ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

giovedì 26 aprile 2012

Bergamo, restauro in diretta per Luca Giordano

Dalle meravigliose tarsie disegnate da Lorenzo Lotto ai superbi protiri di Giovanni da Campione, dal grande affresco trecentesco dell’«Albero della Vita» alle sculture di Ugo da Campione e Vincenzo Vela, senza dimenticare le pitture di Francesco Bassano, Ciro Ferri, Pietro Liberi, Antonio Zanchi e Nicolò Malinconico. E’ uno scrigno di tesori d’arte la basilica di Santa Maria Maggiore, duomo di Bergamo, costruito, nella splendida cornice della Città alta, tra il XII e il XVIII secolo. Uno scrigno, questo, che, a partire da venerdì 27 aprile 2012, si arricchirà di una nuova gemma preziosa: l’iniziativa «Luca Giordano. Restauro in diretta», un cantiere aperto al pubblico e visibile on-line sul sito www.fondazionemia.it, grazie al quale sarà possibile non solo assistere alla “rinascita” di un capolavoro, ma anche scoprire i segreti del colore e della tecnica di un grande maestro del Barocco.
La tela oggetto dell’intervento conservativo, che vedrà all’opera Antonio Zaccaria, è «Il passaggio del Mar Rosso», un olio di grandi dimensioni (cm 450 x 600) che rappresenta l’unica presenza documentata a Bergamo di Luca Giordano (Napoli 1634-1705), artista al quale si devono cicli di affreschi all'Escalera grande dell’Escorial, nella sagrestia della cattedrale di Toledo, nel monastero di Nostra Signora di Guadalupe, al palazzo Medici Ricciardi di Firenze e alla Certosa di San Martino.
L’opera, datata al 1681, viene realizzata a Napoli e nell’aprile 1862 è a Venezia, presso il mercante Simone Giogalli, intermediario tra l'artista e i committenti. «Per finezza di pittura e per bellissima invenzione del dissegno», stando a quanto scritto nel Libro delle determinazioni della Mia - Congregazione della Misericordia Maggiore di Bergamo (Terminazioni, n.1286, cc.162,178, 182v), la tela suscita profonda ammirazione non solo tra i veneziani, ma anche presso il consiglio della basilica bergamasca, che, per voce di Leandro Basso, fa sapere di essere talmente appagato dal lavoro da aggiungere 100 scudi ai 700 pattuiti. Un premio, questo, nato con l’intento di agevolare le trattative per affidare al pittore napoletano l’esecuzione di altre opere per Santa Maria Maggiore: dieci affreschi per la navata e quattro pitture a olio. Il fitto scambio di corrispondenza, avvenuto tra il 1682 e il 1686, non porta ad alcun risultato e solo nel 1691, quando Luca Giordano è in procinto di partire per la Spagna, si accetta la presenza a Bergamo di un suo allievo, Nicola Malinconico, che porta il lavoro a compimento nel 1694.
«Il passaggio del Mar Rosso» rimane così l’unica opera bergamasca del maestro della «Maddalena penitente» (1660-1665) e della «Morte di Seneca» (1684), tele conservate rispettivamente al Prado di Madrid e al Louvre di Parigi.
La composizione, che inaugura nel percorso dell’artista il genere delle storie bibliche, è un capolavoro di orchestrazione narrativa, luminosa e cromatica. Protagonista, in primo piano, «una festosa galleria di tipi umani», ritratta con poetico realismo. A incontrare per primo lo sguardo del visitatore è, dunque, «un popolo –per usare le parole di Barbara Mazzoleni, coordinatrice del progetto- di nomadi, pastori, madri, bimbi, cani, cavalli, bauli, anfore, strumenti musicali, epidermidi morbide, stoffe increspate e dai colori brillanti». Il momento cruciale dell’evento, così come narrato nell’«Esodo», è posto, invece, «su un piano più arretrato, scandito -per usare le parole di Mauro Zanchi- dal duplice gesto del braccio destro di Dio e di Mosè, proteso in direzione delle acque, che si stanno richiudendo sull’esercito del faraone».
Il restauro della tela di Luca Giordano, che vede alla direzione tecnico-scientifica b>Amalia Pacia della Soprintendenza ai beni storici e artistici di Milano, si trasformerà, grazie al cantiere aperto a Santa Maria Maggiore, in opportunità conoscitiva e didattica per il pubblico e le scuole, che potranno non solo scoprire come si riporta a nuova vita un capolavoro d’arte, ma anche fruire dell’opera, di solito collocata a circa 12 metri di altezza, a distanza ravvicinata. L’atelier sarà sempre aperto il sabato e la domenica (nei giorni feriali compatibilmente con le operazioni conservative in atto); in coincidenza con le fasi più significative dell’intervento, interamente documentato dal sito www.fondazionemia.it (sul quale saranno raccolte anche le schede e i disegni dell’iniziativa «Artista anche tu con Luca Giordano», rivolta ai più piccoli), saranno, inoltre, organizzate visite guidate gratuite.
Dal punto di vista strutturale, l’intervento conservativo si preoccuperà di eliminare i due grossi «spanciamenti» nella parte inferiore della tela e di pulire la «pelle» del dipinto, con un’operazione che rimuoverà il vecchio film di protettivo, ormai scurito e ingiallito, tanto da rendere difficile una corretta lettura dei dettagli e della potenza coloristica e luminosa che hanno reso celebre Luca Giordano.
La pulitura sarà guidata da uno studio preliminare e da indagini diagnostiche, condotte con metodologie differenti e fra loro complementari. La tecnologia video-microscopica Zeiss, di ultima generazione, consentirà, per esempio, al restauratore di avere il massimo controllo nell’interazione con la superficie pittorica e, allo stesso tempo, di studiare, in maniera approfondita, il modus operandi dell’artista partenopeo, per arrivare anche a conoscere con quali pigmenti componeva la sua brillante tavolozza. Una tavolozza, che risente delle assonanze coloristiche dei maestri veneziani e che fa proprio il senso luministico della scuola caravaggesca.

