ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

mercoledì 4 novembre 2015

La Fondazione Cini riscopre Hans-Joachim Staude. Sull’Isola di San Giorgio Maggiore una mostra e un convegno sul pittore tedesco

Punta l’attenzione su un artista tedesco ancora poco conosciuto dal pubblico italiano il progetto culturale in programma dal 18 al 22 novembre negli spazi della Fondazione Giorgio Cini, sull’Isola di San Giorgio Maggiore a Venezia. Per cinque giorni la prestigiosa istituzione lagunare ospiterà, infatti, un evento dedicato al pittore Hans-Joachim Staude (Haiti 1904 – Firenze 1973), artista tedesco che si è distinto nella Firenze del '900, alla luce di nuove interpretazioni e dei suoi scritti inediti. L’appuntamento è reso possibile grazie alla collaborazione dei figli dell’artista: Jakob Staude e Angela Staude Terzani.
Per cinque giorni la Sala Piccolo Teatro vedrà una mostra curata da Francesco Poli ed Elena Pontiggia con ventisette dipinti –ritratti, paesaggi, nature morte– realizzati tra il 1929 e il 1973, accompagnata da un convegno che prevede l’intervento di undici storici d’arte italiani e stranieri, per approfondire le ricerche che hanno fatto riscoprire l’importanza di questo pittore nell’arte italiana del ‘900.
Hans-Joachim Staude è stato un pittore tedesco tra i più interessanti della sua generazione, la cui figura è ancora poco conosciuta in Italia. I dipinti, accuratamente selezionati da Francesco Poli ed Elena Pontiggia per la mostra veneziana, documentano la sua personale evoluzione artistica fra le tante suggestioni dell'arte italiana del '900, rivelando la sua precisa cifra stilistica e la sua originalità, che lo rendono uno dei più italiani fra i pittori tedeschi del XX secolo.
Nato a Haiti da genitori tedeschi, Staude si formò ad Amburgo, dove nel 1918 vide la prima grande mostra di Edvard Munch. Dopo essere entrato in contatto con l’Espressionismo tedesco della Brücke, periodo in cui sua ricerca fu segnata da una sottile dimensione introspettiva e da una forte ispirazione filosofica, nel 1920 decise di dedicarsi alla pittura. Nel 1929, dopo un periodo di studi trascorso a Monaco di Baviera, e molti viaggi a Firenze, Amburgo e Parigi, dove venne influenzato dall’Impressionismo francese, Staude si stabilì definitivamente a Firenze, avvicinandosi alla «moderna classicità» dell’arte italiana fra le due guerre, da Ardengo Soffici a Felice Carena, e lavorandovi tutta la vita.
«Sono di questi anni, e del decennio successivo, una serie di figure di intensa plasticità, quasi scolpite più che dipinte – affermano i curatori Francesco Poli ed Elena Pontiggia – una serie di paesaggi eseguiti alla maniera classica, che superano il senso dell’attimo proprio dell’Impressionismo ed escono dal fluire del tempo; una serie di nature morte, in cui la cultura tedesca di Staude riaffiora con l’introduzione di simboli dell’effimero e della morte. Tipico dell’artista è un colore introverso ma intenso, dalle valenze elegiache e liriche. La formazione espressionista, pur superata, rende i suoi dipinti diversi e per certi aspetti unici nel panorama del periodo».
All’opera di Hans-Joachim Staude, è stata dedicata in Italia un’importante retrospettiva a Palazzo Pitti nel 1996 che lo ha collocato nel panorama dell'arte italiana del Novecento. Manca, però, uno studio criticamente più puntuale della sua stretta connessione con la pittura del Novecento Italiano, cui il convegno a lui dedicato intende contribuire. Prenderanno parte alla discussione, che si terrà il 18 e il 19 novembre nella Sala Piccolo Teatro alla Fondazione Cini, studiosi come Thomas Baumeister, Nicoletta Colombo, Lorella Giudici, Francesco Poli, Elena Pontiggia, Susanna Ragionieri, Matteo Sapienza, Carlo Sisi, Nico Stringa, Monica Vinardi e il tedesco Reinhard Wegner.
I lavori presentati al convegno saranno pubblicati in un volume illustrato dedicato all’opera di Hans-Joachim Staude insieme a un’ampia scelta di riflessioni sull’arte tratti da diari, lettere, appunti inediti dell’artista.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Hans-Joachim Staude, «Il faro di San Giorgio Maggiore», 1971, pastello su carta. Ph: L.S. Fotogramma; [fig. 2] Hans-Joachim Staude, «Il ragazzo con le uova», 1934, olio su tela. Ph: Alberto Conti; [fig. 3] Hans-Joachim Staude, «Venere nel bosco», 1937, olio su tela. Ph: Alberto Conti

Informazioni utili                       
«Hans-Joachim Staude. Pittore europeo nella Firenze del Novecento». Sala Piccolo Teatro - Isola di San Giorgio Maggiore, Venezia. Orari:  ore 10 – 18.30.  Orari  convegno: mercoledì, ore 14.30–18.30, giovedì, ore 10.00 – 12.45 e ore 14.30 – 18.30. Ingresso libero. Informazioni:  info@cini.it. Sito web: www.staude.it e www.cini.it. Dal 18 al 22 novembre 2015. 

