ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

giovedì 9 ottobre 2014

Una Cabane abitabile di Daniel Buren per il Parco della scultura di Catanzaro

È uno degli artisti francesi più conosciuti al mondo. Nella sua lunga carriera ha vinto premi prestigiosi come il Leone d’oro alla Biennale di Venezia e il Premium imperiale per la pittura della Japan Art Foundation. Le sue opere in situ sono visibili alla Corte d’onore del Palais-Royal a Parigi, al Parc des Célestins di Lione, sul ponte adiacente al Guggenhiem Museum di Bilbao e in molte altre città di tutto il mondo. Daniel Buren (Boulogne-Billancourt, 1938), uno dei maestri dell’arte concettuale internazionale, ha legato il suo nome alla progettazione e creazione di opere, uniche e irripetibili, pensate su misura per un determinato luogo e un ben individuato pubblico. Ha messo in essere questa sua filosofia ideativa dialogando con l’architettura di musei e gallerie, ma anche intervenendo direttamente in spazi urbani come piazze, giardini e ponti, attraverso l’uso di uno strumento visivo ben individuabile quale l’alternanza di strisce verticali colorate di 8,7 centimetri con altre bianche.
Questa costante ricerca sui rapporti fra opera d’arte, luogo e spettatore ha portato Daniel Buren di recente in Calabria, dove era già stato ospite due anni fa in occasione della grandiosa mostra personale realizzata per l'area archeologica di Scolacium nell’ambito del progetto «Intersezioni». Dai primi di ottobre il Parco internazionale della scultura di Catanzaro ospita, infatti, «Cabane éclatée aux 4 couleurs», un vero e proprio organismo plastico-architettonico che ha la caratteristica specifica di trasformare e di essere trasformato dal luogo ospitante creando un rapporto di reciproca interdipendenza. L’opera è, nello specifico, un cubo di 4x4x4 metri percorribile e visitabile che, “esplodendo”, si proietta fino ai limiti estremi dell’ambiente intercettando i cambiamenti atmosferici e ambientali.
Come ci ricorda lo stesso Daniel Buren, infatti, «la Cabane non è né un oggetto né un decoro, ma un luogo fruibile e abitabile che ogni volta consente una nuova verifica». È cioè un corpo vivo che crea una relazione continua tra pieni e vuoti, tra costruzione e decostruzione dando l’impressione di dissolversi e di perdere la sua consistenza fisica a contatto con lo spazio.
Con questo lavoro si arricchisce il percorso espositivo del Parco internazionale di scultura di Catanzaro, al cui interno si trovano già i lavori di altri undici protagonisti dell’arte plastica contemporanea: Stephan Balkenhol, Tony Cragg, Wim Delvoye, Jan Fabre, Antony Gormley, Dennis Oppenheim, Mimmo Paladino, Michelangelo Pistoletto, Marc Quinn e Mauro Staccioli.
Per l’occasione Silvana editoriale di Cinisello Balsamo ha pubblicato il primo catalogo sul parco, nel quale si racconta una vicenda iniziata nel 2005 e che ha consentito di realizzare in Calabria uno dei più importanti progetti di arte pubblica in Italia.
Il volume analizza tutte le opere mettendo a confronto la realtà catanzarese con i maggiori parchi italiani e stranieri; accanto alla testimonianza del curatore Alberto Fiz, la pubblicazione comprende i contributi di Elena del Drago e Francesco Poli.
Ma il libro non vuole essere affatto riepilogativo di una storia. Al contrario, rappresenta un punto di riferimento per una vicenda destinata a proseguire nei prossimi anni con un rinnovato programma di acquisizioni reso possibile grazie alla collaborazione tra la Provincia di Catanzaro e la Direzione regionale dei Beni culturali e paesaggistici della Calabria, presieduta da Francesco Prosperetti.

