ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

giovedì 4 novembre 2021

«Messa in scena», in mostra a Padova i vetri e i gioielli di Paolo Marcolongo

All’inizio del 2021, in occasione della Giornata della memoria, Paolo Marcolongo (Padova, 1956) donava al Museo Antoniano di Padova un «Reliquiario-Testimonianza» in memoria di padre Placido Cortese, il frate francescano, «martire della carità e del silenzio», morto sotto tortura in una cella della Gestapo di Trieste e probabilmente cremato nella Risiera di San Sabba. L’opera, che contiene al suo interno alcune schegge del muro della cella triestina e un frammento di carta dove il sacerdote scrisse di suo pugno la parola «santo», riprende in chiave contemporanea la figura del putto donatelliano. La piccola scultura offre sulla mano sinistra un bianco uovo, simbolo della creazione e della perfezione compiuta, mentre sorregge con la testa un’ampolla di vetro rosso soffiato, «una sorta di novello Graal – racconta l’autore - protetto da un involucro spinoso».
Circa dieci mesi dopo, Paolo Marcolongo, che nel 2015 ha vinto il Bayerischer Staatspreis a Monaco, ritorna al Museo Antoniano di Padova con una mostra dal titolo «Messa in scena», che espone per la prima volta al pubblico un caleidoscopio di nuove creazioni originali, frutto di un lavoro di ricerca che unisce la tradizione vetraria e l’arte orafa.
L’avvicinamento alla grande tradizione veneziana del vetro soffiato, avvenuta con la collaborazione di Paolo Cenedese, alla guida dal 1978 dello studio «La Corte del Fabbro» a Murano, ha dato vita a opere dalle forme sinuose, che fanno convivere fragilità e vigore, ingegno e poesia.
Nei suoi vasi, l’artista ha impresso al procedimento una serie di alterazioni rivoluzionarie quali l’intrusione, prima del raffreddamento, di filamenti ferrosi che, incorporati al materiale, conferiscono ai manufatti un’insospettata qualità organica capace di articolarsi in versatili inflorescenze vegetali che si mantengono però effimere, poiché comunque imprigionate nelle trasparenti alchimie del vetro. 
Affini ai vasi, sono i gioielli, da sempre al centro del lavoro di Paolo Marcolongo, tra i maestri della Scuola orafa di Padova con Gianpaolo Babetto, Mario Pinton, Alberto Zorzi e Maria Zanella. In occasione della mostra questi oggetti, concepiti dall’artista come minimali operazioni scultoree, vengono esposti al Museo Antoniano nel soppalco che ospita le teche dove sono conservati i capolavori dell’oreficeria storica, mostrando così come le più moderne creazioni possano abitare, con delicata magnificenza, gli spazi adibiti per ospitare i più antichi manufatti rinnovando la percezione di quei luoghi senza però tradirne lo spirito.
L’arte del vetro di Murano agisce in stretta simbiosi con la pratica dell’artista anche nella realizzazione degli «Astri Terrestri», pietre lunari in cui l’arte della sabbiatura e un massiccio ispessimento dell’involucro hanno conferito opaca e porosa gravezza. Simili a una colata lavica ormai fossile, questi manufatti rimandano a un enigmatico universo minerale di forme e segni. 
La sperimentazione sui materiali ha portato l’artista a confrontarsi anche con le mille potenzialità della carta. Il risultato sono i cicli «Geografie di carta» e «Arature», dove il materiale perde la sua caratteristica di bidimensionale tabula rasa per acquisire una prospera vitalità formale. La punta che la intarsia, come un vomere, riversa ai bordi eleganti rimasugli di cellulosa da riporto che, a sbalzo, tramutano il foglio in una minuta geografia di crinali e avvallamenti.
Sempre intarsiando la carta, regolando un incisore meccanico in concomitanza ad accuratissime modificazioni di spessori, Paolo Marcolongo ha ultimamente perfezionato una tecnica di lavorazione che permette la produzione di piccoli riquadri a geometria variabile, ampiamente rappresentati nelle sale della mostra, e raggruppati in sequenza, permettendo così ai visitatori non solo di apprezzare il singolo «pezzo», ma di vedere il progetto nel suo insieme.
«Nelle carte graffiate si ripropone quella antica e significativa connessione tra manufatto e cornice. - racconta Baldissin Molli -. Quest’ultima nei documenti tardomedievali è definita, come è noto, ornamentum, come quel principio di compiutezza e definizione che rende pienamente ricca di significato l’opera, che, senza di essa, rimarrebbe di percezione scempia. È dunque un’esposizione dove il linguaggio dell’oggi può richiamare molteplici suggestioni all’indietro e, crediamo, anche in avanti, per quello che verrà dopo».

