ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

venerdì 28 ottobre 2016

Napoli, Giuseppe Morra apre un nuovo museo. Al via con Cage e Duchamp

Napoli si arricchisce di un nuovo spazio espositivo. Ha da poco aperto i battenti, nel Palazzo Ayerbo D’Aragona Cassano, Casa Morra, un museo di quattromiladuecento metri quadrati che sarà gradualmente ristrutturato per accogliere l’ampia collezione di Giuseppe Morra: oltre duemila opere di artisti quali John Cage, Marcel Duchamp, Urs Lüthi o Daniel Spoerri e di movimenti contemporanei come Gutai, Happening, Fluxus, Azionismo viennese, Living Theatre e Poesia visiva.
Casa Morra, nel rione Materdei, si propone da subito non come spazio statico di esposizione di opere, bensì come archivio di arte contemporanea, luogo dinamico in grado di stimolare la riflessione e la ricerca in relazione alla società e la sua evoluzione.
Una fitta attività di conferenze, seminari, incontri porranno, infatti, l’accento anche sull’approfondimento e sulla didattica facendo così del nuovo museo una «casa delle idee».
Lo spazio si propone anche come un luogo aperto al futuro. Non a caso Giuseppe Morra ha progettato cento anni di mostre, attraverso il meccanismo del gioco dell’oca fatto di rimandi, attraversamenti e ritorni.
A inaugurare l’attività espositiva è un inedito dialogo di opere di John Cage, Marcel Duchamp e Allan Kaprow, tre artisti che hanno fatto della casualità la propria pratica creativa, applicando una svolta nel modo di vedere e percepire l’arte.
Il carattere di casualità è, per esempio, il primo tratto distintivo dell’opera «Stockroom» (1961-1992) di Allan Kaprow, come sottolineato nelle parole di Kaprow: «…questa versione di Stockroom deve essere dipinta dal visitatore in un colore diverso ogni giorno: bianco, rosso, arancione, giallo, verde, blu, viola, nero, ripetendo questa sequenza ogni otto giorni. Le persone che hanno piacere di partecipare troveranno pennelli adatti, rulli, una scala e qualche cosa per proteggere i vestiti. Sentitevi liberi di partecipare a questo procedimento».
L’introduzione alla funzione del caso richiama anche l’opera «Not Wanting To Say Anything About Marcel» (1969) di John Cage, costruita sottoponendo un’edizione del dizionario americano al «I Ching» per determinare la parola o la frase, l’immagine, la composizione e il colore.
Evocare l’imprevedibile è una metodologia per pensare l’arte anche secondo Duchamp, di cui Casa Morra propone una costruzione alternativa mostrando le diciotto incisioni realizzate per Arturo Schwarz e contenute nei suoi due volumi «The Large Glass and Related Works» del 1967-68, insieme ad altre sei importanti opere come «Rotoreliefs» e «A l’Infinitif».
L’evento inaugurale, preludio di un vortice di attività che animerà sempre più i nuovi spazi, sarà celebrato da due progetti performativi. Si inizia, alle 19 di venerdì 28 ottobre, con «CAGE 1 - 13» di Daniele Lombardi, con l’esecuzione di tredici pièces di John Cage, insieme con Ana Spasic, Jonathan Faralli, l’ensemble puntOorg, Luigi Esposito, Bruno Persico e Maria Teresa Fico. Segue, alle ore 21, la video installazione/concerto «Decameron» di Emanuel Dimas De Melo Pimenta, un lavoro complesso creato per Morra ed elaborato integralmente in realtà virtuale, un oceano di esperienze aperte alla libera partecipazione del pubblico attraverso tre tracce audio da download are e liberamente diffondere negli spazi di Casa Morra dal proprio dispositivo. Una nuova avventura, dunque, per Giuseppe Morra che ha ancora una volta come propri compagni di viaggio la curiosità e la progettualità di chi ama l’arte e il proprio lavoro.

