ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

venerdì 12 luglio 2013

Land art, un cuore verde tra le colline del Montefeltro

Non è il messaggio di qualche innamorato, ma una vera e propria opera di land art. Il cuore verde che pulsa nel Montefeltro, sulle colline della Valle del Foglia, è, infatti, stato realizzato dall’artista marchigiano Gianni Calcagnini (Luca - Fano, 1943) per l’«Urbino Resort», incantevole struttura polivalente della tenuta Santi Giacomo e Filippo, composta da antiche case coloniche riadattate in camere e suites, per un totale di trentadue unità abitative e ottantacinque posti letto, che Antonio e Gianfranco Bruscoli hanno aperto nell’autunno del 2007, dopo un accurato intervento conservativo a cura dell’architetto Massimo Bottini.
L’opera di Gianni Calcagnini, disegnata con piantumazioni sempreverdi su uno dei crinali prossimi a Urbino, è visibile non solo agli ospiti del bel resort in località Pantiere, sottoposto a salvaguardia ambientale sotto la tutela della Provincia di Pesaro e Urbino quale sito di importanza comunitaria, ma anche a chi viaggia sulla strada provinciale Feltrasca verso Sassocorvaro, a pochi chilometri da Montecalvo in Foglia.
«Ho realizzato il cuore circa un anno fa, ma nella terra argillosa di questi calanchi le piantine si sviluppano lentamente e hanno bisogno di cure continue –racconta l’artista-. Da poco, con la primavera, il verde è cresciuto vivificando un calanco destinato altrimenti ad essere incolto: è un cuore pulsante che ci mostra la bellezza di ogni angolo di natura, anche del più impervio; è il battito della terra che sente l’uomo prendersi cura di lei».
Accanto a questo nuovo lavoro, nato con l’intento di mettere in risalto il legame ancestrale dell’uomo con la terra, Gianni Calcagnini, artista globetrotter con esperienze lavorative negli Stati Uniti e in Iran, offre alla vista degli ospiti della tenuta Santi Giacomo e Filippo anche un’altra opera recente, datata 2012: l’installazione permanente «Il pensiero è più veloce dell’azione», maestosa scultura in ferro, di oltre sei metri d’altezza e dieci di lunghezza, raffigurante un imponente cavallo che salta verso il cielo.
L’ambiente incontaminato dell’«Urbino Resort» -trecentosessanta ettari a coltivazione biologica nell’oasi faunistica «La Badia», caratterizzati da colline marnoso-argillose, boschi, pianure fluviali e maestose querce secolari- rappresenta, d’altronde, un luogo ideale per il lavoro dell’artista marchigiano, che si dedica alla Land art dagli anni Novanta, quando ha realizzato a Mondaino, cittadina del Riminese dove oggi risiede, l’opera «Gaia» (1995), una donna ‘arata’ di grandi dimensioni (120 x 180 metri).
In queste terre, che secondo la tradizione appartennero alla nonna di Raffaello Sanzio e nelle quali il Duca di Montefeltro aveva il suo casino di caccia, Gianni Calcagnini ha lasciato anche altri due suoi lavori. Passeggiando nel verde della tenuta urbinate (che offre ai suoi ospiti, oltre alle camere, una piscina, un centro benessere, un ristorante, un bar e un eco-spaccio), ci si può, infatti, imbattere nell'installazione «La grotta di passa l’acqua» (2008), «un rifugio -racconta l’autore- nell’utero di Madre Terra, dal quale escono pecorelle in cerca di un pastore-guida», e in «Fontanella» (2011), opera ricavata da una sorgente naturale, trasformata in abbeveratoio per i volatili. Immancabile è, poi, una visita all’abbazia dei Santi Giacomo e Filippo, costruzione di impianto trecentesco, regolarmente aperta al culto dopo il restauro degli anni Novanta, al cui interno è conservato un quadro, molto venerato, della Vergine con il Bambino fra San Giovanni Battista e Antonio Abate.