martedì 3 novembre 2015

Firenze, agli Uffizi si ricompone il «Trittico» di Antonello da Messina

Un Antonello da Messina per un Vincenzo Foppa: parte da uno scambio virtuoso di opere d’arte che vede protagonisti il Ministero dei beni culturali, la Regione Lombardia e il Comune di Milano il progetto artistico, fortemente voluto da Vittorio Sgarbi, che, per i prossimi quindici anni, permetterà ai visitatori degli Uffizi di Firenze di vedere nella sua interezza un trittico dell’autore siciliano, comprendente due lavori già presenti nella collezione del museo toscano -la «Madonna col Bambino» e il «San Giovanni Evangelista»- accostati a una terza opera -il «San Benedetto»-, proveniente dalla Pinacoteca del Castello Sforzesco di Milano.
I due capolavori di Antonello da Messina inseriti nelle collezioni degli Uffizi giunsero a Firenze grazie all’impegno dell’allora Ministro per i beni culturali, Antonio Paolucci, che li fece acquistare nel 1996 tramite l’antiquario Giancarlo Gallino di Torino.
L’acquisto delle due tavole, come anche dello «Stemma Martelli» di Donatello (oggi al Museo nazionale del Bargello), ottemperava alla volontà testamentaria di Ugo Bardini, figlio del famoso antiquario Stefano Bardini, che aveva nominato erede universale lo Stato italiano affinché venissero acquistate una o due opere d’arte da destinare agli Uffizi o al Bargello, di valore pari a quello dell’eredità.
Le due tavole pervennero al museo fiorentino sono qualche anno dopo, nel 2002, al termine delle indagini diagnostiche e della revisione del restauro cui furono sottoposti presso l’Istituto centrale del restauro di Roma.
Gli Uffizi si arricchivano così di un prezioso frammento del catalogo pittorico di Antonello da Messina, composto -come è risaputo- da pochissimi pezzi; ma l’opera era tuttavia “mutila”, poiché le due tavole giunte a Firenze altro non erano se non le parti d’un trittico (forse addirittura un polittico) che includeva anche il «San Benedetto», acquisito nel 1995 dalla Regione Lombardia attraverso la casa d’aste Finarte ed esposto al Castello Sforzesco. Quest’ultima opera ha, da poco, lasciato il museo milanese e verrà sostituita nel percorso espositivo, per i prossimi quindici anni, da una tela del pittore bresciano Vincenzo Foppa, la «Madonna con il Bambino e un angelo», appartenente alla collezione degli Uffizi.
«Le tre tavole, parti di una pala d’altare che comprendeva forse altri pannelli laterali e cimase, costituiscono -ricorda Daniela Parenti, direttore del Dipartimento del Medioevo e del primo Rinascimento degli Uffizi- la più importante delle acquisizioni recenti nel catalogo di Antonello da Messina, sebbene di esse si conosca, in modo piuttosto lacunoso, solo gli ultimi quarant’anni di storia».
Secondo quanto riportato da Federico Zeri, le opere appartenevano a una signora di Piacenza, il cui padre le avrebbe scovare nei dintorni di Messina, e da lì finirono in una collezione privata a Bologna, dove illustri studiosi quali Carlo Volpe e Fiorella Scricchia Santoro, solo per fare due nomi, ebbero modo di visionarle e di riconoscerle unanimemente come opera di Antonella da Messina, grazie anche alla rimozione di una ridipintura settecentesca eliminata nel frattempo.
Secondo l’opinione corrente, il trittico era stato realizzato dal pittore siciliano prima della sua partenza per Venezia, documentata negli anni tra il 1475 e il 1476, e doveva essere stato ideato per il monastero di Palma di Montichiaro. Ricorda, infatti, Daniela Parenti che «la ricca carpenteria con archetti tripartiti di cui era dotata la pala d’altare e il fondo d’oro rimandano a modelli iberici di gusto ancora tardogotico che difficilmente Antonello avrebbe scelto di adottare dopo il periodo veneziano e la conoscenza di Giovanni Bellini».
«Stringenti affinità compositive e stilistiche con la pala d’altare con la Madonna in trono e i santi Gregorio e Benedetto nel museo regionale di Messina, proveniente dalla chiesa di San Gregorio e datata 1473, inducono a proporre per il trittico -precisa la studiosa- una cronologia non troppo distante da questa data».
La ricomposizione del trittico, visibile dal 3 novembre nella Sala 20 degli Uffizi, permette di leggere meglio l’ampiezza dello spazio continuo entro il quale stanno le figure, i cui corpi proiettano ombre in diagonale che sconfinano nei pannelli adiacenti.
«Il «San Benedetto», impropriamente identificato talvolta con un santo domenicano, -racconta ancora Daniela Parenti- è raffigurato in vesti vescovili e il pastorale con la terminazione in forma di drago che allude al veleno offertogli col vino da alcuni monaci insofferenti alla sua regola. Nel dipinto si apprezza, ancor più che nella superficie pittorica impoverita dei pannelli degli Uffizi, la sapiente stesura di Antonello da Messina, attento alla resa delle luci sui ricami metallici nel piviale del santo e alla trasparenza dell’iride degli occhi».

