ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

domenica 9 luglio 2017

Picasso tra ceramiche e incisioni

Italia 1917, cento anni fa: lo spagnolo Pablo Picasso decide, con lo sceneggiatore e drammaturgo Jean Cocteau, di compiere un viaggio in Italia alla ricerca di ispirazioni creative. Roma, Napoli e Pompei sono le città che visita. Quella vacanza entra nella storia dell’arte: è qui che il padre del Cubismo scopre il «Mediterraneo» e la classicità, elementi che generano il suo conseguente Ritorno all’ordine. Il soggiorno italiano si rivela importante anche a livello personale per l’incontro e l’amore con Olga Kochlova, danzatrice dei Balletti Russi di Sergej Djaghilev, la donna che di lì a poco diverrà la prima (e unica) moglie dell’artista spagnolo.
Sono molti gli eventi che si stanno organizzando nel nostro Paese per festeggiare questo importante anniversario. A Castiglione del Lago, nelle sale di Palazzo della Corgna, è, per esempio, in corso la mostra «Pablo Picasso. La materia e il segno. Ceramica, grafica», rappresentativa della creatività del maestro cubista, che si è cimentato, nel corso della sua lunga e intensa esistenza, in tutti i generi artistici conosciuti: pittura, incisione, disegno e ceramica.
L’esposizione umbra permette di ammirare una novantina di opere, tra cui le tre celebri serie di incisioni e acqueforti -«Le Cocu Magnifique», «Carmen» e «Balzac en bas de casse et Picassos sans majuscule»-, e un corpo unico di ben ventinove ceramiche come brocche, vasi antropomorfi, piatti decorati, graffiti e modellati, realizzati tra il 1947 e la fine degli anni Sessanta, che provengono da raccolte e collezioni private.
La caratteristica di questa produzione è l’originale trasformazione delle forme in particolari plastici figurativi, esaltati dalla policromia del segno pittorico, con un’attenzione al piccolo dettaglio per cogliere l’essenza del rappresentato. Tra i temi iconografici prescelti compaiono gufi, pesci, tori, picadores, corride, uccelli, figure femminili, volti di fauni, realizzati con segni intensi e soluzioni antropomorfe e zoomorfe inimmaginabili.
Quello tra Picasso e la ceramica non si può propriamente definire un colpo di fulmine. È, però, certo che l’artista dal suo primo soggiorno in Costa Azzurra, datato 1946, si avvicina a questo materiale grazie all’amicizia con i coniugi Suzanne Douly e Georges Ramié e al contatto con la Madoura di Vallauris, antico centro di produzione della Francia meridionale. Qui realizza le sue prime tre sculture in terra rossa: un fauno e due tori. È l’inizio di un rapporto costante con la ceramica che lo porterà a realizzare oltre quattromila manufatti, parte in produzione e parte pezzi unici. Con il passare degli anni e con la creatività che lo connota, Picasso continua, infatti, a investigare- scrive Claudia Casali, direttrice del Museo internazionale delle ceramiche di Faenza, nel suo testo in catalogo- «la possibilità di questo linguaggio, integrando ed alternando forma e decorazione, utilizzando la qualità scultorea della terra unita al dato pittorico per creare effetti quasi illusionistici». Ne nasce un rapporto costante, ricorda ancora la studiosa, caratterizzato da «libertà d’espressione, ritorno alle origini, omaggio alla storia e all’eternità dell’arte, in sintesi nuova sperimentazione».
Non meno interessante è il rapporto dell’artista con il mondo delle incisioni e delle acqueforti, con il quale Pablo Picasso sente di riappropriarsi dell’antica condizione dell'alchimista, ossia della libertà di trasformare chimicamente e meccanicamente il segno grafico.
In mostra è possibile vedere l'ultima opera incisoria realizzata dall’artista a Parigi: trentotto incisioni a bulino (una tecnica meno frequentata dall'artista) della novella «Carmen» di Prosper Mérimée, divenuta famosa per essere stata trasposta in musica da Bizet nel 1875. Per queste tavole, che vengono pubblicate dalla Bibliothèque Française nel 1949, il maestro spagnolo pensa a volti femminili e maschili, costumi andalusi e teste taurine.
Datano, invece, alla fine del 1952 le undici litografie con ritratti diversificati di Honoré de Balzac, padre del Realismo nella letteratura europea, commissionategli da Fernand Mourlot. Una di esse viene utilizzata come frontespizio per una edizione di «Le Pére Goroit» di Balzac; otto verranno edite nel 1957 da Michel Leiris in «Balzacs en bas de casse».
Nel 1968 Picasso incide, poi, dodici tavole all'acquaforte e acquatinta per illustrare la commedia «Le Cocu Magnifique. Farce en trois actes» di Fernand Crommelynck, che racconta le conseguenze del sentimento tragico della gelosia. Si tratta di un nucleo estremamente rappresentativo del repertorio figurativo picassiano, capace di rendere con arguzia lo spirito farsesco dell’opera teatrale. Le opere esposte raffigurano con ammirevole stilizzazione visi di donna e di uomo, costumi andalusiani, teste di toro e figure mitologiche, prendendo ispirazione anche dalle proprie conoscenze mitologiche, tra le quali primeggia la figura immancabile del Minotauro.