Didascalie delle immagini 
[Figg. 1 e 2] Gianni Calcagnini, «Cuore nel paesaggio», 2013. Opera di land art per l’«Urbino Resort»; [fig. 3] Gianni Calcagnini, «Il pensiero è più veloce dell’azione», 2012. Installazione per l’«Urbino Resort» 

Informazioni utili 
Tenuta Santi Giacomo e Filippo - Urbino Resort,via San Giacomo in Foglia, 7 - Località Pantiere - 61029 Urbino, tel. 0722.580305, fax 0722.580798, info@urbinoresort.it. Sito internet: www.urbinoresort.it.

mercoledì 10 luglio 2013

Pina Bausch incontra Igor Stravinskij. In scena a Napoli «La sagra della primavera»

Il mito di Pina Bausch, la madre del teatro-danza, rivive a Napoli. Dopo il debutto italiano dello spettacolo «Sweet Mambo», penultima creazione della coreografa tedesca, presentata a fine giugno al Petruzzelli di Bari, il Tanztheater Wuppertal prosegue il proprio viaggio in Italia, facendo tappa al teatro di San Carlo.
Da giovedì 11 a domenica 14 luglio, la compagnia tedesca, che porta l’opera di Pina Bausch in tutto il mondo, sotto la direzione di Lutz Förster, sarà nella splendida sala settecentesca, progettata da Giovanni Antonio Medrano e Angelo Carasale per volontà del re Carlo III di Borbone, con due classici del suo repertorio: «Café Müller» (1978) e «La sagra della primavera» (1975).
Il programma esclusivo, con il quale il Tanztheater Wuppertal torna nella città campana dopo un’assenza di quasi dieci anni (l’ultima sua presenza a Napoli è del 2002, con la rappresentazione di «Nur Du»), viene presentato in collaborazione con Andres Neumann International e nell’ambito del tour per i festeggiamenti dei quarant’anni dalla fondazione della compagnia tedesca.
L’appuntamento offre anche l’occasione per celebrare il centenario dello spettacolo «La sagra della primavera», creazione epocale di Igor Stravinskij e Vaslav Nijinsky, la cui prima assoluta avvenne nel maggio 1913 al Théâtre des Champs Elysées di Parigi e che fu banco di prova per numerosi talenti della danza, tra i quali Maurice Béjart e Martha Graham.
Per le celebrazioni, il Lirico di Napoli ha scelto, insieme con i teatri di Parigi e Mosca, la versione firmata da Pina Bausch nel 1975, con i costumi e le scene di Rolf Borzik. Una versione, questa, nella quale trenta ballerini, quindici uomini e quindici donne, in vesti minimali e leggeri danzano in una scena ricoperta di argilla, dando vita al rito di designazione di una fanciulla destinata al sacrificio propiziatorio. Prevale nell’allestimento una dimensione selvaggia e primitiva, un crescendo drammatico, con i corpi degli interpreti sempre più affannati e imbrattati fino al tragico finale.
Di grande impatto è, poi, la scelta di proporre «Café Müller», titolo che segna un punto di svolta nella ricerca di Pina Bausch, artista che, dopo i precedenti lavori ispirati ai capolavori dell'arte e della letteratura, definisce con questo spettacolo lo stile ed i contenuti del suo teatro-danza. Il balletto è, infatti, la sintesi dell'intero universo poetico, drammaturgico e coreutico inventato dall'artista tedesca, orientato all'analisi del contrasto uomo-società e alla ricerca di una espressività autentica dei sentimenti. La produzione, in parte autobiografica, si svolge in un oscuro «caffè della memoria», affollato di sedie vuote tra cui si muovono, sulle note di Henry Purcell, sei danzatori che rappresentano -in un fulminate lamento d'amore- la metafora dell'impossibilità di un contatto sincero tra gli individui.

Vedi anche
Debutto italiano per lo spettacolo «Sweet Mambo» di Pina Bausch

Didascalie delle immagini 
[Fig. 1] Tanztheater Wuppertal Pina Bausch in «La sagra di primavera» («Le sacre du printemps»). Regia e coreografia: Pina Bausch. Musica: Igor Stravinskij. Scene e costumi: Rolf Borzik. Photo: Ulli Weiss;[fig. 2] Tanztheater Wuppertal Pina Bausch in «La sagra di primavera» («Le sacre du printemps»). Regia e coreografia: Pina Bausch. Musica: Igor Stravinskij. Scene e costumi: Rolf Borzik. Copyright: Zerrin Aydin Herwegh; [Fig. 3] Tanztheater Wuppertal Pina Bausch in «Café Müller», un pezzo di Pina Bausch. Musica: Henry Purcell. Regia e coreografia: Pina Bausch. Scene e costumi: Rolf Borzik. Nell'immagine: la ballerina Helena Pikon.Photo: Ulli Weiss

Informazioni utili 
Tanztheater Wuppertal Pina Bausch in «Café Müller»e «La sagra della primavera». Teatro di San Carlo, via San Carlo, 98 – Napoli. Date: giovedì 11 luglio, ore 20.30; venerdì 12 e sabato 13 luglio, ore 21; domenica 14 luglio, ore 17.00. Biglietti: da € 35,00 a € 80,00.

