«Il periodo surrealista fu straordinario […] il periodo migliore della mia vita d'artista»: è questa la frase scelta dalla Collezione Peggy Guggenheim per fare da filo rosso alla mostra di
Rita Kernn-Larsen che Gražina Subelytė ha curato per il museo veneziano.
L’esposizione, visibile fino al 26 giugno, inaugura due nuove sale espositive dell’istituzione lagunare, le «Project Rooms»: spazi destinati ad accogliere progetti espositivi raccolti e mirati, finalizzati ad approfondire il lavoro di un artista o specifiche tematiche legate alla produzione di un determinato interprete del XX secolo, legato alla collezione della mecenate americana.
Nel 1937 Rita Kernn-Larsen (Hillerød 1904 – Copenhagen 1998) incontra a Parigi la collezionista e l'anno seguente viene invitata a esporre nella galleria londinese Guggenheim Jeune, in una personale che segna l'inizio della carriera surrealista di Peggy.
La mostra veneziana riunisce una preziosa selezione di dipinti dell’artista, pittrice tuttora poco nota al di fuori dell'ambiente danese, provenienti da collezioni pubbliche e private del suo Paese, tra cui la National Gallery of Denmark di Copenhagen, il Kunstmuseet dii Tønder e il Kunsten Museum of Modern Art di Aalborg.
L’esposizione -la prima di rilievo dedicata alla sua opera fuori dai confini nazionali, dopo quella londinese del 1938- presenta anche fotografie e documenti inerenti la personale nella galleria londinese di Peggy, oltre a una video-intervista realizzata in occasione della sua partecipazione alla Biennale di Venezia del 1986. br>
La rassegna rivela come la Kernn-Larsen abbia ricoperto un ruolo determinante nell'ambito del movimento surrealista danese e internazionale. Nei primi anni ‘30 l’artista studia con Fernand Léger a Parigi, diventando una delle sue migliori studentesse. Nel 1934 si unisce al gruppo surrealista del suo Paese e viene soprannominata dalla critica «la Picasso danese». Continua a esporre con i surrealisti, affermandosi come figura cardine all’interno del gruppo stesso, e partecipa nel corso degli anni ’30 ad alcune importanti mostre internazionali in città come Copenhagen, Oslo, Lund, Londra, tra cui spicca l’Exposition Internationale du Surréalisme, alla Galerie Beaux-Arts di Parigi nel 1938, poco prima della sua personale alla Guggenheim Jeune.
In questa occasione lo storico dell'arte Herbert Read scrive delle opera dell’artista: «L'immaginazione è un punto focale inserito entro quel campo vago che è l'inconscio […]. Queste immagini sono personaggi fiabeschi, fantasmi delle oscure roccaforti nordiche che popolano la nostra mente […] e rivelano un po' del terrore e tutta la fascinazione dei loro antenati mitici».
In mostra si potrà osservare come la Kernn-Larsen riunisca, secondo la sua vena surrealista, sogni e memorie attraverso la tecnica dell'automatismo per far emergere, direttamente dall'inconscio, un flusso di immagini.
Tra le opere esposte si potrà vedere anche il dipinto che la Kernn-Larsen considerò «uno dei miei migliori quadri», il capolavoro «Danza e controdanza» (1936), nel quale vari ritmi legati all'automatismo pulsano gli uni contro gli altri.
L’esposizione veneziana mette, inoltre, in luce come la pittrice sia stata influenzata dal lavoro del belga Paul Delvaux, il cui dipinto «L'aurora» (1937), alla Collezione Peggy Guggenheim, ritrae delle donne-albero. L'identificazione dell'artista-donna surrealista con la natura fertile ritorna in diverse opere dell’artista danese, tra cui il suo singolare «Autoritratto (Conosci te stesso) » (1937), acquisito dalla Fondazione Solomon R. Guggenheim nel 2013. La mostra espone anche tre opere, incluso l'autoritratto, che furono esposte alla Biennale di Venezia del 1986, e che oggi, dopo oltre trent'anni, ritornano così a Venezia.
Informazioni utili
Rita Kernn-Larsen. Collezione Peggy Guggenheim - Palazzo Venier dei Leoni, Dorsoduro 701 - 30123 Venezia. Orari: tutti i giorni, ore 10.00-18.00, chiuso il martedì. Ingresso: Intero € 15,00, ridotto over 65 €13,00, ridotto studenti fino a 26 anni € 9,00. Informazioni: info@guggenheim-venice.it o tel. 041.2405411. Sito internet: www.guggenheim-venice.it. Fino al 26 giugno 2017.
ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com
giovedì 27 aprile 2017
mercoledì 26 aprile 2017
A Bologna è Dalì-mania
Coinvolge l’intera città di Bologna la mostra «Dalì Experience», prima tappa di un progetto espositivo interdisciplinare e interattivo che inaugura la centralissima location di Palazzo Belloni, prestigioso edificio storico di via Berberia, strategicamente posizionato tra piazza Malpighi e piazza Maggiore.
In queste sale -costruite nel Settecento su progetto di Giuseppe Antonio Torri e decorate al suo interno da artisti come Giovanni Gioseffo dal Sole, Giovanni Girolamo Bonesi, Giovanni Antonio Burrini e Giacinto Garofalini- sono esposte, per iniziativa di con-fine Art, circa duecento opere provenienti dalla collezione «The Dalì Universe» di Beniamino Levi, una delle più ricche documentazioni sull’artista catalano. Si tratta, nello specifico, di ventidue sculture museali, dieci opere in vetro realizzate alla fine degli anni '60 con la famosa cristalleria Daum di Nancy, dodici gold objects, più di cento grafiche tratte da dieci libri illustrati e quattro sculture monumentali posizionate in punti strategici del centro storico: «Dance of time II» (1979-1984) nell’area check-in dell’aeroporto Marconi, «Homage to terpsichore» (1977-1984) in piazza Liber Paradiusus, «Horse saddled with time» (1980) negli storici Giardini Margherita e «Profile of time» (1977-1984) alla Stazione di fronte allo Shoah Memorial.