Informazioni utili
«Pablo Picasso. La materia e il segno. Ceramica, grafica». Palazzo della Corgna, piazza Antonio Gramsci, 1 – Castiglione del Lago. Orari ore 9.30-19.00; la biglietteria chiude mezz’ora prima. Ingresso: intero € 8,00, ridotto € 5,00 (gruppi di oltre 15 unità, ragazzi fino a 25 anni); ridotto famiglia € 18,00 (3 persone) o € 22 euro (4 persone); biglietto unico residenti Comune di Castiglione del Lago € 4,00; ridotto famiglia residente € 10,00 (3 persone) o € 12,00 (4 persone); omaggio bambini fino a 6 anni. Informazioni: tel. 075.951099, cooplagodarte94@gmail.com. Sito internet: www.palazzodellacorgna.it. Fino al 27 agosto 2017. La mostra è prorogata fino al 5 novembre 2017.  

venerdì 7 luglio 2017

«Il mondo in una perla», la tradizione muranese in un volume di Antiga Edizioni

«Il vetro è un materiale pazzesco, molto misterioso trasparente, fragile […], come la ceramica del resto, ha una qualità strana: entra nel fuoco e non si sa cosa va dentro. Poi di colpo esce un oggetto puro perché bruciato dal fuoco, un oggetto di una purezza totale, di una intangibilità fisica totale. Come una visione. Si è veramente coinvolti in questo processo del vetro. Il vetro è uno spettacolo». Vengono in mente le parole di Ettore Sottsass junior (1917-2007), al quale in questi giorni la Fondazione Giorgio Cini dedica un'importante retrospettiva nell'ambito del progetto «Le stanze del vetro», sfogliando il libro «Il mondo in una perla», appena pubblicato dalla casa editrice Antiga di Treviso.
Il ricco tomo, edito grazie al contributo economico della Vistosi, è il risultato di un meticoloso lavoro di ricerca, condotto all’interno della preziosa collezione di perle di vetro del Museo di Murano, da Augusto Panini, appassionato collezionista comasco e curatore di mostre.
Disegni sempre diversi che si formano grazie alla magia del fuoco, colori unici e brillanti, forme e stili svariati, che spaziano dal rotondo all'irregolare, dal decorato al trasparente: tutto questo è documentato attraverso più di mille straordinarie immagini e quasi quattrocento pagine che rendono lo studio di Augusto Panini prezioso sia per il lettore comune che per gli specialisti, consentendo loro di addentrarsi nell’essenza stessa di questa affascinante produzione, cosmo poliedrico dove le mani, soprattutto quelle femminili, hanno traslato una concezione di grazia e perfezione dando vita, ogni volta, ad un mondo perfetto e ideale.
Raccolta tra il 1861 ed il 1883 dall’abate Vincenzo Zanetti e rappresentativa della produzione ottocentesca veneziana e muranese, nel corso degli anni Trenta del Novecento la collezione di perle venne progressivamente rimossa dalle vetrine del museo e relegata nei depositi laddove si perdono le informazioni relative alle attribuzioni dei singoli pezzi e quelli delle cartelle campionarie.
Dopo quasi cent’anni di oblio la raccolta, un cui consistente focus sulle perle veneziane e le murrine è stato inserito in una sala del rinnovato museo appositamente dedicata al tema -su input dello stesso Panini, che l’aveva nel frattempo acquisita- è divenuta oggetto di studio, anche in prospettiva di una sua adeguata ricollocazione espositiva.
Partendo dai saggi scritti dall’abate Zanetti sulle collezioni del Museo del vetro -realizzati in occasione di Esposizioni internazionali o per documentare le scoperte che valenti vetrai avevano sviluppato nella prima metà del 1800– Augusto Panini, in oltre cinque anni di lavoro, è riuscito dunque a ricostruire attribuzioni e paternità, contribuendo in maniera decisiva a riportare questi straordinari oggetti all’attenzione che meritano.
La collezione di perle del Museo del vetro di Murano, a cui sarà dedicata una mostra dal 15 dicembre al 18 maggio 2018, è oggi costituita da ottantacinque cartelle campionarie, contenenti quattordicimila perle, oltre che da tre pannelli in stoffa datati 1863, dono della Società delle Fabbriche unite, contenenti duemilaquindici perle e da duecentosessantasei mazzette di conterie, novantuno mazzi di perle a lume più o meno completi, oltre ottomila di perle sciolte, quattrocentonovantadue mazzi di conterie e qualche ulteriore oggetto con perle, dono delle più importanti vetrerie veneziane e muranesi attive nella metà dell’Ottocento.