Didascalie delle immagini
[Fig. 1]Datura 2015, Anello, Ag 925 e vetro di Murano; [fig.2] In Finitum 2019, Vaso, Vetro di Murano e ferro; [fig.3] Collana 2012, Ag925 e vetro di Murano; [fig. 4] Forma, Ombra, Segno, 2015, Vetro di Murano e ferro 

Informazioni utili
«Messa in scena». Personale di Paolo Marcolongo. Basilica del Santo – Museo Antoniano, piazza del Santo, 11 – Padova. Orari di apertura: martedì – domenica, ore 9:00 – 13:00 e ore 14:00 – 18:00. Sito internet: www.arcadelsanto.org. Dal 5 novembre al 27 marzo 2022.

mercoledì 3 novembre 2021

Tra fede e bellezza, nuova luce per le opere della Basilica di Sant’Antonio a Padova

Il 24 luglio 2021 Padova entrava per la seconda volta nella World Heritage List dell’Unesco. La prima volta era avvenuta nel 1997 con l’Orto botanico, considerato patrimonio mondiale dell’umanità quale «rappresentazione della culla della scienza, degli scambi scientifici e della comprensione delle relazioni tra natura e cultura». L’anno scorso il celebre riconoscimento è stato, invece, assegnato all’urbs picta, ovvero ai cicli di affreschi trecenteschi che impreziosiscono la città, a partire da quello della Cappella degli Scrovegni compiuto da Giotto.
Tra gli otto luoghi che costituiscono il nuovo museo diffuso di Padova - «3.694 metri quadrati di pareti affrescate per mano di 6 artisti lungo 95 anni di storia» - c’è l’Oratorio di San Giorgio, edificio che si affaccia sul sagrato della basilica di Sant’Antonio, commissionato come cappella sepolcrale di famiglia da Raimondino Lupi di Soragna, guerriero e diplomatico al servizio della Signoria dei Carraresi. I suoi affreschi, realizzati tra il nel 1377 e il 1384 da Altichiero da Zevio, sono recentemente stati sottoposti a un importante intervento di «restauro percettivo». Sono cioè stati dotati di un sistema di illuminazione innovativo, realizzato sotto la direzione dell’architetto Antonio Susani, che ha permesso ha permesso di cogliere con pienezza la qualità della pittura.
Forte del risultato ottenuto da questo restauro, la Veneranda Arca di S. Antonio ha deciso di proseguire ulteriormente nella valorizzazione del patrimonio artistico che dal 1396 è chiamata a tutelare, avvalendosi ancora una volta del sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo e di iGuzzini illuminazione spa, azienda leader nel settore dell'illuminazione architetturale. È nata così l’idea - dichiara l’avvocato Emanuele Tessari, presidente capo della Veneranda Arca - «di rivalutare nella sua interezza il modo di vedere l’interno della basilica, di percorrerla, di sostare per fede e per amore della bellezza davanti ai suoi tanti capolavori».
Verranno, dunque, dotati dello stesso tipo di tecnologia avanzata la cinquecentesca cappella dell’Arca, scrigno in bianco e oro che conserva l’urna del Santo, la cappella del Beato Luca Belludi, con i dipinti di Giusto de’ Menabuoi, la cappella di San Giacomo, i cui affreschi di Altichiero e Jacopo Avanzi sono appena stati riconosciuti patrimonio Unesco, e il presbiterio, con i bronzi di Donatello, Bartolomeo Bellano e Andrea Riccio realizzati nel Quattrocento.
