ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

mercoledì 5 agosto 2015

«Lino, lana, seta e oro», la storia del ricamo rivive a Torino

«Ho voluto dare spazio alle straordinarie risorse di perizia e di pazienza di un certo artigianato, grande e unico. Così, per esempio, miriadi di cristalli sono ricamati con effetti bajadère su tuniche assolutamente stupefacenti». Così Gianfranco Ferré, nel 2002, descriveva l’elegante abito concesso in prestito dalla sua fondazione per la mostra «Lino, lana, seta e oro», allestita fino al 16 novembre a Torino, nella sala Atelier di Palazzo Madama.
Oltre sessanta manufatti della prestigiosa collezione museale piemontese ripercorrono otto secoli di storia del ricamo, dai disegni ad ago del Medioevo agli abiti danzanti degli anni Venti, vibranti di perline e conterie in vetro.
Ci sono in mostra delle vere e proprie preziosità come un ricamo in lana svizzero tedesco del 1580 che unisce la raffigurazione della parabola delle «Vergini sagge e delle vergini stolte» a quella degli evangelisti e delle stagioni, una raffinata tovaglia ricamata da Caterina Cantoni tra 1590 e 1610, e un frammento di stolone di piviale con allegri teschi infiocchettati ispirato a un’opera raffigurata da El Greco nel 1586.
Lungo il percorso espositivo sono, poi, rappresentati splendidi ricami in seta e oro, con un prezioso san Cosma in or nué, ricami in lino bianco dei monasteri svizzero tedeschi e altri in lana colorata per i tessuti da arredo, particolari della zona di Zurigo e Sciaffusa nel Cinque-Seicento. Fiori e rocailles decorano con leggerezza i tessuti e gli accessori di abbigliamento settecenteschi: pettorine e borsette femminili, o i corpetti a trapunto, ma anche le marsine, i gilet, i copricapo da uomo.
Palazzo Madama espone, inoltre, un oggetto assai raro: un quaderno manoscritto di disegni per ricami ad inchiostro e tempera, dedicato alla «mirabile matrona Marina Barbo» nel 1538. Assolutamente preziosa è anche la collezione di agorai, in smalto, avorio, microintaglio ligneo, dal XVII al XIX secolo: oggetti d’uso raffinatissimi compagni di lavoro di donne agiate.
Ad illustrare l’antico uso di «imparar l’arte» del ricamo è presente in mostra, poi, una bella raccolta di imparaticci, noti anche come samplers, i riquadri di tela lavorati nei secoli dalle ragazzine per esercitarsi e raccogliere modelli di punti per ricamo e rammendo. L’imparaticcio più antico è firmato da Maria Teofine, che aveva tredici anni quando lo terminò nel 1617, ma gli stessi segni -l’alfabeto, i numeri, la croce, la chiave, i piccoli animali, i simboli della passione- si ritrovano nei lavori delle ragazze di due, tre secoli dopo.
Ricamo deriva dall’arabo raqm: segno. Disegnare ad ago è una pratica antichissima nel bacino del Mediterraneo e in Oriente e, dal Medioevo, diffusa in tutta Europa. Si usano tutti i filati di origine vegetale o animale naturali o tinti, arricchiti da materiali preziosi, quali oro, argento, perle, coralli, o conterie in vetro, paillettes metalliche, in plastica o di gelatina.
Il ricamo è, nella storia, lavoro di uomini e donne: alla fine del XIII secolo a Parigi lavorano duecento mastri ricamatori, al 50% uomini e 50% donne. Nei secoli successivi, l’organizzazione corporativa dei mestieri affida agli uomini la titolarità delle botteghe, dove continuano a lavorare persone di entrambi i sessi. Oltre ai laboratori professionali, luoghi di produzione organizzata di ricami sono anche i monasteri femminili mentre, nel XVI secolo, il ricamo si diffonde come attività domestica, intrattenimento di nobildonne ed esercizio pratico ed educativo per le ragazze. Libri di modelli a stampa diffondono i disegni utilizzati per decorare tovaglie, biancheria, camicie.
Oggi, è il ricamo di alta moda che più dimostra la vitalità e potenzialità di quest’arte. I campioni di ricamo di Pino Grasso proposti per le creazioni dei grandi stilisti italiani aprono la prospettiva sul futuro, un alto artigianato che affonda saldamente le radici nella propria storia. Una storia che ha il sapore della pazienza e della meraviglia.