Didascalie delle immagini
[fig. 1] Reading del cantiere aperto. Foto: Nello Camozzi; [fig. 2] Luca Giordano, «Il passaggio del Mar Rosso», 1681. Bergamo, Basilica di Santa Maria Maggiore



Informazioni utili
«Luca Giordano. Restauro in diretta». Basilica di Santa Maria Maggiore, piazza Duomo - Bergamo Alta. Orari: lunedì-sabato 9.00–12.30 e 14.30– 18.00; domenica 9.00–13.00 e 15.00–18.00 (l’opera in restauro sarà sempre visibile il sabato e la domenica; nei giorni feriali il cantiere di restauro sarà aperto compatibilmente con le operazioni conservative in atto). Ingresso gratuito. Sito web: www.fondazionemia.it. Informazioni e prenotazioni visite guidate: tel. 035.211355 o info@fondazionemia.it. Fino al 31 ottobre 2012.

mercoledì 25 aprile 2012

A Venezia, sulle tracce del giovane Tiepolo

Condizione difficile quella di chi si ritrova in sorte come padre un genio. Ma Giandomenico Tiepolo (1727-1804), figlio dell'ineguagliabile Giambattista Tiepolo (1696-1770), il grande pittore del Settecento al cui «miracoloso pennello» si devono alcuni tra i più noti cicli decorativi che glorificano, nelle residenze di tutta Europa, i potenti del tempo, seppe «fare di necessità virtù». L’artista, nipote dei vedutisi Francesco e Gianantonio Guardi, rinunciò, infatti, alla soluzione più ovvia -scegliere una professione differente da quella paterna- e decise di intraprendere la strada della pittura, copiando diligentemente ogni schizzo del padre e assimilandone così perfettamente la cifra stilistica, tanto da rendere talvolta difficile distinguere le rispettive mani nelle opere che videro entrambi al lavoro.
Lo stretto rapporto con il genitore, che Giandomenico non mancò di coadiuvare nella realizzazione di importanti imprese decorative come quelle della residenza di Carlo Filippo Greiffenklau, principe vescovo di Würzburg, e del Palazzo Reale di Madrid (1762-70), dove venne dipinta la «Glorificazione della Spagna» per re Carlo III Borbone, non deve, però, trarre in inganno.
«Tiepoletto» (la definizione, affettuosa, è dell'erudito Francesco Algarotti) fu sì deferente al modello paterno, ma seppe anche ritagliarsi una propria autonomia pittorica, purtroppo riconosciutagli dalla critica solo in epoca recente, quanto meno a partire dal 1941, quando Antonio Morassi restituì alla sua mano gli affreschi conservati presso la foresteria della villa Valmarana di Vicenza. Un’opera, questa, databile al 1757, che viene considerata oggi uno dei grandi capolavori di quel secolo a livello europeo, con la sua magnifica serie di raffigurazioni sulla vita dei contadini e sulle passeggiate dei nobili, con le fantastiche immagini di vita orientale e del «Mondo novo».
A «volare con le proprie ali» -memore della lezione del padre, ma interessato più alla «commedia» umana, alla tradizione goldoniana, che al dramma eroico- Giandomenico iniziò, in realtà, giovanissimo. Lo documenta chiaramente la sua opera prima, la Via Crucis dell'Oratorio del crocifisso nella chiesa di san Polo, a Venezia, realizzata appena ventenne, nel biennio 1747-1749. Un’opera, questa, della quale il compianto Adriano Mariuz, uno dei più grandi studiosi novecenteschi dei Tiepolo, sottolineò la straordinaria originalità compositiva, caratterizzata da un ritmo narrativo estremamente serrato e di intensa drammaticità, lontano dalla retorica sfavillante di Giambattista.
In questo ciclo aurorale, che dal 2003 ha un nuovo allestimento grazie al lavoro del restauratore Paolo Marzi, il modellare figurativo di Giandomenico ha, infatti, «il carattere del reportage, della cronaca che registra i fatti in coincidenza con il loro svolgersi»; appare, inoltre, evidente nelle quattordici Stazioni tiepolesche l'osservazione attenta del comportamento umano, costante di tutta la produzione successiva dell'artista. Un’attenzione che, qui, trova la sua massima espressione nella partecipazione emotiva della folla alla tragica vicenda del Cristo e alla sua lenta andata al Calvario. Gli schizzi preparatori di questi lavori, conservati presso i Musei civici veneziani, in seguito alla donazione di Lorenzo Gatteri (trecentododici le carte dell’intera famiglia