ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

lunedì 28 maggio 2018

Toscana, la Tavola Doria in mostra al Castello di Poppi

«Prendete uno dei borghi più belli d’Italia, il tocco del genio, la storia rocambolesca di un’opera ancora sotto tanti aspetti avvolta nel mistero e il gioco è fatto»: inizia così il comunicato stampa della mostra «Nel segno di Leonardo. La tavola Doria dagli Uffizi al Castello di Poppi», in programma dal 7 luglio al 30 settembre negli spazi delle scuderie del Castello di Poppi in Casentino, prima valle dell’Arno.
Al centro dell’esposizione, che prevede un allestimento multimediale ad alta tecnologia con proiezioni in HD di disegni leonardiani e l’ologramma del genio di Vinci a fare da cicerone, c’è uno dei dipinti più celebri e contesi dell’arte italiana del Cinquecento: la tavola Doria.
L’opera, illegalmente esportata dall’Italia, dopo una lunga peregrinazione fra Germania, Stati Uniti, Giappone e Svizzera, è rientrata miracolosamente nel nostro Paese nel 2012 ed è stata al centro, negli anni passati, di due mostre, una al Palazzo del Quirinale (27 novembre del 2012 – 13 gennaio 2013), l’altra agli Uffizi di Firenze (24 marzo – 29 giugno 2014).
Contesa in passato fra il sultano del Brunei e il fondatore della Microsoft, Bill Gates, la Tavola Doria è un dipinto a olio su tavola, di forte impatto e suggestione, che misura 86x110 centimetri. Raffigura la Lotta per lo stendardo, la scena centrale della Battaglia di Anghiari, il leggendario affresco di Leonardo (andato perduto) nella parete destra del Salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio, che secondo il programma originale della decorazione avrebbe dovuto illustrare il sanguinoso scontro che il 29 giugno del 1440 ad Anghiari mise di fronte l’esercito dei Visconti, duchi di Milano ed una coalizione composta da truppe fiorentine, pontificie e veneziane.
L’opera, proveniente dalla collezione Doria D’Angri di Napoli, passò nel 1940 nelle mani del nobile genovese Giovanni Nicolò De Ferrari. Da allora se ne persero le tracce fino a quando nel 2009, dopo trent’anni di indagini e due di caccia serrata, il Comando dei carabinieri - Tutela patrimonio culturale la ritrovarono in un caveau al Porto Franco di Ginevra.
Nel 1992 la tavola venne acquistata dal Tokyo Fuji Art Museum; nel 2012 è stata restituita all’Italia che ha concesso all’istituzione giapponese per venticinque anni (fino al 2037), di poterla avere in prestito, con l’alternanza di due anni in Italia e di quattro in Giappone.
Al centro della scena, partendo da destra sono raffigurati i due combattenti della coalizione, Pietro Giampaolo Orsini e Ludovico Scarampo Mezzarota, mentre lottano per strappare lo stendardo visconteo ai nemici. Sul lato opposto Francesco e Niccolò Piccinino tentano a colpi di spada di difendere il possesso del vessillo. Lo scontro è violento, furioso, amplificato acusticamente dai cavalli che cozzano i musi l’un contro l’altro, tanto che Giorgio Vasari parla di un «groppo di cavalli!», cioè un viluppo di animali e cavalieri. La lotta si fa serrata anche fra i cavalieri a terra, come documenta a destra l’uomo raffigurato sotto le zampe del cavallo, detto «bozzolo».
Si tratta della più importante per quanto martoriata testimonianza pittorica di quella che il Cellini definì la «scuola del mondo», il celebre dipinto murale affidato a Leonardo nel maggio del 1504 per il cui cartone preparatorio egli ricevette un compenso ragguardevole di 35 fiorini e altri 15 al mese per terminare in fretta l’opera – era ben noto come l’artista, impegnato in quegli anni su più fronti, fosse refrattario alle scadenze la chiusura dei suoi lavori.
La Tavola Doria, la cui paternità in passato è stata a lungo contesa fra Leonardo e un pittore fiorentino della prima metà del Cinquecento, viene esposta al Castello di Poppi con l’attribuzione a Francesco Morandini, detto il Poppi, avanzata da Louis A. Waldman del Dipartimento di arte e storia dell’Università di Austin (Texas).
Nato a Poppi nel 1544 e morto a Firenze nel 1597, il Morandini fu uno degli artisti attivi nella decorazione del celebre Studiolo di Francesco I in Palazzo Vecchio. Fu altresì autore di altre importanti opere a Firenze, Prato, Roma ed a Poppi, dove è documentato fra il 1575 e il 1576 e dopo il 1584 con importanti commesse come la chiesa dell’Annunziata delle monache camaldolesi (che accoglieva due sorelle del pittore, Dianora e Margherita) e per altri centri del Casentino.
La mostra proseguirà lungo il borgo di Poppi nei luoghi dove sono custodite tavole del Morandini come l’Abbazia di San Fedele, la Propositura dei Santi Marco e Lorenzo, il Monastero delle Camaldolesi.
L’occasione è ghiotta per gli appassionati del turismo slow che quest’estate avranno un’occasione in più per venire in quest’angolo di Toscana, terra di monasteri (La Verna e Camaldoli) e di castelli feudali (Castello di Poppi, Porciano, Romena e Castel San Niccolò), di emozionanti itinerari nel verde e di buon cibo.