Il gruppo creativo Loop, eccellenza italiana nella progettazione di tecnologie interattive applicate all’arte e al design, ha creato un percorso in cui la multimedialità e l’interazione diventano parte integrante della narrazione trasmettendo così al pubblico un messaggio emozionale, non didascalico, del fantasmagorico artista catalano.
Dalla bidimensionalità delle grafiche alla tridimensionalità delle sculture, fino alla quarta dimensione virtuale al di là dello spazio e del tempo, la mostra bolognese è, nello specifico, un viaggio alla scoperta della mente poliedrica di Salvador Dalì che invita il visitatore a mettere in campo tutti i sensi per interagire con le diverse anime del maestro. Il contributo creativo dell’artista catalano non è, infatti, solo associato alla pittura surrealista ma tocca i più diversi e fertili ambiti della cultura del XX secolo: dal cinema alla moda, dal design alla pubblicità, dalla letteratura alla cucina, fino alla psicanalisi, alla fisica delle particelle e alle nuove tecnologie.
Le opere dialogano con installazioni interattive (animazioni 3d, realtà aumentata e proiezioni immersive) in un tour di continua scoperta e sorpresa, che invita a sperimentare. Ne sono un esempio l'installazione attraverso la quale si può assistete ad un dialogo surreale fra Dalí e il noto critico cinematografico Tati Sanguinetti e la sala totalmente immersiva dedicata a «Spellbound», film di Hitchcock del 1945, che mette in scena la sequenza del sogno in modo analogo a Salvador Dalí nelle sue opere.
La mostra bolognese mette a disposizione del pubblico anche una App di Realtà Aumentata per osservare il paesaggio urbano con lo sguardo dell’artista scoprendo gli strani oggetti del suo mondo distribuiti su tutto il territorio, e fare foto da condividerle sui principali social network, dove la mostra ha una presenza costante con l’hashtag #daliexperience.
Nelle zone più significative della città, da piazza Maggiore ai vari punti con le sculture monumentali, si trovano posizionati a terra dei tondi, con il volto di Dalí e la dicitura «AR Point», che permettono di scaricare l’apposita App semplicemente inquadrando il QR code. Ed ecco che magicamente compaiono elementi 3D animati, strani e sorprendenti oggetti del mondo dell’artista corredati da spiegazioni relative all’elemento visualizzato e da informazioni sulla mostra.
La mostra ha, inoltre, un prolungamento al Museo ebraico dove si tiene «Dalí. A Jewish Experience», che mette a confronto l’universo dell’artista catalano con la religione ebraica e la psicanalisi di Freud attraverso due serie grafiche facenti parte della collezione di Beniamino Levi, curatore e mercante d’arte di origine ebraica.
Il racconto comincia con le «Dodici tribù d’Israele» pensate dall’artista in occasione del 25° anniversario dello Stato d’Israele. Si tratta di 13 grafiche - incisioni più colore applicato con stencil - risalenti al 1972, che ritraggono i capostipiti delle tribù ebraiche. Abba Eban, allora ministro degli affari esteri per Israele, affermava in proposito: «O per la loro ambiguità o per la loro ambivalenza questi ritratti hanno un grande significato per noi. Attraverso la sua immaginazione, abbondante e diversa, Dalí in questo album aiuta a raccontare la civiltà israeliana agli inizi, il suo carattere mistico e la sua evoluzione».
Si prosegue con le illustrazioni per «Moïse et monothéisme», l’ultima opera di Sigmund Freud, in cui lo psicanalista esamina la natura delle religioni monoteiste, la figura di Mosè in relazione alla teoria sul complesso di Edipo e le similitudini che intercorrono tra figura paterna e divinità. Dalí, da sempre affascinato dalla psicanalisi freudiana, nel 1975 crea dieci litografie incise su lastre d’oro e stampate su pelle di pecora, dove intreccia figure erotiche con simboli primitivi, illustrando molti credo di religioni diverse e immagini che rappresentano l’ipotetico Mosè non ebreo di Freud, liberatore degli ebrei dalla schiavitù.
Didascalie delle immagini
[Figg. 1, 2, 3, 4] «Dalì Experience» a Bologna. Fotografie di Gianni Coppola
Informazioni utili
«Dalì Experience». Palazzo Belloni, via Barberia, 19 – Bologna. Orari: da martedì a giovedì e domenica, ore 10.00– 20.00, venerdì e sabato, ore 10.00 – 23.00; lunedì chiuso, la biglietteria chiude 45 minuti prima della mostra. Ingresso con audiopenna interattiva inclusa: intero € 14,00, ridotto € 12,00 o € 7,00. Informazioni: tel. 051.6555000 o info@con-fineart.com. Sito internet: www.daliexperience.it. Fino al 7 maggio 2017.
«Dalì – A Jewish Experience». Museo ebraico, via Valdonica, 1/5 – Bologna. Orari: da domenica a giovedì, ore 10.00-18.00, venerdì, ore 10.00-16.00, chiuso sabato e festività ebraiche. Ingresso: intero € 4,00; ridotto€ 2,00. Informazioni: tel. 051.2911280, info@museoebraicobo.it. Sito internet: www.museoebraicobo.it. Fino al 7 maggio 2017
In queste sale -costruite nel Settecento su progetto di Giuseppe Antonio Torri e decorate al suo interno da artisti come Giovanni Gioseffo dal Sole, Giovanni Girolamo Bonesi, Giovanni Antonio Burrini e Giacinto Garofalini- sono esposte, per iniziativa di con-fine Art, circa duecento opere provenienti dalla collezione «The Dalì Universe» di Beniamino Levi, una delle più ricche documentazioni sull’artista catalano. Si tratta, nello specifico, di ventidue sculture museali, dieci opere in vetro realizzate alla fine degli anni '60 con la famosa cristalleria Daum di Nancy, dodici gold objects, più di cento grafiche tratte da dieci libri illustrati e quattro sculture monumentali posizionate in punti strategici del centro storico: «Dance of time II» (1979-1984) nell’area check-in dell’aeroporto Marconi, «Homage to terpsichore» (1977-1984) in piazza Liber Paradiusus, «Horse saddled with time» (1980) negli storici Giardini Margherita e «Profile of time» (1977-1984) alla Stazione di fronte allo Shoah Memorial.