Informazioni utili 
Casa Morra, salita San Raffaele, 20 c - 80136 Napoli. Orari: da martedì a venerdì, dalle ore 10 alle ore 17 | festivi solo su appuntamento. Ingresso gratuito. Informazioni: tel. 081.5641655 o casamorra@fondazionemorra.org. Sito internet: www.fondazionemorra.org

giovedì 27 ottobre 2016

«Exil», a Pistoia debutta uno studio fra teatro e musica sul tema dell'esilio

È una riflessione sul tema dell’esilio, questione di scottante attualità eppure da sempre presente nella storia di tanti popoli, a tessere la trama di «Exil», progetto francese fra teatro e musica frutto della residenza artistica della Compagnie Sans Père al Funaro di Pistoia. Lo spettacolo, che verrà presentato in forma di studio il prossimo venerdì 28 ottobre sul palcoscenico toscano, nasce da un’idea della violoncellista francese Sonia Wieder-Atherton, enfant prodige cresciuta fra San Francisco e Parigi, allieva di Rostropovich e a cui la regista belga Chantal Akerman ha dedicato tre film. L’artista, nominata nel 2015 Cavaliere dell'Ordine delle arti e delle lettere, ha una biografia che è già da sè un’esplorazione della condizione di esule: nata a San Francisco da una madre di origine rumena e un padre americano, cresciuta fra New York, Mosca (per studiare con Natalia Chakhovskaïa al Conservatoire Tchaïkovski) e Parigi, si distingue per una ricerca musicale ad ampio spettro, che –per usare le parole del regista belga Chantal Akerman- «cerca, cerca ancora e sempre (...) che cerca la breccia, il suono, il respiro delle origini». Lo spettacolo, in prova al Funaro dal 21 ottobre, vede anche la collaborazione di Sarah Koné della Compagnie Sans Père, il cui nome dichiara l’importanza di costruire un percorso individuale, «senza padri», senza patria intesa come vincolo culturale inamovibile. Con loro contribuisce alla nuova creazione il pianista pluripremiato Laurent Cabasso, allievo di Magaloff e di Sandor, di cui Le Monde dice: «Cabasso cammina sulle orme di Kempff, Haskil, Nat, Schnabel, con un istinto poetico, una libertà di andamento che lo fanno distinguere all’interno di una generazione già ricca di talenti di primo piano».
Completano la formazione sul palco del Funaro otto giovani attori: Anna Gianforcaro, Eliott Appel, Jeanne Pollacchi, Léontine Maurel, Ludmilla Bouakkaz, Manon Iside, Matthieu Louis-Marie, Violette Clapeyron. Loro lavoreranno su un brano per violoncello e pianoforte della compositrice russa, l’intensa allieva di Shostakovitch, Galina Ustvolskaya. Alternando strutture ritmiche violente a lunghi canti di speranza, il brano lascerà spazio ai testi recitati che si intrecceranno ad esso come in un oratorio. Attorno a questa struttura verranno presentate melodie per violoncello e voce. Purcell, Bach, canti ortodossi e siriani, un’elegia di Stravinsky sono alcune delle scelte fatte fino a questo momento della creazione che si completerà nel corso della residenza creativa.
«Scegliere un cast composto da giovani artisti insieme a talenti affermati –raccontano al Funaro- vuol dire da un lato tentare di mantenere un distacco emotivo che permetta di affrontare con rigore e spontaneità questioni delicate (il senso di isolamento, di alterità, del confronto con l’altro), dall’altro creare uno spettacolo che si arricchisca continuamente di diversi sguardi e di nuove spinte emotive».
«In tutti i tempi e in tutti i luoghi, popoli oppressi sono fuggiti. Spinti dalla guerra, la fame, l’estremismo, la follia omicida di altri uomini. Che fossero cacciati, deportati, strappati dalle loro vite. Che venissero dall’Asia, dall’Africa, o dall’Amercia. Che appartengano oggi al mito, alle leggende. Che sembrino sopravvissuti alla Storia o scorticati vivi dalla nostra attualità. In ogni caso sono tornati, ci hanno detto, hanno scritto la storia dell’uomo che da sempre fa male ad altri uomini. Queste parole compaiono, queste lingue sono sopravvissute al tempo e all’oblio. A noi il compito, oggi, di ascoltarle, di impararle», dice Sonia Wieder-Atherton. Dalla Bibbia al genocidio ruandese, che si tratti di un intero popolo in fuga o di una donna cinese perseguitata che scappa nella campagna: le voci di «resistenza» sono le stesse e saranno proprio queste a vivere sul palco del Funaro.

