe Porta, detto il Salviati, Resurrezione di Lazzaro, 1540-1545, olio su tela, 162 x 264 cm. Venezia, Fondazione Giorgio Cini © Fondazione Giorgio Cini; [fig. 4] Manifattura veneziana del XV-XVI secolo, Piatto in rame smaltato, rame champlevé smaltato, inciso e dorato, 29,8 cm diametro x 4cm spessore. Palazzo Cini a San Vio, Venezia, Fondazione Giorgio Cini © Fondazione Giorgio Cini

Informazioni utili
Trésors de Venise. La collection Cini. Hôtel de Caumont - Centre d’art d’Aix-en-Provence, 3, rue Joseph Cabassol - 13100 Aix-en-Provence, Francia. Sito internet: www.caumont-centredart.com. Dal 17 dicembre al 28 marzo 2021

giovedì 29 ottobre 2020

«Il primato dell’opera», nuovo allestimento per le collezioni novecentesche della Gam di Torino

È la «Natura morta con salame» (1919) di Giorgio De Chirico ad aprire il nuovo allestimento delle collezioni permanenti dedicate al Novecento della Gam - Galleria civica d’arte moderna e contemporanea di Torino.
Articolato in diciannove sezioni, il percorso espositivo allinea centonovantaquattro opere, una quarantina delle quali provenienti dalla collezione Ettore De Fornaris, grazie alle quali è possibile approcciarsi alle principali correnti artistiche del secolo appena scorso, dalla Metafisica all’Arte povera, in un percorso che spazia anni Venti del Novecento all’inizio di questo millennio con la proposta di Giulio Paolini e della sua installazione «Requiem» (2003-2004).
«Il primato dell’opera» è il titolo del progetto espositivo, che è stato studiato con l’intento di permettere il confronto tra opera e opera; le sequenze di dipinti, sculture, installazioni, esposte secondo un taglio storico-artistico, sono affiancate così da poche informazioni essenziali che introducono alla lettura dei diversi linguaggi che gli artisti hanno elaborato.
«La prima sala -racconta Riccardo Passoni, direttore della Gam di Torino- è dedicata a tre delle figure che maggiormente hanno influito, su diversi piani, sulla principale arte italiana e internazionale del Novecento. Giorgio de Chirico ha generato un nuovo modo di pensare l’opera d’arte, alla ricerca di una rappresentazione che fosse anche disvelamento filosofico. Giorgio Morandi ha sviluppato un culto della forma e delle sue illimitate varianti, in una sorta di disciplina concettuale, con una continuità mentale e temporale che permette di presentare, all’inizio del percorso, anche le sue tarde Nature morte. Infine Filippo de Pisis, che ha tramandato una lezione di libertà totale da condizionamenti di tipo accademico, ma anche da scelte avanguardistiche, creando quasi uno stile-ponte solitario tra Impressionismo e Informale».
A questa premessa fa seguito un ordinamento che, sala dopo sala, ripercorre alcune fasi fondamentali della storia dell’arte novecentesca. Si inizia con le Avanguardie storiche, documentate, tra l’altro, dallo studio preliminare dell’opera «La città che sale» (1910) di Umberto Boccioni (capolavoro futurista conservato a New York), dagli esperimenti sul dinamismo del colore di Giacomo Balla, dai collage «immaginosi» e dadaisti di Max Ernst, dalla tela «Le baiser» (1925-1926) di Francis Picabia, senza dimenticare le ricerche di Gino Severini, Enrico Prampolini, Otto Dix e Paul Klee.
Vi è, quindi, una sezione dedicata alle stimolanti proposte artistiche nate a Torino tra le due guerre mondiali, dove scorrono le opere della maggior parte dei Sei di Torino, che si affermarono in Italia e all’estero intorno agli anni Trenta. A tal proposito, Riccardo Passoni racconta: «Enrico Paulucci, nei paesaggi scarni intende ripercorrere le strade maestre di Cézanne e Matisse. Carlo Levi, nella grande composizione ‘Aria’ (1929), sembra volersi confrontare con l’opera di Seurat, poi di Modigliani. Gigi Chessa (1898 – 1935) sembra eliminare ogni necessità di disegno e contorno, nelle sue opere, a favore di nuove soluzioni cromatiche e luministiche di grande fascino. […] Nella Marchesini sembra rendere omaggio critico al maestro Casorati».