Il gruppo creativo Loop, eccellenza italiana nella progettazione di tecnologie interattive applicate all’arte e al design, ha creato un percorso in cui la multimedialità e l’interazione diventano parte integrante della narrazione trasmettendo così al pubblico un messaggio emozionale, non didascalico, del fantasmagorico artista catalano.
Dalla bidimensionalità delle grafiche alla tridimensionalità delle sculture, fino alla quarta dimensione virtuale al di là dello spazio e del tempo, la mostra bolognese è, nello specifico, un viaggio alla scoperta della mente poliedrica di Salvador Dalì che invita il visitatore a mettere in campo tutti i sensi per interagire con le diverse anime del maestro. Il contributo creativo dell’artista catalano non è, infatti, solo associato alla pittura surrealista ma tocca i più diversi e fertili ambiti della cultura del XX secolo: dal cinema alla moda, dal design alla pubblicità, dalla letteratura alla cucina, fino alla psicanalisi, alla fisica delle particelle e alle nuove tecnologie.
Le opere dialogano con installazioni interattive (animazioni 3d, realtà aumentata e proiezioni immersive) in un tour di continua scoperta e sorpresa, che invita a sperimentare. Ne sono un esempio l'installazione attraverso la quale si può assistete ad un dialogo surreale fra Dalí e il noto critico cinematografico Tati Sanguinetti e la sala totalmente immersiva dedicata a «Spellbound», film di Hitchcock del 1945, che mette in scena la sequenza del sogno in modo analogo a Salvador Dalí nelle sue opere.
La mostra bolognese mette a disposizione del pubblico anche una App di Realtà Aumentata per osservare il paesaggio urbano con lo sguardo dell’artista scoprendo gli strani oggetti del suo mondo distribuiti su tutto il territorio, e fare foto da condividerle sui principali social network, dove la mostra ha una presenza costante con l’hashtag #daliexperience.
Nelle zone più significative della città, da piazza Maggiore ai vari punti con le sculture monumentali, si trovano posizionati a terra dei tondi, con il volto di Dalí e la dicitura «AR Point», che permettono di scaricare l’apposita App semplicemente inquadrando il QR code. Ed ecco che magicamente compaiono elementi 3D animati, strani e sorprendenti oggetti del mondo dell’artista corredati da spiegazioni relative all’elemento visualizzato e da informazioni sulla mostra.
La mostra ha, inoltre, un prolungamento al Museo ebraico dove si tiene «Dalí. A Jewish Experience», che mette a confronto l’universo dell’artista catalano con la religione ebraica e la psicanalisi di Freud attraverso due serie grafiche facenti parte della collezione di Beniamino Levi, curatore e mercante d’arte di origine ebraica.
Il racconto comincia con le «Dodici tribù d’Israele» pensate dall’artista in occasione del 25° anniversario dello Stato d’Israele. Si tratta di 13 grafiche - incisioni più colore applicato con stencil - risalenti al 1972, che ritraggono i capostipiti delle tribù ebraiche. Abba Eban, allora ministro degli affari esteri per Israele, affermava in proposito: «O per la loro ambiguità o per la loro ambivalenza questi ritratti hanno un grande significato per noi. Attraverso la sua immaginazione, abbondante e diversa, Dalí in questo album aiuta a raccontare la civiltà israeliana agli inizi, il suo carattere mistico e la sua evoluzione».
Si prosegue con le illustrazioni per «Moïse et monothéisme», l’ultima opera di Sigmund Freud, in cui lo psicanalista esamina la natura delle religioni monoteiste, la figura di Mosè in relazione alla teoria sul complesso di Edipo e le similitudini che intercorrono tra figura paterna e divinità. Dalí, da sempre affascinato dalla psicanalisi freudiana, nel 1975 crea dieci litografie incise su lastre d’oro e stampate su pelle di pecora, dove intreccia figure erotiche con simboli primitivi, illustrando molti credo di religioni diverse e immagini che rappresentano l’ipotetico Mosè non ebreo di Freud, liberatore degli ebrei dalla schiavitù.
Didascalie delle immagini
[Figg. 1, 2, 3, 4] «Dalì Experience» a Bologna. Fotografie di Gianni Coppola
Informazioni utili
«Dalì Experience». Palazzo Belloni, via Barberia, 19 – Bologna. Orari: da martedì a giovedì e domenica, ore 10.00– 20.00, venerdì e sabato, ore 10.00 – 23.00; lunedì chiuso, la biglietteria chiude 45 minuti prima della mostra. Ingresso con audiopenna interattiva inclusa: intero € 14,00, ridotto € 12,00 o € 7,00. Informazioni: tel. 051.6555000 o info@con-fineart.com. Sito internet: www.daliexperience.it. Fino al 7 maggio 2017.
