ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

lunedì 16 ottobre 2017

A San Pietro in Atrio le nuove scoperte archeologiche di Como e del territorio lariano

Urne cinerarie e vasi per offerte dalle forme inconsuete, ornamenti in bronzo, ferro, ambra, pasta vitrea, elementi dell’abbigliamento, amuleti, simboli di status delle antiche popolazioni e preziosissime armi riferibili alla cultura protostorica detta «di Golasecca»: sono questi reperti a punteggiare il percorso espositivo della mostra «Prima di Como. Nuove scoperte archeologiche dal territorio», allestita fino al prossimo 10 novembre negli spazi della Chiesa di San Pietro in Atrio a Como.
L’esposizione, organizzata congiuntamente dalla Soprintendenza archeologica e dai Musei civici di Como, è a cura di Lucia Mordeglia e Marina Uboldi, con la collaborazione di Stefania Jorio e Mimosa Ravaglia.
Oltre ai reperti archeologici, il percorso espositivo presenta fotografie e disegni ricostruttivi, video e immagini 3D, che forniscono, grazie alle nuove tecnologie, informazioni approfondite finalizzate a coinvolgere un vasto pubblico.
Accanto alla panoramica sugli ultimi ritrovamenti archeologici nella città lariana, sono illustrate le novità scientifiche sulle più antiche fasi di popolamento, sviluppatosi nel corso del primo millennio avanti Cristo, e messi in risalto il valore e il significato del ricco patrimonio archeologico comasco precedente alla fondazione della colonia romana.
I temi principali della mostra sono i corredi funerari della prima età del ferro provenienti dagli scavi di San Fermo della Battaglia, via per Mornago (2006) e di Grandate, emersi nel 2011 durante la costruzione della nuova Pedemontana. È possibile, poi, vedere reperti provenienti dall’enigmatica area religiosa/monumentale del Nuovo Ospedale Sant’Anna (scavi 2007), risalente al VI secolo a.C., costituita da un grande circolo del diametro di settanta metri, delimitato da un doppio recinto di pietre con piattaforma centrale ad emiciclo e setti radiali in materiali litici e terre diverse, di difficile interpretazione funzionale. Sono, poi, in mostra un ripostiglio sacro dell’età del ferro rinvenuto sul Monte San Zeno in Val d’Intelvi, i più recenti dati archeobiologici sul clima, la vegetazione, l’alimentazione umana in età protostorica e, infine i risultati della nuova ricerca condotta sul Carro cerimoniale del V secolo a.C. della Ca’ Morta dal professor Bruno Chaume dell’Università della Borgogna, Direttore del programma Vix et son Environnement, che ha messo in evidenza una stretta parentela con i coevi carri di ambito culturale hallstattiano, rinvenuti nel Centro Europa.
