ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

martedì 8 aprile 2014

Tra totem africani e tarocchi, un viaggio nell’arte di Enrico Prometti

La città di Bergamo e i suoi musei si uniscono in un percorso comune per raccontare il multiforme itinerario artistico di Enrico Prometti (Bergamo, 1945-2008), artista viaggiatore che ha esplorato le culture di alti Paesi, soprattutto delle civiltà Dogon e Tuareg, durante i suoi lunghi viaggi in Africa, dando vita a una ricerca figurativa, unica nel panorama nazionale, che ha attraversato i terreni della pittura, della scultura, della grafica, della realizzazione di gioielli e di oggetti d’uso quotidiano.
L’articolato progetto espositivo, intitolato «Prometti dal mito dalla storia dalla strada», è promosso dall’Accademia Carrara di Belle arti, dalla Fondazione Bergamo nella storia, dalla Fondazione Credito bergamasco e dalla Gamec – Galleria d’arte moderna e contemporanea, in collaborazione con il Museo civico di Scienze naturali «Enrico Caffi». E nasce da un’idea di Maria Grazia Recanati, che si è avvalsa della consulenza di Serena e Vania Prometti e del fondamentale apporto organizzativo di Roberta Marchetti, Rosanna Paccanelli, Angelo Piazzoli, Maria Cristina Rodeschini, Marco Valle e Claudio Visentin.
Il risultato è una mostra diffusa sul territorio, che si propone non solo di ricordare la figura dell’artista bergamasco, ma anche di costruire un percorso di conoscenza e incontro della poetica del viaggio e della cultura africana di cui Enrico Prometti era grande estimatore e conoscitore.
Insofferente ad ogni cristallizzazione intellettuale, l’autore lombardo ha indagato con assoluta libertà le potenzialità della materia e gli sviluppi della ricerca formale contemporanea, senza cedimenti né a facili esotismi né alle mode talora imperanti del mercato, contaminando elementi naturali e artificiali per generare risultati misteriosi, potentemente espressivi nelle loro infinite combinazioni.
Enrico Prometti ha restituito al nostro immaginario un mondo popolato di fantasmi totemici, maternità ancestrali, bestiari fantastici, pianeti colorati, soli e tarocchi. È stato non solo scultore di fervidissima ispirazione, abile pittore e incisore, ma anche autore di affascinanti gioielli e oggetti d’uso come coltelli, maschere e sedie.
Il racconto del suo viaggio artistico prende il via dal Museo storico di Bergamo con una sezione che ospita grandi dipinti, tra i quali una drammatica «Crocefissone», realizzata a collage con frammenti di giornali, diari, disegni e fotografie con visioni dell’Africa e dell’arte rupestre Dogon. Si entra, poi, nel mondo delle grandi sculture fatte con materie naturali (come il legno) o con materiali di riciclo (quali il cartone, la gomma, la plastica); tra di esse colpiscono l’attenzione la serie dei «Pianeti», grandi globi scolpiti in legno di iroko e dipinti, e alcune opere in pietra e tufo.
La sezione etnografica del Museo civico di scienze naturali «Enrico Caffi» -che conserva anche la collezione di reperti africani donata nel 1989 da Aldo Perolari alla città di Bergamo, ordinata nell’attuale allestimento da Walter Barbero in collaborazione con Enrico Prometti- ospita, invece, la «Grande maternità afro». Mentre la Gamec accoglie gioielli realizzati in legno, intarsi d’ambra e madreperla, pietre dure, coltelli-scultura, maschere, ornamenti per il corpo, sedie scolpite e una serie di «Arcani Maggiori», fotolitografie colorate a mano, testimonianza di un interesse per l’elaborazione dei Tarocchi che l’artista ha coltivato per tutta la vita e che rappresenta uno dei risultati più affascinanti della sua produzione.
Contemporaneamente alla mostra, Bergamo ospiterà una serie di eventi collaterali, da un concerto del mediatore museale Dudù Kouate al ciclo di conferenze «Arte, cura, memoria: dialoghi con l’Africa», dal progetto sonoro di Francesco Crovetto a laboratori di fotografia e di scrittura sul tema del viaggio, senza dimenticare la mostra «Punti di vista: l’Africa nello sguardo di Tito e Sandro Spini, Carlo Leidi, Walter Barbero», aperta dal 19 aprile al 18 maggio e promossa dagli Amici del museo storico di Bergamo.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Enrico Prometti, «Pianeta bianco», 2005. Legno di iroko intagliato e dipinto, h cm 45. © Foto Virgilio Fidanza. Archivio Fondazione Credito Bergamasco; [fig.2] Enrico Prometti, «Tarocchi, Arcani Maggiori: La Papessa, L'Imperatrice, Il Papa, L'Eremita», 1978. Fotolitografie colorate a mano, cm 26 x 16. © Foto Virgilio Fidanza. Archivio Fondazione Credito Bergamasco; [fig. 3] Enrico Prometti, «Sedia», anni 2000. Legno, stracci, cm 74x66. © Foto Virgilio Fidanza. Archivio Fondazione Credito Bergamasco