«Dalì – A Jewish Experience». Museo ebraico, via Valdonica, 1/5 – Bologna. Orari: da domenica a giovedì, ore 10.00-18.00, venerdì, ore 10.00-16.00, chiuso sabato e festività ebraiche. Ingresso: intero € 4,00; ridotto€ 2,00. Informazioni: tel. 051.2911280, info@museoebraicobo.it. Sito internet: www.museoebraicobo.it. Fino al 7 maggio 2017
lunedì 24 aprile 2017
Craigie Horsfield, riflessioni in forma di fotografia
È frutto di una virtuosa collaborazione del Masi – Museo d’arte della Svizzera italiana con il Centraal Museum di Utrecht e la galleria Large Glass di Londra la mostra «Craigie Horsfield. Of the Deep Present», allestita fino al prossimo 2 luglio negli spazi del Lac – Lugano arte cultura, per la curatela di Marco Franciolli, Edwin Jacobs (attuale direttore del Dortmunder U–Zentrum für Kunst und Kreativität di Dortmund) e Charlotte Schepke.
Nel lavoro di Craigie Horsfield, artista britannico che dagli anni Ottanta conduce una straordinaria indagine sulla natura stessa dell’immagine fotografica, ricorrono ritratti, nature morte, nonché momenti di vita quotidiana, riti e tradizioni popolari, temi e generi diversi rappresentati con tecniche innovative che tendono a stemperare i limiti fra le varie discipline artistiche. La fotografia costituisce, infatti, solo uno dei molteplici tasselli che si sovrappongono nella sua produzione artistica: a partire da un negativo, o da un fotogramma, l’artista produce opere di grande formato realizzate con tecniche sorprendenti e disparate come arazzi e affreschi.
La struttura narrativa della mostra si sviluppa in sezioni tematiche incentrate su opere emblematiche, sovente lavori monumentali come i maestosi arazzi dedicati alla scena apocalittica di Ground Zero o al Golfo di Napoli in un’ambigua visione notturna.
Lo straordinario percorso che ne scaturisce porta alla luce le relazioni che intercorrono fra eventi accaduti in luoghi e momenti apparentemente lontani, fra le persone che ne sono state partecipi e gli spettatori che ne fanno scoperta in mostra.
Per l’esposizione del Masi, l’artista ha realizzato, inoltre, una serie di ritratti inediti. Ciò che prevale in queste immagini è l’esplorazione dei processi attraverso i quali cerchiamo di comprenderci l’un l’altro e di esistere insieme. Al tempo stesso queste opere mostrano l’unicità delle persone che collaborano con l’artista e la loro singolare e unica esistenza nel presente, riconosciuta nell’attenzione dello spettatore, attraverso il raccoglimento, la sensibilità e l’empatia.
La rassegna presenta anche un’installazione sonora composta e mixata da Craigie Horsfield in collaborazione con Reinier Rietveld appositamente per lo spazio espositivo del Masi. Questo elemento sonoro, in dialogo con le altre opere e insieme a esse, contribuisce all’elaborazione di nuovi e specifici significati, documentando anche un profondo e mai abbandonato interesse dell’artista per la musica.
Il concetto di relazione –inteso sia come il legame tra individui sia come il narrare, il raccontare– è centrale nell’opera di Reinier Horsfield. Secondo l’artista un’opera d’arte si realizza pienamente solo grazie al ruolo attivo del pubblico: «Ciò che avviene qui è il riconoscimento di un passaggio di comprensione, di raccoglimento e di identificazione, l’impressione di dare tempo e profonda attenzione al mondo e agli altri, e a un presente profondo. […] A volte questi passaggi sono fluidi nelle loro interrelazioni, altre volte sono spigolosi e discordanti, e all’interno della struttura ci sono strati su strati di associazioni, citazioni e allusioni, dentro le opere, dentro la narrazione e nel corso della storia, la storia immaginata come un presente profondo».
Informazioni utili
Lac - Lugano Arte e Cultura, piazza Bernardino Luini, 6 – Lugano (Svizzera). Orari: martedì – domenica, ore 10.00 – 18.00; giovedì aperto fino alle ore 20.00, lunedì chiuso. Ingresso: intero chf 15.-, ridotto chf 10.- (AVS/AI, over 65 anni, gruppi, studenti 17-25 anni), gratuito per per minori di 16 anni e ogni prima domenica del mese. Informazioni: tel. +41.(0)58.8664230 o info@masilugano.ch. Sito internet: www.masilugano.ch. Fino al 2 luglio 2017.
Nel lavoro di Craigie Horsfield, artista britannico che dagli anni Ottanta conduce una straordinaria indagine sulla natura stessa dell’immagine fotografica, ricorrono ritratti, nature morte, nonché momenti di vita quotidiana, riti e tradizioni popolari, temi e generi diversi rappresentati con tecniche innovative che tendono a stemperare i limiti fra le varie discipline artistiche. La fotografia costituisce, infatti, solo uno dei molteplici tasselli che si sovrappongono nella sua produzione artistica: a partire da un negativo, o da un fotogramma, l’artista produce opere di grande formato realizzate con tecniche sorprendenti e disparate come arazzi e affreschi.
La struttura narrativa della mostra si sviluppa in sezioni tematiche incentrate su opere emblematiche, sovente lavori monumentali come i maestosi arazzi dedicati alla scena apocalittica di Ground Zero o al Golfo di Napoli in un’ambigua visione notturna.
Lo straordinario percorso che ne scaturisce porta alla luce le relazioni che intercorrono fra eventi accaduti in luoghi e momenti apparentemente lontani, fra le persone che ne sono state partecipi e gli spettatori che ne fanno scoperta in mostra.
Per l’esposizione del Masi, l’artista ha realizzato, inoltre, una serie di ritratti inediti. Ciò che prevale in queste immagini è l’esplorazione dei processi attraverso i quali cerchiamo di comprenderci l’un l’altro e di esistere insieme. Al tempo stesso queste opere mostrano l’unicità delle persone che collaborano con l’artista e la loro singolare e unica esistenza nel presente, riconosciuta nell’attenzione dello spettatore, attraverso il raccoglimento, la sensibilità e l’empatia.