Questi ultimi ritrovamenti contribuiscono ad accrescere il ricco patrimonio archeologico del centro protostorico che ha preceduto la fondazione di Como, le cui origini risalgono al I millennio a.C. Infatti, prima della città romana, i rilievi attorno alla città attuale vedono l’insediamento di villaggi e gruppi di abitazioni: diversi reperti e resti di tombe ne conservano la testimonianza. Nei secoli successivi, in particolare il VI e il V a.C., l’abitato raggiunge la sua massima espansione e ricchezza, concentrandosi soprattutto lungo il versante meridionale della Spina Verde, il parco regionale che si estende sulla fascia collinare a nord-ovest di Como.
Fondamentale per lo sviluppo del nucleo abitativo è il suo ruolo di centro di contatto e scambi tra la Pianura padana, stabilmente occupata dagli Etruschi, e il mondo celtico e quello hallstattiano (dalla cittadina di Hallstatt, nei pressi di Salisburgo) del Centro Europa.
L’ininterrotto stanziamento delle popolazioni nella medesima area fino ai giorni nostri, unito all’intensificarsi delle attività edilizie del secondo dopoguerra, ha nascosto o cancellato segni dell’insediamento antico. Tuttavia, l’attività di tutela svolta dalla Soprintendenza archeologica in sinergia con le Amministrazioni comunali, consente di recuperare sempre nuove testimonianze del passato della città e dei suoi abitanti, garantendone la salvaguardia.
La ricerca scientifica -che di recente si è avvalsa della collaborazione con importanti centri di studio internazionali, quali il Cnrs (Centre National de la Recherche Scientifique) e le Università di Berlino e di Mainz- permette ora di porre in risalto il ruolo della civiltà di Golasecca (cultura preromana che si sviluppa nel I millennio a.C. nel territorio della Lombardia occidentale, del Piemonte Orientale, del Canton Ticino, che deriva dalla località di Golasecca, sulla sponda varesina del fiume Ticino) nel quadro delle relazioni con le coeve civiltà mediterranee e mitteleuropee.
La mostra è, inoltre, un invito a visitare i beni archeologici presenti in città e nei dintorni: il Museo civico cittadino, dove sono conservati l’originale del Carro celtico e i reperti dei passati rinvenimenti nella necropoli della Ca’ Morta, il parco della Spina Verde, il Circolo dell’Ospedale di S. Anna e infine, per l’epoca romana, l’area delle Terme di Viale Lecco e Porta Pretoria.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Guttus ornitomorfo, dal corredo della Tomba 3, Grandate, 2011. © MIBACT; [fig. 2] Pendaglio pettorale, dal corredo della Tomba 2, Grandate, 2011, bronzo. © MIBACT; [fig. 3] Corredo Tomba 1, Nuovo Ospedale sant’Anna di Como, VI sec a.C. Urna cineraria troncoconica in ceramica, grande coppa su piede, boccale, fibule e altri elementi di ornamento in bronzo, due perle in pasta vitrea. © MIBACT; [fig. 4] Carro cerimoniale protostorico, V sec. a.C.. Rinvenuto a Lazzago nel 1928, esposto al Museo Archeologico di Como. © MIBACT

