ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

domenica 10 febbraio 2008

Giornata del ricordo, a Roma una mostra sui «martiri dimenticati» delle foibe

Una parte di storia italiana è stata per decenni coscientemente taciuta e gettata nell'oblio dalla politica nazionale, dalla storiografia e dalla scuola: è la storia delle terre di Istria, Venezia Giulia e Dalmazia nell’autunno del 1943, nella primavera del 1945 e fino a dopo la firma del Trattato di pace di Parigi, con cui si chiudeva definitivamente la seconda guerra mondiale. Una storia scomoda, questa, per l’Italia del secondo dopoguerra intenta a intessere “rapporti di buon vicinato” con la Jugoslavia del maresciallo Tito e, dunque, “obbligata”, per calcoli politici e convenienze internazionali, a dimenticare. I suoi protagonisti – più di un quarto di milione di uomini, donne e bambini che vivevano sul confine orientale italiano, da Pola a Fiume, da Gorizia a Trieste - furono costretti dal regime comunista titino a lasciare le proprie case, i propri beni, i propri affetti e le proprie attività, stravolgendo improvvisamente tutta la loro vita.
Per molto tempo lo Stato e la società civile hanno preferito ignorare la sofferenza di questi uomini e il loro desiderio di giustizia. Una giustizia che ha dimenticato anche altri italiani giuliano-dalmati: tutti coloro -decine di migliaia di persone- che furono trucidati nei gulag (campi di concentramento) jugoslavi o che trovarono la morte nell'orrore delle foibe, profonde voragini rocciose che la popolazione del Carso triestino utilizzava come discariche per carcasse di animali o oggetti rotti.
Le vittime furono militari, membri del Cnl (Comitato nazionale di Liberazione), fascisti e, principalmente, civili italiani, «infoibati» per odio etnico e ideologico, ma anche e soprattutto perché costituivano un ostacolo al programma titino di annessione di quei territori di confine che erano sotto il tricolore italiano, come i centri di Fiume e Zara.
Per molte di queste persone la fine sopraggiunse dopo atroci torture e sevizie. Chi ha vissuto quegli eventi racconta che i soldati di Tito facevano irruzione di notte nelle case di quelli che consideravano «nemici del popolo», caricando decine di persone alla volta sui camion. Le vittime predestinate venivano, quindi, legate una all'altra con corde o filo spinato e disposte sull'orlo di una foiba (dal latino «fovea», che significa «fossa»). I primi della fila venivano fucilati o colpiti alla nuca con una pistola, trascinando con sé, nelle doline carsiche, anche tutti gli altri, ancora vivi. Alcuni morivano nella caduta, altri resistevano per ore e ore, agonizzando tra migliaia di cadaveri in putrefazione o persone appena morte e sparendo per sempre dalla vita dei loro cari in una di quelle tante voragini sparse lungo il confine orientale (in Istria ne sono state registrate oltre 1.700), senza lasciare dietro di sé un corpo e una tomba su cui piangere. Ben di rado l'eliminazione fisica e l’«infoibamento» avvenivano mediante una semplice fucilazione; comunemente, prima di essere gettati nelle fosse, gli uomini e le donne catturati, strappati con la forza dalle loro case e condannati senza processo alcuno, erano accecati, evirati o stuprati.