Didascalie delle immagini 
[Fig. 1] Ritratto di Daniel Buren; [fig. 2] Daniel Buren, «Cabane éclatée aux 4 couleurs», 2014. Catanzaro, Parco internazionale della scultura; [fig. 3] Disegno della «Cabane éclatée aux 4 couleurs» di Daniel Buren 

Informazioni utili 
Parco internazionale della scultura al Parco della biodiversità mediterranea, via Cortese, 1 - Catanzaro. Informazioni: Marca – Museo delle arti di Catanzaro, tel. 0961.746797 o e-mail info@museomarca.com.

mercoledì 8 ottobre 2014

Andrea Palladio, il primo archi-star di Russia

È il 1699 quando in Russia viene pubblicata, probabilmente ad opera del principe Dolgorukov, la prima traduzione del famoso «Trattato di Architettura» di Andrea Palladio, stampato a Venezia nel 1570. Da quel momento il grande architetto veneto diventa punto di riferimento imprescindibile anche nelle terre degli Zar, non solo perché il suo nome è riconducibile alle eccellenze del Rinascimento italiano, ma anche perché la sua opera diventa fonte di ispirazione per la progettazione architettonica del Paese, oltre che modello per la formazione della coscienza e della vita quotidiana.
Da questa considerazione nasce la mostra «Russia palladiana. Palladio e la Russia dal Barocco al Modernismo», a cura di Arkadij Ippolitov e Vasilij Uspenskij dell'Ermitage di San Pietroburgo, allestita fino al 10 novembre al museo Correr di Venezia.
L’esposizione, del tutto inedita per i contenuti e i risultati scientifici pubblicati in catalogo, ma anche per la sua ideazione, permette per la prima volta di seguire la storia, ormai tricentenaria, del palladianesimo russo attraverso un numero significativo di materiali ignoti al pubblico, provenienti dai fondi dei più prestigiosi musei e archivi della Russia, ventitré realtà tra le quali si ricordano il Museo di stato di San Pietroburgo, l'Archivio dei documenti antichi e la Biblioteca nazionale.
Oltre duecento le opere esposte, non solo disegni, progetti, schizzi e modelli di opere architettoniche, ma anche dipinti e opere grafiche, che portano la firma di artisti quali Levickij, Borovikovskij, Soroka, Borisov-Musatov, Sudejkin, Grabar’, Benois, Dobužinskij, Kandinskij e Suetin.
La prima parte della rassegna, nata da un’idea di Zelfira Tregulova e organizzata dal Ministero della Cultura della Federazione russa per l’Anno del turismo italo-russo e in occasione della Biennale, spiega come sia nata la fascinazione per l'opera di Andrea Palladio nella prima metà del XVIII secolo, all’epoca delle riforme di Pietro I che «aprirono una finestra sull’Europa».
Dalla fine del Seicento, poi, le idee dell'architetto italiano giocarono un ruolo sempre più importante, ispirando le opere di molti progettisti russi, come appare chiaramente nella costruzione di Pietroburgo. Tuttavia, la passione per l’opera palladiana conobbe il suo vero apogeo all’epoca di Caterina II. Desiderosa di apparire come una sovrana illuminata, la zarina fu promotrice delle più innovative tendenze artistiche provenienti dall’Europa non solo nelle arti visive, ma anche nell’architettura e chiamò alla sua corte due famosi architetti dell’epoca, Giacomo Quarenghi e Charles Cameron, convinti seguaci di Palladio, che esercitarono anche una forte influenza sullo sviluppo della Weltanschauung del grande maestro russo Nikolaj L’vov.
Non è un’esagerazione dire che fu proprio quest’ultimo artista a dare vita ad un fenomeno unico come quello dell’usad’ba russa, che coinvolgeva certamente l’architettura, con la costruzione di ville di campagne, ma anche l’arte nel suo complesso e soprattutto la vita quotidiana del tempo.
I lavori di Quarenghi, Cameron e L’vov contribuirono in buona parte all’avvento del «Secolo d’oro» della cultura russa, epoca che coincise con il regno di Alessandro I, meravigliosamente descritta nelle pagine dell’«Evgenij Onegin» di Puškin e di «Guerra e pace» di Tolstoj.
Non meno interesse per il palladianesimo si ebbe nel XX secolo, periodo caratterizzato da un entusiasmo generalizzato per il modernismo, che tuttavia non disdegnò un interesse per le forme neoclassiche, combinato alla nostalgia per la passata cultura delle usad’ba, come documentano i lavori degli architetti Žoltovskij, Fomin e Ščusev. Del resto, il carattere essenziale dello stile palladiano sembrava essere molto vicino all’estetica rivoluzionaria dell’avanguardia e, com’è noto, il costruttivista Mel’nikov era un fervente ammiratore dell’opera del maestro veneto.
Andrea Palladio influenzò anche l’architettura staliniana, nata dalla complessa fusione tra neoclassicismo e avanguardia. Basti pensare ai progetti dell'architetto Ivan Žoltovskij, che oltre a compiere l'ultima traduzione in russo dei «Quattro libri dell'architettura», una sorta di Bibbia dell’arte edificatoria, ne offrì nei suoi progetti una interpretazione visionaria.
L'opera del maestro continua ancora oggi ad affascinare i giovani progettisti russi. A chiudere la mostra è, infatti, un lavoro di Brodskij, creato all’alba del terzo millennio, dove si ritrovano quelle caratteristiche di utilità, durata e bellezza che erano per Andrea Palladio i fondamenti della progettazione, come già, prima di lui, aveva scritto Vitruvio: «tre cose in ciascuna fabrica deono considerarsi, senza le quali niuno edificio meriterà esser lodato; e queste sono, l'utile o commodità, la perpetuità, e la bellezza».