Didascalie delle immagini 
[Fig. 1] Abito baiadera. Foto: Graziano Ferrari. Credit: Fondazione Ferré; [fig. 2] Frammento di stolone di piviale raffigurante «San Cosma in trono». Firenze, 1470-1490; [fig. 3] Telo raffigurante la parabola «Le Vergini sagge e le vergini folli». Sciaffusa, 1580-1600 

Informazioni utili 
«Lino, lana, seta e oro. Otto secoli di ricamo». Palazzo Madama - Museo civico d’arte antica / Sala atelier, piazza Castello – Torino. Orari: lunedì – sabato, ore 10.00-18.00; domenica, ore 10.00-19.00; martedì chiuso; la biglietteria chiude un’ora prima. Ingresso: intero mostre e collezioni € 12,00, ridotto € 10,00, gratuito ragazzi fino ai 18 anni e abbonati Musei Torino Piemonte. Informazioni: tel. 011.4433501. Sito internet: www.palazzomadamatorino.it. Fino al 16 novembre 2015.

martedì 4 agosto 2015

L’arte contemporanea e il Palio di Siena: la Contrada della Torre fa da mecenate a due allievi dell’Accademia di Bruxelles

Le contrade del Palio di Siena si aprono all’arte contemporanea. Di fronte a una tradizione che affonda le proprie radici nel Medioevo e che ogni anno si rinnova mantenendo intatti riti e culture, l’affermazione potrebbe sembrare una contraddizione in termini. In realtà, il progetto sperimentale nasce per iniziativa dell’associazione FuoriCampo nell’ambito del cartellone di Siena capitale italiana della cultura 2015, nato dall'esperienza della candidatura di Siena a capitale europea della cultura 2019, con l’intento di formare competenze lavorative di profilo europeo nell'ambito dell'arte contemporanea.
La contrada coinvolta nell’iniziativa, grazie alla propria associazione I Battilana, è quella della Torre. I due giovani invitati a partecipare al progetto, la cui residenza in città avrà luogo dal 9 al 18 agosto, sono l’illustratrice Virginia Folletti (Lugano, 1989) e il pittore Lucien Roux in arte Buisson (Parigi, 1990), due artisti entrambi laureati quest'anno all'Académie Royale de Beaux-Arts di Bruxelles - Ecole Supérieure des Arts che, nella scorsa primavera, sono stati selezionati dalla giuria del Prix Itinera, un programma più ampio di scambio tra la Toscana e il Belgio, per partecipare a una residenza a Siena. 
Virginia Folletti e Buisson effettueranno un sopralluogo guidato sul territorio, una sorta di analisi partecipante sulla città e sul palio. Avranno così l’opportunità di vivere dall’interno tutti i momenti e i riti della preparazione, avvicinarsi ai ritmi della festa e immergersi nella sua intimità, al fine di acquisire il materiale intellettivo/emozionale per la produzione di alcune opere che saranno poi presentate nel mese di ottobre; un'opera realizzata da ciascuno di loro sarà, inoltre, donata alla contrada, istallata nella sede ed entrerà, così, a far parte del patrimonio della Torre.
I due giovani sono stati selezionati perché ritenuti adatti a soddisfare la richiesta della committenza; la pittura sequenziale di Lucien Roux, così come la capacità descrittiva, di presa emozionale e attenzione al dettaglio delle illustrazioni di Virginia Folletti sono, infatti, scelte stilistiche interessanti per rappresentare alcune situazioni tipiche del palio e della vita contradaiola.
Alla base di questa esperienza c’è,dunque, un'idea semplice ma brillante che vede la contrada, in veste di mecenate, promuovere la mobilità internazionale di giovani artisti, ponendosi come modello virtuoso di produzione di cultura contemporanea.

