ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

lunedì 21 gennaio 2008

La Guggenheim a Venezia? Un evento che dura da sessant'anni

Tempo di bilanci e di progetti per il futuro alla collezione Peggy Guggenheim di Venezia.
Sono di questi giorni i dati di affluenza dei visitatori per l’anno 2007. Dati che fanno registrare un nuovo record per il piccolo e affascinante spazio espositivo sul Canal Grande, i cui cancelli sono stati varcati da 378.613 persone. «Nei 314 giorni di apertura, la media giornaliera» – spiegano dal museo lagunare - «è stata di 1.206 presenze: i gruppi sono stati ben 855, di cui 647 provenienti da scuole italiane e straniere, per un totale di 25.201 visitatori. A queste presenze» – raccontano ancora dalla Guggenheim - «si sommano gli oltre 8.395 studenti che hanno partecipato ai programmi didattici del museo, oltre 500 insegnanti e le circa 9.000 persone che hanno visitato la collezione in occasione di inaugurazioni, eventi istituzionali, eventi e visite speciali che nel 2007 hanno raggiunto quota 68».
Forte di questi dati, la collezione lagunare guarda al futuro. Nel 2008, una serie di eventi - da mostre temporanee a conferenze e dibattiti, da laboratori didattici a visite guidate gratuite e proiezioni di film in giardino - ripercorreranno i momenti che hanno segnato la vita della mitica Peggy Guggenheim, dal suo arrivo a Venezia, sessant’anni fa, attraverso la storia delle opere della sua collezione, dei suoi amici artisti, del suo talento e del suo amore per l’arte.
Era il 1948 quando Rodolfo Pallucchini, allora Segretario generale della Biennale, invitava l’eccentrica collezionista americana a esporre la propria, già leggendaria, collezione al Padiglione della Grecia, Paese all’epoca impegnato nella guerra civile. Arrivarono così in Italia, per la prima volta, grandi rappresentanti dell’espressionismo astratto americano, artisti quali Jackson Pollock, Arshile Gorky e Mark Rothko. Appena un anno più tardi Peggy Guggenheim acquistava il settecentesco palazzo Venier dei Leoni, prezioso scrigno sul Canal Grande che da allora custodisce la sua collezione, la più importante in Italia per l’arte europea e americana della prima metà del Novecento.
Durante i trent’anni trascorsi a Venezia, Peggy Guggenheim continuò instancabilmente a collezionare opere d’arte e ad appoggiare artisti internazionali e locali, come Edmondo Bacci e Tancredi Parmeggiani. Nel 1969 Peggy decise di donare il palazzo e le opere d’arte alla Fondazione Solomon R. Guggenheim, creata nel 1937 dallo zio Solomon per amministrare la propria collezione e il museo a New York, lasciando così ai posteri una straordinaria collezione che vanta capolavori di indiscussi di maestri del calibro di Pablo Picasso, Salvador Dalì, Max Ernst, Piet Mondrian, Kasimir Malevich, Marc Chagall, Giorgio de Chirico e Marcel Duchamp.
Per ripercorre la “geografia” di Peggy Guggenheim e per approfondire l’importanza dei suoi legami con le avanguardie americane e la sua influenza all’interno del panorama artistico veneziano degli anni ‘40 e ’50, la collezione lagunare sta organizzando due rassegne temporanee.
Si inizia questa estate con l’attesa mostra Coming of Age: American Art, 1850s to 1950s (28 giugno–12 ottobre), che allinea oltre settanta dipinti e sculture, perfetto documento dei complessi e contraddittori impulsi che nell’arco di un secolo hanno spinto gli artisti d’oltreoceano verso la ricerca di un linguaggio pittorico propriamente americano. «Partendo dai dipinti della Hudson River School, si passa» – spiegano dalla collezione Guggenheim - «alle opere dell’Impressionismo americano, al realismo di Homer e Eakins, alla Ash Can School, per arrivare al primo modernismo americano con gli artisti della galleria 291 di Alfred Stieglitz (O’Keeffe, Marin e Dove), a Hopper e Davis, all’astrattismo geometrico e infine all’espressionismo astratto di Pollock, Baziotes e Gottlieb, tutti artisti che, attraverso una rottura definitiva con le tradizioni, hanno portato l’arte americana al centro della scena internazionale».
L’autunno porta, invece, sul Canal Grande la mostra Carlo Cardazzo. Una nuova visione dell’arte (1° novembre–9 febbraio 2009), curata da Luca Massimo Barbero, che ruota attorno all’eclettica personalità del mecenate, collezionista, editore e gallerista veneziano, e ne mette in evidenza la molteplicità degli interessi e la straordinaria attualità del modo di intendere e promuovere l’arte attraverso innovative strategie culturali. Documenti, oggetti, pubblicazioni e alcuni iconici capolavori forniscono una panoramica storico-artistica su questo grande protagonista del Novecento, creando un vero e proprio percorso in grado di narrare al visitatore la vita stessa degli artisti e con essa la loro avventura d’avanguardia.

