ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

martedì 10 novembre 2015

Da Tiziano a Francesco Guardi, due secoli di arte veneziana in mostra a Palazzo Cini

A metà Cinquecento, nella Venezia dei suntuosi palazzi patrizi che si stavano riempiendo di ricche collezioni d’arte, il sistema del sapere s’identificava con Daniele Barbaro (1514-1570), mecenate raffinatissimo, animatore del dibattito intellettuale nei circoli culturali della Serenissima e committente di alcuni dei più importanti artisti del secolo, come Palladio e Veronese.
Alla figura di questo importante umanista, che fu anche curatore delle riedizioni veneziane del «De Architectura» di Vitruvio, la Fondazione Giorgio Cini, dedica una piccola mostra con due capolavori indiscussi della ritrattistica veneziana del Cinquecento, ovvero i ritratti di Daniele Barbaro dipinti da Tiziano Vecellio e Paolo Veronese, eccezionalmente prestati dal Museo del Prado di Madrid e dal Rijksmuseum di Amsterdam ed esposti insieme per la prima volta.
Eseguite a distanza di circa quindici anni l'una dall'altra, le due opere raccontano due momenti nodali nello sviluppo della pittura del Cinquecento a Venezia. La tela di Tiziano, risalente al 1545, coglie l’intellettuale di tre quarti, sulla trentina, con lo sguardo introspettivo e nelle vesti di studioso.
Un dipinto gemello a questo (probabilmente la versione oggi al Museo di Ottawa), inviato a Paolo Giovio, viene magnificato da Pietro Aretino in una celebre lettera del 1545: « […] splendida sembianza, in virtù del celeste spirito, che regna nello stile del divin Tiziano, appare si bene l’aurea nobiltà dell’illustre petto del laudato giovane».
Il ritratto di Veronese, eseguito intorno al 1560-1561, raffigura, invece, Daniele Barbaro in età più avanzata, ammantato della veste ecclesiastica (nel 1550 divenne patriarca di Aquileia). Abbigliato con la mantelletta color lavanda profilata di bordo porpora che contraddistingue l’abito da Patriarca e il nicchio nero calzato in capo, l’intellettuale veneto è colto nell’atto di esibire con la mano sinistra l’edizione dei suoi Commentari al «De Architectura» di Vitruvio editi nel 1556, mentre contro la colonna retrostante si vede ritratto, con variazioni, lo stesso volume aperto al foglio 235 del libro IX, dove si parla della «ragione et uso degli horologi et della loro invenzione et degli inventori». Sulla pagina aperta s’intravvede la figura di un putto nudo che indica un diagramma, elemento ritenuto una sorta di firma criptica dello stesso pittore. Con questa effigie di alto prelato seduto in cattedra nell’atto di rivolgersi a una terza persona, Veronese dà forma a un modello figurativo rimasto valido per decenni.
L’inedito confronto tra i due capolavori, proposto al secondo piano di Palazzo Cini, ha anche l’effetto di evidenziare le diverse sensibilità cromatiche dei rispettivi autori. Davanti al luminoso ritratto veronesiano dalle armonie fredde accordate dai grigi, il dipinto di Tiziano spicca, infatti, per la sobria consonanza dei colori intonati su un neutro sfondo scuro, ben colta in punta di metafora da Paolo Giovio nella risposta alla missiva di Aretino: «[…] tinto non in lacca, azzurri, e verderame, ma in elettissimo liquore di mistura d’ambra, musco e zibetto».