Informazioni utili
www.comune.siena.it 

mercoledì 29 luglio 2015

Eataly e «Gli orti di Venezia» insieme per il restauro di Palazzo ducale

Sono fresche, sane, naturali e fanno anche bene alla cultura. Le insalate del marchio «Gli orti di Venezia», nato da un’intuizione dell’imprenditore Paolo Tamai e di sua moglie Marina, finanziano dal 2010 importanti iniziative culturali della città lagunare, unendo il sapore della terra all’amore per l’arte come documentano, per esempio, i progetti di riqualificazione delle statue «Il pescatore» di Cesare Laurenti e «Il gobbo» di Pietro Grazioli da Salò nel popolare mercato del pesce vicino al ponte di Rialto.
In occasione del restauro degli elementi lapidei di uno dei due portali della Scala d’oro di Palazzo ducale, il marchio «Gli orti di Venezia» fa un ulteriore passo in avanti nella sua opera di promozione e approda nel reparto freschi della catena Eataly, con sedi a Torino Lingotto e Lagrange, Pinerolo, Monticello d'Alba, Milano Smeraldo, Genova, Piacenza, Bologna, Forlì, Firenze, Roma e Bari.
Ogni confezione di insalata venduta contribuirà, dunque, alla risistemazione dell’accesso che conduce prima all’atrio quadrato e poi alle sale istituzionali del palazzo veneziano, un luogo varcato ogni giorno da migliaia di visitatori, la cui costruzione si inserisce cronologicamente in quella lunga serie di lavori di ristrutturazione iniziata nel 1483 nell’ala orientale dell’edificio e proseguita nel resto dello stabile fino agli anni Sessanta del XVI secolo.
Il progetto di una scala d’onore, interpellati architetti come il Sanmicheli e il Palladio, fu, infine, affidato a Jacopo Sansovino, che ne realizzò la parte iniziale, tra il 1556 e il 1567, sotto i dogi Lorenzo e Girolamo Priuli. L’ultimazione dei lavori fu, invece, seguita dall’architetto Antonio Abbondi detto lo Scarpagnino a partire dal 1559. Mentre l’arco con lo stemma del doge Andrea Gritti era stato eretto in precedenza, a partire dal 1538 e in corrispondenza di una scala lignea provvisoria. La volta dell’accesso fu, invece, ornata con fastose decorazioni a botte eseguite in stucco e foglia d’oro a partire dal 1557 da Alessandro Vittoria, che fu coadiuvato nell’affresco dei riquadri da Giambattista Franco.
La scala, nata dall’esigenza di separare gli ambienti dedicati alla privata abitazione del doge dal Palazzo di giustizia, si articola su cinque rampe, l’ultima delle quali si affaccia sull’atrio quadrato, una sorta di vestibolo delle sale in cui si riunivano i più importanti organi di governo. L’ambiente è caratterizzato dal soffitto intagliato e dorato che incastona dipinti del Tintoretto, mentre l’apparato architettonico è scandito da pilastri lapidei, compositi e scanalati.
Il progetto di restauro, approvato di recente dalla Soprintendenza belle arti e paesaggio per Venezia e laguna, prenderà il via a settembre e terminerà nel gennaio 2016, riportando all’antico splendore le due paraste e gli arconi sommitali in marmo della Scala d’oro, decorati a riquadri con bassorilievi finemente scolpiti che raffigurano scene fortemente simboliche che rimandano ad avvenimenti storici, commemorativi e ai temi cari ai Veneziani quali potenza, forza militare, saggezza e giustizia.
In particolare sugli stipiti è rappresentato il leone nella versione raccolta «in moléca» in posizione frontale e accovacciato, in questo caso con il libro chiuso a simboleggiare la sovranità delegata e, quindi, delle pubbliche magistrature. Un arcone dà accesso all’atrio quadrato e l’altro apre a un piccolo ambiente, oggi non accessibile agli itinerari di visita, in cui in origine aveva sede il Savio della scrittura, l’ufficio adibito al pagamento del soldo alle truppe. I bassorilievi scolpiti propongono anch’essi scene evocanti le gesta e le caratteristiche del mito veneziano.