Informazioni utili 
«Nel segno di Leonardo. La tavola Doria dagli Uffizi al Castello di Poppi». Castello dei conti Guidi, piazza della Repubblica, 1 – Poppi (Arezzo). Orari: tutti i giorni, dalle ore 10.00 alle ore 19.30. Ingresso: intero € 7,00, ridotto € 4,00. Informazioni: tel. 0575 520516 / info@castellodipoppi.it. Dal 7 luglio al 30 settembre 2018.

domenica 13 maggio 2018

«(S)canovacci», gli «Attori in erba» raccontano la Commedia dell'arte al Manzoni di Busto

Un gruppo di attori girovaghi, un carrozzone con un teatro smontabile e tanti fantasiosi scenari, bauli pieni di stoffe colorate, cuffie, cappelli e abiti di scena, vettovaglie, generi alimentari di ogni tipo e le maschere più famose della tradizione italiana: da Arlecchino a Pulcinella, da Colombina a Pantalone, da Capitan Spaventa al dottor Balanzone, senza dimenticare Tartaglia, Brighella, i giovani innamorati, la furba Smeraldina e le tante giovani attrici che, nell’Italia del Seicento e Settecento, portarono il buon nome del teatro italiano in tutta Europa. Il magico mondo della Commedia dell’arte, con i suoi frizzi e lazzi, è al centro della favola musicale «(S)canovacci», in agenda venerdì 18 maggio, alle ore 20.45 (con inizio reale della rappresentazione alle ore 21), al cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio.

«Attori in erba», trentacinque bambini sul palco 
Lo spettacolo vedrà salire sul palco trentacinque bambini e ragazzi di età compresa tra i sei e i sedici anni iscritti ai corsi «I piccoli attori» e «Attori in erba», due laboratori di animazione e di educazione alla teatralità e allo spettacolo per studenti delle scuole primarie e secondarie di primo grado, nonché dei primi due anni delle superiori, promosso dall'associazione «Culturando» nell’ambito della scuola multidisciplinare di teatro «Il cantiere delle arti».
Firma la regia l’attore bergamasco Gerry Franceschini, che si è avvalso dell’aiuto per il montaggio delle varie scene di Davide De Mercato. Luci e fonica vedranno all'opera Maurizio «Billo» Aspes.
Il testo dello spettacolo, elaborato da Annamaria Sigalotti, è stato redatto a partire dagli esercizi di scrittura creativa con gli «Attori in erba» e dalle improvvisazioni teatrali tenutesi durante l’anno su vari libri scritti per avvicinare i più piccoli al mondo della Commedia dell’arte e delle maschere della tradizione italiana: «Maschere – Un libro per leggere, per fare teatro, per divertirsi» (Editrice Piccoli, Torino 1997), «Storie di maschere» (Nuove edizioni romane, Roma 1980) di Gina Bellot e Viviana Benini, «Comandi, sior paròn. Storie e storielle del Carnevale di Venezia» (Nuove edizioni romane, Roma 2007), «Le maschere. Caratteri, storia e costumi» (Capitol, Bologna 1990) di Vito Montemagno e «Le maschere italiane» (Edizioni Primavera, Firenze 1992) di Carla Poesio, oltre al prezioso volume «Ti conosco, mascherina» (edizioni corsare, Spello 2011) di Francesca Rossi, dal quale è stata tratta l’immagine guida dello spettacolo.