Tiepolo custodite in Laguna, alcune delle quali vergate su entrambi i versi), dimostrano, poi, che i soggetti da raffigurare furono oggetto di uno studio quasi maniacale da parte di Giandomenico, che si concentrò principalmente sulla rappresentazione delle parti anatomiche considerate più difficoltose da trasporre sulle pareti come mani e piedi, e sulla resa delle luci e delle ombre. Interessanti per conoscere l’arte del giovane Tiepolo sono anche gli affreschi della villa di Zianigo, splendido ciclo pittorico che venne strappato dalla sua collocazione originaria nel 1906 e che sfuggì al pericolo della dispersione nel mercato antiquario grazie alla lungimiranza del Municipio di Venezia che, dal 1908, ne iniziò l'acquisto per conto dei locali Musei civici.
Questi lavori per la casa del Miranese, oggi conservati negli spazi della veneziana Ca’ Rezzonico, possiedono almeno due elementi di straordinarietà: sono stati prodotti in un lungo arco di tempo che va dal 1757 al 1797, e hanno la rara caratteristica di non essere stati realizzati dal pittore per un committente, ma per se stesso e in assoluta libertà di ispirazione. Gli affreschi, sottoposti nel 2000 a una attento restauro conservativo da parte di Ottorino Nonfarmale, sono, dunque, importantissimi strumenti di studio per cogliere lo svilupparsi dell'arte di Giandomenico e il suo constante interesse per il mondo contemporaneo. Lo provano inequivocabilmente i manierati spaccati di vita quotidiana de «Il mondo novo», con le sue passeggiate galanti e i suoi giochi di classe, dai quali emerge chiaramente la capacità corrosiva di rappresentare in chiave grottesca la società del tempo. Ma lo documentano anche le meravigliose scene dedicate alla vita di Pulcinella, il goffo personaggio in bianco e nero della Commedia dell'arte che tenne compagnia all'artista fino alla sua morte, quasi un doppio dell'uomo comune, quintessenza del vivere quotidiano e amara raffigurazione della risibilità della Storia.
La celebre maschera napoletana è, infatti, anche la grande protagonista del ciclo «Divertimento per li regazzi», un album originariamente di centoquattro disegni, smembrato tra più proprietari nella vendita all'asta che si tenne a Parigi nel 1921. In questi lavori -alcuni dei quali furono esposti alla Fondazione Cini di Venezia nel 2004, in occasione del duecentesimo anniversario della morte dell’artista- i riflettori vengono puntati sulla vita ridicola dell'antica maschera della commedia «all'improvviso», Pulcinella, qui moltiplicato pirandellianamente in un popolo, così da poterne evocare la vita di ogni uomo: «al solo scopo, si direbbe, di svelarne –dichiarò Adriano Mariuz– «tutta la comica assurdità».
Il capriccio, l'ironia, il gioco e l'umorismo velato da una lieve malinconia sono le corde fatte vibrare dal giovane Tiepolo anche negli affreschi di villa Valmarana di Vicenza o, per rimanere a Ca’ Rezzonico, in «Minuetto in villa» (1791-1793) e «Passeggiata» (1791-1793). Opere, queste, emblematiche di una stagione pittorica, nella quale dominò la raffigurazione di cicisbei dalle parrucche incipriate o dalle lunghe code di cavallo, cortigiane dai modi frivoli e vacui, dame dalle smisurate cuffie piumate e fronzute, contadini goffamente agghindati nei loro abiti campagnoli, figurine comiche e inermi, dai cui gesti si avverte inconfondibile la nota struggente degli addii.
E' nella «smagliante partitura segnica» di questi ultimi lavori sui protagonisti del tempo e su Pulcinella, che vibra con più forza il sorriso beffardo dell'autore nei confronti dell'intera società contemporanea, della quale viene tracciata, con acuto spirito d'osservazione e fluente brio narrativo, una cronistoria fatta di esseri grotteschi. Giandomenico si fa così testimone disincantato di una società morente e tuttavia inconsapevole della propria fine. Omaggia un'epoca che sta per salutare il palcoscenico della Storia, per lasciare il passo alla Rivoluzione francese e ai suoi ideali. Un’epoca che poteva specchiarsi in Pulcinella, in quella maschera dal «ghigno indecifrabile fra il riso e il pianto», ignara e indifferente ai presagi di un Mondo Nuovo alle porte.