Informazioni utili
Prima di Como. Nuove scoperte archeologiche dal territorio. Chiesa di S. Pietro in Atrio, via Odescalchi, 3 – Como. Orari: martedì - domenica, ore 10.00-18.00; lunedì chiuso. Ingresso gratuito. Informazioni: tel. 031.252550, musei.civici@comune.como.it, uboldi.marina@comune.como.it. Fino al 10 novembre 2017.

sabato 14 ottobre 2017

È di Perugino il «Capolavoro per Milano» del 2017

Ritorna un «Capolavoro per Milano», iniziativa che dal 2002 offre alla città la possibilità di ammirare un’opera valorizzata nel suo aspetto storico, artistico e spirituale. Al centro di questa edizione del progetto promosso dal Museo Diocesano «Carlo Maria Martini» ci sarà l’«Adorazione dei pastori» del Perugino, una tavola di grandi dimensioni (263x147 cm) proveniente dalla Galleria nazionale dell’Umbria.
L’iniziativa, in programma dal 20 ottobre al 28 gennaio, vede la curatela di Nadia Righi e Marci Pierini, autori anche dei saggi contenuti nel catalogo pubblicato da Silvana editoriale, nel quale sono inoltre presenti contributi di monsignor Luca Bressan e Rosa Giorgi.
L’opera, esposta in un allestimento curato da Alessandro Colombo dello Studio Cerri & Associati, è un capolavoro indiscusso della maturità di Pietro Vannucci, detto il Perugino (Città della Pieve, Perugia 1448/50 – Fontignano, Perugia, 1523) e fa parte di un polittico eseguito per la chiesa di sant’Agostino a Perugia, su commissione dei frati agostiniani nel 1502.
La sua complessa esecuzione richiese più di vent’anni e, alla morte del pittore, mancavano ancora alcune rifiniture. Si trattava infatti di una grandiosa pala d’altare, a più scomparti e su più registri, che doveva essere alta più di otto metri e che era formata da oltre trenta tavole.
Già nel 1654 l’imponente struttura, poco consona alle nuove disposizioni liturgiche della controriforma, venne smontata e divisa in due parti. Da quel momento, purtroppo, cominciò la dispersione delle tavole. Molte di esse si trovano ora in Francia, a causa delle requisizioni fatte dalle truppe napoleoniche nel 1797, negli Stati Uniti, come il San Bartolomeo conservato nella città di Birmingham in Alabama, o proprio a Perugia, nella chiesa benedettina di San Pietro, dove si trova il Cristo sorretto da Nicodemo tra la Madonna dolente e san Giovanni Evangelista.
Oltre all’Adorazione dei pastori, alla Pinacoteca nazionale dell’Umbria sono rimasti gli altri scomparti con Eterno benedicente, Profeti Daniele e David, Arcangelo Gabriele, Battesimo di Cristo, Santi Gerolamo e Maria Maddalena, e dodici scomparti della predella.
Perugino realizzò l’opera al suo ritorno a Perugia, alle soglie del Cinquecento, incaricato, dopo successi ottenuti in tutta Italia, di decorare le pareti del Collegio del Cambio, il ciclo ad affresco che lo qualificò come il massimo esponente di una realtà artistica in grado di competere con quanto accadeva a Firenze.
Sono anni questi in cui, dopo l’ingresso del giovane Raffaello nella sua bottega fiorentina, l’artista riprende schemi quattrocenteschi già usati in passato ma spesso, anche per influsso del dotato allievo, infonde in essi nuova inventiva e grande raffinatezza, senza mai rinunciare a una lirica semplice, pura e commossa.
La purezza formale, il disegno chiaro ed elegante, la composizione equilibrata e la dolcezza delle sue figure sono elementi presenti nelle sue opere sino alla maturità, come si riscontra anche nell’Adorazione dei pastori, nella quale Perugino riprende lo schema già provato nell’affresco del Collegio del Cambio di Perugia.
A sinistra della tavola, si scorge l’annuncio degli angeli ai pastori, che compaiono anche al centro, in adorazione. A destra il bue e l’asinello. Al centro, tra due angeli, compare la colomba dello Spirito Santo e, in primo piano, Maria e Giuseppe adorano il Bambino, appoggiato a terra e protetto solo da un lembo del manto della Vergine. Invece del loggiato classicheggiante compare qui una semplice capanna.
Lo sfondo paesaggistico è reso all’essenziale e le figure, sulle quali si concentra tutta l’attenzione dell’artista, poggiano su un pavimento prospettico.
Lo stile di Perugino segna l’inizio di un nuovo modo di dipingere che, proprio a partire da Raffaello, il più importante tra i suoi allievi, segnerà la nascita della maniera moderna.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Pietro Vannucci detto il Perugino (Città della Pieve, Perugia 1448/50 – Fontignano, Perugia, 1523), Adorazione dei pastori tavola, cm 263x147, Perugia, Galleria nazionale dell’Umbria

Informazioni utili
«L’adorazione dei pastori» del Perugino. Museo Diocesano Carlo Maria Martini, ingresso da piazza Sant’Eustorgio, 3 – Milano. Orari: da martedì a domenica, dalle ore 10.00 alle ore 18.00; chiuso lunedì (eccetto festivi); la biglietteria chiude alle ore 17.30. Ingresso (Museo Diocesano + Museo di Sant’Eustorgio e Cappella Portinari): intero € 8,00, ridotto individuale € 6,00, ridotto scuole e oratori € 4,00. Informazioni: tel. 02.89420019; 02 89402671; info.biglietteria@museodiocesano.it. Dal 20 ottobre al 28 gennaio 2017.

giovedì 12 ottobre 2017

Buon compleanno, Cinquecento!