Informazioni utili 
«Exil». Il Funaro Centro Culturale, via del Funaro, 16/18 – Pistoia. Quando: venerdì 28 ottobre 2016, ore 21.00. Ingresso: intero € 12,00, ridotto € 10,00 o € 8,00. Informazioni: tel/fax  +39,0573.977225 | tel  +39.0573.976853 | mail: info@ilfunaro.org. Sito web: www.ilfunaro.org

mercoledì 26 ottobre 2016

«Il Milione», viaggio tra le «meraviglie» di Marco Polo con laReverdie

Uno dei viaggi più avvincenti della storia, destinato a lasciare un segno incancellabile nei rapporti tra Europa e Oriente: viene descritta così da tutti l’avventura di Marco Polo raccontata nel libro «Il Milione».
Dalla lettura di questa straordinaria opera è nata l’idea di realizzare uno spettacolo teatrale, in programma sabato 29 e domenica 30 ottobre alla Fondazione Giorgio Cini, che alla voce narrante di David Riondino affianca la musica del gruppo laReverdie.
Magico è il luogo scelto per questo appuntamento: l’auditorium lo Squero sull’Isola di San Giorgio Maggiore, un nuovo spazio per la musica ricavato da un’antica officina per la riparazione delle imbarcazioni, la cui costruzione risale alla metà dell’Ottocento e la cui struttura si ispira alla grande architettura veneziana, riprendendo il modello dell’Arsenale.
Dall’acustica eccezionale, lo Squero si affaccia direttamente sulla laguna: di fronte alla platea e alle spalle dei musicisti, le pareti di vetro, come quinte naturali, aprono uno straordinario scorcio sulla laguna offrendo allo spettatore la possibilità di vivere l’esperienza unica di un concerto a bordo d’acqua.
«Meraviglioso e quotidiano, storia e leggenda, santi e briganti, re e sudditi si trovavano in un rapporto di prodigiosa contiguità con il viaggiatore che non si confrontava mai con barriere concrete e culturali inaccessibili»: sembrerà di sentir rivivere questo spirito medioevale ben descritto dallo storico d’arte Jurgis Baltrušaitis nell’incontro veneziano.
«Nella descrizione dell’altro, dell’altro mondo e delle altrui usanze e figure, non c’è in Polo nessun sentimento di supremazia, di riduzione alle proprie categorie, se non per quel che serve a rendere comprensibile il racconto -afferma, infatti, David Riondino-. Gli altri sono ancora altri, non domina-ti dalla propria visione. Polo non si sente né superiore né inferiore all’universo inedito che attraversa. Intrecciando la meraviglia all’indifferenza, il veneziano sembra instaurare con l’Oriente un rapporto alla pari. Questo rende il racconto leggero e misterioso, e assolutamente udibile oltre le filologiche curiosità.».
Il tutto viene rivisto attraverso la penna di Rustichello da Pisa, conosciuto nelle prigioni genovesi, al quale Marco Polo affida il resoconto del suo viaggio in un mondo meraviglioso ed esotico descritto con uno stile profondamente medievale. Come medievale è la musica proveniente da ambiente veneto e francese eseguita da laReverdie, uno dei gruppi italiani specializzati nel reperto-rio medievale più noti in campo internazionale, che quest’anno festeggia i suoi trenta anni di attività.
In questo nuovo viaggio -racconta Claudia Caffagni- «ci confrontiamo e dialoghiamo con la tradizione musicale che proviene dall’Oriente, grazie al contributo del Kamancheh di Rana Shieh e del Tabla di Elena Baldassarri». Ne nascerà una combinazione magica che proietta lo spettatore in quel mondo mirabile e remoto, dall’irresistibile fascino.