Didascalie delle immagini
[fig. 1] Giandomenico Tiepolo, «Pulcinella innamorato», 1797. Affresco strappato, cm. 196 x 147. Venezia, Ca’ Rezzonico-Museo del Settecento Veneziano, Villa di Zianigo-Camera dei Pulcinella. Inv: Cl. I n. 1751; [fig. 2] Giandomenico Tiepolo, «L'altalena dei Pulcinella», 1783. Affresco strappato, cm. 200 x 170. Venezia, Ca' Rezzonico-Museo del Settecento Veneziano, Villa di Zianigo-Camera dei Pulcinella. Inv: Cl. I n. 1753 a; [fig. 3] Giandomenico Tiepolo, «Minuetto in villa», 1791-1793. Affresco strappato, cm. 200 x 150. Venezia, Ca' Rezzonico-Museo del Settecento Veneziano, Villa di Zianigo-Portico. Inv: Cl. I n. 1743; [fig. 4] Giandomenico Tiepolo, particolare della «Via Crucis», 1747-1749. Venezia, Chiesa di San Polo.



Informazioni utili
Via Crucis di Giandomenico Tiepolo. Chiesa di San Polo (Oratorio del crocifisso), Campo S. Polo, 2102 – Venezia. Orari: lunedi-sabato, ore 10.00-17.00, domenica chiuso. Ingresso: € 2.50. Informazioni: tel. 041.2750462, info@chorusvenezia.org. Sito internet: www.chorusvenezia.org .
Gli affreschi di Giandomenico Tiepolo dalla villa di Zianigo. Ca' Rezzonico, Dorsoduro, 3136 - Venezia. Orari: dal 1° aprile al 31 ottobre, ore 10.00–18.00 (biglietteria: ore 10.00–17.00); dal 1° novembre al 31 marzo, ore 10.00–17.00 (biglietteria: ore 10.00 – 16.00), chiuso martedì,il 25 dicembre, il 1° gennaio e il 1° maggio. Ingresso: intero € 8,00; ridotto € 5,50. Informazioni: tel. 041.2410100. Sito internet: http://carezzonico.visitmuve.it.