Ha sessant’anni, ma ha ancora tutto lo sprint di una ragazzina. Stiamo parlando della Fiat 500, il modello di maggior successo del marchio automobilistico fondato da Giovanni Agnelli. Miracolo del design italiano, l’utilitaria uscita dalla fabbrica torinese nel 1957 ha migliorato la vita quotidiana di milioni di persone, mettendo l’Italia su quattro ruote, e ha accompagnato la ripresa economica.
In occasione del sessantesimo compleanno, festeggiato il 4 luglio scorso, la Fiat 500 è stata addirittura riconosciuta come un'opera d'arte moderna, diventando parte della collezione permanente del MoMA di New York. Si è voluto così decretare il valore di icona che quest’automobile ha assunto nel corso degli altri, sempre più considerata simbolo, democratico e distintivo, dello stile italiano nel mondo.
Proprio da un’interpretazione creativa di questo intramontabile modello parte la rassegna personale di Diego D. Testolin, curata da Roberta Di Chiara, negli spazi della Mirafiori Galerie di Torino.
«Ho sempre guardato alla pop-art e ai grandi maestri americani indagando i temi della quotidianità, innalzandoli a simboli del mio tempo -spiega il pittore veneto, classe 1968-. La mostra «Cinque100 – Il mito di una popcar» nasce da qui: è un omaggio all’icona che ha motorizzato gli italiani rendendo onore al suo stile e al design che l’hanno resa celebre nel mondo».
Privata volutamente della sua specificità d’uso, nelle opere di Testolin la 500 corre sulla tela e, divenuta opera d’arte, si trasforma nell’unica protagonista del momento, attraverso immagini che raccontano il suo appeal rimasto intatto nel tempo e che ha lasciato un segno indelebile nella storia dell’automobile.
I ritratti esposti, circa una ventina di oli su tela accompagnati da qualche opera a tecnica mista, la vedono indiscussa protagonista spesso immersa nella sacralità segreta dei paesaggi urbani, la indagano esaltandone il carattere come Testolin, artista esperto in fisiognomica e referente sul Triveneto per la Polizia di Stato nella realizzazione a mano libera di identikit, è abituato a fare. La mostra rievoca la serialità di wahroliana memoria, ma al contempo dà voce all’unicità di ogni esemplare in un’opera in cui il tutto è più della somma delle singole parti.

Informazioni utili
Cinque100. Il mito di una popcar. Mirafiori Galerie, Piazza Riccardo Cattaneo - Torino. Orari: opening 13 ottobre 2017, dalle ore 18.30 alle ore 20.00; lunedì-venerdì, ore 9.00-20.00 | sabato, ore 9.00 – 19.30 | domenica, ore 9.30-13.00 e ore 15.00-19.30. Ingresso libero. Sito internet: fca.motorvillageitalia.it/MVTorino. Da venerdì 13 ottobre a domenica 12 novembre 2017