Informazioni utili 
«Il Milione ovvero il libro delle meraviglie - Viaggio musicale sulle orme di Marco Polo». Auditorium Lo Squero, isola di San Giorgio Maggiore - Venezia. Quando: 29 ottobre 2016, ore 17.30 e 30 otto-bre 2016, ore 16.30. Ingresso: intero € 28,00, ridotto € 18,00, per comitive con più di venticinque persone riduzione del 25%. Link prevendita del 29/10: www.i-ticket.it/prevendita/index.php?cmd=event&event_id=2067. Link prevendita del 30/10: www.i-ticket.it/prevendita/index.php?cmd=event&event_id=2068. Informazioni: contacts@lareverdie.com.

martedì 25 ottobre 2016

Prato saluta il nuovo Centro Pecci

Una navicella spaziale. «Una virgola di luna». Un’architettura ad anello, color oro, con un’antenna sulla cima in grado di intercettare -e di trasmettere- fermenti, tendenze e umori della scena artistica contemporanea. Si presenta così «Sensing the Waves», il progetto ideato dall’architetto olandese Maurice Nio per rinnovare il Centro Pecci di Prato, la cui struttura fu ideata nel 1988 dal fiorentino Italo Gamberini per volontà di Enrico Pecci con l’intento di onorare la memoria del figlio Luigi, scomparso prematuramente.
Riaperto dopo nove anni di cantiere, il “nuovo” museo toscano si presenta ampliato nei suoi spazi, estendendosi ora su una superficie di oltre diecimila metri quadrati, articolata in diverse sale espositive, un archivio, una biblioteca specializzata con un patrimonio di oltre cinquantamila volumi, un teatro all’aperto per mille spettatori, un cinema-auditorium da centoquaranta posti, uno spazio performativo da quattrocento, un bookshop, un bistrot, un ristorante e varie sale d’incontro.
Ma il Centro Pecci non si presenta rinnovato solo negli spazi, che permetteranno finalmente di valorizzare al meglio la sua collezione che vanta oltre mille opere dei principali artisti internazionali: da Anish Kapoor a Jan Fabre, da Jannis Kounellis a Sol LeWitt, senza dimenticare gli italiani Mario Merz o Michelangelo Pistoletto.
Rinnovato è anche il programma culturale aperto all’interdisciplinarietà, alla commistione tra arti: il nuovo corso del museo pratese, avviato domenica 16 ottobre, promette, infatti, di indagare tutte le discipline della cultura contemporanea, toccando anche cinema, musica, perfoming arts, architettura, design, moda e letteratura e cercando, al contempo, di avvicinare il più possibile l’arte alla società.
L’opening del rinnovato e ampliato Centro Pecci di Prato spetta alla mostra «La fine del mondo», a cura di Fabio Cavallucci, che allinea, accanto a lavori storici di Marcel Duchamp e Pablo Picasso, le opere di una cinquantina di artisti contemporanei ormai affermati internazionalmente, dal nativo americano Jimmie Durham al cubano Carlos Garaicoa, dai cinesi Qiu Zhijie e Cai Guo-Qiang a giovani come il brasiliano Henrique Oliveira o lo svizzero Julian Charrière, del quale viene presentato un lavoro realizzato a quattro mani insieme al tedesco Julius Von Bismarck.
«In tempi di cambiamenti climatici globali, di guerre diffuse che hanno fatto dire al Papa che siamo di fronte alla terza guerra mondiale anche se combattuta a pezzetti, di esodi e di migrazioni irrefrenabili, di Brexit che se non di tutto il globo segna perlomeno la fine dell’Europa, -afferma Fabio Cavallucci- non sembra eccessivo parlare di fine del mondo: uno sguardo catastrofico sembrerebbe consentito ed è, diciamolo, avvallato dagli eventi. Ma non è questo il tema che la mostra vuole affrontare». A Prato si intende, infatti, far vivere al visitatore una specie di esercizio della distanza, che spinge a guardare il presente da lontano.
Lungo il percorso espositivo, secondo le nuove linee strategiche del Pecci, vengono documentati tutti linguaggi artistici: la musica, il teatro, il cinema, l’architettura e la danza contribuiscono a costruire una narrazione immersiva e coinvolgente grazie alla presenza di personalità eclettiche e visionarie che arricchiranno il racconto con il loro contributo, dalla celebre cantante Bjork all’architetto Didier Fiuza Faustino, dal drammaturgo e attore Pippo Delbono fino al musicista elettronico Joakim.
Intanto in tutta la città di Prato e anche in altri centri vicini come Firenze, Pisa, Vinci si festeggia la riapertura del Pecci con mostre e progetti che fanno ben sperare in uno slancio per l’intera scena creativa e culturale toscana.