Didascalie delle immagini 
[Fig. 1] Uno dei portali sommitali della Scala d'oro del Palazzo ducale di Venezia; [figg. 2-3] Particolare di uno dei portali sommitali della Scala d'oro del Palazzo ducale di Venezia

Informazioni utili 
www.gliortidivenezia.it

lunedì 27 luglio 2015

Pesaro, una “nuova” casa museo per Gioachino Rossini

Continua il progetto di rinnovamento dei Musei civici di Pesaro. A distanza di due anni dall'inaugurazione dei nuovi spazi di Palazzo Mosca, riapre, infatti, la Casa natale di Gioachino Rossini completamente rinnovata nel suo allestimento e nel suo percorso scientifico.
Le novità sono diverse. Si aggiunge, per esempio, alla superficie espositiva accessibile al pubblico il secondo piano della dimora che ospita documenti di interpreti e di opere rossiniane. In queste sale si terranno anche mostre tematiche temporanee, mentre il pianoterra è stato completamente rivoluzionato, diventando uno spazio a ingresso libero, dove il visitatore, oltre all’accoglienza e alla biglietteria, può trovare un vero e proprio store dedicato al compositore marchigiano, ricco di una vasta gamma di materiale di qualità: cd, dvd, pubblicazioni antiche, testi editi dalla Fondazione Gioachino Rossini, merchandising dedicato, artigianato artistico d’eccellenza.
Il nuovo museo, il cui restyling è stato realizzato grazie a fondi pubblici e privati, può, inoltre, vantare l'utilizzo di tecnologie di ultima generazione che permettono di consultare un importante e vasto patrimonio scientifico in modo agile e accattivante. Oltre alla sala audio e video, nuovi contenuti e materiale grafico digitalizzato (spartiti autografi di opere e lettere) sono consultabili su touch screen lungo il percorso e apposite postazioni consentono l’ascolto di registrazioni sonore dei documenti/lettere, così da comprendere al meglio le vicende biografiche e artistiche di Gioachino Rossini.
Il museo è, poi, protagonista di un progetto di valorizzazione di alto livello tecnologico, grazie alla partecipazione di Art Glass che permette di far vivere ai visitatori, tramite occhiali speciali, un’esperienza emotiva senza precedenti. Per mezzo di animazioni virtuali e video, il maestro pesarese si materializza così al fianco del pubblico e lo accompagna per tutto il percorso lungo le stanze dove trascorse una parte importante della propria vita, raccontando aneddoti privati, presentando alcune opere documentate con spartiti e stampe, leggendo delle lettere.
Nel nuovo riassetto di Casa Rossini sono, inoltre, previsti ausili alla visita da parte di disabili sensoriali.A tutti è offerta la possibilità di fruire sia percettivamente che intellettualmente il patrimonio esposto, tenendo presente il limite strutturale dell’edificio su cui è per legge impossibile intervenire dal punto di vista architettonico (la casa natale di Rossini è stata dichiarata monumento nazionale nel 1904 e come edificio storico è tutelato ai sensi dell'articolo 10 del Decreto legislativo n.42/2004); non è dunque possibile accedere ai piani superiori per coloro che presentano disabilità motorie.
Gli interventi sono principalmente finalizzati a migliorare gli apparati didascalici e a sfruttare i nuovi strumenti digitali. Una brochure di presentazione della casa e didascalie delle opere principali sono disponibili con testo in braille, così come tavole a rilievo permettono ai non vedenti di consultare spartiti e lettere autografe di Rossini. Al pianoterra, (con accesso libero) nella sala audio e video, è possibile ascoltare opere rossiniane e guardare un video che presenta luoghi e istituzioni legate al compositore presenti nella città di Pesaro. I non vedenti possono, poi, usufruire di apposite audioguide; mentre per i non udenti sono a disposizione video guide in lingua italiana dei segni Lis. Ad arricchimento del percorso di visita si prevede, inoltre, la possibilità di esplorazione tattile di alcune opere esposte, come ad esempio i busti di Rossini.
Tra le prime iniziative del “nuovo” museo pesarese si segnala una raccolta fondi finalizzata al restauro del fortepiano appartenuto al compositore, strumento a tastiera costruito a Venezia nel 1809, da ricollocare nella casa natale del compositore, oggi al passo con i tempi e ancora più carica di suggestioni.