La rassegna presenta anche un’installazione sonora composta e mixata da Craigie Horsfield in collaborazione con Reinier Rietveld appositamente per lo spazio espositivo del Masi. Questo elemento sonoro, in dialogo con le altre opere e insieme a esse, contribuisce all’elaborazione di nuovi e specifici significati, documentando anche un profondo e mai abbandonato interesse dell’artista per la musica.
Il concetto di relazione –inteso sia come il legame tra individui sia come il narrare, il raccontare– è centrale nell’opera di Reinier Horsfield. Secondo l’artista un’opera d’arte si realizza pienamente solo grazie al ruolo attivo del pubblico: «Ciò che avviene qui è il riconoscimento di un passaggio di comprensione, di raccoglimento e di identificazione, l’impressione di dare tempo e profonda attenzione al mondo e agli altri, e a un presente profondo. […] A volte questi passaggi sono fluidi nelle loro interrelazioni, altre volte sono spigolosi e discordanti, e all’interno della struttura ci sono strati su strati di associazioni, citazioni e allusioni, dentro le opere, dentro la narrazione e nel corso della storia, la storia immaginata come un presente profondo».
Informazioni utili
Lac - Lugano Arte e Cultura, piazza Bernardino Luini, 6 – Lugano (Svizzera). Orari: martedì – domenica, ore 10.00 – 18.00; giovedì aperto fino alle ore 20.00, lunedì chiuso. Ingresso: intero chf 15.-, ridotto chf 10.- (AVS/AI, over 65 anni, gruppi, studenti 17-25 anni), gratuito per per minori di 16 anni e ogni prima domenica del mese. Informazioni: tel. +41.(0)58.8664230 o info@masilugano.ch. Sito internet: www.masilugano.ch. Fino al 2 luglio 2017.
venerdì 21 aprile 2017
Tutta l’opera di Franca Ghitti in un libro di Skira
È uscito da qualche mese in libreria il volume monografico che Skira editore dedica a Franca Ghitti (1932-2012), scultrice di fama internazionale le cui opere fanno parte di importanti collezioni pubbliche e private, tra cui la Galleria nazionale d’arte moderna di Roma e i Musei vaticani.
Il libro -che si avvale di un saggio introduttivo della curatrice Elena Pontiggia, docente all’Accademia di Belle arti di Brera- ripercorre l’intero percorso creativo dell’artista, dagli anni Cinquanta alla sua scomparsa.
L’avventura creativa di Franca Ghitti ha inizio in Valle Camonica, suo paese di nascita, al quale rimane significativamente legata durante il corso della sua vita; le opere dell’artista documentano, infatti, un ciclico ritorno alle origini e alla sua terra, che la sprona a continui studi, approfondimenti e ricerche.
Molto attenta alla scelta dei materiali, l’artista inizialmente predilige soprattutto quelli legati alla terra e al mondo del lavoro, fra cui vecchie assi di legno e avanzi di segheria. Successivamente opta anche per il ferro e i metalli, recuperati nelle antiche fucine della Valcamonica, come stampi, ritagli, tondini, chiodi, polvere di fusione, ma anche scarti di lavorazione delle industrie metalliche.
Il suo stile nel ricomporre restituisce ai materiali nuova energia e profondi significati. L’artista presenta, infatti, un linguaggio essenziale e concreto, legato alle linee, alle forme, alla geometria, che unisce in un armonico dialogo il presente al passato. Numerosi sono, infatti, i riferimenti alle incisioni rupestri e ai simboli primitivi delle tribù africane che si mescolano a espressioni moderne e contemporanee.
Ben tratteggia Elena Pontiggia, nel suo testo critico, questo modus operandi: «Quello di Franca Ghitti è un mondo complesso, un crogiolo di esperienze occidentali e primitive, di arte e architettura, di ripetizione e differenza. La sua scultura è sempre un disegno di mappe, una collezione di segni: non cerca il volume, il modellato, la massa, ma la superficie, la tavola, la pagina. La sua arte insegna la ricerca di alfabeti che non si trovano nei libri e di mondi che non coincidono con il nostro. Insegna che le mani sanno quello che la mente non capisce, mentre il linguaggio dei segni custodisce qualcosa che le parole non registrano».
I primi lavori in legno, realizzati negli anni Sessanta e intitolati «Mappe», sono tavole di legno con incisioni, ispirate alle incisioni rupestri a cui seguono altri cicli scultorei, sempre di matrice minimalista, a cui si aggiunge l’utilizzo di nuovi elementi, i chiodi, considerati dall’artista fondamentali per l’uso e la forma. Fra questi si ricordano «I Rituali», «Le Vicinie», «Le Storie dei morti», «I Reliquiari» che restituiscono la cultura contadina e in cui si allude alla tradizione, alle leggende, al dialetto, ai canti, ai proverbi.
Negli anni Settanta, l’esperienza africana e il suo trasferimento per alcuni anni in queste terre, conducono l’artista ad inserire nel suo linguaggio nuovi simboli, nuovi colori, nuovi materiali fra cui il cemento e il vetro.
In un continuo divenire, i lavori di Franca Ghitti assumono negli anni successivi dimensioni e forme diverse sempre intrinsecamente legate al suo vissuto, come la verticalità, ispirata dalla visione dei grattacieli di Montreal e dai boschi del Labrador, che caratterizza le opere «Cancelli», «Libri Chiusi», «Alberi». Il ritmo verticale tuttavia è spesso contrastato da un’energia orizzontale, resa dall’accostamento seriale di tessere e liste di legno, come se la materia fosse tessuta o intrecciata. In una poetica costantemente attenta al rapporto con lo spazio, alla fine degli anni Ottanta si inserisce l’interesse per la forma circolare, «Ciclo dei Tondi», dove il cerchio più o meno regolare evoca il concetto di ripetitività.