L'innovativo sistema di illuminazione sarà realizzato con apparecchi iGuzzini ad altissima resa cromatica e minimo ingombro visivo, in grado di rispondere alle molte sfide illuminotecniche presenti ed esaltare la ricchezza cromatica e materica del ricchissimo apparato decorativo della Basilica.
Il visitatore della basilica, ponendosi in un’ideale posizione al centro della chiesa, sotto la cupola dell’Angelo e davanti all’ingresso del presbiterio, potrà, quindi, «guardare, come mai fino a ora è stato possibile, -assicurano da Padova - i bronzi di Donatello sull’altare maggiore, come una specie di Sacra Conversazione che prenderà nuova vita grazie alla luce».
Quella posizione, al centro della chiesa, ha un valore particolare, perché lì, nel 1263, fu posta la tomba di Sant’Antonio, prima di essere spostata, definitivamente, nell’attuale cappella dell’Arca (1350). In essa lavorarono decine di artisti lungo il Cinquecento ed è stupefacente questo senso di grande coerenza, di colto classicismo, di misura equilibrata tra bellezza all’antica e fede cristiana, che si respira dai suoi nove grandi rilievi che raccontano episodi e miracoli di Antonio. La Basilica permette, infatti, ai suoi visitatori un viaggio nel meglio della pittura e della scultura transitata in città tra Trecento e Cinquecento, facendo confrontare il fedele e il turista con artisti quali Andriolo de’ Santi, Altichiero, Jacopo Avanzi, Donatello, Bartolomeo Bellano, Andrea Riccio, Tullio e Antonio Lombardo, Sansovino, Danese Cattaneo, Falconetto.
Insieme ai restauri, proseguirà l’inventariazione dei documenti dell’Archivio storico della Veneranda Arca, il punto d’inizio da cui partire per comprendere la storia della basilica. Il precedente collegio di presidenza aveva curato l’inventariazione dei documenti dalla data di fondazione della Veneranda Arca, nel 1396, fino al 1950. Grazie al sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, l’attuale collegio di presidenza ha proseguito e portato a compimento le ultime fasi del progetto, mandando in stampa l’inventario dell’archivio e attuando la messa on-line dello stesso, con la creazione di un sito dedicato (www.archivioarcadelsanto.org). L’obiettivo ora è estendere l’inventariazione fino al 1973, una data importante per l’Arca, quando assetti finanziari ed economici dell’ente mutano profondamente per la vendita della gastaldia di Anguillara, già donata da Francesco Novello da Carrara all’Arca nel 1405. Si prevede, per l’occasione, l’assunzione, per un anno, di un giovane, formato in ambito umanistico, che lavorerà a stretto contatto con la responsabile dell’archivio, la dottoressa Chiara Dal Porto.
Al termine del lavoro la Basilica del Santo brillerà di più, non solo per la nuova illuminazione delle sue opere, ma anche per il riordino delle carte che svelano la sua lunga storia. 

Vedi anche
Padova, nuova luce per gli affreschi dell'oratorio di San Giorgio 

Crediti delle immagini 
La galleria fotografica è a cura di Giovanni Pinton 

Informazioni utili 

martedì 2 novembre 2021

Una guerra e la resistenza delle donne: debutto torinese per il tour delle «Troiane» di Luigi Orfeo