«Café Müller», un pezzo di Pina Bausch. Musica: Henry Purcell. Regia e coreografia: Pina Bausch. Scene e costumi: Rolf Borzik. Interpreti: Helena Pikon, Dominique Mercy, Barbara Kaufmann, Jean-Laurent Sasportes, Michael Strecker, Azusa Seyama/ Aida Vainieri.

«La sagra della primavera». Regia e coreografia: Pina Bausch. Musica: Igor Stravinskij. Scene e costumi: Rolf Borzik. Interpreti: Pablo Aran Gimeno, Rainer Behr, Andrey Berezin, Damiano Ottavio Bigi, Wladislav Bondarenko, Luiza Braz Batista, Lea Burkart, Ching – Yu Chi, Aleš Čuček, Da Soul Chung, Ji-Hye Chung, Clémentine Deluy, Darwin Diaz, Cagdas Ermis, Silvia Farias Heredia, Mareike Franz, Chrystel Guillebeaud, Paul Hess, Ditta Miranda Jasjfi, Scott David Jennings, Daphnis Kokkinos, Kyungwoo Kwon, Thusnelda Mercy, Cristiana Morganti, Blanca Noguerol Ramirez, Jorge Puerta Armenta, Franko Schmidt, Azusa Seyama, Julian Stierle, Michael Strecker, Fernando Suels Mendoza, Tsai-Weii Tien, Anna Wehsarg, Paul White, Tsai-Chin Yu, Sergey Zhukov.

Informazioni: tel. 081. 7972331/412; biglietteria@teatrosancarlo.it. Sito internet: www.teatrosancarlo.it. Da giovedì 11 a domenica 14 luglio 2013.