Anche nelle installazioni, «Meridiane», sono presenti temi legati al tempo e allo spazio, ma aprono contemporaneamente nuovi orizzonti con esplicite riflessioni sulla città, sull’architettura e sul linguaggio; in «Alfabeti perduti» e «Altri Alfabeti», realizzati alla fine degli anni Novanta, l’artista riscopre linguaggi dimenticati, di culture passate.
La sua ricerca artistica prosegue con continui approfondimenti, che contengono la memoria di vissuti comunitari connessi a epoche e luoghi differenti connessi alla contemporaneità.
Franca Ghitti, infatti, affermava: «non credo nell’improvvisazione. Un’opera è il risultato di una lunga meditazione, di un processo di conoscenza che dura tutta la vita».
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Copertina del volume pubblicato da Skira; [fig. 2]Franca Ghitti all’OK Harris Gallery di New York nel 2008, con l'opera Valigia. ©Fabio Cattabiani; [fig. 3] Franca Ghitti, Libro fasciato, 2010 - Collezione Contemporanea Musei Vaticani. Carta bianca trattata, garza, chiodi, cm 49x30x25. ©Fabio Cattabiani
Informazioni utili
Elena Pontiggia (a cura e con saggio introduttivo), Franca Ghitti, Skira editore, Milano 2016 . Note utili: edizione bilingue (italiano-inglese) | 24 x 28 cm | 128 pagine | 110 colori e b/n | cartonato. ISBN 978-88-572-3411-3. Costo: € 28,00.
Il libro -che si avvale di un saggio introduttivo della curatrice Elena Pontiggia, docente all’Accademia di Belle arti di Brera- ripercorre l’intero percorso creativo dell’artista, dagli anni Cinquanta alla sua scomparsa.
L’avventura creativa di Franca Ghitti ha inizio in Valle Camonica, suo paese di nascita, al quale rimane significativamente legata durante il corso della sua vita; le opere dell’artista documentano, infatti, un ciclico ritorno alle origini e alla sua terra, che la sprona a continui studi, approfondimenti e ricerche.
Molto attenta alla scelta dei materiali, l’artista inizialmente predilige soprattutto quelli legati alla terra e al mondo del lavoro, fra cui vecchie assi di legno e avanzi di segheria. Successivamente opta anche per il ferro e i metalli, recuperati nelle antiche fucine della Valcamonica, come stampi, ritagli, tondini, chiodi, polvere di fusione, ma anche scarti di lavorazione delle industrie metalliche.
Il suo stile nel ricomporre restituisce ai materiali nuova energia e profondi significati. L’artista presenta, infatti, un linguaggio essenziale e concreto, legato alle linee, alle forme, alla geometria, che unisce in un armonico dialogo il presente al passato. Numerosi sono, infatti, i riferimenti alle incisioni rupestri e ai simboli primitivi delle tribù africane che si mescolano a espressioni moderne e contemporanee.
Ben tratteggia Elena Pontiggia, nel suo testo critico, questo modus operandi: «Quello di Franca Ghitti è un mondo complesso, un crogiolo di esperienze occidentali e primitive, di arte e architettura, di ripetizione e differenza. La sua scultura è sempre un disegno di mappe, una collezione di segni: non cerca il volume, il modellato, la massa, ma la superficie, la tavola, la pagina. La sua arte insegna la ricerca di alfabeti che non si trovano nei libri e di mondi che non coincidono con il nostro. Insegna che le mani sanno quello che la mente non capisce, mentre il linguaggio dei segni custodisce qualcosa che le parole non registrano».
I primi lavori in legno, realizzati negli anni Sessanta e intitolati «Mappe», sono tavole di legno con incisioni, ispirate alle incisioni rupestri a cui seguono altri cicli scultorei, sempre di matrice minimalista, a cui si aggiunge l’utilizzo di nuovi elementi, i chiodi, considerati dall’artista fondamentali per l’uso e la forma. Fra questi si ricordano «I Rituali», «Le Vicinie», «Le Storie dei morti», «I Reliquiari» che restituiscono la cultura contadina e in cui si allude alla tradizione, alle leggende, al dialetto, ai canti, ai proverbi.
Negli anni Settanta, l’esperienza africana e il suo trasferimento per alcuni anni in queste terre, conducono l’artista ad inserire nel suo linguaggio nuovi simboli, nuovi colori, nuovi materiali fra cui il cemento e il vetro.
In un continuo divenire, i lavori di Franca Ghitti assumono negli anni successivi dimensioni e forme diverse sempre intrinsecamente legate al suo vissuto, come la verticalità, ispirata dalla visione dei grattacieli di Montreal e dai boschi del Labrador, che caratterizza le opere «Cancelli», «Libri Chiusi», «Alberi». Il ritmo verticale tuttavia è spesso contrastato da un’energia orizzontale, resa dall’accostamento seriale di tessere e liste di legno, come se la materia fosse tessuta o intrecciata. In una poetica costantemente attenta al rapporto con lo spazio, alla fine degli anni Ottanta si inserisce l’interesse per la forma circolare, «Ciclo dei Tondi», dove il cerchio più o meno regolare evoca il concetto di ripetitività.
Anche nelle installazioni, «Meridiane», sono presenti temi legati al tempo e allo spazio, ma aprono contemporaneamente nuovi orizzonti con esplicite riflessioni sulla città, sull’architettura e sul linguaggio; in «Alfabeti perduti» e «Altri Alfabeti», realizzati alla fine degli anni Novanta, l’artista riscopre linguaggi dimenticati, di culture passate.
La sua ricerca artistica prosegue con continui approfondimenti, che contengono la memoria di vissuti comunitari connessi a epoche e luoghi differenti connessi alla contemporaneità.
Franca Ghitti, infatti, affermava: «non credo nell’improvvisazione. Un’opera è il risultato di una lunga meditazione, di un processo di conoscenza che dura tutta la vita».