Didascalie delle immagini
(fig. 1, 2, 3) Vedute esterne della Fondazione Peggy Guggenheim di Venezia

Informazioni utili
Collezione Peggy Guggenheim - Palazzo Venier dei Leoni, Dorsoduro 701 - Venezia. Orari: 10.00-18.00; chiuso il martedì. Ingresso: intero € 10.00; ridotto € 8.00; studenti € 5.00; gratuito 0-10 anni. Informazioni: tel. 041.2405411, fax 041.5206885, e-mail: info@guggenheim-venice.it. Sito web: www.guggenheim-venice.it.

Vedi anche

venerdì 18 gennaio 2008

«Why», la normalità del quotidiano a passo di danza

Un coinvolgente inno all’ottimismo e alla gioia di vivere, dal ritmo adrenalinico e dall’energia contagiosa: ecco WHY…be extraordinary when you can be yourself?, apprezzato spettacolo del coreografo californiano Daniel Ezralow (già leader dei Momix), che mercoledì 23 gennaio (ore 20.30) fa tappa in Svizzera, al Palazzo dei Congressi di Lugano, nell’ambito della stagione cittadina Danza che ti passa.
Sul palco una compagnia di dieci danzatori: sette ballerini, con alle spalle successi a Broadway e con il Cinque du Soleil, e tre giovani talenti affermatisi con il reality show Amici di Maria De Filippi: Santo Giuliano, Roberta Miolla e Jessica Villotta.
«Perché essere straordinario quando puoi essere te stesso?», recita il sottotitolo dello spettacolo, un vero e proprio «real people dance», una danza che vuole celebrare la magia della normalità e del quotidiano.
Daniel Ezralow, una delle menti più geniali della danza contemporanea, ironizza, infatti, sulla moderna ossessione di voler apparire a ogni costo. Mette gustosamente in ridicolo il modo in cui troppi si affannano a inseguire ricchezza, bellezza e popolarità secondo gli stereotipi proposti da certi media e dalla moltitudine dei reality show.
L’idea è quella di evidenziare il comico contrasto tra le «vite clonate» di chi insegue ciecamente dei modelli preconfezionati di successo, e le «vite normali» di chi invece sceglie semplicemente di essere se stesso. Lo spettacolo alterna momenti di giocosa ironia a momenti di poesia, numeri di esilarante comicità ad altri che sono un’esplosione contagiosa di incontenibile gioia. Ad assecondare il tutto un appassionante mix musicale che spazia dai Beatles agli U2, da Ludovico Einaudi a Lesley Gore e David Lang.
Why rappresenta un momento di maturazione per Daniel Ezralow, diventato icona dell’ottimismo e sex-symbol pieno di energia e vitalità. Formatosi alla scuola acrobatica di Paul Taylor e di Lar Lubotitch, Ezralow si è imposto dapprima come ballerino di punta dei Momix sotto la guida di Pandleton. Ha quindi fondato una propria compagnia, quella degli Iso, sigla dello slogan che da sempre ispira la sua attività: «I am So Optimist». È poi approdato al musical (Tosca di Lucio Dalla), al mondo della moda, e musicale (video per U2, Bowie, Bocelli) e del cinema (film con Bellocchio, Wertmüller, Gassman), fino a concepire spettacoli di successo come White Man Sleep con la star Alessandra Ferri e Aeros con i ginnasti rumeni.
La rassegna luganese Danza che ti passa prevede altri due appuntamenti: Tiger Dancing (martedì 22 aprile, ore 20.30) con la compagnia del danzatore nigeriano Henri Oguike, e Fast Food (domenica 27 aprile, ore 20.30), con gli olandesi Introdans.
Dopo Lugano, lo show di Daniel Ezralow toccherà, invece, le piazze italiane di Gorizia, Vicenza, Varese, Carpi, Bari, Roma. L’intero calendario della tournée è reperibile sul sito: www.danielezralow.it/it/why/tournee.