«Del teatro viaggiante è la mia» E «Arlecchino, Pulcinella e Rodari»: due spettacoli in uno
«Maschere strambe non vengono da Marte, ma dall’antica Commedia dell’arte […] Saltano, ruotano, fanno dei lazzi, son divertenti, allegre e un po’ pazze. Mettono in giro pettegolezzi, parlano tanti dialetti diversi» canteranno, sulle vivaci note di Paola Fontana, «I piccoli attori» in apertura della prima parte di «(S)canovacci», intitolata «Arlecchino, Pulcinella e Gianni Rodari». In scena ci saranno sedici bambini dai 6 ai 10 anni, che racconteranno, sotto la guida di un simpatico e buffo nonno attore, interpretato da Gerry Franceschini, che cosa hanno imparato quest’anno durante il corso «Ti conosco, mascherina!».
Grande spazio in questa prima parte della favola musicale, che si chiuderà con la canzone «La ballata di Pulcinella» di Gabriella Marolda, verrà data al racconto fatto da Gianni Rodari della Commedia dell’arte. Si inizierà con una libera lettura scenica della storia «Gli esami di Arlecchino», nella quale il dottor Balanzone promuoverà tutti intenerito dalle note di «Bèla Bùlagna», proposta nell’arrangiamento di Massimo Tagliata per i sessant’anni dello Zecchino d’oro in una coreografia firmata dalle «attrici in erba» Sara Mascheroni e Anna Giulia Pittarello. Seguirà, quindi, un’inedita interpretazione del racconto «La fuga di Pulcinella», dove la celebre maschera napoletana sceglierà la primavera per volare via libera da tutti i vincoli, rimanendo viva nel ricordo delle sue amiche marionette come il «re della bella Napoli».
La seconda parte dello spettacolo, intitolata «Del teatro viaggiante è la magia», si aprirà, invece, sulle note di un vivace «Saltarello», base musicale di una colorata coreografia che coinvolgerà il pubblico in sala, trasportandolo nell’Italia del 1639 per raccontargli, a suon di dialetti e di musiche del tempo, le avventure di una sconosciuta compagnia di comici della Commedia dell’arte, «I chiacchieroni», in giro per l’Italia con il loro carrozzone.
Diciannove ragazzi dagli 11 ai 16 anni, che hanno preso parte al corso «Tra maschere, lazzi e canovacci», proporranno al pubblico un divertente viaggio in compagnia delle smargiassate di Capitan Spaventa, delle tiritere del dottor Balanzone, dei discorsi a doppio senso di Tartaglia (al centro di una divertente scena scritta dall’«attore in erba» Leonardo Campari), di storie di fame e di amore, di bugie e di tirannia del forte sul debole, che si chiuderà a Venezia, la città per antonomasia delle maschere, del romanticismo e del Carnevale, con un omaggio all’astuzia femminile di Colombina e alla musica classico-pop dei Rondò veneziano.

Culturando, …e il corso di teatro è multidisciplinare 
 Lo spettacolo «(S)canovacci», inserito nelle attività della scuola multidisciplinare di teatro «Il cantiere delle arti» di «Culturando», chiude il progetto «Commedia dell’arte: Arlecchino, Pulcinella e…», riservato ai ragazzi dai 6 ai 16 anni e articolato in due corsi di recitazione, danza, musica, scrittura creativa e arte, che hanno visto quest’anno alternarsi nel ruolo di insegnanti -oltre a Gerry Franceschini, Davide De Mercato e Annamaria Sigalotti- Anna De Bernardi per il canto, Serena Biagi per la danza e Stefano Montani per la recitazione. Quasi una quarantina i moduli didattici di due ore e trenta ciascuno, tenutisi dal 22 settembre 2017 al 18 maggio 2018, ai quali hanno preso parte complessivamente cinquantadue bambini e ragazzi, alcuni dei quali avevano già affrontato lo scorso anno il tema della Commedia dell’arte con lo spettacolo «C’era una volta…Gioachino Rossini».
Il costo del biglietto è fissato ad euro 10,00 per l’intero ed euro 7,00 per il ridotto, riservato ai bambini fino ai 12 anni. I biglietti sono in vendita on-line sul sito www.cinemateatomanzoni.it e, nei giorni antecedenti spettacolo, anche al botteghino della sala di via Calatafimi. Per informazioni e prenotazioni è possibile contattare l’associazione «Culturando» al numero 347.5776656 o all’indirizzo info@associazioneculturando.com e il cinema teatro Manzoni al numero 0331.677961 o all’indirizzo e-mail info@cinemateatromanzoni.it.