Informazioni utili
Augusto Panini, «Il mondo in una perla. La collezione del Museo del Vetro di Murano», Antiga edizioni, Crocetta del Montello (Treviso) 2017. Collana: Fuori collana arte. Pagine: 376. Immagini: 1200 illustrazioni a colori. Formato: 23 x 28 cm. Confezione: brossura con alette. Prezzo: € 39,00. ISBN: 978-88-99657-60-4. Note: Disponibile anche l'edizione in lingua inglese. Informazioni: Grafiche Antiga, via delle Industrie, 1 - Crocetta del Montello (Treviso), tel. 0423.6388 o editoria@graficheantiga.it. Sito internet: www.antigaedizioni.it.

mercoledì 5 luglio 2017

Milano, quattro opere per un omaggio a Cola dell’Amatrice

Si fa interprete del desiderio di rinascita di un intero territorio, a partire dalla valorizzazione delle sue bellezze paesaggistiche e artistiche, la mostra «Ritorno a Cola dell'Amatrice. Opere dalla Pinacoteca civica di Ascoli Piceno», allestita fino al 27 agosto negli spazi del Museo Bagatti Valsecchi di Milano, con un progetto espositivo firmato dallo Studio Lissoni Associati.
All’esposizione, curata da Vittorio Sgarbi, fa da corollario e completamento l’iniziativa «Adotta un museo», promossa da Icom Italia in sostegno delle popolazioni del Centro Italia colpite dal terremoto, che vede la realtà milanese in prima linea nella raccolta di fondi per il restauro di una statua lignea della «Vergine», realizzata nel XV secolo, che usualmente è conservata nella chiesa di San Pellegrino a Norcia, ora si trova nel deposito del Santo Chiodo a Spoleto e, dopo il restauro, andrà al Museo diocesano di Milano.
Praticamente ignota sino agli anni Cinquanta del Novecento, quando venne riscoperta grazie agli studi di Federico Zeri nei territori appenninici oggi devastati dal sisma, la figura di Cola dell’Amatrice, nome d’arte di Nicola Filotesio (Amatrice, 9 settembre 1480 o 1489 – Ascoli Piceno, 31 agosto 1547 o 1559), pittore, scultore e architetto del Cinquecento, allievo di Dionisio Cappelli e sodale di Giulio Romano, che fu attivo tra Abruzzo e Marche firmando, tra l’altro, la facciata del Duomo di Ascoli e quella della chiesa di San Bernardino a L’Aquila, sta uscendo dall’oblio, un po’ com’è accaduto a inizio Novecento a Lorenzo Lotto.
Buon cultore della prospettiva e dello sfondo paesaggistico, Cola dell’Amatrice è citato anche da Giorgio Vasari nelle sue «Vite», in alcune righe al termine della sezione dedicata al pittore «Marco Calavrese» (Marco Cardisco). In queste pagine il biografo sottolinea che egli ebbe la «fama di un maestro raro, del migliore che fosse mai stato in quei paesi» e che sarebbe stato un artista ancora migliore, se il suo percorso creativo fosse stato meno appartato e se «avesse la sua arte esercitato in luoghi dove la concorrenza e l’emulazione l’avesse fatto attendere con più studio alla pittura, ed esercitare il bello ingegno di cui si vide che era stato dalla natura dotato».