Didascalie delle immagini 
[Fig. 1] «Sensing the Waves», nuova ala progettata da  Maurice Nio. Foto: Ivan D'Alì; [fig. 2] Map of Mythological Creatures, 2013, inchiostro su carta 7 pezzi, 120 x 240 cm, courtesy of Galleria Continua, San Gimignano / Beijing / Les Moulins / Habana; [fig. 3] Break-through (two) - yellow foam, tape, cardboard, wood, paint - variable dimensions, Luciano Romano, courtesy of Galleria Alfonso Artiaco

Informazioni utili 
Centro d'arte contemporanea Pecci, viale della Repubblica, 277 - Prato. Orari: da martedì a domenica, ore 11.00-23.00; chiuso il lunedì. Ingresso: intero € 10,00, ridotto € 7,00.  Informazioni: tel.  0574.5317 o info@centropecci.it. Sito internet: http://www.centropecci.it

lunedì 24 ottobre 2016

Bologna, ottant'anni d'arte a Villa delle Rose

Sono passati cent’anni da quando la contessa Nerina Armandi Avogli donava alla Città di di Bologna Villa delle Rose: un atto, questo, alla base della nascita della Galleria d’arte moderna cittadina che, con i suoi successivi sviluppi, avrebbe condotto all’apertura del Mambo. Per ricordare questo evento il comune felsineo promuove, nell’ambito delle celebra-zioni per il nono centenario della sua fondazione, la mostra «Villa delle Rose 1936», a cura di Uliana Zanetti e Barbara Secci, nella quale si presenta una ricostruzio-ne dell'allestimento realizzato ottanta anni or sono da Guido Zucchini, il primo a dare piena esecuzione delle volontà della donatrice includendo esclusivamente opere del XX secolo.
Nonostante le numerose perdite registrate durante la seconda guerra mondiale, grazie alle oltre cento opere superstiti e lavorando sull'attuale stato architettonico della villa è stato possibile far rivivere nelle sue linee generali quel primo assetto delle collezioni, dando la possibilità al pubblico di oggi di vedere lavori raramente esposti negli ultimi decenni. La mostra costituisce, inoltre, un'occasione per la revisione critica di un periodo ancora poco studiato della storia dell'arte bolognese.
La ricostruzione portata avanti dalle curatrici ha potuto contare su una vasta documentazione fotografica che testimonia con dovizia di particolari quale fosse l'assetto della collezione tra il 1936 e il 1940, rendendo più agevole immaginare come Zucchini abbia ragionato nell'accostare un numero di opere che oggi appare esorbitante: duecentosette lavori all'interno e diciannove sculture all'esterno della villa, tutti appartenenti al XX secolo e a centoventotto artisti quasi tutti all'epoca ancora viventi.
Il riordino delle collezioni condotto otto decenni fa riusciva a dipanare un patrimonio disorganico, spesso costruito tramite premi cittadini prestigiosi, acquisti alle Biennali, alle mostre di associazioni private o del sindacato fascista, oltre che ovviamente donazioni di svariata provenienza, rendendo comunque leggibile la distinzione fra autori disomogenei, alternando generi e stili differenti nei vari ambienti.
Il percorso espositivo del 1936 si articolava in undici sale (più la loggia d'ingresso, il portico e il giardino) di cui oggi si è cercato di mantenere l'impostazione attraverso una per quanto possibile fedele collocazione delle opere ancora disponibili.