lunedì 8 luglio 2013

«Fragile?», quando il vetro è poesia e forza comunicativa

E’ il dicembre del 1919 quando Marcel Duchamp (Blainville-Crevon, 1887 – Neuilly-sur-Seine, 1968), in procinto di lasciare Parigi per New York, acquista un’ampolla di vetro per uso medico, la svuota della soluzione fisiologica contenuta al suo interno e la trasforma in un souvenir per i coniugi Louise e Walter Arensberg: «Air de Paris». L’ironico ready-made, un boccetta di nulla nella quale l’artista francese ci invita a credere siano contenuti «50 cc d’aria», è una delle ventotto opere che compongono il percorso espositivo della mostra «Fragile?», curata da Mario Codognato per il progetto «Le stanze del vetro», iniziativa congiunta della Fondazione Giorgio Cini e del Pentagram Stiftung di Chur (in Svizzera), nata con l’obiettivo di valorizzare l’arte vetraria del Novecento e di mostrare le innumerevoli potenzialità e declinazioni di un materiale la cui manifattura è una delle peculiarità distintive della storia di Venezia.
In uno stimolante dialogo tra opposti, l’opera di Marcel Duchamp viene posta a confronto, nell’ala ovest dell’ex Convitto sull’isola di San Giorgio Maggiore, sede della mostra, con «Dust to Dust» (2009), un lavoro dell’artista cinese Ai Weiwei (Pechino, 1957) che, in un semplice recipiente di vetro, simile ai tanti che si trovano sugli scaffali dell’Ikea, ha racchiuso la polvere rossastra di un antico vaso di ceramica di epoca neolitica, cioè risalente a più di cinque mila anni fa, condensando così in una manciata di terra la memoria del passato.
Sulla storia, ma recente, riflette anche Joseph Beuys (Krefeld, 1921- Düsseldorf, 1986), in mostra a Venezia con una sua opera molto conosciuta, ma sempre emozionante e pregna di senso: l’installazione «Terremoto in Palazzo» (1981), realizzata su invito del gallerista napoletano Lucio Amelio all’indomani del sisma che, nel 1980, devastò l’Irpinia: vecchi mobili fanno da contorno a una miriade di schegge di vetro disseminate sul pavimento, mentre altri vasi, ancora intatti, sorreggono, precariamente, una sorta di panca sulla quale è collocato un uovo, emblema della fragilità e della transitorietà del nostro esistere. Un tema, questo, sul quale riflette, ma con leggerezza e giocosità, anche Damien Hirst (Bristol, 1965) con l’opera «Death or Glory» (2001): un teschio diviso in quattro parti da una lastra di vetro, con due occhi-palline usciti dalle orbite, sospesi nel vuoto grazie a soffi di aria compressa.  A fare da colonna sonora al percorso espositivo è, invece, il battere dei cuori in bottiglia, disposti a grappolo, che compongono l’opera «Migrants» (2013) dell’artista francese Cyril de Commarque (Périgueux, 1970), simbolo dell’anelito di sopravvivenza che accompagna il viaggio nelle acque del Mediterraneo di tanti africani costretti a lasciare il proprio Paese.
Il vetro, dunque, come materiale dalle particolari qualità metaforiche o come object trouvé, ovvero prodotto di scarto e di origine industriale, lontano dalle belle forme e dall’originalità della lavorazione muranese, è l’argomento al centro della mostra «Fragile?», nella quale ampio spazio ha la corrente poverista. Mario Merz (Milano, 1925 – Torino, 2003) è rappresentato, per esempio, da una striscia di terra tagliata da lastre di vetro, sulle quali sono riportate i numeri crescenti della serie di Fibonacci a neon («Senza titolo», 1971). Giovanni Anselmo (Borgofranco di Ivrea, 1934) espone «Direzione» (1967-1968), un barattolo fasciato da una tela e con un ago magnetico, che indica il nord, collocato al suo interno. Di Luciano Fabro (Torino, 1936 – Milano, 2007) si trova, invece, lungo il percorso espositivo l’opera «Mezzo specchiato, mezzo trasparente» (1965), nella quale l’immagine riflessa appare e scompare ripetutamente. Giuseppe Penone (Garessio, 1947) sorprende, poi, il visitatore con la sua «Barra d’aria» (1969-1996), un parallelepipedo di vetro appoggiato orizzontalmente a una finestra, che collega lo spazio espositivo con l’esterno, consentendo di guardare fuori, ma anche di sentire il rumore del vento che lambisce l’isola di San Giorgio Maggiore. Infine, Jannis Kounellis (Pireo, 1936) allinea, su una mensola nera, una serie di bottiglie impolverate dal tempo («Senza titolo», 1958). E colli e fondi di bottiglie, che sembrano incastonati nel pavimento, sono anche i materiali scelti da Mona Hatoum (Beirut, 1952) per l’installazione «Drowning Sorrows (Wine Bottles)» (2004).
Non mancano alla Fondazione Giorgio Cini, poi, opere capaci di strappare un sorriso. È il caso di «Filies in a Jarr» (1994) di David Hammons (Springfield, 1943), che richiama alla mente il gesto ludico e infantile di custodire una lucciola nel vetro, o del video «Ever is over All» (1997) della svizzera Pipilotti Rist (Grabs, 1962), dove una giovane sorridente, scarpette rosse ai piedi e mazza a forma di fiore in mano, passeggia per la città frantumando i vetri laterali di alcune auto in sosta, mentre una poliziotta, diversamente dal previsto, si congratula con lei. Magia del vetro, un materiale di pura poesia e di grande forza comunicativa.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Installazione delle opere di Marcel Duchamp («Air de Paris», 1919-1939) e di Ai Weiwei («Dust to Dust», 2009) all'interno della mostra «Fragile?» alla Fondazione Giorgio Cini di Venezia. Foto: Matteo De Fina; [fig. 2] Joseph Beuys, «Terremoto in Palazzo», 1981. Collezione «Terrae Motus», Palazzo Reale, Caserta. Foto: Peppe Avallone; [Fig. 3] Mona Hatoum, «Drowning Sorrows (wine bottles)», 2004. Collezione Pier Luigi e Natalina Remotti. Courtesy Galleria Continua, San Gimignano / Beijing / Le Moulin. Foto: Ela Bialkowska; [fig. 4] Pipilotti Rist, «Ever Is Over All», 1997. Installazione audio-video. Courtesy the artist, Hauser & Wirth and Luhring Augustine, New York. © Pipilotti Rist 

Informazioni utili
«Fragile?». Fondazione Giorgio Cini – Spazio «Le stanze del vetro», Isola di San Giorgio Maggiore – Venezia. Orari: ore 10.00-19.00; chiuso il mercoledì. Ingresso libero. Catalogo: Skira, Milano. Informazioni: tel. 041.5229138 o info@lestanzedelvetro.it. Sito web: www.lestanzedelvetro.it. Fino a domenica 28 luglio 2013.