Con l’intento di valorizzare e di far conoscere al pubblico la ricchezza e il valore delle sue collezioni grafiche, l’Istituto di storia dell’arte della Fondazione Cini propone inoltre, sempre negli spazi del secondo piano di Palazzo Cini, una ricca selezione di disegni veneti del Settecento conservati all’interno del suo Gabinetto dei disegni e delle stampe.
L’esposizione, allestita fino al prossimo 15 novembre, si configura come n percorso suggestivo tra fogli di pregio di Canaletto, Guardi, Giambattista e Giandomenico Tiepolo, Giambattista Piazzetta, ma anche Ludovico Dorigny, Antonio Pellegrini, Giambattista Pittoni, Giuseppe Zais e Bernardino Bison, appartenenti per la maggior parte alle raccolte Fiocco e Fissore Pozzi.
A queste opere si aggiunge un grande foglio acquerellato con la «Veduta di San Giorgio Maggiore», attribuito a Francesco Guardi, dono di Paul Wallraf, la cui collezione grafica fu esposta alla Fondazione Cini nel 1959.
All’interno della mostra è, inoltre, esposta una selezione di indimenticabili ritratti di personaggi del variegato mondo del Settecento veneziano, dall’album di caricature di Anton Maria Zanetti, donato alla Fondazione da Vittorio Cini nel 1968.
L’occasione della mostra di disegni è data dall’arrivo a Palazzo Cini di un illustre ospite: una meravigliosa gouache del vedutista veneziano Francesco Guardi, raffigurante un suggestivo capriccio architettonico (ca. 1760), messa in dialogo con la «Veduta di San Giorgio Maggiore» della collezione Cini.
L’opera è concessa dal Musée Jacquemart-André di Parigi in occasione del prestito del «Doppio ritratto di amici» di Pontormo della Galleria Cini per la mostra sulla ritrattistica fiorentina nel «Cinquecento Florence. Portraits à la cour des Médicis», allestita in Francia fino al prossimo 26 gennaio.
L’opera, gravida di materia liquida che la tecnica del guazzo esalta nella sua resa opalescente, è un palpitante affondo sullo squarcio urbano di una Venezia malinconica, reinventata alla luce di una sensibilità da molti definitiva preromantica.
Lo scorcio di questo campiello, cinto da palazzi che il tempo ha consumato e segnato sullo sfondo da un monastero su cui svetta la tipica cupola veneziana, è inquadrato da un portico invaso dalla vegetazione, la cui scala dimensionale esalta il cannocchiale della vertiginosa prospettiva diagonale. Pennellate guizzanti e materiche di brillante esecuzione fanno crepitare di energia le architetture e le figure che animano lo spazio, come la bellissima la coppia del padre con il figlio in primo piano, motivo ricorrente nei capricci guardeschi.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Tiziano Vecellio, Ritratto di Daniele Barbaro, 1545. Museo del Prado di Madrid; [fig. 2] Paolo Veronese, Ritratto di Daniele Barbaro, 1560-61. Rijksmuseum di Amsterdam; [fig. 3] Antonio Maria Zanetti, Disegno tratto dall'album delle Caricature