Gaele Covelli, Giuseppe Graziosi e Giovanni Masotti, tutti vincitori del Premio Baruzzi, aprono il percorso espositivo, che continua con i lavori di Ferruccio Ferrazzi, Ferruccio Giacomelli, Casimiro Jodi, Ludovico Lambertini, Silverio Montaguti, Emilio Notte e Ferruccio Scandellari. Di quanto Zucchini aveva posizionato nella terza sala sono oggi visibili opere di Giuseppe Brugo, Ettore Burzi, Domenico Ferri, Augusto Majani, Ottavio Steffenini e Ugo Valeri, mentre della quarta sala ritroviamo i premi del Curlandese di prospettiva con Aldo Avati, Dante Comelli, Gualtiero Pontoni, Guido Venturi, e di scultura con Cleto Tomba, insieme ai paesaggi di Teodoro Wolf Ferrari e Luigi Zago. A parte vanno considerate le quattro opere superstiti di Amleto Montevecchi, con la sua accorata attenzione ai temi del lavoro e alle classi meno agiate, affiancate a uno studio di Gaetano Leonesi.
Si assiste, a seguire, al confronto tra i dipinti di due grandi maestri della pittura bolognese, Alfredo Protti e Guglielmo Pizzirani, che Zucchini collocava nella quinta sala. In mostra si ritrovano opere come «Il vestito alla marinara (Ragazzo)», «Il piumino e la Figura allo specchio» del primo: esempi fra i più riusciti di quel naturalismo addolcito e di quell'inclinazione intimista che restano cifra distintiva di molta pittura bolognese di quegli anni. Più aspro e severo appare, invece, «Mia madre e mia sorella», ritratto eseguito da Pizzirani che, pur rispettando una fedele resa del vero, documenta la persistenza nella sua arte di quei modi post-impressionisti che, se ai suoi esordi ne avevano fatto un ribelle al passo con i tempi, l'avrebbero però privato delle attenzioni di molta critica successiva.
Anche la sesta sala propone un raffronto tra due protagonisti del panorama regionale, Giovanni Romagnoli e Bruno Saetti, coronati da un esteso successo, all'epoca, nell'ambito delle esposizioni nazionali. Di Romagnoli, che fin dalla partecipazione alle mostre della Secessione Romana aveva ottenuto rilevanti riconoscimenti e che nel 1935 aveva avuto una sala personale alla Quadriennale di Roma, sono visibili tre dipinti di figura tutti premiati ai concorsi bolognesi, che restano fra i suoi capolavori: «Merlettaie» del 1921, «Ballerina con fior»i e «Toeletta» del 1923. Bruno Saetti, più giovane di una decina d'anni e all'epoca già trasferito da oltre un lustro a Venezia come docente della locale Accademia, nel 1939 avrebbe clamorosamente vinto il primo premio per la pittura alla Quadriennale romana, superando Morandi che arrivò secondo. A Villa delle Rose nel 1936 era presente con tre quadri insigniti dei premi bolognesi e con altri tre acquistati, tutti oggi visibili: due paesaggi - «Canale della Giudecca» del 1931 e «Paesaggio della Ciociaria» del 1933 - e quattro tele con figure - «Bambino con fiori» del 1926, due «Maternità» e «Donna uscita dal bagno», tutte del 1929-. Nella ricostruzione del 2016 è stato deciso di collocare in questa sala anche dipinti di Ilario Rossi e a Farpi Vignoli.