E’ l’ultimo decennio del secolo scorso quando -dopo più di cinquant’anni di imbarazzanti silenzi e incomprensibili censure- un piccolo gruppo di storici e giornalisti, con studi, saggi e articoli, inizia a restituire nobiltà alla memoria di chi, esule o «infoibato», ha vissuto quella che Claudio Magris ha definito una «sanguinosa nota a piè pagina della storia universale». Bisogna, invece, attendere il 2004 perché lo Stato italiano sancisca con una legge, la n. 92 del 30 marzo 2004, il Giorno del ricordo, in memoria delle vittime delle foibe, dell'esodo giuliano-dalmata, delle vicende del confine orientale del secondo dopoguerra.
La data scelta per le commemorazioni è quella del 10 febbraio, giorno in cui, nel 1947, veniva firmato il Trattato di pace di Parigi, nel quale l’Italia cedeva alla Jugoslavia Fiume, il territorio di Zara, le isole di Lagosta e Pelagosa e quasi tutta la Venezia Giulia (gran parte dell'Istria, del Carso triestino e goriziano e l'alta valle dell'Isonzo).
Tra le tante iniziative in programma per questo quarto anniversario, una delle più articolate è senz’altro la mostra Foibe. Martiri dimenticati, promossa dalla Regione Lazio, dall’Eur Spa, dall’Associazione nazionale dalmata e da E-Nvent, con l’adesione del Presidente della Repubblica e con il patrocinio delle amministrazioni comunali e provinciali di Roma.
Sede della rassegna, che si avvale di un prestigioso comitato scientifico presieduto dallo storico Luigi Papo, è la suggestiva cornice del rifugio antiaereo del palazzo degli uffici dell’Eur, «un bunker sotterraneo conservato come ai tempi della seconda guerra mondiale –spiegano gli organizzatori-, con corridoi e diversi vani, porte blindate, doppi usci di ferro con gli spioncini, cartelli originali con le indicazioni per i rifugiati o, ancora, il gruppo elettrogeno azionato a pedali con due biciclette».
In questo contesto, fortemente evocativo, il percorso espositivo ripercorre, con rigore scientifico, la storia delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata, avvalendosi di documenti inediti, interviste e un centinaio di fotografie.
Cuore dell'esposizione, visitabile fino a domenica 24 febbraio, è la presentazione in anteprima del restauro del documentario Foibe. Martiri dimenticati, realizzato nel 1994 per il settimanale Il borghese. Il filmato, che viene ora ripresentato dall’Associazione nazionale dalmata e dall’editore Palladino, si rivelò, alla sua uscita, un documento shock per il pubblico di quegli anni, mostrando per la prima volta la tragedia delle foibe in tutta la sua truce violenza. Oggi quella stessa testimonianza viene riportata all’attenzione del pubblico in versione restaurata, con integrazioni di materiale inedito, raccolto in questi anni di costante ricerca da parte degli studiosi.
«La rievocazione godrà anche - affermano gli organizzatori - di un forte richiamo emotivo, attraverso la presentazione di alcune opere d’arte ispirate all'eccidio delle foibe», la cui selezione è stata curata da Carla Cace. Si tratta delle sculture di Giuseppe Mannino e delle tele di Rocco Cerchiara e Andrea Cardia, tra le quali sarà esposto il trittico che ha prestato l’immagine guida della mostra romana.