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Giacomo Quarenghi, Progetto incompleto della Cattedrale di Kazan’a Pietroburgo,1780. San Pietroburgo, Museo di Stato della storia di San Pietroburgo; [fig. 2] Benjamin Paterssen, Facciata del Palazzo di Tauride dal lato dei giardini, fine del XVIII secolo. San Pietroburgo, Museo di Stato dell'Ermitage; [fig. 3] Marian Peretiakovjc, Progetto per il Padiglione dell’Esposizione internazionale di Roma, 1911. San Pietroburgo, Museo dell’Accademia russa di Belle arti

Informazioni utili 
«Russia palladiana. Palladio e la Russia dal Barocco al Modernismo». Museo Correr – Secondo piano, piazza San Marco – Venezia. Orari: fino al 31 ottobre 2014, ore 10.00-19.00 (la biglietteria chiude un’ora prima); dal 1° novembre 2014, ore 10.00-17.00 (la biglietteria chiude un’ora prima). Biglietti: intero € 16,00, ridotto € 14,00 o € 8,00, scuole € 5,50, gratuito per i residenti e nati nel Comune di Venezia e per gli aventi diritto per legge. Informazioni:  call center 848082000 (dall’Italia) o +39.04142730892 (dall’estero). Sito internet: www.correr.visitmuve.it. Fino al 10 novembre 2014.

martedì 7 ottobre 2014

Sulle vette con Eugenio Fasana. La «mitografia di un alpinista» in mostra a Gemonio