Didascalie delle immagini
(fig. 1 e fig. 2) Scena dello spettacolo WHY…be extraordinary when you can be yourself? di Daniel Ezralow; (fig. 3) ritratto di Daniel Ezralow
[Le immagini sono state fornite da Sabina Bardelle, ufficio stampa del Dicastero culturale di Lugano]

Informazioni utili
Why... be extraordinary when you can be yourself?. Palazzo dei Congressi, piazza Indipendenza 4 - Lugano. Orari: mercoledì 23 gennaio 2008, ore 20.30. Biglietti: intero fr. 40.- / 30.- / 23.-, ridotto fr. 22.- / 16.- / 13.-. Informazioni: tel. +41(0)58.8667280. Sito web: www.luganoinscena.ch.

Curiosando nel Web

giovedì 17 gennaio 2008

«Arteingenua 2008», un palcoscenico per artisti under 40

«Un nuovo contenitore d’arte, un modo nuovo di mecenatismo, spinto dalla voglia di scoprire, aiutare, capire, valorizzare le complesse e intrecciate forme artistiche che oggi, più che mai, testimoniano le forze racchiuse in una ritrovata purezza creativa, in una necessaria spontaneità del fare arte, in una sempre nuova germinazione di linguaggi pittorici, plastici, multimediali e performativi»: con queste parole Ferdinando Magnino presenta Arteingenua, progetto nato a Brescia nel 2007 con l’intento di valorizzare e promuovere giovani artisti.
Dopo i Notturni dannunziani, che lo scorso settembre hanno animato il Vittoriale degli italiani, e l’evento Arteingenua start, tenutosi in novembre a Milano e a Roma, la società lombarda lancia la prima edizione del Premio Arteingenua 2008: Impatto_arte luogo + relazioni, concorso rivolto a pittori, scultori e fotografi, di qualunque nazionalità e di età compresa tra i 20 e i 40 anni (nati, cioè, tra l’1° gennaio 1968 e il 31 dicembre 1988), che abbiano partecipato almeno a una mostra d’arte personale e/o collettiva.
Unico per ammontare, a livello privato, anche in ambito internazionale, è il montepremi dell’open call: al primo classificato andranno 30.000,00 euro; al secondo 7.000,00 e al terzo 3.000,00, per un totale di 40.000,00 euro stabiliti con l’obiettivo di aiutare i giovani a crescere artisticamente e stimolare lo sviluppo nel loro settore.
Il tema del concorso, le cui iscrizioni sono aperte fino a giovedì 28 febbraio, si sviluppa intorno ai concetti di luogo, relazioni e impatto e a un’altra sessantina di termini ad essi correlati come accaduto, altrove, vivere, istante, ovunque, choc, forma, linea, cerchio, inventare, utopia, non luogo, amare, comunicare e sentire.
Ogni artista potrà partecipare con una o due opere di pittura, scultura e fotografia, inedite o realizzate negli ultimi dodici mesi e mai esposte, che abbiano dimensioni massime fra i 200 x 200 centimetri per i lavori dimensionali e 200 x 150 x 150 per quelli tridimensionali.
Tra le opere pervenute, la giuria composta da personalità di alto profilo selezionate nelle realtà della critica, del giornalismo d’arte, del collezionismo, del design, dalla moda e dei new media (tra di questi si segnalano le presenze di Livia Savorelli, Vanja Strukelj e Giuliano Simonelli) selezionerà una short list di quaranta autori, cui verrà dedicato un evento espositivo sul territorio italiano, corredato da un ampio catalogo.
Per maggiori informazioni è possibile collegarsi al sito Internet riservato al concorso (www.arteingenua.it) e scaricare regolamento e schede di adesione.