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Copertina del volume pubblicato da Skira; [fig. 2]Franca Ghitti all’OK Harris Gallery di New York nel 2008, con l'opera Valigia. ©Fabio Cattabiani; [fig. 3] Franca Ghitti, Libro fasciato, 2010 - Collezione Contemporanea Musei Vaticani. Carta bianca trattata, garza, chiodi, cm 49x30x25. ©Fabio Cattabiani
Informazioni utili
Elena Pontiggia (a cura e con saggio introduttivo), Franca Ghitti, Skira editore, Milano 2016 . Note utili: edizione bilingue (italiano-inglese) | 24 x 28 cm | 128 pagine | 110 colori e b/n | cartonato. ISBN 978-88-572-3411-3. Costo: € 28,00.
giovedì 20 aprile 2017
«Dal futurismo al ritorno all’ordine», dieci anni di arte italiana in mostra a Torino
È il febbraio del 1910 quando i pittori Umberto Boccioni, Carlo Carrà, Giacomo Balla, Gino Severini e Luigi Russolo si riuniscono a Milano per firmare il «Manifesto dei pittori futuristi». È l’inizio di un periodo importante per l’arte italiana che, grazie a un gruppo di giovani ribelli nei confronti della tradizione e dei linguaggi dell’Accademia, si apre alla modernità. A ripercorrere questa storia è, fino al prossimo 18 giugno, la mostra «Dal futurismo al ritorno all’ordine», allestita per la curatela di Nicoletta Carbone e dello Studio Berman di Giuliana Godio al Museo Accorsi – Ometto di Torino. Settantadue opere provenienti da rinomati musei e archivi storici italiani ed europei, come il Mart di Rovereto e la Fondazione VAF-Stiftung di Francoforte sul Meno, ripercorrono la nostra storia pittorica dal 1910 al 1920, un «decennio cruciale» nel quale la ribellione futurista cede il passo al «ritorno al candore» del periodo simbolista, fino ad approdare alla riconquista della tradizione mediterranea anche attraverso linguaggi metafisici o richiami a una «moderna classicità».
Ad aprire il percorso espositivo sono opere del Futurismo storico. Umberto Boccioni, Luigi Russolo, Gino Severini, Carlo Carrà e Fortunato Depero sono, insieme con il teorico Filippo Tommaso Marinetti, i protagonisti indiscussi di questa prima parte della rassegna, nella quale trovano spazio anche indipendenti come Mario Sironi, Achille Funi, Antonio Sant’Elia, Adriana Bisi Fabbri e Gerardo Dottori.
Tra i pezzi esposti che permettono di comprendere appieno l’innovazione data dal linguaggio futurista all’arte vi è l’opera l’«Antigrazioso» (1912-1913) di Umberto Boccioni, straordinario ritratto della madre che nel titolo cita un’indicazione di Marinetti a proposito della necessità di un’arte non accattivante, ma, anzi, deformatrice nel proprio dinamismo. «Antigraziosa» è anche la «Danzatrice» (1916) di Enrico Prampolini, una ballerina che sembra applicare fedelmente il Manifesto della danza futurista, nel quale si esaltava il ballo «disarmonico» e «sgarbato».
Paroliberismo e forme destrutturate caratterizzano questa sezione, nella quale trovano posto i rossi bagliori di «Chioma. I capelli di Tina» di Luigi Russolo, il travolgente «Paesaggio guerresco» di Fortunato Depero e la natura morta «Lacerba e bottiglia» (1914) di Carlo Carrà. La sezione futurista include anche la presenza di due fuoriusciti quali Romolo Romani, precursore delle tendenze astrattive, in mostra con le opere «Ritratto di Giosuè Carducci» (1906) e «Ritratto d’uomo» (1908)e Aroldo Bonzagni, testimone di un espressionismo di intonazione sociale, qui rappresentato dallo storico dipinto «Il tram di Monza» (1916).
La seconda sezione si articola in tre segmenti: simbolismi, secessionismi e primitivismi. Le opere di Alberto Martini e Lorenzo Viani dialogano con lavori di Felice Casorati, Tullio Garbari, Umberto Moggioli, Galileo Chini, Cipriano Efisio Oppo e molti altri.
Gigiotti Zanini, Pompeo Borra, Alberto Salietti rappresentano, invece, quella volontà di guardare al passato tipica del primitivismo, tendenza volta al recupero del primordio inteso come azzeramento delle stratificazioni culturali per ritrovare la semplicità e il candore di espressioni popolari, ingenue, ispirate anche ai trecentisti e quattrocentisti italiani, Giotto e Paolo Uccello innanzi a tutti.
A chiudere il percorso espositivo è la stagione del cosiddetto «Ritorno all’ordine», fenomeno di portata europea che, subito dopo la Grande guerra (1914-1918), traccia un recupero delle forme. È la stagione della Metafisica, illustrata in mostra da opere di Giorgio de Chirico («Composizione con biscotti e mostrine», 1916), Carlo Carrà («Le due sorelle», 1917), Filippo de Pisis («Natura morta», 1920), accostate a saggi della metafisica eterodossa, rappresentata da Mario Sironi e Achille Funi, per approdare alla poetica della corrente Valori Plastici, che dal 1918 diffonde il principio della supremazia culturale e artistica italiana.