Informazioni utili 
Stagione autunnale di Palazzo Cini. Palazzo Cini, Campo San Vio, Dorsoduro 864 – Venezia. Orari: ore 11.00–19.00, chiuso il martedì (ultimo ingresso ore 18.15). Ingresso: intero € 10,00, ridotto € 8,00. Informazioni: palazzocini@cini.it. Sito web: www.cini.it. Fino al 15 novembre 2015.

lunedì 9 novembre 2015

Dai film di Pasolini alla prima di «Medusa Suite»: un novembre ricco di appuntamenti al Funaro di Pistoia

Il 2 novembre di quaranta anni fa moriva Pier Paolo Pasolini. Per ricordare l’intellettuale bolognese, il Funaro di Pistoia organizza per tutto il mese di novembre un appuntamento speciale del suo Cinetandem, il cinema più piccolo del mondo, attivo per l’intero anno solare su prenotazione, grazie a una felice intuizione di Massimiliano Barbini e Antonella Carrara.
Tutti i giorni, alle ore 19, sarà possibile degustare, previa prenotazione, un aperitivo per due persone in compagnia del corto «Che cosa sono le nuvole», l’episodio diretto da Pier Paolo Pasolini all’interno di «Capriccio all’italiana». Totò, Ninetto Davoli, Franco Franchi, Ciccio Ingrassia, Laura Betti e Carlo Pisacane sono alcuni degli indimenticabili protagonisti di questo film, la cui colonna sonora fu firmata da Domenico Modugno.
La storia è una rivisitazione dell’Otello, recitato da un gruppo di marionette, che sulla scena interpretano i ruoli shakespeariani, ma che dietro le quinte si pongono delle domande esistenziali sul perché fanno ciò che fanno. Il film diventa così una riflessione piuttosto amara sui significati dell'esistenza umana e sui rapporti tra l'apparire e l'essere, tra la vita e la morte.
La seconda proposta è «La ricotta», noto corto del 1963 diretto da Pasolini con Orson Welles nel ruolo del regista, che fa parte del film «Ro.Go.Pa.G,», il cui titolo è una sigla che identifica i registi dei quattro segmenti: Rossellini, Godard, Pasolini e Gregoretti.
L’episodio racconta di un uomo affamato, la comparsa Stracci, impegnato nelle riprese di una passione di Cristo girata nella campagna romana. Sorpreso dagli altri attori a mangiare una ricotta, viene invitato ad abbuffarsi con i resti del banchetto preparato per l'ultima cena e al momento di girare la scena della crocifissione, muore di indigestione sulla croce. Il regista, senza ombra di commozione, commenterà: «Povero Stracci. Crepare [...] non aveva altro modo di ricordarci che anche lui era vivo [...]».
Passando al palcoscenico, il prossimo titolo in cartellone al Funaro è «Medusa Suite», che il 14 novembre verrà presentato in prima assoluta nel teatro pistoiese, in francese con sovra titoli in italiano.
Sheila Concari, videoartista e scrittrice, ed Emmanuelle Riva, attrice francese candidata all’Oscar nel 2013 per l’interpretazione del film «Amour» di Michael Haneke, si incontrano nel 2009 e da questa esperienza nasce «un dialogo sul tema della femminilità come donna cancellata, autocastrata per amore, non-madre, anti-madre». La complicità e la sintonia, cresciute nel tempo, porteranno le due artiste a lavorare in residenza dal 10 al 16 novembre al Funaro su questa nuova produzione, dove il mito di Medusa viene rivisitato in chiave onirica e assume le sembianze di un corpo fatto d’acqua e di pietra, governato dalle leggi del sogno. «Nello specchio della Gorgone si riflette la storia di Danae, genitrice del giustiziere Perseo. Le creature mitologiche -affermano gli organizzatori- diventano organiche e tra tentacoli e alghe si confondono nell’unica grande vicenda della vita immaginata ma anche vissuta o non vissuta. Sfogliando il diario dei turbamenti di una metamorfosi dai toni noir e romantici, si svela un mondo dove il dramma è solo un ricordo o, forse, una pallida e dolce premonizione».
Lo spettacolo sarà accompagnato da due eventi, entrambi a ingresso gratuito: venerdì 13 novembre, alle ore 19, si terrà un’edizione speciale di «Leggiamo poi si vedrà», il progetto che accompagna il pubblico alla scoperta del filo rosso tra letteratura e cinema. Per l'occasione è stata programmata la proiezione del film «Hiroshima mon amour», alla presenza della sua protagonista, Emmanuelle Riva (è obbligatoria la prenotazione scrivendo a info@ilfunaro.org). Mentre domenica 15 novembre, alle ore 17, nella libreria «Lo spazio» di via dell’Ospizio verrà presentato il testo «Medusa Suite», alla presenza dell’autrice Sheila Concari e della sua interprete Emmanuelle Riva.
Nello stesso fine settimana (sabato 14 novembre, dalle ore 11 alle ore 19, e domenica, dalle ore 9.30 alle ore 13) il Funaro, insieme con il Piccolo teatro Mauro Bolognini, ospiterà un altro appuntamento importante: il convegno a cura di Piergiorgio Giacchè, presentato dal Funaro e Associazione teatrale pistoiese, con la media partnership di Radio 3, dal titolo «Il Teatro della Critica» (l’ingresso è gratuito; è gradita la preiscrizione all’indirizzo stampa@ilfunaro.org).
Piergiorgio Giacchè, Rodolfo Sacchettini e Massimiliano Barbini si confronteranno sul tema della cultura e della funzione critica in senso ampio e non esclusivamente in ambito teatrale, con Consuelo Battiston&Gianni Farina (Menoventi), Alfonso Berardinelli, Massimiliano Civica, Lorenzo Donati, Goffredo Fofi, Vittorio Giacopini, Daniele Giglioli, Nicola Lagioia, Sandro Lombardi, Claudio Morganti, Silvia Pasello, Attilio Scarpellini, Nicola Villa e Walter Siti. Un’importante occasione di confronto, aperta a tutti, a partire dalla premessa di Giacchè: il teatro è ancora un luogo abitato dalla critica, ma la critica oggi è un modo che non ha più un teatro.