Didascalie delle immagini 
[Fig. 1] Antonello da Messina, «Madonna col Bambino, angeli e i santi Giovanni evangelista e Benedetto», s.d. (foto Vittorio Calore); [fig. 2] Antonello da Messina, «Madonna col Bambino», s.d. (foto Vittorio Calore); [fig. 3] Antonello da Messina, «Giovanni evangelista», s.d. (foto Vittorio Calore); [fig. 4] Antonello da Messina, «San Benedetto», s.d. (foto Vittorio Calore)
Informazioni utili 
Galleria degli Uffizi, Piazzale degli Uffizi, 6 – Firenze. Orari: martedì-domenica, ore 8.15-18.50; chiuso il lunedì; la biglietteria chiude alle ore 18.05; le operazioni di chiusura iniziano alle ore 18.35.Ingresso: intero € 12,50; biglietto ridotto € 6,25; gratuito per gli aventi diritto. Informazioni utili: tel. 055.2388651. Sito internet: www.polomuseale.firenze.it.

«La Santissima Trinità», in mostra in Calabria un raro dipinto autografo di Mattia Preti

Tra i numerosi pittori nati nell’orbita di Caravaggio, Mattia Preti (1613-1699) fu probabilmente il più noto già durante quella straordinaria stagione dell’arte italiana che fu il Seicento. Originario di un piccolo paese della Calabria (Taverna), l’artista fu attivo principalmente a Roma, a Napoli e a Malta, dove, per conto dell’ordine dei Cavalieri decorò la cattedrale de La Valletta. A quest’ultima stagione si ascrive anche «La Santissima Trinità», in mostra dal 4 novembre al 10 dicembre nel museo diocesano di Oppido Mamertina, nella provincia di Reggio Calabria, dopo un accurato intervento di restauro a firma di Sante Guido e Giuseppe Mantella.
Il dipinto, esposto per la prima volta in Italia per la curatela dei due restauratori e di Paolo Martino e Stefania Russo, fu realizzato nel 1671 per l'altare di San Luca nella chiesa dei francescani minori de La Valletta, edificio di culto che venne interamente riedificato e decorato per volontà Gran maestro Gregorio Carafa.
La composizione raffigura Dio Padre che sorregge il corpo morto di Cristo; entrambi sono vegliati dalla colomba dello Spirito che scende dall’alto portando la luce della Grazia. Nel comporre l’immagine Mattia Preti si servì di un taglio diagonale, creando un cono prospettico che enfatizza la drammaticità della scena; le braccia aperte di Dio accolgono Cristo con un gesto che è insieme la rassegnata presa d’atto degli eventi, ma anche l’affettuosa condivisione del destino del Figlio. La costruzione in tralice consente, inoltre, di modulare gli effetti della luce con il digradare dei piani verso il fondo. Il volto del Padre o il busto nudo di Cristo appaiono così investiti da un chiarore diffuso, mentre suggestivi effetti di chiaroscuro caratterizzano la mano destra di Dio, che quasi si perde nell’ombra, o il volto di Gesù reclinato su un lato.
«La Santissima Trinità» appare, dunque, come un capolavoro assolutamente compiuto della maturità dell'artista e una «possente meditazione sui misteri del sacrificio e redenzione di Cristo», come ebbe a scrivere nel 1999 John Spike, il più attento studioso della materia, nel fondamentale catalogo generale delle opere del pittore calabrese.
Le recenti operazioni di restauro hanno confermato l’autografia del dipinto sia per la rilevanza della qualità pittorica, che grazie al rinvenimento dell’acronimo FMP sul retro della tela. La sigla -che sta per Fra’ Mattia Preti- costituisce la firma dell’artista, cavaliere dell’Ordine Gerosolimitano. Il dipinto rappresenta un rarissimo esempio di opera autografa: le iniziali sono accompagnate da un simbolo eseguito con un’unica pennellata che ripropone il «nodo di salomone» o una elaborazione grafico-decorativa del caduceo, simbolo della medicina e possibile riferimento alla figura di san Luca, protagonista della pala maggiore dell'altare dedicato alla Confraternita degli artisti, già esposto nel 2013 presso l'Accademia nazionale di san Luca a Roma.

Informazioni utili
«La Santissima Trinità. Un raro dipinto autografo di Mattia Preti da Malta». Museo diocesano, piazza Duomo - Oppido Mamertina (Reggio Calabria). Orari: martedì-mercoledì-venerdì, dalle ore 9.00 alle ore 13.00; giovedì, dalle ore 15.00 alle ore 18.00, sabato e domenica, dalle ore 9.00 alle ore 12.00 e dalle ore 15.00 alle ore 18.00; martedì 8 dicembre, dalle ore 9.00 alle ore 12.00 e dalle ore 15.00 alle ore 18.00.  Informazioni: tel. 0966.86513 o museodiop@gmail.com. Dal 4 novembre (inaugurazione alle ore 17.00) al 10 dicembre 2015.