Antica eppure sempre attuale: «Le Troiane», la tragedia di Euripide rappresentata per la prima volta ad Atene nel 415 a. C., simbolo dell’atrocità di ogni guerra, continua a parlare agli uomini e alle donne di oggi.
Il peggio è già accaduto. Intorno ci sono solo polvere e macerie, rovine in fumo, cadaveri abbandonati per le strade, uomini e donne sconfitti, la cui resistenza eroica e disperata non ha salvato Ilio dall’assalto dei nemici achei.
Ma chi ha vinto ha veramente vinto? E chi ha perso ha veramente perso? È questo il dubbio che ci instilla la messa in scena de «Le Troiane», nell’allestimento di Casa Fools e per la regia di Luigi Orfeo, che debutta giovedì 4 novembre a Torino, al teatro Vanchiglia.
Lo spettacolo - che sarà in cartellone fino a sabato 6 e, ancora, da giovedì 18 a sabato 20 - riscrive la tragedia originale mettendo in secondo piano il punto di vista maschile per raccontare la storia attraverso gli occhi e la voce di cinque donne. Interpretano madri, mogli e figlie, che subiscono l’onta della violenza fisica e psicologica, ma che sono capaci, ognuna a proprio modo, di reagire alla follia assurda e atroce dell’invasore. Ecuba, Andromaca, Cassandra hanno perso tutto, la loro città, la libertà, i propri figli e mariti, ma non il loro coraggio e la loro dignità. La loro umanità è rimasta intatta. Non si può dire lo stesso per gli Achei, sul podio di una guerra, vinta per giunta con l’inganno, con lo stratagemma di un cavallo di legno, ma sconfitti sul piano dell’etica e degli ideali.
La riscrittura del testo, opera di Luigi Orfeo, è frutto di una ricerca sul potere intrinseco della parola che ha dato vita a una vera e propria «lingua del Mediterraneo», un melting pot di dialetti del sud Italia che danno allo spettacolo una componente ancestrale e profonda.
Non esiste artificio scenico: i cambi di personaggio, l’intonazione dei cori a cappella armonizzati per cinque voci, tutto avviene sotto gli occhi dello spettatore.
A vestire i panni di Ecuba, la vecchia moglie di Priamo, è Roberta Calia. Rebecca Rossetti è in scena nel doppio ruolo di Menelao e di Andromaca, la donna straziata per la morte di Ettore e del giovane figlio Astianatte. Paola Bertello interpreta l’opportunista Elena. Alle prese con il ruolo di Taltibio c’è, invece, Silvia Laniado, mentre la giovane Cindy Balliu è la tormentata Cassandra, profetessa di sciagure.
Sesta attrice a tutti gli effetti è, infine, la musica. Dalla collaborazione con il giovane compositore Alberto Cipolla sono nati, infatti, i cinque brani inediti, inseriti nell'album «Troiane Original Score», pubblicato su Spotify, e eseguiti dalle attrici sul palco a cappella. «Il lavoro di Cipolla – raccontano gli organizzatori - si è concentrato nel caricare le voci femminili di una grande valenza simbolica: ora coro armonico a rappresentare la forza della comunità, ora voci soliste come urlo disperato di sopraffazione».
Mentre per la realizzazione dei costumi è stata messa in piedi una collaborazione con la sartoria Colori Vivi, atelier di donne rifugiate che confezionano insieme, con metodi artigianali, capi con una forte impronta innovativa.
Dopo il debutto a Casa Fools, il tour proseguirà fino al 21 novembre con altre sette rappresentazioni: lo spettacolo sarà in scena lunedì 8 al teatro Agnelli di Torino (via Paolo Sarpi 111), mercoledì 10 al Teatro Le Glicini di Pino Torinese (via Martini 18), venerdì 12 allo Spazio Gloria del circolo Xanadù di Como (via Varesina 72), sabato 13 al teatro Matteotti di Moncalieri (via Matteotti 1), domenica 14 al Circolo Arci Tom di Mantova (Piazza Tom Benetollo 1), lunedì 15 all’Arci Bellezza di Milano (via Bellezza 16/A) e domenica 21 all’Heracles Symposium, sempre a Milano (via Padova 21).
Tappa dopo tappa, il pubblico potrà così rivivere il messaggio antimilitarista di Euripide, autore che parla - oggi come duemila anni fa – al cuore dell'uomo. «Tutti i giorni – racconta, a tal proposito, Luigi Orfeo - abbiamo davanti agli occhi la miseria di popoli sopraffatti da decisioni impulsive e irrazionali prese molto lontano da loro. Proprio come accadde ai Troiani. Il nostro spettacolo vuole mostrare questa assurdità, provocando empatia e non compassione e facendo affiorare il coraggio».

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