Della settima e dell'ottava sala allestite da Guido Zucchini ci rimangono opere di Ettore Bocchini, Luigi Cervellati, Gino Marzocchi, Antonio Maria Nardi, Alberto Negroni, Bruno Santi e Antonino Sartini. Della sala nove, che raggruppava disegni e stampe, sono, invece, presentate le ricercate xilografie di Francesco Dal Pozzo, le incisioni di Ubaldo Magnavacca, un monotipo di Giovanni Secchi, una altera testa di donna di Oddone Scabia, i diciotto cartoni con figure di scolaretti di Lorenzo Viani e, soprattutto, tre preziose acqueforti di Giorgio Morandi, le cui incisioni disperse vengono qui sostituite con altri esemplari degli stessi soggetti, donati al Comune di Bologna nel 1961 dall'artista stesso, facenti oggi parte del patrimonio del Museo Morandi: «Paesaggio del Poggio» (1927), «Case del Campiaro a Grizzana» (1929) e «Grande natura morta scura» (1934).
Della decima sala, che esponeva recentissime acquisizioni dell'epoca, rimangono innanzitutto il piccolo olio «Strada» di Filippo De Pisis acquistato alla V Mostra Interprovinciale d'arte e «L'auriga» (1934) del già citato Farpi Vignoli, già allora avvicinato dai critici alle temerarie sperimentazioni di Arturo Martini; sono arrivati a noi anche lavori di Pietro Angelini, Nino Bertocchi, Aldo Carboni e Mario Gamero.
Dell'undicesima sala, a chiusura del percorso, oggi abbiamo ancora le opere dei futuristi Alberto Alberti e Angelo Caviglioni, insieme a un dipinto di Mario Pozzati.
Nel dopoguerra le collezioni di Villa delle Rose si arricchirono, grazie a qualche acquisto e a diverse donazioni – talvolta intese a ricostituire il patrimonio disperso durante il conflitto – di numerose opere di pregio degli artisti bolognesi attivi nella prima metà del XX secolo. Per la mostra sono stati selezionati alcuni lavori che vengono esposti in rappresentanza di Carlo Corsi, Flavio Bertelli e Garzia Fioresi: figure troppo importanti per consentire che la dispersione di quanto mostrato nel 1936 permettesse di ignorarle. Sono state invece omesse, soprattutto per ragioni logistiche, le sculture che il catalogo di Zucchini segnalava all'esterno.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Alberto Alberti (Alberto Vincenzi), «Verso il cielo», 1931. Olio su tela, cm. 180 x 110. Acquistato dal-l'artista, 1932; [fig. 2] Giuseppe Brugo, «Giovane signora (Mughetto) », 1905-1906. Olio su tela, cm. 125 x 76. Concorso Curlandese 1905, premio di pittura; [fig. 3] Giovanni Romagnoli, «Merlettaie [Scuola di ricamo] », 1921. Olio su tela, cm. 100 x 90. Premio Baruzzi 1920; [fig. 4] Bruno Saetti, «Maternità», 1929. Olio su tela, cm. 77 x 62. Acquistato alla XVII Biennale di Venezia, 1930

Informazioni utili 
«Villa delle Rose 1936». Villa delle Rose, via Saragozza 228 – 230, Bologna. Orari: da giovedì a domenica, ore 15,00-20.00; lunedì 31 ottobre (apertura straordinaria), ore 15.00-20.00.

Ingresso: intero € 5,00, ridotto € 3,00 (Card Musei Metropolitani Bologna e altri convenzionati). Sito internet: www.mambo-bologna.org. Fino al 31 ottobre 2016.