Didascalie delle immagini
(fig. 1) Locandina della mostra Foibe. Martiri dimenticati all’Eur di Roma (1°-24 febbraio 2008); (fig. 2) Tricolore con la stella rossa a Trieste; (fig. 3) Partigiani titini a Trieste; (fig. 4) Ritrovamenti dalle foibe; (fig. 5) Ritrovamenti delle foibe.

Informazioni utili
Foibe. Martiri dimenticati. Eur - Rifugio antiaereo del palazzo degli uffici, piazzale Adenauer 8 - Roma. Orari: dal martedì al venerdì dalle 14.00 alle 18.00; il sabato e la domenica dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 14.00 alle 18.00. Ingresso libero. Informazioni: tel. 06.54252213/54252133. Fino al 24 febbraio 2008.

Per saperne di più

Dossier storia: le foibe fra ricordo e ricerca
Le foibe – Pagine a cura della Lega nazionale di Trieste

Vedi anche
Da Germano Facetti a Lodovico Belgiojoso, artisti per la Giornata della Memoria

sabato 9 febbraio 2008

Dalla discarica all'atelier: nasce la «Venere dell'immondizia»

«Gli scarti sono probabilmente brutte cose, ma se riesci a lavorarci un po’ sopra e renderle belle o almeno interessanti, c’è molto meno spreco». Parola di Andy Warhol (Pittsburgh, 6 agosto 1928–New York, 22 febbraio 1987), guru della Pop art americana. Una dichiarazione, la sua, che potrebbe essere facilmente associata al nome di molti altri protagonisti dell’arte del Novecento. E’, infatti, lungo l’elenco degli artisti che, dagli anni Dieci del ventesimo secolo a oggi, hanno utilizzato in chiave “nobile” gli scarti della nostra società dei consumi. Ecco così che le sale di un museo d’arte contemporanea potrebbero benissimo assomigliare a una discarica. Manifesti strappati, tubetti di colore consumati, resti di un pasto tra amici, fiori rinsecchiti, montagne di stracci o, ancora, vecchie macchine compresse, recipienti in tetrapak e bottigliette di plastica sono, infatti, solo alcuni degli oggetti che è possibile trovare tra le sale di un centro dedicato alle ultime ricerche artistiche.
Dalla Ruota di bicicletta (1913-1964) di Marcel Duchamp alla nuovissima Patchwork city (2007-2008) di Enrica Borghi -in corso di esecuzione alla Gam di Gallarate, nell’alto Milanese- sono, dunque, numerose le opere che hanno “salvato” pattume e rifiuti da inceneritori e discariche (Lea Vergine ne ha raccontato l'avventura nel libro Trash. Quando i rifiuti diventano arte, edito da Skira nel 2006). Come non ricordare, per esempio, il Merzbau di Kurt Schwitters e i sacchi di Alberto Burri, le compressioni di César e le Poubelles di Arman, i collage di Mimmo Rotella e le Dame e i Generali di Enrico Baj?
A questa schiera di lavori va aggiunta la nuovissima Venere dell’immondizia, progetto-scultura ideato dalla coppia di artisti Alessandro Monticelli e Claudio Pagone, che prenderà forma questa sera, sabato 9 febbraio, nell’entroterra abruzzese e, più precisamente, nelle sale dello studio Target di Sulmona, in provincia dell’Aquila.
L’opera in questione trae ispirazione dalla Venere degli stracci (1967) di Michelangelo Pistoletto, oggi conservata alla Fondazione Pistoletto di Biella, in cui una montagna di vecchie stoffe viene contrapposta alla candida copia di una statua classica posta di spalle, dando vita a un forte stridore cromatico e formale.
Gli stracci, nella versione del duo abruzzese, verranno sostituiti con la spazzatura, ottenendo un terzo elemento: quello olfattivo. La Venere dell’immondizia sarà, quindi, «una scultura da vedere, toccare e…annusare» o, per i più fortunati, da non annusare, grazie alle mascherine anti-odore autografate da Monticelli & Pagone, che verranno donate ai primi cento ospiti del vernissage allo studio Target di Sulmona.
Collezionisti e galleristi hanno già adocchiato questa originale scultura, lasciando presagire una grande fortuna a livello artistico. Bologna, Roma e Viterbo sono solo alcune delle città da cui è giunta richiesta di esporre la Venere dell'immondizia; nessuna proposta, invece, da Napoli, che non vuole veder “ritornare al mittente” la sua spazzatura.
L’operazione artistica di Monticelli & Pagone è, infatti, nata dopo la diffusione, da parte di quotidiani e televisioni nazionali, della notizia relativa all’inserimento on-line, sul sito di e-Bay, dell’annuncio di vendita di tonnellate di munnezza napoletana doc.
Quasi per gioco il duo abruzzese ha contattato il venditore e ha acquistato, al costo di 300 euro, 300 chilogrammi di rifiuti provenienti dalla città campana, con i quali ha realizzato una coloratissima montagna alta 2,4 metri e larga 3, contrapponendola alla copia di una statua classica posta di spalle.
«La nostra vuole essere una provocazione scherzosa, una presa in giro della situazione esplosiva che si è creata a Napoli in questi giorni –dichiarano gli artisti-. Ma è anche una considerazione amara sul fatto che, dagli anni Sessanta, quando Pistoletto ha creato la sua Venere, è passato del tempo, ma in fondo tutto è rimasto uguale». Così, quarant’anni dopo, ecco una nuova dea in versione trash. Che anziché nascere dalla spuma del mare, come vuole la mitologia, viene fuori da una montagna di fustini di detersivo vuoti, sacchetti di carta o di plastica, stoffe usurate, vecchi water e bucce di banana.

Didascalie delle immagini
(fig. 1) Alessandro Monticelli e Claudio Pagone; (fig. 2) Alessandro Monticelli e Claudio Pagone, Venere dell’immondizia, 2008; (fig. 3) Michelangelo Pistoletto, Venere degli stracci, 1967.
Informazioni utili
La Venere dell’immondizia
. Studio Target, Via Giuseppe Antonio Angeloni 18 – Sulmona (L’Aquila). Orari: sabato 9 febbraio 2008, dalle ore 19. Ingresso libero. Informazioni: tel. 339.8762763/333.5259973 o pagmon@tiscali.it. Sito Web:
http://www.mep-art.it/.