Informazioni utili 
Enrico Prometti (1945-2008). Dal mito dalla storia dalla strada. 
- Museo storico di Bergamo - Convento di San Francesco, piazza Mercato del Fieno 6/a – Bergamo Alta. Orari: martedì-domenica, ore 9.30-13.00 e ore 14.30-18.00; chiuso il lunedì non festivo. Ingresso libero: Catalogo: disponibile in mostra. Informazioni: tel. 035.247116. Sito internet: www.bergamoestoria.it
- Gamec - Galleria d’arte moderna e contemporanea di Bergamo, via San Tomaso 53 – Bergamo. Orari: martedì-domenica, ore 10.00-13.00 e ore 15.00-19.00; chiuso lunedì. . Ingresso libero: Catalogo: disponibile in mostra. Informazioni: tel. 035.270272. Sito internet: www.gamec.it
- Museo civico di scienze naturali «Enrico Caffi», piazza Cittadella, 10 – Bergamo Alta. Orari: ore 9.00-12.30 e ore 14.30-18.00; sab e festivi 9.00-19.00; chiuso il lunedì. . Ingresso libero: Catalogo: disponibile in mostra.Informazioni: tel. 035.286011. Sito internet:  www.museoscienzebergamo.it
Fino al 2 giugno 2014. 

lunedì 7 aprile 2014

«Solide Senses»: cinque artisti, un pianoforte e il marmo di Carrara. Robot City si presenta al Salone del Mobile