Didascalie delle immagini 
[Figg. 1 e 2] Vista del nuovo store della Casa museo Gioachino Rossini di Pesaro 

Informazioni utili 
Casa museo Gioachino Rossini, via Rossini, 34 - Pesaro. Orari: giugno-settembre - martedì-domenica, ore 10.00-13.00 e ore 16.30-19.30; 9 luglio-27 agosto - giovedì, ore 10.00-13.00, ore 16.30-19.30 e ore 21.00-23.00 10-22 agosto, in occasione del Rossini Opera festival - tutti i giorni, ore 10.00-13.00 e ore 16.30-23.00; ottobre-maggio - martedì, mercoledì, giovedì, ore 10.00-13.00, venerdì, sabato, domenica e festivi, ore 10.00-13.00 e ore 15.30-18.30; chiuso il lunedì, il 25 dicembre e il 1° gennaio. Ingresso (valido per tutta la rete dei musei civici di Pesaro): intero € 9,00, ridotto € 7,50/5,00. Informazioni: tel. 0721.387541 o pesaro@sistemamuseo.it. Sito internet: http://www.pesarocultura.it/index.php?id=9205.

venerdì 24 luglio 2015

Monticchiello, il borgo toscano che diventa teatro

Erano gli anni Sessanta quando a Monticchiello, piccolo paese nel cuore della Val d’Orcia, a pochi chilometri da Pienza, cornice naturale dichiarata nel 2004 Patrimonio dell’umanità dall’Unesco, nasceva un’esperienza teatrale destinata a incontrare il favore del pubblico, ma soprattutto l’interesse di molti addetti ai lavori, da importanti protagonisti della drammaturgia italiana a sociologi e antropologi di vaglia, tra i quali si ricordano il regista Arnaldo Della Giovampaola, il professor Asor Rosa, il giornalista Mario Guidotti, che fu capo-ufficio stampa alla Camera dei deputati.
In questo borgo medioevale, che stava spopolandosi in seguito alla crisi del mondo mezzadrile-contadino, gli abitanti decisero, infatti, di organizzare uno spettacolo all’aperto, povero di mezzi e con una metodologia di costruzione drammaturgica partecipata, teso a raccontare la loro storia, la loro cultura, gli ultimi accadimenti della comunità.
Nasceva così il Teatro povero di Monticchiello, un’esperienza diventata famosa in tutta Europa e studiata anche all’università, oggi guidata da Andrea Cresti, che, anno dopo anno, si è interrogata su questioni cruciali per il paese (ma anche per tutta Italia) come la crisi economica, il consumismo, i rapporti giovani-vecchi e il ruolo delle donne nella società contemporanea.
Per questo genere scenico, nel quale gli spettacoli sono «ideati, discussi e recitati dagli abitanti-attori», Giorgio Strehler, grande estimatore dell’avventura toscana, coniò il termine «autodramma». Non a caso, durante gli appuntamenti in calendario tra luglio e agosto in piazza della Commenda, su un palco che è insieme macchina teatrale e scenografica, i borghigiani di Monticchiello si raccontano, portando a compimento il lavoro dei mesi precedenti. «Alle spalle di ogni spettacolo -raccontano gli organizzatori- vi è, infatti, un lungo percorso partecipativo: da gennaio iniziano le assemblee pubbliche, aperte a chiunque desideri collaborare oltreché ai membri della compagnia. Si comincia così a raccogliere spunti e riflessioni fino ad arrivare ai temi ritenuti urgenti per l’anno in corso. Da qui parte la discussione collettiva che porta al soggetto e, poi, al copione e alle prove».