giovedì 7 febbraio 2008

Arte e cultura digitale: se ne parla a Venezia

Sarà Andreas Broeckmann, già direttore artistico della Transmediale (festival internazionale dell'arte dei media di Berlino) e co-curatore alla Biennale Media_cityseoul nella Republica di Corea, ad aprire il ciclo di conferenze Tomorrow Now. Pratiche artistiche contemporanee nella cultura digitale, in programma da martedì 12 febbraio alla Fondazione Bevilacqua La Masa di Venezia (Dorsoduro, 2826).
La rassegna, che vedrà sfilare nella sede di Palazzetto Tito alcuni tra i più noti studiosi ed esperti a livello internazionale della sperimentazione artistica legata ai nuovi media, proseguirà martedì 26 febbraio con un appuntamento che vedrà protagonista la curatrice Inke Arns, direttrice del Hartware MedienKunstVerein di Dortmund, in Germania.
Sarà, dunque, la volta di Benjamin Weil, direttore dell’Artists Space in New York One, uno dei primi spazi alternativi della Grande Mela, che incontrerà il pubblico veneziano nella giornata di martedì 4 marzo; mentre il 25 dello stesso mese si terrà una conferenza di Oliver Grau, storico dei new media, docente di Storia dell’arte alla Humboldt University di Berlino e visiting professor all’Accademia di Linz.
A seguire, martedì 29 aprile, la Fondazione Bevilacqua La Masa ospiterà contemporaneamente tre studiosi di new media: Pier Luigi Capucci, direttore di Noemalab; l'organizzatore culturale Franco Torriani, membro di ArsLab e presidente delle Pépinières Européennes pour Jeunes Artistes di Marly-le-Roi, in Francia; e l'artista e curatore indipendente Jens Hauser, che ha ideato L'Art Biotech, il primo festival di arte biotecnologia al National Arts and Culture Centre Le Lieu Unique a Nantes, in Francia.
A chiudere gli incontri sarà, nel mese di ottobre, l'artista e teorico Roy Ascott, precursore dell'arte cibernetica e telematica, che è anche redattore di Leonardo, Convergence e Digital Creativity e consulente di centri per i nuovi media in Giappone, Corea, Brasile, Nord America ed Europa.
L’opera senza centro è il filo conduttore della nuova serie di Tomorrow now, rassegna iniziata nel 1995, che per questa edizione si avvale della collaborazione di Naba - Scuola di media design di Milano e che gode del patrocinio dell’Accademia di Belle arti di Venezia e dell’Università Iuav.
Il titolo –spiegano gli organizzatori- «introduce la questione delle opere d’arte che, nell’era digitale, trasformano il concetto di spazio che le dovrebbe ospitare, il concetto di fruizione estetica da parte dell’osservatore, il ruolo dell’autore e delle discipline coinvolte nella loro produzione. Le nuove opere d'arte contemporanea» –raccontano ancora dalla Fondazione Bevilacqua La Masa- «nascono da processi collaborativi e interattivi, sono costruite attraverso l'immaterialità del codice, si collocano in spazi non usuali come la rete e i flussi di comunicazione, intersecano e si alimentano della ricerca scientifica e tecnologica i mutazione sempre più rapida, hanno bisogno di nuove sistemi di presentazione e archiviazione».
Le trasformazioni che i new media hanno portato nel mondo dell'arte sono testimoniate dal proliferare di centri specializzati per produrre e ospitare opere legate allo loro sviluppo, sezioni specifiche all'interno dei musei di arte contemporanea, festival capaci di attrarre in pochi giorni le esperienze internazionali in questo campo e grandi mostre periodiche come la Biennale Media_cityseoul nella Republica di Corea.

Didascalie delle immagini
(fig. 1, fig. 2 e 3) Immagini di Palazzetto Tito – Fondazione Bevilacqua La Masa, Venezia

Informazioni utili
Tomorrow now. L'opera senza centro. Conferenze sulla natura dell'opera d'arte nell'epoca digitale. Fondazione Bevilacqua La Masa, Dorsoduro 2826, Venezia. Orari: ore 18.30. Informazioni: tel. 041.5207797/5208879, info@bevilacqualamasa.it. Sito web:
www.bevilacqualamasa.it. Dal 12 febbraio e fino a ottobre 2008.