Una mostra come biglietto da visita: è questa la scelta compiuta da Robot City - Italian Art Factory, nuova realtà imprenditoriale creativa nel settore del marmo, guidata da Gualtiero Vanelli, che ha scelto di presentarsi al palcoscenico internazionale del design, durante i giorni del Salone internazionale del mobile di Milano, con il progetto espositivo «Solide Senses».
Quattro grandi protagonisti dell’architettura e della progettazione sono stati invitati a cimentarsi con il marmo di Carrara, per dar vita a oggetti unici, in grado di esaltare le potenzialità espressive e funzionali di questo materiale antico e affascinante che ha reso famoso il territorio apuano sin dai tempi di Michelangelo, traducendolo nella più avanzata contemporaneità, ognuno secondo il proprio stile e linguaggio.
Stefano Boeri, Stefano Giovannoni, Alessandro Mendini e Paolo Ulian, questi i quattro artisti invitati, hanno realizzato appositamente per Robot City- Italian Art Factory una serie di opere inedite in tiratura limitata: preziosi oggetti d’arredo, che fanno dialogare, spesso in modo imprevedibile, forma e funzione, estetica ed ergonomia, tradizione e innovazione.
Stefano Boeri presenta, per esempio, il «Tavolo onda», firmato boeridesign: un monolite in marmo paonazzo, sagomato secondo il disegno da una macchina a controllo numerico, a sostenere un piano in cristallo.
Mentre Alessandro Mendini ha scritto un nuovo capitolo nella storia della sua opera più iconica, la poltrona «Proust» del 1978, realizzata per l’occasione in marmo; il candore e il peso di questo materiale conferiscono all’ oggetto un aspetto iper-realista e un’aura quasi surreale con un tocco di contemporaneità estetica.
Stefano Giovannoni ha, invece, progettato un tavolo in marmo fitomorfo con sedie zoomorfe: «Tree Table». Un oggetto, questo, che unisce funzionalità e dimensione ludica, coniugando l’elemento narrativo e una raffinata e innovativa ingegneria strutturale con lo stile che lo hanno reso famoso in tutto il mondo. Infine, Paolo Ulian ha realizzato, con l’aiuto di Moreno Ratti, due oggetti che ben esprimono la sua poetica basata sull’eco-sostenibilità: «Land», una seduta ottenuta da due lastre piane di marmo tagliate in modo concentrico, e «Comb», un oggetto multifunzionale, panca e libreria componibile.
Ad inaugurare la mostra, nella serata di martedì 8 aprile (a partire dalle ore 20.30 e solo per gli invitati), sarà il concerto-performance «Carrara Idol», che vedrà in scena David Bryan, cofondatore della band Bon Jovi di cui è a tutt’oggi tastierista. L'artista si esibirà in esclusiva suonando alcuni dei suoi brani più famosi con  l'M-Piano, lo straordinario Steinway & Sons a coda intorno al quale è stata creata una silhouette in marmo pregiato che lo contiene interamente.
Accanto al musicista ci sarà una band d’eccezione, formata per l’occasione e composta dal chitarrista Matt O'Ree, dal tastierista Eric Safka, dal batterista John Hummel, dal basso Scott Bennert e dal sassofonista Michael Ghegan.
Il concerto, che sarà introdotto dal gruppo toscano Vice, è la seconda edizione di «Carrara Idol», uno special tour internazionale di sole tre tappe, ideato dallo stesso David Bryan con Gualtiero Vanelli, che è andato in scena a Carrara nel 2012, nella suggestiva scenografia di una cava, e che animerà ora il FuoriSalone di Milano, prima di essere presentato a New York.
L'M-Piano, frutto di una raffinata e innovativa ingegnerizzazione che sfrutta tecnologia all’avanguardia e altissimo artigianato, rimarrà esposto al pubblico in una sala adiacente al percorso espositivo della mostra «Solide Senses», visitabile fino al 13 aprile nella living room dello Spazio Ventura di Milano.

Didascalie delle immagini
 [Figg. 1 e 2]  M-piano; [fig. 3] Alessandro Mendini, rivisitazione in marmo di Carrara della poltrona «Proust» del 1978

Informazioni utili 
«Solide Senses». Opere di Stefano Boeri, Stefano Giovannoni, Alessandro Mendini, Paolo Ulian / «Carrara Idol». Concerto di David Bryan. Ventura Lambrate,  via Giovanni Ventura, 14 (ingresso da via Massimiano, 23 o da via Giovanni Ventura, 6) - Milano. Orari: da martedì 8 a sabato 12 aprile, ore 10.00–20.00; domenica 13 aprile, ore 10.00 – 18.00; giovedì 9 aprile, aperto anche dalle ore 20.00 alle ore 22.00. Ingresso libero. Sito internet: www.venturaprojects.com. Dall' 8 al 13 aprile 2014. 

