ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

giovedì 14 marzo 2019

«La storia del cinema di Topolino», il fumetto incontra la settima arte

Fumetto e cinema si incontrano, ancora una volta, in una nuova pubblicazione da non perdere, firmata Panini Comics: «La storia del cinema di Topolino». Si tratta di centoquarantaquattro pagine, con prefazione del giornalista Rai Vincenzo Mollica, che raccolgono in un unico volume le cinque avventure a tema cinematografico scritte da Roberto Gagnor per i disegni di Valerio Held e Giada Perissinotto, pubblicate sulle pagine del settimanale «Topolino» nel corso del 2018.
Le tavole e gli approfondimenti, che verranno presentati ufficialmente al pubblico nella serata di sabato 16 marzo (dalle ore 18) al Museo del cinema di Torino, guidano il lettore in un viaggio emozionante, ma anche ironico e divertente, che, pagina dopo pagina, attraversa la storia del cinema e i suoi generi cinematografici più rappresentativi, mettendo in luce le reciproche contaminazioni tra la settima e la nona arte, ovviamente nello stile di topi e paperi.
La prima avventura è già una sorpresa: in «Mickey Keaton e il kolossal pericoloso», Topolino, nei panni del mitico Buster Keaton, si ritrova protagonista di una storia a fumetti muta: nessun balloon, dunque, ma spazio solo a grandi didascalie, proprio come nel film dell’epoca.
«Howard Paperin e i misteri dello Studio 13» è, invece, un omaggio al genere horror e a un altro genio del cinema di sempre: Howard Hawks. La paura sarà naturalmente un pretesto per mettere in luce le divertenti gag dei paperi protagonisti.
Con «Dinamite Bla e le 400 melanzane», Gagnor si è, poi, cimentato con il racconto delle raffinate atmosfere della Nouvelle Vague di Truffaut attraverso la goffaggine e lo stile «buzzurro» (citazione d’obbligo) di Dinamite Bla.
Di pagina in pagina, il viaggio nella storia del cinema prosegue con un excursus nel poliziesco: «Basettoni e Manetta da Topolinia con furore» racconta il cinema “di genere” degli anni ’70, un tuffo nel passato dei due agenti, immortalati dalla matita di Giada Perissinotto con capelli lunghi e pantaloni a zampa di elefante.
Infine, il volume presenta un omaggio a un classico del nostro tempo, Steven Spielberg, attraverso la storia «Topolino e il bestio di Amicizity»: tante le citazioni ai più famosi e iconici lungometraggi del genere avventuroso.
«Cinema e fumetto vivono da sempre una contaminazione continua e noi, con questo volume, ci siamo divertiti a metterle in luce con l’ironia e la simpatia dei nostri topi e paperi, capaci di sdrammatizzare anche i capolavori più iconici - dice Alex Bertani, direttore di «Topolino». - I nostri lettori non si annoieranno nel cercare e riconoscere i numerosi riferimenti che Roberto Gagnor si è divertito a inserire in ogni storia».
Il volume si chiude con la raccolta di alcune locandine a fumetti di capolavori della storia del cinema protagonisti di altrettante più celebri parodie disneyane: da «Casablanca» a «La Strada», fino a «Metropolis», solo per citarne alcune.