martedì 10 ottobre 2017

Hokusai, a Roma sulle orme del maestro giapponese

Deve la sua fama universale alla «Grande onda» parte della serie di «Trentasei vedute del monte Fuji» e all’influenza che le sue riproduzioni ebbero su artisti parigini di fine Ottocento come Manet, Toulouse Lautrec, Van Gogh e Monet, protagonisti del movimento del Japonisme. L’opera di Katsushika Hokusai (1760-1849), maestro indiscusso dell’ukiyoe, (che letteralmente significa «immagini del mondo fluttuante»), sarà al centro di una delle più importanti mostre in cartellone a Roma il prossimo autunno, dal 12 ottobre al 14 gennaio, negli spazi del Museo dell’Ara Pacis. Le prenotazioni dei biglietti sono già aperte on-line.
Attraverso circa duecento opere (cento per ogni rotazione della mostra per motivi conservativi legati alla fragilità delle silografie policrome) provenienti dal Chiba City Museum of Art e da importanti collezioni giapponesi come Sumisho Art Gallery, Uragami Mitsuru Collection e Kawasaki Isago no Sato Museum, oltre che dal Museo d’arte orientale Edoardo Chiossone di Genova, la mostra racconta e confronta la produzione del maestro, attivo tra la fine del Settecento e la prima metà dell’Ottocento, con quella di alcuni tra gli artisti che hanno seguito le sue orme dando vita a nuove linee, forme ed equilibri di colore all’interno dei classici filoni dell’ukiyoe.
Hokusai ha esplorato soggetti di ogni tipo: dal paesaggio alla natura, animali e fiori, dal ritratto di attori kabuki a quello di beltà femminili e di guerrieri, fino alle immagini di fantasmi e spiriti e di esseri e animali semileggendari.
Era uno sperimentatore che variava formati e tecniche: dai dipinti a inchiostro e colore su rotolo verticale e orizzontale, alle silografie policrome di ogni misura per il grande mercato, fino ai più raffinati surimono, usati come biglietti augurali, inviti, calendari per eventi e incontri letterari, cerimonie del tè, inviti a teatro.
I volumi dei manga, che raggruppano centinaia di schizzi e disegni tracciati dal maestro e stampati in solo inchiostro nero con qualche tocco di vermiglio leggero, rappresentano il compendio di tanta eccentricità e genialità messa a disposizione di giovani artisti e pittori quali modelli per ogni genere di soggetto. Tra i suoi allievi ci sono Hokuba, Hokkei (1790-1850), Hokumei (1786-1868) che segnano la generazione successiva di artisti, insieme a Keisai Eisen (1790-1848), allievo non diretto di Hokusai, ma che da lui è stato influenzato, che ha determinato gli sviluppi delle stampe di bellezze femminili e paesaggio degli anni 1810-1830. Proprio a Eisen, presentato in Italia per la prima volta in questa mostra, appartiene la bellissima e imponente figura di cortigiana rappresentata nella xilografia che Van Gogh dipinge alle spalle di Père Tanguy e utilizzata anche in copertina del «Paris Le Japon Illustré» nel 1887.
La mostra si compone di cinque sezioni che toccheranno i temi più alla moda e maggiormente richiesti dal mercato dell’epoca. Si parte con «Meishō: mete da non perdere», nella quale sono presentate le serie più famose dell’artista: le «Trentasei vedute del Monte Fuji», le «Otto vedute di Ōmi», i tre volumi sulle «Cento vedute del Fuji» e un dipinto su rotolo del Monte Fuji, presentato per la prima volta in Italia e in anteprima assoluta.