Didascalie delle immagini
(fig. 1) Logo di Arteingenua;

Informazioni utili
Premio Arteingenua 2008
. Ente banditore: Arteingenua - Brescia. Quota di partecipazione: nessuna. Informazioni: Arteingenua spa, viaCorfù, 106 - 25124 Brescia, tel. 030.2422111, e-mail: galleria@ghiggini.it, Sito web: www.arteingenua.it. Data di consegna: 28 febbraio 2008.

mercoledì 16 gennaio 2008

Dal ‘200 a oggi: sette secoli di pittura tra arte e religione

«L'opera d'arte è caratterizzata dal fatto che ha un senso, ma non uno scopo (...) Non propone nulla ma significa, non vuole ma è. E' creata per essere e rivelare». Così Romano Guardini, figura di spicco della storia culturale europea del ‘900, parlava della dimensione sacrale dell'arte e definiva pittori, scultori e architetti «intermediari» tra l'umanità e l'Assoluto per quella capacità che è a loro propria di tradurre il mistero della vita e la bellezza del Creato nel linguaggio delle forme e delle figure. Basta sfogliare un qualsiasi catalogo di aforismi sull'arte per rendersi conto che al tema del fare artistico come «eco» della creazione divina e medium per avvicinarsi alla comprensione della sfera ultraterrena è dedicata un'ampia letteratura. Lo scrittore tedesco Johann Wolfgang von Goethe definì, per esempio, l'arte «mediatrice dell'ineffabile». Mentre Pablo Picasso scrisse che la pittura era «qualcosa di benedetto (…) perché sfiorata da Dio» e Franz Marc parlò di colori e pennelli come di «un ponte che conduce alla vita spirituale».
Al rapporto tra arte e religione non poteva non rivolgere la propria attenzione anche papa Giovanni Paolo II che, nella lunga Lettera agli artisti della Pasqua del 1999, dichiarò che l'uomo nel dipingere e nel plasmare la materia è «immagine del Creatore». «Nessuno meglio di voi artisti, geniali costruttori di bellezza – si legge in apertura della missiva – può intuire qualcosa del pathos con cui Dio all'alba della creazione, guardò all'opera delle sue mani. Una vibrazione di quel sentimento si è infinite volte riflessa negli sguardi con cui voi, come gli artisti di ogni tempo, avvinti dallo stupore per il potere arcano dei suoni e delle parole, dei colori e delle forme, avete ammirato l'opera del vostro estro, avvertendovi quasi l'eco di quel mistero della creazione a cui Dio, solo creatore di tutte le cose, ha voluto in qualche modo associarvi».
La lettera del pontefice – che prosegue descrivendo l'artista come un uomo votato al servizio della bellezza, «espressione visibile del bene» e della verità – è la seconda tappa di un cammino di riconciliazione della Chiesa e del mondo delle arti figurative, il secondo momento di un invito a riannodare i fili di un'amicizia di lunga data che si era bruscamente interrotta nel Settecento, quando gli illuministi criticarono la religione, associandola alla superstizione e al fanatismo, e l'arte si rivolse a soggetti legati alla quotidianità e alla storia. Ad aprire la strada di una nuova comunione tra arte e Chiesa fu papa Paolo VI nell'ormai storica udienza del 7 maggio 1964, in cui definì il lavoro dell'artista un «ministero parasacerdotale» e parlò della capacità di pittura, scultura e architettura di rendere i misteri di Dio «presenti e accessibili».
Sin dalle sue origini, databili tra il II e il IV secolo d.C., l'arte cristiana ha, infatti, avuto la finalità di fornire un'illustrazione catechetica e didascalica degli episodi dell'Antico e del Nuovo Testamento, per educare alla fede una popolazione per lo più analfabeta, tanto è vero che la pittura catacombale, così come l'arte musiva delle prime basiliche cristiane (che si iniziarono a costruire in seguito alla promulgazione dell'editto di Costantino del 313 d.C.) e tutta la produzione medioevale con Cristo rappresentato come «Salvator mundi» e come «Imago pietatis» ebbero la funzione di una vera e propria «Bibbia dei poveri».
E' con Giotto, che Giorgio Vasari definì il «padre della pittura», che l'arte religiosa prende un nuovo indirizzo. L'allievo di Cimabue si lascia alle spalle la modalità di figurazione che aveva caratterizzato gran parte dei secoli precedenti, con la sua «prospettiva gerarchica» che disponeva le figure in base alla loro importanza e con i suoi radiosi sfondi dorati che volevano essere simbolo della magnificenza e della superiorità del Divino, per introdurre una forma di realismo che colloca sullo stesso piano uomo e paesaggio: nel Compianto sul Cristo morto (1304-1306 ca.) della Cappella degli Scrovegni di Padova e negli affreschi assisiati sulla vita di san Francesco, le figure non sono più stereotipi, secondo la formula tradizionale, ma soggetti connotati individualmente, uomini e donne veri con il proprio carico di dolore e di malinconia, di stupore e di partecipazione alla vita.