venerdì 4 aprile 2014

Da Stevenson a Paul Gauguin, quando l’arte incontra la leggenda di Tahiti

Isole incontaminate, spiagge deserte, acque cristalline, natura policroma e una calorosa popolazione locale: l’immagine leggendaria delle Isole di Tahiti come paradiso tropicale, iniziata con i racconti dei primi visitatori europei, è stata rafforzata nei secoli da poeti, pittori, scrittori, balenieri, commercianti, vagabondi, marinai, navigatori, esploratori e registi che contribuirono a diffonderne la fama in tutto il mondo.
L’esploratore Samuel Wallis, dopo aver scoperto l’arcipelago polinesiano, scrisse: «Tutte le donne sono belle e qualcuna di una grande bellezza». Il collega francese Louis Antoine de Bougainville, nel 1771, pubblicò il suo «Viaggio intorno al mondo», nel quale dichiarò: «Credevo di essere trasportato nei giardini dell'Eden»; anche James Cook e Joseph Banks, nei loro diari di viaggio, contribuirono ad alimentare questa visione idilliaca dell’arcipelago.
Robert Louis Stevenson, autore dei celebri libri «L'isola del tesoro» e «Dr Jekyll e Mr Hyde», rimase particolarmente colpito dalla bellezza delle Tuamotu e lo raccontò nel libro «Nei mari del sud» (1890). Mentre l’Arcipelago della Società è protagonista di ben due romanzi dello scrittore americano Herman Melville, che nel 1846 pubblicò «Taipi: uno sguardo alla vita della Polinesia», in parte ispirato a una vicenda personale. L’anno dopo è la volta di «Omoo», nel quale sono molti i riferimenti autobiografici al periodo di prigionia che l'autore trascorse tra gli indigeni polinesiani, a Tahiti e a Moorea. La cultura Maori è, invece, al centro de «Les Immémoriaux» (1907) di Victor Segalen, poeta e medico della Marina che soggiornò a Tahiti e in altre isole della Società.
Hiva Oa è conosciuta anche come l’isola di Paul Gauguin; il pittore francese vi si stabilì dal 1901 al 1903, anno della sua morte, dopo avervi già soggiornato dal 1891 al 1893. Qui l’artista, che aveva deciso di lasciare l’Europa per «vivere in questo luogo d'estasi, di calma e d'arte», realizzò circa settanta dipinti di vario genere, dai ritratti ai nudi, dai paesaggi ai soggetti simbolici ed allegorici.
Nella capitale delle Isole Marchesi, Atuona, è possibile vedere anche la ricostruzione della Maison du jouir, la casa/atelier polinesiana del pittore, con disegni, fotografie, lettere e altri oggetti personali del pittore e copie delle opere più celebri realizzate in quel periodo. Mentre chi fosse interessato a scoprire che cosa l’artista ha lasciato nella successiva generazione di pittori può visitare, al Museo delle Isole di Tahiti e fino al 24 maggio, la mostra «Après Gauguin. La peinture à Tahiti de 1903 aux années 60».
In Polinesia, di fronte alla baia di Ta'a'oa, c’è anche la tomba del pittore francese, sepolto nello stesso luogo di un altro celebre europeo, il cantautore e attore belga Jacques Brel che, spinto dalla sua grande passione per l’aviazione, trascorse in questi luoghi gli ultimi anni della sua vita, dal 1975 al 1978, continuando a comporre nonostante le difficili condizioni di salute.
Gli incomparabili scenari naturali delle Isole di Tahiti hanno ispirato anche numerosi registi e produttori cinematografici, primo fra tutti il tedesco Friedrich Wilhelm Murnau che, dopo diciotto mesi di riprese a Bora Bora, sul Motu Tapu, fece uscire il film «Tabu. Uragano» di Dino De Laurentis, remake dell’omonimo film di John Ford ispirato al romanzo di James Norman Hall e Charles Nordoff. Ma la figura cinematografica più legata alle Isole di Tahiti, dove si tiene anche il Fifo – Festival internazionale del film documentario oceanico, è Marlon Brando che, dopo il film «Gli ammutinati del Bounty» del 1962, decise di acquistare l’isola di Tetiaroa, dove visse fino al 1990. Al grande attore americano è dedicato l’ecoresort The Brando, una serie di lussuosi bungalow integrati tra la foresta. Un arcipelago, quello polinesiano, capace, dunque, di incantare anche l’arte, grazie alle sue ricchezze naturalistiche, ai sui colori favolosi, alla sua «aria -diceva Paul Gauguin- arroventata, ma soffusa, silenziosa».

Didascalie delle immagini 
[Fig. 1] Paul Gauguin, «Da dove veniamo? Che siamo? Dove andiamo? », olio su tela, 139 x 374,5 cm, 1897, Museum of Fine Arts, Boston; [fig. 2] Paul Gauguin, «Due donne tahitiane», 1891, olio su tela, 69 x 91 cm; Musee d'Orsay, Parigi; [fig. 3] Paul Gauguin, «Primavera sacra», 1894, olio su tela, 73 x 98 cm, Hermitage Museum, San Pietroburgo

Informazioni utili 
Tahiti Tourisme c/o Aviareps Via Monte Rosa 20 - 20149 Milano, tel. 02.43458345, fax 02. 43458340, Tahiti.italy@aviareps.com