Questa sezione illustra le mete di viaggio e i luoghi celebri che un giapponese di epoca Edo non doveva assolutamente perdere o perlomeno doveva conoscere: cascate, ponti e luoghi naturali delle province più lontane, vedute del monte Fuji da località rinomate, locande e ristoranti e stazioni di posta lungo la via del Tōkaidō che collegava Edo (Tokyo) a Kyoto.
Non manca in questa sezione la «Grande onda» di Hokusai, che si potrà apprezzare in ben due versioni differenti, che si alterneranno a metà del periodo espositivo per motivi conservativi: una proveniente dal Museo d’arte orientale Edoardo Chiossone di Genova, l’altra dalla collezione Kawasaki Isago no Sato Museum, così come tante altre importanti silografie della serie «Trentasei vedute del Monte Fuji» confrontabili in doppia versione.
La mostra prosegue con una serie di notevoli dipinti su rotolo e xilografie policrome dedicati al ritratto di beltà femminili e cortigiane delle famose case da tè del rinomato quartiere di piacere di Yoshiwara, che mettono a confronto lo stile del maestro Hokusai con quello di alcuni tra i suoi allievi più famosi tra cui Gessai Utamasa, Ryūryūkyō Shinsai, Hokumei, Teisai Hokuba.
In particolare si sottolinea la novità della composizione di Keisai Eisen, grande personalità nel campo del ritratto femminile, che redige un vero reportage di moda, avvolgendo le sue donne e mettendole in posa così da evidenziarne i kimono e gli obi imponenti, i tessuti raffinatissimi dai motivi ricercati, coloratissimi e sempre studiati nel particolare più minuto.
In questo contesto è stata pensata anche una piccola, ma raffinata raccolta di immagini legate alla seduzione e al mondo del piacere e dell’erotismo che mettono a confronto Hokusai ed Eisen attraverso xilografie pericolose (abunae), in cui si intuiscono situazioni di scambio amoroso senza svelarne l’aspetto sessuale, sublimato attraverso la bellezza di stoffe e abiti che coprono i corpi e fanno sognare, e le famose pagine del volume erotico «Kinoe no Komatsu».
La rassegna prosegue con una sezione dedicata alla fortuna, che presenta una serie di undici dipinti su rotolo di Hokusai, esposti per la prima volta in Italia, che trattano temi come i portafortuna, la protezione e l’augurio per occasioni speciali. La mostra presenta anche una sezione con temi tratti dal mondo della natura, nei quali si tratta della valenza simbolica di alcuni animali quali il drago, la tigre, la carpa e il gallo.
A chiudere la mostra sono i quindici volumi di manga di Hokusai, ai quali è affiancato un album dell’allievo Shotei che ripercorre i soggetti e le forme del maestro proponendo pagine simili fitte di disegni e schizzi.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Katsushika Hokusai, «La [grande] onda presso la costa di Kanagawa», dalla serie «Trentasei vedute del monte Fuji», 1830-1832 circa. Xilografia policroma, (…), Kawasaki Isago no Sato Museum; [fig. 2] Katsushika Hokusai, «Giornata limpida col vento del sud (o Fuji Rosso), dalla serie Trentasei vedute del monte Fuji», 1830-1832 circa. Xilografia policroma, (…), Kawasaki Isago no Sato Museum; [fig. 3] Katsushika Hokusai, «Il Fuji da Gotenyama presso Shinagawa sul Tōkaidō», dalla serie «Trentasei vedute del monte Fuji», 1830-1832 circa. Xilografia policroma, (…), Kawasaki Isago no Sato Museum; [fig. 4] Katsushika Hokusai, «Il Monte Fuji al tramonto», 1843. Dipinto su rotolo,Sumisho Art Gallery