Superando la tradizione figurativa bidimensionale del suo tempo, il Medioevo, Giotto abbozza anche un primo tentativo di introduzione della prospettiva geometrica nella pittura, iniziando così gli studi sulla raffigurazione della terza dimensione, che - passando attraverso le ricerche «architetturali» dalla tematica sacra di Duccio di Boninsegna, Simone Martini e Pietro e Ambrogio Lorenzetti - avrebbero trovato nel 1428 la loro massima realizzazione in una delle opere-simbolo del Rinascimento, l'affresco de La Trinità (1428 ca.) del Masaccio alla chiesa di Santa Maria Novella di Firenze, e avrebbero portato, una trentina di anni dopo, all'audace disposizione spaziale della Flagellazione di Cristo (1460 ca.) di Piero della Francesca, in cui il motivo principale dell'opera è spostato sullo sfondo.
L'arte umanistica, che segna il passaggio dalla concezione teocentrica a quella antropocentrica, è, inoltre, caratterizzata da una sempre maggiore umanizzazione nella raffigurazione dei personaggi del Vecchio e del Nuovo Testamento. Ecco così opere come Cristo alla colonna (1475 ca.) di Antonella da Messina, in cui la sofferenza del figlio di Dio è sottolineata dalle lacrime e dalle gocce di sangue, o come Il Cristo morto di Andrea Mantegna, oggi conservato alla Pinacoteca di Brera, o, ancora, come l'olio La Madonna del prato (1505 ca.) di Giovanni Bellini, oggi alla National Gallery di Londra, che raffigura Maria come una comunissima madre immersa in un paesaggio di estrema realtà e di assoluto lirismo, imponendo così allo spettatore una toccante intimità fisica con il mistero della maternità.
Gradualmente i temi sacri vengono a fondersi con quelli profani, per arrivare alle estremizzazioni del Veronese. L'abbondanza, la gioia dei sensi e la felicità apparentemente sfrenata che trapelano dalle sue opere, così come la tendenza a rappresentare scene bibliche alla stregua di feste di patrizi veneziani (un modo di dipingere bel visibile nella tela Nozze di Cana del 1562-63), costringono l'artista veneto a presentarsi davanti a un tribunale ecclesiastico a causa della sua rappresentazione dell'Ultima cena (1573). Sono gli anni immediatamente successivi al Concilio di Trento (1536). Anni, in cui vengono dettate regole severe riguardo all'immagine sacra, che deve essere «corretta sotto il profilo dottrinale» e dal punto di vista delle convenienze sociali, «né provocante, né lasciva». Nei decenni successivi, un ruolo determinante nello stabilire un nuovo rapporto tra pittura e trascendenza lo ebbe Caravaggio. Egli osò, come nessuno prima di lui nella pittura ad olio su tela, una sacralizzazione del quotidiano che gioca con sapienza sull'opposizione, o piuttosto sul paradosso, tra un realismo inedito nelle scene religiose e un trattamento della luce che fa apparire la sua origine soprannaturale, di cui eccellente testimonianza sono le tele Incredulità di San Tommaso (1601-1602) e La morte della Vergine (1606). Nella pittura del Merisi, Cristo è caratterizzato contemporaneamente come uomo tra gli uomini, e come apparizione miracolosa, come documentano La cena di Emmaus (1601) della Pinacoteca di Brera, che alla resa realistica delle vesti, degli atteggiamenti e dei cibi contrappone l'espressione interiorizzata del figlio di Dio, il suo volto totalmente assorto al momento dello spezzare del pane.
Il Seicento oscilla tra una raffigurazione di Cristo e dei personaggi testamentari concreta, intima ed estatica, che permette di scoprirne gli stati d'animo più personali. Di questo “stile” sono ottimi cui rappresentanti, oltre al Caravaggio, Orazio Gentileschi (emblematiche le sue tele Annunciazione del 1623 e Riposo durante la fuga in Egitto del 1628 ca.), Georges de La Tour, con la sua malinconica Maddalena penitente (1640-1645), e Rembrandt, con tele come Deposizione dalla croce (1634) dell'Ermitage di San Pietroburgo e I pellegrini di Emmaus (1628.1629 ca.) - e una trionfale e teatrale, con il figlio di Dio in gloria, levitante ed eroico, che ben viene illustrata dal Pieter Paul Rubens.