venerdì 4 maggio 2018

L’ «Allegoria del Sonno» di Alessandro Algardi è a Bologna

È frutto di un rapporto di scambio e collaborazione con la Galleria Borghese di Roma la mostra, a cura di Alessandra Mampieri, che il Museo civico di Bologna dedica ad Alessandro Algardi (Bologna, 27 novembre 1598 – Roma, 10 giugno 1654) e alla sua scultura «Allegoria del Sonno». L’opera, esposta per la prima volta nella città natale dell’artista, arriva in Emilia Romagna in seguito al prestito fatto nei mesi scorsi dai Musei civici felsinei del «Busto di papa Gregorio XV», recentemente esposto nella grande mostra capitolina dedicata al genio del barocco.
Alessandro Algardi, massimo rappresentante della corrente classicista nel periodo di piena fioritura della cultura figurativa barocca, inizia il suo cammino artistico a Bologna, dove frequenta l'Accademia degli Incamminati, allora guidata da Ludovico Carracci, e al contempo acquista dimestichezza con la scultura al fianco di Giulio Cesare Conventi. Nel 1619 circa si trasferisce alla corte dei Gonzaga, a Mantova, e, dopo un breve soggiorno a Venezia, nel 1625 giunge definitivamente a Roma, dove entra al servizio del cardinale bolognese Ludovisi in qualità di restauratore. Membro dell'Accademia di San Luca dal 1630, ne diviene Principe nel 1639. Intorno alla metà degli anni Trenta si afferma sulla scena capitolina, ricevendo prestigiose commissioni sia per statue dalle dimensioni contenute destinate a collezioni private.
Esemplare in tal senso è la scultura «Allegoria del Sonno», realizzato tra il 1635 e il 1636 su commissione del principe Marcantonio Borghese. Si tratta di un prezioso marmo nero raffigurante un putto con leggere ali di farfalla placidamente addormentato; le capsule e le foglie di papavero da oppio che ne incoronano i capelli ricciuti, al pari del piccolo ghiro acciambellato sulla roccia, sono soggetti allegorici che alludono simbolicamente al sonno.
Il trattamento del marmo in questa opera di grande compostezza compositiva appare magistrale, sia nel contrasto tra la superficie liscia del corpo levigato, quasi lucente, e il terreno su cui poggia il dormiente, scabro e opaco, sia nella resa della morbida pelliccia del piccolo animale accanto al putto, sia nella grazia spontanea del volto, colto con le labbra dischiuse e le palpebre appena abbassate.
Destinata alla Villa Pinciana della famiglia Borghese, l’opera venne collocata in un ambiente situato al primo piano, che da essa prese il nome di «Stanza del Sonno». Fortemente ispirata alla scultura antica, la statua divenne in breve tempo celebre, anche grazie a un aneddoto narrato dal biografo di Algardi, Giovanni Battista Passeri.
Secondo questa versione, lo scultore avrebbe realizzato l’«Allegoria del Sonno» per confondere i detrattori che sostenevano non fosse capace di scolpire il marmo, e avrebbe scelto di utilizzare una pietra famosa per la sua durezza, il marmo del Belgio, noto anche come «pietra di paragone», per esprimere ancora di più il suo virtuosismo. In realtà, la scelta di questo pregiato materiale si deve probabilmente alla volontà del committente e appare legata al motivo iconografico rappresentato, che potrebbe essere interpretato come un’allegoria del sonno, o piuttosto della morte. Inoltre, va ricordato che, al momento in cui realizzava questa composizione, Algardi era impegnato nell’esecuzione di tre grandi gruppi in marmo («La Decollazione di San Paolo» per la chiesa bolognese dei Padri Barnabiti, il «Monumento funerario di Leone XI» per la basilica vaticana e il «San Filippo Neri e l'Angelo» per la chiesa romana di Santa Maria in Vallicella), a dimostrazione di quanto la sua rapida ascesa all’interno della scena artistica romana si fosse affermata dal 1625, anno del suo arrivo.