Non interessato a competere a Roma con più grandi maestri, che studiò e ammirò, mostrandosi informato sui pensieri nuovi di Raffaello e Michelangelo, che aggiornarono così la sua formazione legata principalmente ai modelli umbro-laziali del tardo Quattrocento ben rappresentati dall’arte del Perugino e di Antoniazzo Romano, Cola dell’Amatrice si mosse sulla scia del classicismo, per giungere poi a un linguaggio antiaccademico ed eterodosso, che pone l’accento sulla drammatica espressività dei dolenti e sull’enfasi dei loro gesti, facendo spesso sottolineare alla critica l’«eccentricità» del suo percorso rispetto ai modelli normativi allora vigenti.
Il suo «Rinascimento distaccato e alternativo», documentato anche da un prezioso taccuino di disegni e appunti conservato alla Biblioteca comunale di Fermo, si respira negli affreschi per il palazzo Vitelli alla Cannoniera di Città di Castello e nelle svariate pitture di tema religioso lasciate sul territorio, tra cui si segnalano una «Sacra famiglia» (1527), miracolosamente scampata al terremoto di Amatrice, un’elegante «Comunione degli apostoli» commissionata dall’Oratorio della Confraternita del Corpus Domini di Ascoli Piceno, una «Disputa di Gesù con i Dottori» conservata a L’Aquila e la tela «Cristo in casa di Marta e Maria», di collezione privata, la cui spazialità ricorda Giulio Romano. La sua opera più ispirata è, però, senz’altro una «Dormitio Virginis», oggi ai Musei capitolini, nella quale si possono cogliere i moti dell’anima degli astanti riletti attraverso la lezione raffaelliana.
La mostra milanese vede esposte, al Museo Bagatti Valsecchi, quattro opere oggi custodite nelle sale della Pinacoteca civica di Ascoli. Si tratta di due «Angeli portacroce», facenti parte di un polittico ormai smembrato, in parte conservato National Gallery of Victoria di Melbourne e in parte disperso, e della coppia di tavole della «Vergine addolorata» e del «San Giovanni apostolo», provenienti dalla cappella del Crocifisso della chiesa dell’Annunziata nel monastero degli Osservanti, le cui figure a grandezza naturale sono di una toccante intensità emotiva e colpiscono l’attenzione per la loro luminosità cromatica.
La mostra, che sarà arricchita nella giornata del 13 luglio da un laboratorio per bambini che insegnerà a dipingere come in una bottega del Rinascimento, è completata da un filmato che ripropone, con riprese a volo d’uccello, immagini dei recenti terremoti che hanno colpito l’Italia centrale. Un’occasione, questa, per riflettere sulla precarietà del nostro vivere, ma anche per pensare al valore della nostra arte, un patrimonio da preservare «per ribaltare -come ha dichiarato Vittorio Sgarbi- la tristezza con l’euforia della bellezza».

Informazioni utili
Ritorno a Cola dell’Amatrice. Opere dalla Pinacoteca civica di Ascoli Piceno. Museo Bagatti Valsecchi, Via Gesù, 5 - Milano. Orari: da martedì a domenica, ore 13.00–17.45; chiuso tutti i lunedì, il 2 giugno e il 15 agosto. Ingresso: intero € 9,00, ridotto € 6,00. Informazioni: tel.02.7600613 o info@museobagattivalsecchi.org. Sito internet: https://museobagattivalsecchi.org/. Fino al 27 agosto 2017.