Il secolo dei Lumi segna una svolta nella raffigurazione pittorica. I generi fino allora considerati minori conoscono una valorizzazione senza precedenti: vi è uno sviluppo della natura morta e del ritratto, la pittura storica guarda non più alle gesta degli eroi, ma ai loro amori; quella sacra è caratterizzata da un'accentuazione della sua ispirazione biblica, fatta eccezione per alcune rare opere cristiche come quelle di Giovanni Battista Tiepolo. Inizia, inoltre, in questi anni un progressivo allontanamento della «grande arte» verso la Chiesa: i soggetti religiosi diventano sempre meno frequenti, l'arte sacra – per dirla con le parole di François Boespflug dell'Università di Strasburgo – viene considerata sempre più «una questione di parroci», anche se, fino all'Ottocento, continua ad essere con quella storica il gran genre al Salon.
Il Romanticismo, con la sua riscoperta del Medioevo, sembra dare un nuovo momentaneo smalto all'arte religiosa. In Germania viene, per esempio, a costituirsi la confraternita dei Nazareni che ha come ideale - sulla scia del Rinascimento e della pittura del Perugino e di Raffaello - di ridare purezza, dolcezza e umiltà all'immagine di Cristo e della Madonna. In Inghilterra, invece, sono i Preraffaeliti a farsi custodi della tematica religiosa con opere come Ecce Ancilla Domini (1850) di Dante Gabriel Rossetti e la tela L'albero del perdono (1881-1882) di Edward Burne-Jones.
Ma è nella concezione della natura come manifestazione del Divino, nell'idea che il paesaggio racchiuda una dimensione intima e infinita e permetta un legame attivo tra anima e cosmo che sta la grande novità del secolo, il nuovo modo di approcciarsi a Dio. Ecco così gli orizzonti infiniti di Caspar David Friedrich, come Monaco in riva al mare del 1808-1810 e Viandante sul mare di nebbia del 1818, in cui minuscole presenze umane misurano la loro contemplazione, o il misticismo simbolico dell'olio Cristo sul monte del 1808, in cui la croce diventa metafora della presenza di Dio nella natura.
Il tema del paesaggio come incarnazione dell'Assoluto si ritrova, sul finire dell'Ottocento, anche nel divisionismo. Giovanni Segantini lo traduce in forme e colori nella tela L'angelo della vita. Dea cristiana del 1894, che riprende l'iconografia quattrocentesca della Madonna con il Bambino tra le fronde di un albero dai rami rinsecchiti, simbolo di una corona di spine e presagio del calvario della croce. Ma, in realtà, la relazione fra l'immensità dei paesaggi montani e la spiritualità religiosa ricorre in tutto il repertorio dell'artista trentino, come documentano le tele L'ora mesta (1892), Alla stanga (1886) e Le due madri (1889).
Il Novecento è il secolo che vede le forme più sbalorditive e varie di illustrazione degli episodi del Vecchio e del Nuovo Testamento. Ritroviamo, per esempio, la rilettura espressionista dai toni sofferti di Emil Nolde e di Edvard Munch (emblematica la tavola Golgotha del 1900), i puzzle cubisti con le Crocifissioni di Pablo Picasso, le «icone» minimaliste di Alexej von Jawlensky e le immagini dolenti di Renato Guttuso, Georges Rouault e Francis Bacon.
La figurazione non è, però, l'unico modo con cui nel XX secolo viene espresso un soggetto religioso. Parecchi artisti astrattisti come Piet Mondrian, Joan Mirò, Vassily Kandinsky e Mark Rothko riescono a creare un'atmosfera di raccoglimento e di meditazione nelle loro tele attraverso mezzi pittorici più ridotti - colore e linea –, mentre lo spazialista Lucio Fontana conduce la sua ricerca di una dimensione ultraterrena tagliando o bucherellando la tela in opere di estrema liricità come il ciclo Fine di Dio. Ma il racconto religioso-pittorico più poetico e, nello stesso tempo, più conosciuto dell'intero ‘900 è sicuramente quello di Marc Chagall, che ha visto nella Bibbia «la più grande poesia di tutti i tempi», «l'alfabeto colorato» in cui intingere i propri pennelli. Dal 1931 al 1966 l'artista bielorusso è ritornato più volte su questo tema, prima con un corpus grafico e poi con una serie di pitture per il Musée National Biblique di Nizza. Il risultato complessivo di questo lavoro è un viaggio a metà strada tra la visione e la realtà, dove tutto è familiare e senza tempo, e in cui il messaggio divino è visto come messaggio di attenzione al prossimo. «Ho voluto dipingere il sogno di pace dell'Umanità – affermò Marc Chagall nel 1973, all'inaugurazione del suo museo in Francia – (…). Forse in questa casa verranno giovani e meno giovani a cercare un'ideale di fraternità e di amore come i miei colori lo hanno sognato. Forse non ci saranno più nemici e tutti, qualunque sia la loro religione, potranno venire qui a parlare di questo sogno, lontano dalla malvagità e dalla violenza. Sarà possibile questo? Credo di sì, tutto è possibile se si comincia dall'amore».