Per saperne di più
www.topolino.it

mercoledì 13 marzo 2019

«Ecologies of Loss», quando l’arte incontra il pensiero ecologista

Propone una riflessione sul rapporto tra pratiche artistiche e pensiero ecologista nel continente asiatico la prima personale italiana dell’artista indiano Ravi Agarwal, allestita fino al prossimo 9 giugno negli spazi del PAV - Parco Arte Vivente di Torino per la curatela di Marco Scotini. «Ecologies of Loss», questo il titolo dell’esposizione, rientra in un progetto di più ampio respiro che si propone di far luce sulla «centralità dell'Asia nella crisi climatica», per usare le parole di Amitav Ghosh, e che ha preso avvio nei mesi scorsi con una personale dell'artista cinese Zheng Bo dal titolo «Weed Party III».
Tra i maggiori esponenti della scena artistica indiana, da decenni Ravi Agarwal conduce una pratica interdisciplinare come artista, fotografo, attivista ambientale, scrittore e curatore. Il suo impegno per l'ambiente lo ha visto fondare e tuttora dirigere la ONG ambientalista Toxic Link e gli è valso differenti premi, tra cui, nel 2008, lo Special Recognition Award for Chemical Safety delle Nazioni Unite e, nel 1997, l'Ashoka Fellowship per l'imprenditoria sociale.
Il lavoro di Ravi Agarwal esplora questioni nodali dell'epoca contemporanea quali l'ecologia, la società, lo spazio urbano e rurale, il capitale.
Per oltre quattro decadi, la fotografia ha costituito il medium d'elezione per il lavoro di Ravi Agarwal, che ha poi conosciuto una dimensione più estesa grazie all'inclusione di installazioni, video, interventi di arte pubblica, diari, all'interno di progetti dalla durata pluriennale.
La natura decentrata del suo approccio (plurale, frattale, polifonico) colloca Ravi Agarwal tra quegli esponenti di una scienza nomade (Deleuze e Guattari) che si muovono contro le istanze teoriche unitarie, in favore di saperi minori, frammentari e locali. Animato dal desiderio di riappropriazione dei poteri collettivi autonomi sottratti dal capitalismo, di auto-gestione e auto-governo dei propri corpi e delle proprie vite, di cooperazione nel lavoro umano ed extra-umano, Agarwal registra i cambiamenti in corso nell'ambiente a partire dal lato della perdita. Da qui deriva il titolo, «Ecologies of Loss», della mostra concepita per il PAV.
In questo senso, trattandosi della prima personale in Italia, la mostra cerca di raccogliere nuclei di opere scalate cronologicamente negli anni: da «Have you Seen the Flowers on the River» (2007 - 2010) a «Extinct?» (2008), da «Alien Waters» (2004 – 2006) a «Else All Will Be Still» (2013 – 2015). All'interno di queste estese ricerche, la perdita dell'animale (la comunità degli avvoltoi della parte meridionale dell'Asia) non è distinta dalla minaccia dell'estinzione della coltura del garofano indiano (la sua economia sostenibile, i suoi significati rituali), la perdita del fiume Yamuna, da quella del linguaggio (con il ricorso alla antica letteratura Sangam, scritta in Tamil), fino alla perdita del sé soggettivo – secondo una logica di interconnessione ecosistemica per la quale nessun elemento risulterebbe isolabile dal resto.
Ma l'aspetto fondamentale e originale della pratica artistica e attivista di Ravi Agarwal è quello che da più parti è stata definita come «personal ecology». E ciò fin dal 2002, quando il suo lavoro viene presentato a Documenta XI e il tema ecologico non è ancora all'ordine del giorno. Piuttosto che «personal ecology» sarebbe più giusto definirla, con la derivazione foucaultiana, «ecologia del sé», cioè come l'implicazione della propria auto-biografia all'interno dell'ambiente, come sua componente indissociabile. Per questo l'ambiente non potrà essere solo naturale, ma psichico, sociale, linguistico, semiotico. Da questo punto di vista, risulta particolarmente emblematico il lavoro presentato a Yinchuan Biennale. Il titolo, «Room of the Seas and Room of Suns», fa riferimento a due spazi della vita dell'artista, connessi dal comune elemento della sabbia. Due contesti ecologici, due politiche di sopravvivenza, il paesaggio umido della città costiera di Pondicherry e quello arido del deserto del Rajasthan, della sua infanzia e dei suoi antenati. Come afferma Agarwal, il fiume non è solo un corpo d'acqua che scorre attraverso la città, ma una rete di miriadi di relazioni interconnesse alla città, ai suoi abitanti e alla natura.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Ravi Agarwal, Have you seen the flowers on the river?, stampe fotografiche, 2007. Courtesy l'artista; [fig. 2] Ravi Agarwal, Else, all will be still, serie fotografica, 2013-2015. Courtesy l'artista; [fig. 3] Ravi Agarwal, Alien Waters, serie fotografica, 2004-2006.  Courtesy l'artista; [fig.4] Ravi Agarwal, Else, all will be still, serie fotografica, 2013-2015. Courtesy l'artista

Informazioni utili 
«Ecologies of Loss» - Personale di Ravi Agarwal. PAV - Parco Arte Vivente, via Giordano Bruno, 31 – Torino. Orari: venerdì, ore 15.00 – 18.00; sabato e domenica, ore 12.00 – 19.00. Ingresso: € 4,00; ridotto € 3,00; gratuito: Abbonamento Torino Musei, Torino+Piemonte Card, minori di 10 anni, over 65, persone con disabilità. Informazioni: tel. 011.3182235, press@parcoartevivente.it. Fino al 9 giugno 2019. 