Informazioni utili
«Hokusai. Sulle orme del maestro». Museo dell’Ara Pacis, Lungotevere in Augusta – Roma. Ingresso: tutti i giorni, ore 9.30 – 19.30; 24 e 31 dicembre, ore 9.30 – 14.00; chiuso il 25 dicembre e il 1° gennaio; la biglietteria chiude un’ora prima. Ingresso: intero € 11,00, ridotto € 9,00 + prevendita aperta dal 1° giugno 2017 € 1,00. Informazioni: 060608 (tutti i giorni ore 9.00 – 19.00). Sito internet: www.arapacis.it, www.museiincomuneroma.it. Dal 12 ottobre al 14 gennaio 2018.

domenica 8 ottobre 2017

Trieste celebra Maria Teresa d’Austria



Fu una donna a cambiare per sempre il destino di Trieste, dando alla città quella dimensione mitteleuropea che conosciamo oggi. Nei suoi quarant’anni di regno, dal 1740 al 1780, Maria Teresa d’Asburgo, la figlia dell’imperatore Carlo VI, trasformò, in un febbrile succedersi di abbattimenti e ricostruzioni, il volto del centro friulano. Pur non avendo paradossalmente mai visitato di persona la città, la sovrana asburgica, del quale ricorrono quest’anno i trecento anni dalla nascita, avvenuta a Vienna il 13 maggio 1717, rinnovò il volto architettonico e urbanistico del centro friulano, facendo costruire ponti e acquedotti e dando vita, nell’area bonificata delle saline, al borgo teresiano.
Maria Teresa d’Asburgo fu, dunque, una figura cardine del complesso sistema europeo dell’epoca e un riferimento fondamentale per la nascita della Trieste settecentesca. Durante il suo regno la città avviò una fase di impressionante crescita demografica, sociale ed economica, quadruplicando il proprio numero di abitanti, con la trasformazione da piccolo villaggio arroccato sul colle di San Giusto a città vera e propria, e diventando a metà Settecento il primo porto emporiale dell'Impero Asburgico e uno dei principali dell’Adriatico e del Mediterraneo.
Fu ancora lei ad aprire la città all’Ottocento e rendendola il centro mitteleuropeo che oggi conosciamo, animato da genti provenienti da ogni sito del Mediterraneo. Alla sua figura si devono tanti degli aspetti che rendono ancora oggi famoso il capoluogo friulano: l'anima multietnica, la vocazione commerciale e marittima, le caratteristiche architettoniche e urbanistiche, frutto di una straordinaria epoca di modernizzazione che vide proprio la sovrana asburgica attuare riforme in ambito scolastico, istituzionale e finanziario, così come realizzare innovazioni statali, quali l’istituzione del catasto e del libro tavolare, o sanitarie come l’introduzione delle vaccinazioni, dopo essere stata lei stessa colpita dal vaiolo.
In questi anni, Trieste si trasforma da piccolo centro, ancora di fondazione medievale e chiuso al limite settentrionale dell’Adriatico, in un porto dagli sviluppi sorprendenti, nuovo sbocco dell’Europa orientale, al servizio di quell’Impero, che l’Imperatrice contribuirà a far uscire dalla tradizione ancora feudale verso la modernità.
A questa storia guarda la mostra «Maria Teresa e Trieste. Storia e culture della città e del suo porto» , in programma dal 7 ottobre al 18
febbraio al Magazzino delle Idee per iniziativa dell’Ente regionale per il patrimonio culturale del Friuli Venezia Giulia, in collaborazione con il Polo museale del Friuli Venezia Giulia e l’Università di Trieste.
Il percorso espositivo, che vede la supervisione di Antonio Giusa, ha inizio con una serie di ritratti ed opere – provenienti da prestigiosi enti museali cittadini, tra i quali quali il Castello di Miramare– che illustrano le dinamiche familiari degli Asburgo e gli accordi con le altre dinastie europee. Proseguendo lungo la mostra, mappe, vedute, dipinti e oggettistica dell’epoca, raccontano gli aspetti della vita quotidiana della borghesia mercantile, del grande emporio e di personaggi internazionali che furono presenti in città, tra cui Casanova e Winckelmann, assieme ad alcuni aspetti istituzionali e produttivi delle Contee di Gorizia e Gradisca.
Parte dei contenuti della mostra, che è inserita nel progetto annuale «Trieste è una donna», verranno forniti attraverso installazioni interattive a cura dello studio Interfase che permetteranno al visitatore di scoprire in maniera chiara e divertente aspetti complessi della Trieste settecentesca. Sarà possibile vedere la città crescere dal nucleo storico fino ad arrivare all’attuale fronte mare o esplorare le rotte dei commerci dell’impero asburgico che passavano attraverso il porto di Trieste. Attraverso le installazioni multimediali, il visitatore potrà così entrare nella Trieste teresiana per comprendere meglio quella di oggi.

Informazioni utili
«Maria Teresa e Trieste. Storia e culture della città e del suo porto». Magazzino delle Idee, corso Cavour, 2 - Trieste.  Orari: da martedì a domenica, ore 10.00-19.00; lunedì chiuso | aperture straordinarie: mercoledì 1 novembre, venerdì 8 dicembre, martedì 26 dicembre; domenica 31 dicembre chiusura alle 16.00; lunedì 1° gennaio 2018 apertura ore 11.00. Ingresso: intero € 6,00, ridotto € 4,00, ridotto gruppi € 3,00. Per informazioni: info@mariateresaetrieste.it, tel. 040.3774783. Sito internet: www.mariateresaetrieste.it. Dal  7 ottobre 2017 al 18 febbraio 2018.