mercoledì 6 febbraio 2008

«Ho visto cose», dieci narratori per dieci oggetti di culto

Alzi la mano chi non ricorda la scena del film Vacanze romane, diretto da William Wyler nel 1953, in cui gli indimenticabili Audry Hepburn e Gregory Peck attraversavano il centro di Roma in sella a una vespa Piaggio. O chi non ha riso davanti allo sketch televisivo della coppia Paolo Villaggio e Gianni Agus, in cui un imbranatissimo ragionier Giandomenico Fracchia, convocato nell’avanguardistico ufficio del suo datore di lavoro, si ritrovava a lottare, tra incredibili contorsioni e acrobazie, con una poltrona Sacco Zanotta, la cui informe massa morbida si era trasformata in un vero e proprio strumento di tortura.
Da sempre il design si muove su un doppio binario: quello del lusso, della creatività e del talento, e quello del quotidiano, in cui oggetti, che hanno fatto la storia del disegno industriale, sono riusciti a superare le mode del momento, entrando prepotentemente nella nostra vita o si sono fatti portatori di un’epoca, racchiudendo nelle loro linee l’atmosfera di interi decenni.
E' il caso della Olivetti Lettera 22 che riporta alla memoria un’epoca d’oro del giornalismo, quella alla Enzo Biagi o alla Indro Montanelli, o del magnetofono Gelosino che, a molti, ricorda nostalgicamente vecchie canzoni degli anni Cinquanta come quelle di Claudio Villa e Gino Latilla.
A questi e ad altri oggetti che hanno segnato la storia del costume e del design nell’ultimo secolo è dedicato il volume Ho visto cose..., appena uscito in libreria, che è stato realizzato dal Circolo dei lettori di Torino e dalla casa editrice Bur, in occasione di Torino 2008 World Design Capital.
A dieci scrittori italiani, tra i più consapevoli e attenti del panorama attuale, è stato chiesto di dare vita letteraria ad altrettante creazioni di design entrati prepotentemente nel nostro vivere quotidiano. Ne sono nati dieci racconti che, introdotti da uno scritto del designer Enzo Mari e illustrati dalla matita di Gipi, compongono un’originale storia d’Italia dal punto di vista delle “cose”.
I dieci scrittori e gli oggetti scelti sono: Andrea Bajani e la vespa Piaggio, Violetta Bellocchio e il telefono Grillo della Sit-Siemens Italia, Gian Luca Favetto e la Lettera 22 della Olivetti, Tommaso Labranca e la calcolatrice Divisumma, Nicola Lagioia e la lampada Titania della Luceplan, Raul Montanari e il Gelosino della Geloso, Aldo Nove e il Merdolino della Alessi, Francesco Piccolo e la libreria Bookwarm della Kartell, Elena Varvello e la poltrona Sacco Zanotta e Dario Voltolini e la televisione Algol della Brionvega.
Il Circolo dei lettori di Torino, coerentemente con la propria vocazione di luogo di lettura e di ascolto della lettura, ha voluto riunire in cinque reading musicati dal vivo dagli Yo Yo Mundi, i dieci racconti contenuti nel volume, affidati alla voce dei loro autori.
Gli appuntamenti, che hanno preso il via lo scorso 30 gennaio con Andrea Bajani ed Elena Varvello, proseguiranno alle 21 di questa sera, mercoledì 6 febbraio, con Aldo Nove e Tommaso Labranca, che parleranno rispettivamente di Merdolino, scopino da bagno in resina termoplastica progettato da Stefano Giovannoni per la Alessi nel 1993, e della calcolatrice elettronica da tavolo Divisumma 18, disegnata da Mario Bellini nel 1973 per la Olivetti.
Gli appuntamenti proseguiranno il 20 febbraio con Gian Luca Favetto e Dario Voltolini e il 5 marzo con Violetta Bellocchio e Raul Montanari, per chiudersi il 19 marzo con Nicola Lagioia e Francesco Piccolo.

Didascalie delle immagini
(fig. 1) Audry Hepburn e Gregory Peck sulla vespa Piaggio. Frammento del film Vacanze romane di William Wyler (1953); (fig. 2) Paolo Villaggio, nei panni del ragioner Fracchia, e la poltrona Sacco Zanotta; (fig. 3) Copertina del libro Ho visto cose... Racconti dalla patria del design: dieci scrittori per dieci oggetti di culto; (fig 4) Merdolino, scopino da bagno di Alessi. Progetto di Stefano Giovannoni (1993).


Informazioni utili
Aa.Vv, Ho visto cose... Racconti dalla patria del design: dieci scrittori per dieci oggetti di culto. Bur, Milano 2008. Dati tecnici: pp. 208. Prezzo: e 9.00. Sito web:
http://bur.rcslibri.corriere.it/index.php.