Didascalie delle immagini 
[Fig. 1] CinemaTandem al Funaro di Pistoia; [fig. 2] Emmanuelle Riva sarà in scena al Funaro con Medusa Suite, testo scritto da Sheila Concari; [fig. 3] Immagine realizzata in occasione del convegno «Il Teatro della Critica», in programma il 14 e il 15 novembre 2015

Informazioni utili 
Il Funaro centro culturale, via del Funaro 16/18 – 51100 Pistoia, tel/fax 0573.977225, tel 0573.976853, e–mail: info@ilfunaro.org. Sito web: www.ilfunaro.org.

domenica 8 novembre 2015

«Cartoceto Dop, il Festival»: nelle Marche l’arte a servizio dell’olio

Cosa succede quando una manifestazione solitamente legata all’enogastronomia sceglie di ampliare i propri interessi e creare un contenitore culturale che includa anche arte, musica e convegnistica col fine di promuovere un territorio intero? Nasce Cartoceto Dop, il Festival, manifestazione generata dalla vecchia mostra mercato dell’olio e dell’oliva nato trentanove anni fa nel borgo marchigiano di Cartoceto. Questa domenica e il prossimo week-end, ovvero il 14 e il 15 novembre, l’antica cittadina dell’entroterra pesarese festeggerà, infatti, il suo olio, l’unica dop olearia della Regione Marche, anche attraverso l’arte grazie alla collaborazione del liceo artistico «Mengaroni» di Pesaro e dell’Accademia di belle arti di Urbino.
Se gli studenti del liceo saranno alle prese con pennelli e colori disegnando en plein air il paesaggio circostante o realizzando interventi grafico-pittorici sul tema «Cartoceto–Gerico», gli studenti dell’accademia urbinate parteciperanno al festival con due progetti di riflessione più ampia, collocati all’interno del Teatro del Trionfo.
Il primo lavoro è un’installazione multimediale interattiva ispirata al «Barbiere di Siviglia» del celebre compositore pesarese Gioacchino Rossini. Attraverso un dispositivo interattivo, gli utenti potranno interagire con l’opera scegliendo tra i diversi media presenti. Arie musicali si libreranno nella sala, mentre forme, geometrie e immagini saranno proiettate in platea.
In questi stessi spazi saranno presenti anche le opere di Elvis Spadoni dedicate al tema dell'autoritratto e quelle del giovanissimo Ricardo Aleodor Venturi, artista che, partendo da materiali di riciclo poveri, sfrutta il cartone come materiale di supporto dei suoi lavori. Sarà, poi, possibile vedere anche una scultura surreale iper-realista raffigurante un gatto creata dalla scuola di scenografia dell’Accademia di Belle arti.
Di altro tipo è il lavoro dell’artista Noa Pane, presentato quest’anno anche alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino. «I’m Not Inflatable» è, infatti, una performance partecipativa che riflette sul concetto di oggettualità del corpo violato. All’interno di una massa informe costituita da una serie di camere d’aria, viene avvolta e inglobata una giovane donna dai tratti orientali. Da questa massa fuoriescono una serie di pompe usate normalmente per gonfiare ruote. Il pubblico che accede allo spazio performativo è invitato a servirsi di tali pompe e concorrere al gonfiaggio delle varie camere d’aria, rivestendo così un duplice ruolo che si edifica in una simbiosi ombelicale collettiva, ossimoro di condivisione e partecipazione alla violenza. 