In questo settore della mostra si intersecano differenti linguaggi, caratterizzati dai principi di sintesi, costruzione e plasticità. Ecco così due limpide nature morte di Ardengo Soffici come «Mele e calice di vino» (1919) e «Pera e bicchiere di vino» (1920) dialogare con la potenza e la solidità delle forme di «Macchina e tram» (1919) di Mario Sironi o con le «Donne alla fonte» di Rosai.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Umberto Boccioni, Antigrazioso, 1912-13. Olio su tela, cm 80 x 80. Fondazione FC per l’Arte; [fig. 2] Giacomo Balla, Figure + Paesaggio, 1914. Collage, cm 32x22. Collezione privata; [fig. 3] Giorgio Morandi, Natura morta con bottiglia e brocca, 1915. Incisione, cm 15,4x12,5. Collezione privata
Informazioni utili
«Dal futurismo al ritorno all’ordine». Museo di arti decorative Accorsi – Ometto, via Po, 55 – Torino. Orari: da martedì a venerdì, ore 10.00 – 13.00 e ore 14.00 – 18.00; sabato, domenica e festivi, ore 10.00– 13.00 e ore 14.00– 19.00; lunedì chiuso. Ingresso: intero € 8,00, ridotto € 6,00 (studenti fino a 26 anni, over 65, convenzioni). Catalogo: Silvana editoriale, Cinisello Balsamo (Milano). Informazioni: tel. 011.837.688 int. 3 o info@fondazioneaccorsi-ometto.it. Sito internet: www.fondazioneaccorsi-ometto.it . Fino al 18 giugno 2017
Ad aprire il percorso espositivo sono opere del Futurismo storico. Umberto Boccioni, Luigi Russolo, Gino Severini, Carlo Carrà e Fortunato Depero sono, insieme con il teorico Filippo Tommaso Marinetti, i protagonisti indiscussi di questa prima parte della rassegna, nella quale trovano spazio anche indipendenti come Mario Sironi, Achille Funi, Antonio Sant’Elia, Adriana Bisi Fabbri e Gerardo Dottori.
Tra i pezzi esposti che permettono di comprendere appieno l’innovazione data dal linguaggio futurista all’arte vi è l’opera l’«Antigrazioso» (1912-1913) di Umberto Boccioni, straordinario ritratto della madre che nel titolo cita un’indicazione di Marinetti a proposito della necessità di un’arte non accattivante, ma, anzi, deformatrice nel proprio dinamismo. «Antigraziosa» è anche la «Danzatrice» (1916) di Enrico Prampolini, una ballerina che sembra applicare fedelmente il Manifesto della danza futurista, nel quale si esaltava il ballo «disarmonico» e «sgarbato».
Paroliberismo e forme destrutturate caratterizzano questa sezione, nella quale trovano posto i rossi bagliori di «Chioma. I capelli di Tina» di Luigi Russolo, il travolgente «Paesaggio guerresco» di Fortunato Depero e la natura morta «Lacerba e bottiglia» (1914) di Carlo Carrà. La sezione futurista include anche la presenza di due fuoriusciti quali Romolo Romani, precursore delle tendenze astrattive, in mostra con le opere «Ritratto di Giosuè Carducci» (1906) e «Ritratto d’uomo» (1908)e Aroldo Bonzagni, testimone di un espressionismo di intonazione sociale, qui rappresentato dallo storico dipinto «Il tram di Monza» (1916).
La seconda sezione si articola in tre segmenti: simbolismi, secessionismi e primitivismi. Le opere di Alberto Martini e Lorenzo Viani dialogano con lavori di Felice Casorati, Tullio Garbari, Umberto Moggioli, Galileo Chini, Cipriano Efisio Oppo e molti altri.
Gigiotti Zanini, Pompeo Borra, Alberto Salietti rappresentano, invece, quella volontà di guardare al passato tipica del primitivismo, tendenza volta al recupero del primordio inteso come azzeramento delle stratificazioni culturali per ritrovare la semplicità e il candore di espressioni popolari, ingenue, ispirate anche ai trecentisti e quattrocentisti italiani, Giotto e Paolo Uccello innanzi a tutti.
A chiudere il percorso espositivo è la stagione del cosiddetto «Ritorno all’ordine», fenomeno di portata europea che, subito dopo la Grande guerra (1914-1918), traccia un recupero delle forme. È la stagione della Metafisica, illustrata in mostra da opere di Giorgio de Chirico («Composizione con biscotti e mostrine», 1916), Carlo Carrà («Le due sorelle», 1917), Filippo de Pisis («Natura morta», 1920), accostate a saggi della metafisica eterodossa, rappresentata da Mario Sironi e Achille Funi, per approdare alla poetica della corrente Valori Plastici, che dal 1918 diffonde il principio della supremazia culturale e artistica italiana.
In questo settore della mostra si intersecano differenti linguaggi, caratterizzati dai principi di sintesi, costruzione e plasticità. Ecco così due limpide nature morte di Ardengo Soffici come «Mele e calice di vino» (1919) e «Pera e bicchiere di vino» (1920) dialogare con la potenza e la solidità delle forme di «Macchina e tram» (1919) di Mario Sironi o con le «Donne alla fonte» di Rosai.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Umberto Boccioni, Antigrazioso, 1912-13. Olio su tela, cm 80 x 80. Fondazione FC per l’Arte; [fig. 2] Giacomo Balla, Figure + Paesaggio, 1914. Collage, cm 32x22. Collezione privata; [fig. 3] Giorgio Morandi, Natura morta con bottiglia e brocca, 1915. Incisione, cm 15,4x12,5. Collezione privata
Informazioni utili
«Dal futurismo al ritorno all’ordine». Museo di arti decorative Accorsi – Ometto, via Po, 55 – Torino. Orari: da martedì a venerdì, ore 10.00 – 13.00 e ore 14.00 – 18.00; sabato, domenica e festivi, ore 10.00– 13.00 e ore 14.00– 19.00; lunedì chiuso. Ingresso: intero € 8,00, ridotto € 6,00 (studenti fino a 26 anni, over 65, convenzioni). Catalogo: Silvana editoriale, Cinisello Balsamo (Milano). Informazioni: tel. 011.837.688 int. 3 o info@fondazioneaccorsi-ometto.it. Sito internet: www.fondazioneaccorsi-ometto.it . Fino al 18 giugno 2017
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