È stato tra i primi in Italia a praticare lo sci ad alta quota. Le sue imprese sportive sono entrate nel mito. In meno di trent’anni, dal 1906 al 1935, ha compiuto oltre centoventi ascensioni nelle Alpi Occidentali, Centrali, Dolomitiche, Bavaresi e Bernesi. Il suo nome è legato anche alla storia di importanti protagonisti del Novecento come la regina Maria José, il re Alberto I del Belgio e papa Pio XI, dei quali fu guida alpina esperta. Stiamo parlando di Eugenio Fasana (Gemonio, 1886 – Milano, 1972), vero e proprio pioniere dell’alpinismo moderno, membro autorevole del Cai – Club alpino italiano e della Sem – Società escursionisti milanesi, da ricordare anche per la sua attività di scrittore, giornalista e pittore, che lo vide redigere articoli, saggi, libri, aforismi, poesie e produrre olî, carboncini, chine e fotografie ritoccate con raffinati interventi pittorici.
Alla figura di questo alpinista coraggioso, che fu anche maestro di Vitale Bramani (l’inventore della suola «a carrarmato», realizzata con il procedimento della vulcanizzazione), è dedicata la mostra «Eugenio Fasana. Mitografia di un alpinista», allestita fino a martedì 23 dicembre al Museo civico Floriano Bodini di Gemonio, nell’alto Varesotto, per la curatela di Daniele Astrologo Abadal, Gianni Pozzi e Luca Zuccala. La rassegna –che si avvale dei contributi scientifici di Carlo Caccia, Anna Gasparotto e Marco Ferrazza- presenta tutte le edizioni pubblicate dallo scrittore-alpinista, da «Uomini di sacco e di corda» (Sen, Milano 1926) a «Quando il Gigante si sveglia» (Montes, Torino 1944), da «Cinquant’anni di vita della Società Escursionisti Milanesi» (Sem, Milano 1941) al celebre «Il Monte Rosa. Vicende Uomini e Imprese» (Rupicapra Editore, Milano 1931), poi “scopertinato” e ripresentato come «L’epopea del Monte Rosa» (edizioni L’Eroica, Milano 1934) nella collezione «Montagna» di Zoppi.
Sono presenti lungo il percorso espositivo anche articoli di Eugenio Fasana apparsi su alcuni periodici italiani dedicati alla montagna, come la rivista del «Cai» o «Lo scarpone», e sul quotidiano «La Stampa» di Torino, dove per vari anni il giornalista tenne una rubrica alpinistica.
Nella mostra di Gemonio ci sono, poi, anche una serie di pubblicazioni su Eugenio Fasana come il volume «Grigna assassina» di Marco Ferrazza (Edizioni Vivalda, Torino 2006) o il saggio «Il francescano delle Alpi», edito nel libro «Alpinismo Romantico» di Sandro Prada (Tamari Editori, 1972), o ancora articoli apparsi su riviste specializzate nazionali e internazionali quali, per esempio, «La vie alpine», «Lo Scarpone», «Revue Alpine», «Spiritualità» e «Verbanus».
Nelle sale del Museo Bodini si trovano esposte anche lettere autografe (come l’interessante scambio epistolare con l’abate Henry e quello con Guido Rey), stampe fotografiche, cartine topografiche intelate, medaglie al valore, dattiloscritti, documenti provenienti dagli archivi del comune di Gemonio e dalla parrocchia (tra i quali il registro di nascita e di battesimo), atti sulla cartiera di famiglia, parte dell’attrezzatura sportiva di Eugenio Fasana e un busto in marmo che lo ritrae.
Grande attenzione è data nella mostra anche all’amore dell’alpinista-scrittore per l’arte: accanto a schizzi e dipinti di suo conio, sono visibili alcuni quadri della sua collezione e una serie di fotografie ritoccate con interventi pittorici, oltre ad alcune opere pittoriche con vedute di montagna, firmate, tra gli altri, da Achille Jemoli, Luigi Russolo e Innocente Salvini.
Un ritratto, dunque, a tutto tondo di Eugenio Fasana quello che offre la mostra al Museo Bodini di Gemonio, realtà che merita una visita anche per la sua ricca collezione di sculture, pitture e grafiche, all’interno della quale spiccano i nomi di Leonardo Bistolfi, Giuseppe Grandi e Francesco Messina.

Didascalie delle immagini 
[Fig. 1] Eugenio Fasana in Grignetta nel 1921. Archivio Fasana; [fig. 2] Eugenio Fasana, «Dente del Gigante (Monte Bianco) », 1947. Olio su compensato. Eredi Fasana-Zuccala. Foto: Franco Ricci; [fig. 3] Eugenio Fasana, «Campaniletto», s.d.. Carboncino su carta. Eredi Fasana-Zuccala. Foto: Franco Ricci. 

Informazioni utili 
 «Eugenio Fasana. Mitografia di un alpinista». Museo civico Floriano Bodini, via Marsala, 11 – Gemonio. Orari: sabato e domenica, ore 10.30-12.30 e ore 15.00-18.30. Ingresso: intero € 5,00, ridotto € 3,00. Informazioni: archiviofasana@gmail.com o info@amicimuseobodini.com. sito internet: www.mostrafasana.it. Fino a martedì 23 dicembre 2014.