martedì 24 aprile 2012

Wolfgang Alexander Kossuth e l’arte sacra

«La pittura, la scultura, la letteratura e la musica sono molto più vicine l'una all'altra di quanto generalmente si creda. Esprimono tutte la gamma dei sentimenti dell'animo umano nei confronti della natura». Queste parole dell'impressionista August Rodin ben definiscono la ricerca espressiva di Wolfgang Alexander Kossuth (Pfronten, 1947- Milano, 2009), artista tedesco al quale Città della Pieve dedica una piccola, ma raffinata mostra negli spazi del Museo civico diocesano di Santa Maria dei Servi.
Lo scultore, la cui opera «Maternità» è simbolo Unicef presso la Repubblica di San Marino, ha, infatti, sempre realizzato opere plastiche di suggestiva bellezza, nelle quali ha riversato le proprie conoscenze del mondo antico e la straordinaria sensibilità musicale, frutto degli studi di violino, composizione e direzione d'orchestra, condotti tra Napoli e Milano negli anni Settanta, e che, nel giro di pochi anni, lo portarono addirittura sul palco del teatro alla Scala.
Hanno avuto così origine lavori di elevata maestria tecnica e di accurata attenzione al particolare, che non solo sono un vero e proprio omaggio alla bellezza della figura umana e alla grazia evanescente dei movimenti del corpo, ma che sono anche un atto d’ossequio alla tradizione scultorea dell'antica Grecia. Basti pensare a opere come il raffinato «Adone» (2002), i sensuali «Dafne e Apollo» (2002), l'imponente «Salomè» (1992) e lo struggente «Giobbe» (1998), raffiguranti eroi dell'Antico Testamento e miti dell'Olimpo ellenico, o a lavori in bronzo, terracotta e resina dedicati a personaggi della nostra contemporaneità, quali i busti di Mario Soldati (1981), Alessandra Ferri (1994) e di Giorgio Strehler (2000), nonché la scultura a figura intera di Roberto Bolle (2003).
Come ben documenta la monografia pubblicata nel 2002 dalla milanese Skira, al cui interno sono presenti saggi di Michael Engelhard, Vittorio Sgarbi e Mario De Micheli, molte sono, poi, le opere di Wolfgang Alexander Kossuth che rendono omaggio alla danza classica. E’ il caso di «Minuetto» (1995), «Emanuela con la sfera» (2002) e «Ginnasta» (1993), ma anche di «Innamorata» (1994), «Maternità» (1992) e «Lettura» (1994), tutte figure della nostra quotidianità che evocano per la loro leggiadria la postura delle ballerine.
In questi lavori, nei quali compaiono spesso aggraziati corpi femminili e virili nudi maschili, si ravvisa un messaggio ricco di pathos, dove gioia, amore, pietà, lussuria e dolore vengono manifestati in chiave ora estatica ora sensuale, sempre intima e raccolta.
L’artista tedesco offre, dunque, ai nostri occhi vere e proprie poesie della forma, sinfonie della materia. A questa lettura non si sottraggono le opere sacre esposte a Città della Pieve per iniziativa dell’assessore Maria Luisa Meo, di Valerio Bittarello e di Marco Possieri, operatori culturali e tecnici che si sono avvalsi per l’allestimento della preziosa collaborazione della moglie dell’artista, Giuliana Alzati.
La mostra, visibile fino a domenica 3 giugno, presenta, nello specifico, due gruppi scultorei in resina, «La Pietà» (1998) e «Maria Maddalena sotto la croce» (1997), posti suggestivamente in dialogo con gli spazi dell’ex chiesa di Santa Maria dei Servi, costruita nella seconda metà del XIII secolo e rinnovata in stile barocco tra XVII e XVIII secolo. Una chiesa, al cui interno sono custoditi, sopra l’altare maggiore, un’antica «Pietà» di origine nordica e, nella cappella a destra dell’entrata, «La deposizione dalla croce», pregevole affresco del Perugino.
La mimica dei corpi di questi due lavori -esposti anche a Torino nella mostra «Il sepolcro vuoto», proposta in occasione dell’ostensione della Sacra Sindone- esprime forza e dolore, ma la dolcezza dei gesti e la purezza della resina bianca trascendono questo forte sentimento in una rappresentazione di bellezza assoluta. Ne «La Pietà», la sofferenza non si delinea dai volti delle due Marie, nascosti allo sguardo del visitatore, ma dalla linea curva dei loro corpi, che sembrano portare sulle spalle tutto il male del mondo. Nell'altra opera esposta, Maria Maddalena ci appare addirittura raggomitolata su stessa, tanto è insopportabile il dolore che sta provando. La donna è ritratta ai piedi della croce, stretta nel proprio strazio, ma ugualmente legata a Colui che l'ha salvata. Il capo piegato del Cristo e il braccio di lei si tendono l’uno verso l’altro e questo gesto ha una tenerezza e una forza tale che chi guarda non può non partecipare al loro silente «dialogo». Un dialogo che riporta alla mente le parole di Platone: «L’arte è espressione della bellezza, e la bellezza è lo splendore della verità».


Didascalie delle immagini
[fig. 1] Wolfgang Alexander Kossuth, «La Pietà», scultura in resina, 1998; [fig. 2] Wolfgang Alexander Kossuth, «Maria Maddalena sotto la croce», scultura in resina, 1997; [fig. 3] Pietro Vannucci detto il Perugino, particolare dell’affresco «La deposizione dalla croce», 1517



Informazioni utili
Sculture sacre di Wolfgang Alexander Kossuth. Museo civico diocesiano di Santa Maria dei Servi, via Beato Giacomo Villa – Città della Pieve (Perugia). Orari: martedì-domenica, 9.30-12.30 e 15.30-18.30. Ingresso (comprensivo della visita al museo): € 3,00. Info: tel. 0578.299375 e promopieve@cittadellapieve.org. Fino a domenica 3 giugno 2012.