Didascalie delle immagini 
[Fig. 1] Un’opera di Ricardo Aleodor Venturi; [fig. 2] Installazione interattiva sul «Barbiere di Siviglia»; [fig. 3] Noa Pane, «I’m Not Inflatable», 2015 

Informazioni utili 
Cartoceto Dop, il festival. Sedi varie - Cartoceto (Pesaro – Urbino). Informazioni: Pro loco, tel. 0721. 898437 o cartocetoturismo@gmail.com. Sito internet: www.cartocetoturismo.it. Domenica 8, sabato 14 e domenica 15 novembre 2015.

mercoledì 4 novembre 2015

La Fondazione Cini riscopre Hans-Joachim Staude. Sull’Isola di San Giorgio Maggiore una mostra e un convegno sul pittore tedesco

Punta l’attenzione su un artista tedesco ancora poco conosciuto dal pubblico italiano il progetto culturale in programma dal 18 al 22 novembre negli spazi della Fondazione Giorgio Cini, sull’Isola di San Giorgio Maggiore a Venezia. Per cinque giorni la prestigiosa istituzione lagunare ospiterà, infatti, un evento dedicato al pittore Hans-Joachim Staude (Haiti 1904 – Firenze 1973), artista tedesco che si è distinto nella Firenze del '900, alla luce di nuove interpretazioni e dei suoi scritti inediti. L’appuntamento è reso possibile grazie alla collaborazione dei figli dell’artista: Jakob Staude e Angela Staude Terzani.
Per cinque giorni la Sala Piccolo Teatro vedrà una mostra curata da Francesco Poli ed Elena Pontiggia con ventisette dipinti –ritratti, paesaggi, nature morte– realizzati tra il 1929 e il 1973, accompagnata da un convegno che prevede l’intervento di undici storici d’arte italiani e stranieri, per approfondire le ricerche che hanno fatto riscoprire l’importanza di questo pittore nell’arte italiana del ‘900.
Hans-Joachim Staude è stato un pittore tedesco tra i più interessanti della sua generazione, la cui figura è ancora poco conosciuta in Italia. I dipinti, accuratamente selezionati da Francesco Poli ed Elena Pontiggia per la mostra veneziana, documentano la sua personale evoluzione artistica fra le tante suggestioni dell'arte italiana del '900, rivelando la sua precisa cifra stilistica e la sua originalità, che lo rendono uno dei più italiani fra i pittori tedeschi del XX secolo.
Nato a Haiti da genitori tedeschi, Staude si formò ad Amburgo, dove nel 1918 vide la prima grande mostra di Edvard Munch. Dopo essere entrato in contatto con l’Espressionismo tedesco della Brücke, periodo in cui sua ricerca fu segnata da una sottile dimensione introspettiva e da una forte ispirazione filosofica, nel 1920 decise di dedicarsi alla pittura. Nel 1929, dopo un periodo di studi trascorso a Monaco di Baviera, e molti viaggi a Firenze, Amburgo e Parigi, dove venne influenzato dall’Impressionismo francese, Staude si stabilì definitivamente a Firenze, avvicinandosi alla «moderna classicità» dell’arte italiana fra le due guerre, da Ardengo Soffici a Felice Carena, e lavorandovi tutta la vita.
«Sono di questi anni, e del decennio successivo, una serie di figure di intensa plasticità, quasi scolpite più che dipinte – affermano i curatori Francesco Poli ed Elena Pontiggia – una serie di paesaggi eseguiti alla maniera classica, che superano il senso dell’attimo proprio dell’Impressionismo ed escono dal fluire del tempo; una serie di nature morte, in cui la cultura tedesca di Staude riaffiora con l’introduzione di simboli dell’effimero e della morte. Tipico dell’artista è un colore introverso ma intenso, dalle valenze elegiache e liriche. La formazione espressionista, pur superata, rende i suoi dipinti diversi e per certi aspetti unici nel panorama del periodo».
All’opera di Hans-Joachim Staude, è stata dedicata in Italia un’importante retrospettiva a Palazzo Pitti nel 1996 che lo ha collocato nel panorama dell'arte italiana del Novecento. Manca, però, uno studio criticamente più puntuale della sua stretta connessione con la pittura del Novecento Italiano, cui il convegno a lui dedicato intende contribuire. Prenderanno parte alla discussione, che si terrà il 18 e il 19 novembre nella Sala Piccolo Teatro alla Fondazione Cini, studiosi come Thomas Baumeister, Nicoletta Colombo, Lorella Giudici, Francesco Poli, Elena Pontiggia, Susanna Ragionieri, Matteo Sapienza, Carlo Sisi, Nico Stringa, Monica Vinardi e il tedesco Reinhard Wegner.
I lavori presentati al convegno saranno pubblicati in un volume illustrato dedicato all’opera di Hans-Joachim Staude insieme a un’ampia scelta di riflessioni sull’arte tratti da diari, lettere, appunti inediti dell’artista.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Hans-Joachim Staude, «Il faro di San Giorgio Maggiore», 1971, pastello su carta. Ph: L.S. Fotogramma; [fig. 2] Hans-Joachim Staude, «Il ragazzo con le uova», 1934, olio su tela. Ph: Alberto Conti; [fig. 3] Hans-Joachim Staude, «Venere nel bosco», 1937, olio su tela. Ph: Alberto Conti