Quest’anno, una quarantina di abitanti-attori di diverse età porteranno in scena lo spettacolo «Il paese che manca», una riflessione sull’andarsene e sul restare nel luogo natio. «Un tempo si fuggiva dal proprio paese per le difficili condizioni economiche, in cerca di riscatto. Oggi in un paese come Monticchiello si fugge perché il tessuto sociale sembra sgretolarsi, lasciando tra le sue macerie confusi incubi di dismissioni e impotenza civile che inquietano e disorientano», dichiarano gli organizzatori. Così la piccola comunità toscana si ritrova a mettere in scena una grande festa di compleanno (o forse d’addio) per l’ultimo ventenne rimasto.
Ma cosa significa davvero partire? Lasciare tutto per una nuova vita è una condanna o una possibilità? Una resa o una reazione? Oppure soltanto un gioco del destino? Queste domande tessono la trama dello spettacolo e portano a focalizzare l’attenzione su un curioso parallelismo: mentre gli abitanti più giovani di Monticchiello valutano la possibilità di andarsene dal loro borgo e dalla loro patria, assistendo allo smantellamento degli ultimi baluardi sociali -l’ufficio postale e la scuola-, «tanti arrivano, attraversano mari, talvolta uscendone feriti, offesi, costretti alla resa, talaltra, nonostante tutto, trovando una nuova energia che permetterà poi di tornare, lottare, ricostruire. Su tutti -racconta Andrea Cresti- regna il ghigno di un misterioso giocattolaio, un po’ matto un po’ santo, in cui ciascuno vede ciò che vuol vedere: paure e inquietudini, attese o speranze».
«Il paese che manca» verrà rappresentato dal 25 luglio al 15 agosto, rendendo così vivo per il quarantanovesimo anno consecutivo il Teatro povero, oggi una realtà culturale e sociale attiva 360 giorni all’anno, che affianca alle attività culturali la gestione di servizi sociali, sostegno alla comunità, attività di inclusione, integrazione e formazione: un’esperienza, questa, basata in gran parte sul volontariato, che cerca caparbiamente di opporsi alle logiche di marginalizzazione dei piccoli centri.
In occasione delle rappresentazioni si potranno, inoltre, degustare piatti tipici come la trippa e i famosi pici, la pasta fatta a mano più conosciuta della Val d’Orcia, alla «Taverna di Bronzone», storico ristorante gestito dalla cooperativa del Teatro povero, una consolidata realtà della drammaturgia italiana che nel 2011 si è aggiudicata anche due importanti premi quali l’Ubu e l’Hystrio per l’impegno civile e la forza poetica del suo lavoro.

Didascalie delle immagini
[fig. 1] Una scena dello spettacolo «Anni Quaranta», con il Teatro povero. Foto di Umberto Bindi; [fig. 2] Una scena dello spettacolo «Il paese dei b(a)locchi» con il Teatro povero. Foto di Umberto Bindi; [fig. 3] Una scena dello spettacolo «A(h)ia» con il Teatro povero. Foto di Umberto Bindi; [fig. 4] Una scena delle prove dello spettacolo «Il paese che manca» - auto dramma del Teatro povero di Monticchiello. 

Informazioni utili 
«Il paese che manca» - auto dramma del Teatro povero di Monticchiello. Piazza della Commenda – Monticchiello (Siena). Orari: tutti i giorni (tranne il 27 luglio), ore 21.30.. Ingresso: intero € 13,00, ridotto (per bambini fino a 12 anni) € 7,00. Prenotazioni on-line: http://teatropovero.it/prenotazione/. Il biglietto può essere ritirato solo il giorno dello spettacolo: - dalle 9 alle 19: presso la sede del Teatro povero, in Piazza Nuova 1; - dalle 19.30 fino alle 21.00: alla biglietteria (ingresso alla piazza). Si ricorda che dopo le ore 21.00 decade il diritto di prenotazione. Informazioni: tel. 0578.755118 o info@teatropovero.it. Sito internet: www.teatropovero.it. Dal 25 luglio al 15 agosto 2015.