Segue una sezione dedicata alla riscoperta e influenza di Amedeo Modigliani sugli artisti piemontesi anche grazie agli studi di Lionello Venturi, che teneva la cattedra di Storia dell’arte all’Università di Torino.
C’è, quindi, una sezione sulle acquisizioni fatte dalla Gam alle Biennali di Venezia e alle Quadriennali di Roma tra la fine degli anni Venti e tutti gli anni Trenta. 
I riflettori si spostano, quindi, sull’Astrattismo italiano, rappresentato da artisti quali Fausto Melotti, Osvaldo Licini e Lucio Fontana. Mentre le sale successive ripercorrono le vicende di Roma e della scuola di via Cavour, indagano l’arte dopo il 1945 tra figurativo e astratto, e mostrano le sorprendenti acquisizioni della galleria torinese nel periodo post-bellico. Tra queste opere si trovano, per esempio, il piccolo e magico «Dans mon pays» (1943) di Marc Chagall, le grafie drammatiche di Hans Hartung, Pierre Soulages e Tal Coat, oltre a lavori di Pablo Picasso, Jean Arp, Eduardo Chillida.
Si passa, dunque, agli anni Cinquanta e alla stagione dell’Informale con gli alfabeti segnici di Carla Accardi, Giuseppe Capogrossi e Antonio Sanfilippo, le rappresentazioni del paesaggio e della natura di Renato Birolli, Ennio Morlotti e Vasco Bendini, il gesto veemente di Emilio Vedova, ma anche le riletture informali dei piemontesi Piero Ruggeri, Sergio Saroni, Giacomo Soffiantino o Paola Levi Montalcini.
Segue un focus sulla stagione del New Dada e della Pop art italiana e straniera, rappresentato tra gli altri da Piero Manzoni, Louise Nevelson, Yves Klein e Andy Warhol
Dopo un passaggio doveroso nella sezione dedicata al Museo sperimentale di arte contemporanea, con una selezione delle oltre trecento opere che arrivarono in dono alla fine del 1965 alla Gam (tra le quali si segnalano lavori di Giuseppe Uncini, Agostino Bonalumi e Carol Rama), il nuovo allestimento culmina nell’esperienza dell’Arte Povera, che si aprì a un nuovo linguaggio, alla ricerca di una libertà totale dai condizionamenti. Sono rappresentati tutti gli artisti del movimento teorizzato nel 1967 da Germano Celant e approdato per la prima volta in un museo nel 1970 proprio alla Gam di Torino: Pier Paolo Calzolari, Mario Merz, Giuseppe Penone, Giovanni Anselmo, Alighiero Boetti, Jannis Kounellis, Michelangelo Pistoletto e Gilberto Zorio.
Tutto il percorso è intervallato da sale personali dedicate. Riccardo Possoni motiva con queste parole la sua scelta: «Felice Casorati ha lasciato una lezione indelebile nel contesto torinese e nazionale. Arturo Martini ha contribuito a cambiare le connotazioni della scultura italiana. Alberto Burri e Lucio Fontana hanno modificato la veste materica e concettuale della loro opera influenzando l’arte internazionale dopo la seconda guerra mondiale. Grazie all’incremento delle collezioni possiamo ora riproporre, in un confronto di forte contrasto, il valore di azioni fondamentali quali la realizzazione del ciclo della «Gibigianna» di un altro artista al centro di relazioni internazionali, Pinot Gallizio. A Giulio Paolini, infine, è stato dato spazio per averci indicato l’esigenza di mantenere sempre un rapporto necessitante con la storia dell’arte, i suoi segni e richiami, e il loro valore per una vivificazione concettuale della forma».
Di sala in sala, la Gam di Torino offre, dunque, un percorso nel meglio dell’arte del Novecento, mettendo al centro l’opera d’arte e permettendo un confronto tra stili ed epoche. Un confronto reso ancora più raffinato dalla scelta di colori tenui e sobri come il bianco e un grigio che sembra virare al carta da zucchero per le pareti dello spazio espositivo, dando così maggior rilievo ai lavori esposti.

Didascalie delle immagini 
Allestimento della collezione novecentesca alla Gam di Torino. Foto Robino 

Informazioni utili 
«Il primato dell’opera». Gam – Galleria civica d’arte moderna e contemporanea, via Magenta, 31 – Torino. Biglietti: intero 10,00 €, ridotto 8,00 €, ingresso gratuito Abbonamento Musei e Torino Card. Informazioni: tel. +39.011.4429518 – e-mail: gam@fondazionetorinomusei.it. Sito web: www.gamtorino.it. Dal 26 settembre 2020