In occasione della mostra, viene eccezionalmente allestita, nella sala dei bronzi del Museo civico medievale, anche la scultura «San Michele Arcangelo che atterra il demonio», realizzata nel 1647 dallo stesso scultore bolognese per la biblioteca del monastero di San Michele in Bosco. L’accostamento ravvicinato di questo lavoro con l'«Allegoria del Sonno» permette in questo modo al pubblico di ammirare l’abilità tecnica dimostrata dall’artista nella lavorazione di materiali profondamente diversi, come il marmo e il bronzo.
L’opera -racconta Jennifer Montagu, nell’introduzione al catalogo- «è una delle poche sculture in metallo opera di Algardi, che ci siano rimaste, fuse nella sua bottega, sotto la sua diretta supervisione. Tuttavia non rientra perfettamente in una categoria univoca. Con i suoi 74 cm di altezza è troppo grande per poter essere considerata un bronzetto e comunque non è una scultura in bronzo in scala reale. Eppure possiede tutta la accuratezza di movimento di un bronzetto e allo stesso tempo ha la monumentalità di una statua in bronzo; si muove libero nello spazio, invitando l’osservatore ad esaminarlo da tre lati (anche se perfettamente lavorato sul retro, chiaramente non era inteso per essere visto da quella angolazione), e pur nel suo evidente rapporto con il dipinto di Guido Reni in Santa Maria della Concezione a Roma, dove l’arcangelo è rappresentato in posa rigidamente frontale, è una deliberata dichiarazione di Algardi di superiorità della Scultura nell'antico Paragone tra le arti».
Dal museo, il percorso di visita si apre verso la città alla scoperta delle importanti testimonianze della produzione di Alessandro Algardi ancora oggi visibili: le sculture giovanili «San Procolo» e «San Petronio» nell'Oratorio di Santa Maria della Vita, che rivelano l'influenza di Guido Reni, la «Testa di San Filippo Neri» in cera conservata al Museo Davia Bargellini, fino al trionfo del marmo monumentale della «Decollazione di San Paolo», tutt'oggi collocato sull'altare maggiore della chiesa di San Paolo Maggiore.
Per l’occasione i Musei civici bolognesi hanno predisposto così anche un cartellone di passeggiate (22 marzo, 19 aprile e 17 maggio) e visite guidate (11 e 18 marzo, 22 aprile, 13 maggio, 26 maggio e 10 giugno) e di conferenze a tema (29 marzo, 12 aprile e 2 maggio) per approfondire la figura di questo grande scultore, che fu degno concorrente e rivale di Gian Lorenzo Bernini. 

Didascalie delle immagini
[Fig.2 e 4] Alessandro Algardi, L’Allegoria del Sonno, 1635-36. Marmo nero del Belgio, cm 48 x 90. Galleria Borghese, Roma. Credito fotografico: Ufficio iconografico Galleria Borghese, Roma; [fig. 1 e 3] Alessandro Algardi, San Michele Arcangelo che atterra il demonio. Bronzo, altezza cm 74. Museo Civico Medievale, Bologna 

Informazioni utili 
L’Allegoria del Sonno di Alessandro Algardi dalla Galleria Borghese. Museo civico Medievale, via Manzoni, 4 - Bologna. Orari di apertura: dal martedì alla domenica e festivi, ore 10.00 – 18.30; chiuso i lunedì feriali e il 1° maggio Ingresso: intero € 5,00, ridotto € 3,00, gratuito Card Musei Metropolitani Bologna e la prima domenica del mese. Informazioni: tel. 051.2193916 / 2193930 e museiarteantica@comune.bologna.it. Sito web: www.museibologna.it/arteantica. Fino al 10 giugno 2018.