Informazioni utili                       
«Hans-Joachim Staude. Pittore europeo nella Firenze del Novecento». Sala Piccolo Teatro - Isola di San Giorgio Maggiore, Venezia. Orari:  ore 10 – 18.30.  Orari  convegno: mercoledì, ore 14.30–18.30, giovedì, ore 10.00 – 12.45 e ore 14.30 – 18.30. Ingresso libero. Informazioni:  info@cini.it. Sito web: www.staude.it e www.cini.it. Dal 18 al 22 novembre 2015. 

martedì 3 novembre 2015

Firenze, agli Uffizi si ricompone il «Trittico» di Antonello da Messina

Un Antonello da Messina per un Vincenzo Foppa: parte da uno scambio virtuoso di opere d’arte che vede protagonisti il Ministero dei beni culturali, la Regione Lombardia e il Comune di Milano il progetto artistico, fortemente voluto da Vittorio Sgarbi, che, per i prossimi quindici anni, permetterà ai visitatori degli Uffizi di Firenze di vedere nella sua interezza un trittico dell’autore siciliano, comprendente due lavori già presenti nella collezione del museo toscano -la «Madonna col Bambino» e il «San Giovanni Evangelista»- accostati a una terza opera -il «San Benedetto»-, proveniente dalla Pinacoteca del Castello Sforzesco di Milano.
I due capolavori di Antonello da Messina inseriti nelle collezioni degli Uffizi giunsero a Firenze grazie all’impegno dell’allora Ministro per i beni culturali, Antonio Paolucci, che li fece acquistare nel 1996 tramite l’antiquario Giancarlo Gallino di Torino.
L’acquisto delle due tavole, come anche dello «Stemma Martelli» di Donatello (oggi al Museo nazionale del Bargello), ottemperava alla volontà testamentaria di Ugo Bardini, figlio del famoso antiquario Stefano Bardini, che aveva nominato erede universale lo Stato italiano affinché venissero acquistate una o due opere d’arte da destinare agli Uffizi o al Bargello, di valore pari a quello dell’eredità.
Le due tavole pervennero al museo fiorentino sono qualche anno dopo, nel 2002, al termine delle indagini diagnostiche e della revisione del restauro cui furono sottoposti presso l’Istituto centrale del restauro di Roma.
Gli Uffizi si arricchivano così di un prezioso frammento del catalogo pittorico di Antonello da Messina, composto -come è risaputo- da pochissimi pezzi; ma l’opera era tuttavia “mutila”, poiché le due tavole giunte a Firenze altro non erano se non le parti d’un trittico (forse addirittura un polittico) che includeva anche il «San Benedetto», acquisito nel 1995 dalla Regione Lombardia attraverso la casa d’aste Finarte ed esposto al Castello Sforzesco. Quest’ultima opera ha, da poco, lasciato il museo milanese e verrà sostituita nel percorso espositivo, per i prossimi quindici anni, da una tela del pittore bresciano Vincenzo Foppa, la «Madonna con il Bambino e un angelo», appartenente alla collezione degli Uffizi.
«Le tre tavole, parti di una pala d’altare che comprendeva forse altri pannelli laterali e cimase, costituiscono -ricorda Daniela Parenti, direttore del Dipartimento del Medioevo e del primo Rinascimento degli Uffizi- la più importante delle acquisizioni recenti nel catalogo di Antonello da Messina, sebbene di esse si conosca, in modo piuttosto lacunoso, solo gli ultimi quarant’anni di storia».