mercoledì 28 ottobre 2020

Firenze, il Dante del Bronzino in mostra alla Certosa

L’Italia si prepara a celebrare Dante Alighieri, uno dei padri della letteratura italiana, nel settecentesimo anniversario dalla morte. In anticipo con il fitto calendario di eventi che animeranno il nostro Paese nel 2021, la suggestiva Pinacoteca della Certosa del Galluzzo, a Firenze, ospita in questi giorni la mostra «…con altra voce ritornerò poeta», ideata da Antonio Natali, già direttore della Galleria degli Uffizi, con Alessandro Andreini.
Cuore del progetto espositivo -che si avvale dell’organizzazione della Comunità di San Leolino, dell’Opera di Santa Maria del Fiore e dell’Opera di Santa Croce, sotto l’egida dell’Arcidiocesi di Firenze- è il «Ritratto allegorico di Dante» del Bronzino, al secolo Agnolo di Cosimo di Mariano.
L’opera, proveniente da una collezione privata fiorentina, fu realizzata tra il 1532 e il 1533 per Bartolomeo Bettini, intellettuale fiorentino che aveva commissionato al ritrattista rinascimentale anche le effigi -di cui al momento non c’è notizia certa- di Francesco Petrarca e di Boccaccio, altre due voci eminenti della cultura letteraria italiana. 
Questa informazione si desume da un episodio riferito da Giorgio Vasari nelle sue «Vite»; mentre l’attribuzione del ritratto, del quale esiste una replica nella Collezione Kress della National Gallery of Art di Washington, si deve a Philippe Costamagna e risale al 2002.
Quella offerta da Firenze è, dunque, un’occasione imperdibile per vedere un’opera di solito poco esposta, che si configura anche come uno dei ritratti più lirici e poetici del poeta toscano, ma anche per riscoprire la Certosa, complesso di grande fascino, costruito tra il 1342 e il 1356 per volontà di Niccolò Acciaiuoli, nel quale per quasi sette secoli arte e devozione, cultura umanistica e fede si sono sedimentate rendendolo un luogo dove «quella quiete, quel silenzio e quella solitudine» tanto cari a Pontormo, fanno pari con la bellezza e l’indubbio interesse che suscita.
Il «Ritratto allegorico di Dante», dal quale è stato desunto il volto xilografato che campeggia nel frontespizio della «Divina Commedia» pubblicata a cura di Francesco Sansovino nel 1564, è posto sul fondo della Pinacoteca, che sul lato sinistro ospita anche cinque affreschi pontormeschi raffiguranti le «Scene della Passione», alla realizzazione dei quali collaborò nel 1523 anche il Bronzino, mentre Firenze era ammorbata dalla peste. La scelta della Certosa come spazio espositivo per questo progetto non è dunque casuale.
Sempre nella sala della Pinacoteca si possono ammirare anche le copie in scala ridotta eseguite su tela da Jacopo da Empoli e da altri pittori fiorentini dell’Accademia delle arti del disegno intorno al 1582.
La lunetta realizzata dal Bronzino, già esposta in passato agli Uffizi nella Sala 65, prende spunto per il ritratto dantesco dalle parole del Boccaccio: «il suo volto fu lungo e il naso aquilino, gli occhi anzi grossi che piccioli, le mascelle grandi, e dal labbro di sotto era quel di sopra avanzato; e il colore era bruno, e i capelli e la barba spessi, neri e crespi, e sempre nella faccia melanconico e pensoso». 
Il poeta ha in testa la corona d’alloro, mentre lo sguardo, assorto, guarda verso la montagna scalata a fatica del «Purgatorio». 
Tra le mani, invece, ha una copia della «Divina Commedia», aperta sul Canto XXV del «Paradiso», dal quale è tratto il titolo della mostra fiorentina: «…con altra voce ritornerò poeta». 
Questo sono anche le pagine in cui il poeta racconta la sua speranza tradita, l’attesa di fare ritorno al «bello ovile», nella Firenze che l’aveva esiliato e che egli guarderà da lontano, come nel dipinto in mostra alla Certosa, fino alla fine dei suoi giorni. Ma sono anche le pagine della speranza realizzata, quella di vedere le proprie fatiche letterarie finalmente premiate con l'alloro poetico.  

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Bronzino, Dante. Collezione privata; [fig. 2] Uno scorcio della facciata della chiesa della Certosa di Firenze; [fig. 3] Jacopo Pontormo, Salita al Calvario, Certosa di Firenze

Informazioni utili 
…con altra voce ritornerò poeta.Pinacoteca della Certosa di Firenze, via della Certosa, 1 - Galluzzo - Firenze (posizione: https://goo.gl/maps/W9tRUyvVBjiUuFuv5). Orari: tutti i giorni, escluso il lunedì e la domenica mattina, dalle ore 10 alle ore 12 e dalle ore 15 alle ore 18. Ingresso: intero € 5,00. Informazioni: tel. 055.2049226 o certosadifirenze@gmail.com. Sito web: www.certosadifirenze.it. Fino al 31 dicembre 2021.