Per gli appuntamenti: Il Circolo dei lettori, via Bogino 9 - 10123 Torino. Informazioni: tel. 011.4326827/21/20 o info@circololettori.it. Sito web:
www.circololettori.it.

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La Stampa, da quarant’anni accasciati come Fracchia
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martedì 5 febbraio 2008

Londra, ad Hannah Rickards il Max Mara Art Prize for Women

Va ad Hannah Rickards (Londra, 1979) la seconda edizione del Max Mara Art Prize for Women, riconoscimento nato, in collaborazione con la Whitechapel Gallery, che viene assegnato ogni due anni e che si propone di promuovere e sostenere qualsiasi iniziativa artistica «al femminile» del Regno Unito.
L’ artista londinese, laureata in Fine Arts alla Saint Martins School di Londra e da sempre interessata al suono come media, si è aggiudicata il prestigioso premio, sbaragliando la concorrenza di altre quattro candidate: la regista e fotografa Yasmeen Al Awadi, la pittrice e scultrice Georgie Hopton, la regista Melanie Jackson e la disegnatrice e artista multimediale Lisa Peachey.
La vittoria di Hannah Rickards segue quella della video-artista Margaret Salmon che, nel febbraio del 2006, si era aggiudicata il riconoscimento con l'opera Ninna Nanna, trilogia in video, girato in sedici millimetri a colori e in bianco e nero, oggi di proprietà della collezione Maramotti di Reggio Emilia, che dipinge le esperienze di tre diverse madri italiane.
A comporre la giuria - presieduta da Iwona Blazwick, direttrice della Whitechapel Gallery - che ha dato la palma della vincitrice all’artista concettuale londinese sono state la gallerista Cornelia Grassi, la collezionista Judith Greer, l'artista Cornelia Parker e la scrittrice e critica Rachel Withers.
A motivare l’assegnazione del premio, che consiste in una residency di sei mesi in Italia, è stata la stessa Iwona Blazwick: «il lavoro incredibile di Hannah Rickards – ha spiegato la gallerista - distilla le forze maestose e sublimi della natura nel suono, nella scultura, nell’arte. Sia che diriga un’orchestra di musicisti classici per eseguire il rumore di un tuono o traduca le esperienze dell’aurora boreale vissute dalla gente in una serie di colori primari, i risultati sono sbalorditivi».
Hannah Rickards realizza essenzialmente audio-installazioni, che consistono nella traduzione di un suono presente in natura e nella sua re-interpretazione in linguaggio o musica. In Birdsong (2002), l'artista ha registrato i canti di sei diversi uccelli per, poi, abbassarne la tonalità e riprodurli con la propria voce. In Thunder (2005), commissionato da Media Art Bath per la Chiesa riformata Unita Centrale di Bath, Hannah ha esteso una registrazione di otto secondi del suono di un tuono a otto minuti. Lo spartito è stato, poi, trascritto dal compositore David Murphy in una partitura musicale per sei strumenti, quindi registrato e di nuovo ridotto alla lunghezza del tuono originale.
Parte integrante dell’opera della Rickards, che vanta esposizioni presso il Bloomberg New Contemporaries (2003) e il Witte De With Centre for Contemporary Art di Rotterdam (2006) è, inoltre, la presenza del testo, a testimonianza dell’influenza dei primi artisti concettuali come Douglas Huebler, Robert Barry e Lawrence Weiner. La sua recente esposizione personale, presso The Showroom a Londra, tenutasi tra il maggio e il giugno del 2007, si basava, per esempio, sui racconti orali di persone che sostenevano di aver sentito l’aurora boreale.
Durante la residency italiana, l’artista risiederà, da aprile a giugno, presso l’Accademia americana di Roma e, da luglio a settembre, presso la Fondazione Pistoletto di Biella. In questi sei mesi, Hanna Rickards avrà l’opportunità per creare un nuovo corpo di opere, che verrà poi acquisito della collezione Maramotti di Reggio Emilia. La Whitechapel si occuperà dell’organizzazione e dell’allestimento, a cura di Bina von Stauffenberg.

Didascalie delle immagini
(fig. 1) Ritratto di Hannah Rickards; (fig. 2) Hannah Rickards, Thunder, 2005; (fig. 3) Ritratto di Margaret Salmon