Secondo quanto riportato da Federico Zeri, le opere appartenevano a una signora di Piacenza, il cui padre le avrebbe scovare nei dintorni di Messina, e da lì finirono in una collezione privata a Bologna, dove illustri studiosi quali Carlo Volpe e Fiorella Scricchia Santoro, solo per fare due nomi, ebbero modo di visionarle e di riconoscerle unanimemente come opera di Antonella da Messina, grazie anche alla rimozione di una ridipintura settecentesca eliminata nel frattempo.
Secondo l’opinione corrente, il trittico era stato realizzato dal pittore siciliano prima della sua partenza per Venezia, documentata negli anni tra il 1475 e il 1476, e doveva essere stato ideato per il monastero di Palma di Montichiaro. Ricorda, infatti, Daniela Parenti che «la ricca carpenteria con archetti tripartiti di cui era dotata la pala d’altare e il fondo d’oro rimandano a modelli iberici di gusto ancora tardogotico che difficilmente Antonello avrebbe scelto di adottare dopo il periodo veneziano e la conoscenza di Giovanni Bellini».
«Stringenti affinità compositive e stilistiche con la pala d’altare con la Madonna in trono e i santi Gregorio e Benedetto nel museo regionale di Messina, proveniente dalla chiesa di San Gregorio e datata 1473, inducono a proporre per il trittico -precisa la studiosa- una cronologia non troppo distante da questa data».
La ricomposizione del trittico, visibile dal 3 novembre nella Sala 20 degli Uffizi, permette di leggere meglio l’ampiezza dello spazio continuo entro il quale stanno le figure, i cui corpi proiettano ombre in diagonale che sconfinano nei pannelli adiacenti.
«Il «San Benedetto», impropriamente identificato talvolta con un santo domenicano, -racconta ancora Daniela Parenti- è raffigurato in vesti vescovili e il pastorale con la terminazione in forma di drago che allude al veleno offertogli col vino da alcuni monaci insofferenti alla sua regola. Nel dipinto si apprezza, ancor più che nella superficie pittorica impoverita dei pannelli degli Uffizi, la sapiente stesura di Antonello da Messina, attento alla resa delle luci sui ricami metallici nel piviale del santo e alla trasparenza dell’iride degli occhi».

Didascalie delle immagini 
[Fig. 1] Antonello da Messina, «Madonna col Bambino, angeli e i santi Giovanni evangelista e Benedetto», s.d. (foto Vittorio Calore); [fig. 2] Antonello da Messina, «Madonna col Bambino», s.d. (foto Vittorio Calore); [fig. 3] Antonello da Messina, «Giovanni evangelista», s.d. (foto Vittorio Calore); [fig. 4] Antonello da Messina, «San Benedetto», s.d. (foto Vittorio Calore)
Informazioni utili 
Galleria degli Uffizi, Piazzale degli Uffizi, 6 – Firenze. Orari: martedì-domenica, ore 8.15-18.50; chiuso il lunedì; la biglietteria chiude alle ore 18.05; le operazioni di chiusura iniziano alle ore 18.35.Ingresso: intero € 12,50; biglietto ridotto € 6,25; gratuito per gli aventi diritto. Informazioni utili: tel. 055.2388651. Sito internet: www.polomuseale.firenze.it.