Didascalie delle immagini
(fig. 1) Giotto, Compianto sul Cristo morto, 1304-1306 ca., Padova, Cappella degli Scrovegni; (fig. 2) Giotto, Il bacio di Giuda (particolare), 1304-1306 ca. Padova, Cappella degli Scrovegni; (fig. 3) Giotto, Predica di San Francesco agli uccelli, 1296-1300, Assisi, Basilica superiore di san Francesco.(fig. 4) Piero della Francesca, Flagellazione di Cristo, 1460 ca., Urbino, Galleria nazionale delle Marche; (fig. 5) Antonello da Messina,Cristo alla colonna, 1475 ca., Parigi, Museo del Louvre; (fig. 6) Andrea Mantegna, Cristo morto e tre dolenti, 1480-1490 ca., Milano, Pinacoteca di Brera; (fig. 7) Giovanni Bellini, La Madonna del prato,1505 ca., Londra, National Gallery; (fig. 8) Veronese, Nozze di Cana, 1562-1563, Parigi, Museo del Louvre; (fig. 9) Caravaggio, La morte della Vergine (particolare), 1605-06. Parigi, Museo del Louvre; (fig. 10) Georges La Tour, Natività, particolare, 1648, Rennes, Musèe des Beaux-ArtsGeorges; (fig. 11) Georges La Tour, La Maddalena penitente, 1642-1644, Parigi, Museo del Louvre; (fig. 12) Caspar David Friedrich, Monaco in riva al mare, 1810. Berlino, Nationalgalerie (fig. 13) Giovanni Segantini, L'angelo della vita.Dea cristiana, 1894, Milano, Museo dell’Ottocento.


Curiosando nel Web
La cappella degli Scrovegni di Giotto
Artcurel: arte, cultura e religione

Da leggere
Il mondo della Bibbia - Cristo nell'arte dalle origini al XV secolo, Anno 10, n. 2, fascicolo 55 (marzo - aprile 2000) - Editrice Elledici, Leumann (Torino)
Il mondo della Bibbia - Cristo nell'arte dal Rinascimento ai nostri giorni. Anno 11, n. 2, fascicolo 57 (marzo-aprile 2001) - Editrice Elledici, Leumann (Torino)

martedì 15 gennaio 2008

«Premio GhigginiArte», a caccia di giovani talenti

«AAA artisti in erba cencansi». Il motto non cambia. Per il settimo anno consecutivo la galleria Ghiggini 1822 di Varese indice il Premio GhigginiArte giovani di pittura e scultura, palcoscenico per i protagonisti dell'arte under 30, che vivono in Lombardia, nel Verbano e nel Canton Ticino.
Il concorso, quest'anno riservato agli artisti nati prima del 1978, intende qualificarsi come una ribalta di verifica, confronto e dibattito del panorama artistico agli esordi. Il comitato promotore - composto dallo scrittore Giuseppe Curonici, dal gallerista Emilio Ghiggini, dallo storico dell'arte varesina Luigi Piatti e dalla critica Emma Zanella - si propone, infatti, di portare alla luce nuovi talenti, i cui lavori siano caratterizzati da originalità e buon uso della tecnica.
Libero da dettato alcuno se non quello delle misure massime delle opere (1 metro di base e 1 metro di altezza per i dipinti; 1 metro di lato per le sculture), il Premio GhigginiArte - che nelle passate edizioni ha visto affermarsi Federica Lazzati, Fiorella Limido, Marco Anzani, Luca Gastaldo e Federico Romero Bayter - si configura, pertanto, anche come un interessante momento di confronto fra tendenze e linguaggi differenti, di dialogo tra sperimentazione e tradizione.
A giudicare i lavori degli esordienti, che dovranno presentare la propria domanda di partecipazione entro mercoledì 20 febbraio 2008 alla galleria Ghiggini 1822 di Varese (via Albuzzi, 17), sarà una commissione tecnica composta da: Anna Bernardini, storico dell’arte e direttore di villa Panza; Italo Bressan, Claudio Cerritelli e Giuseppe Bonini, docenti all'Accademia di Brera; Maria Rosa Ferrari, direttrice del circolo culturale Il Triangolo di Cremona; la giornalista Licia Spagnesi e l’art director Paolo Zanzi.
I partecipanti dovranno consegnare, oltre a due foto delle opere in concorso, anche una scheda di spiegazione (dieci/quindici righe) del lavoro presentato, un breve curriculum vitae et studiorum (studi intrapresi, formazione artistica, frequentazione di studi di artisti, mostre personali e collettive), una foto ritratto ed eventuale materiale inerente la precedente attività espositiva (cataloghi, depliant, recensioni, le foto di almeno cinque opere eseguite negli ultimi anni).
Dopo una prima selezione, verrà organizzata, nel mese di marzo 2008, una mostra collettiva dei dieci finalisti. In questa occasione, ogni giurato inviterà dieci personalità dell'arte e della cultura a esprimere la propria preferenza sulle opere dell'artista considerato il più meritevole tra i partecipanti del concorso. I voti espressi (1 voto = 1 punto) sommati a quelli della giuria tecnica (1 voto = 10 punti) designeranno il vincitore del Premio GhigginiArte 2008, cui verrà organizzata una rassegna personale presso gli spazi della galleria nella stagione 2008/2009. E', inoltre, prevista per uno dei dieci finalisti la possibilità di esporre presso lo spazio Oberdan di Castelseprio.
Per maggiori informazioni è possibile collegarsi al sito Internet riservato al concorso (www.ghiggini.it) e scaricare regolamento e scheda di adesione.

Didascalie delle immagini
(fig. 1) Federico Romero Bayter, Labirintos del alma, 2007. Olio su tela, cm 200x150; (fig. 2) Federica Lazzati, Senza titolo, 2002, acrilico su tela, cm 77x222.

[Le immagini sono tratte dai cataloghi delle precedenti edizioni del Premio GhigginiArte giovani]

Informazioni utili
Premio GhigginiArte giovani 2008. Ente banditore: Galleria Ghiggini - Varese. Quota di partecipazione: nessuna. Informazioni: Ghiggini 1822, via Albuzzi 17 - 21100 Varese, tel. 0332.284025, e-mail: galleria@ghiggini.it, Sito web: www.ghiggini.it. Data di consegna: 20 febbraio 2008.