Al Mao di Torino un omaggio al teatro Kabuki

È un omaggio al teatro Kabuki, uno dei pilastri della cultura giapponese, il nuovo allestimento del Mao – Museo d’arte orientale di Torino per il corridoio dedicato alle stampe policrome nipponiche ukiyo. La rassegna allinea una selezione di opere che vanno dal 1760 al 1830 e che rientrano nel genere yakusha. Si tratta cioè di ritratti dei più famosi attori giapponesi dell'epoca, vere e proprie star del periodo Edo (1603-1868).
Il teatro kabuki, in quel periodo, occupava un posto di rilievo nella vita culturale dei principali centri urbani giapponesi, i cui cittadini amavano seguire le gesta degli attori più famosi e acquistare le stampe che li ritraevano. Fondamentale e reciprocamente vantaggioso era il rapporto tra le stampe, o meglio gli artisti e gli stampatori, e gli attori: le prime erano tanto più vendute quanto più erano famosi i secondi e la fama e la popolarità dei secondi incrementava proprio grazie alla diffusione delle prime.
Torii Kiyomitsu (1735-1785), caposcuola della terza generazione della scuola Torii, esprime al meglio le potenzialità grafiche del benizuri-e, le stampe che presentano un numero limitato di colori: rosso càrtamo, verde, giallo, indaco e marrone.
La produzione dell’artista è esemplificativa del periodo di transizione che porterà alle stampe policrome nishiki-e. Le tre opere esposte al Mao ben trasmettono l’equilibrio che l’artista raggiunge: l’impostazione statica delle figure ereditata dal passato risulta qui ingentilita da una nuova grazia che ispirerà gli artisti delle generazioni successive.
L’esposizione presenta, quinti, un altro nucleo di stampe di Utagawa Toyokuni (1769-1825), artista che dominò il mercato per circa un trentennio, in particolare con serie di stampe di ritratti di attori in palcoscenico caratterizzate dalla perfezione tecnica.
Il tratto morbido e sinuoso che delinea la figura di una danzatrice e quello deciso e possente che coglie il samurai al culmine dell’azione rivelano l’abilità di Toyokuni nell’usare la tecnica come veicolo delle caratterizzazioni dei diversi personaggi protagonisti di uno stesso dramma.
Ad essere colti nelle tipiche pose teatrali sono, ad esempio, gli attori Onoe Matsusuke I(1744-1875) e Onoe Eizaburo I (1784-1849), che interpretano due dei quarantasette ronin protagonisti della celebre opera teatrale intitolata «Kanadehon Chushingura», incentrata sulle gesta eroiche dei samurai che vendicarono la morte del loro signore Asano Naganori, prima di porre fine alle loro vite tramite seppuku.
La vendetta con onore è tema ispiratore di molti drammi giapponesi, come «Un voto di assistenza al santuario del monte Hiko», che ha come protagonisti Rokusuke e sua moglie Osono - ritratti proprio in un dittico esposto al Mao in cui gli attori sono rispettivamente Onoe Matsusuke II (1784-1849) e Sawamura Tanosuke II (1788-1817) - ed è tema ispiratore di innumerevoli trasposizioni moderne, tra i quali gli holliwoodiani «L’ultimo samurai» di Edward Zwick o «47 Ronin» di Carl Rinsch.
L’ultima sezione, invece, è un piccolo tributo a due dei più famosi artisti giapponesi, Katsushika Hokusai e Utagawa Hiroshige, di cui sono esposte opere a tema paesaggistico. Del primo sono visibili cinque stampe in formato koban, tratte dalla serie intitolata «Piccola Tōkaido»;dell’altro e quattro opere del ciclo «Nelle 53 stazioni della Tōkaido».

Informazioni utili
MAO - Museo d’arte orientale, via San Domenico, 11 – Torino. Orari: martedì-venerdì, ore 10.00 -18.00; sabato-domenica, ore 11.00– 19.00; chiuso lunedì. La biglietteria chiude un'ora prima. Ingresso: intero € 10,00, ridotto € 8,00, gratuito fino ai 18 anni e abbonati Musei Torino Piemonte. Informazioni: tel. 011.4436927, e-mail mao@fondazionetorinomusei.it. Sito web: www.maotorino.it.

martedì 12 marzo 2019

«Pittura spazio e scultura», una riflessione sull’arte tra gli anni Sessanta e Ottanta

Da poco meno di un mese la Galleria d’arte moderna di Torino propone un nuovo allestimento delle sue collezioni dedicate al contemporaneo. L’allestimento inaugura un programma espositivo, su base biennale, che si propone di far conoscere al pubblico, attraverso diverse mostre tematiche, la ricchezza delle collezioni museali, dando voce a molteplici letture e interpretazioni critiche.
Questo primo ordinamento, a cura di Elena Volpato, si concentra su due decenni, tra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta, in rapporto di continuità cronologica con quanto è esposto nelle collezioni del ‘900 e sceglie di raccontare aspetti rilevanti delle ricerche artistiche di quegli anni, scarsamente riconosciuti dalla più diffusa interpretazione storica.
Le opere in mostra provengono interamente dalle collezioni del museo. Il nucleo espositivo più rilevante in mostra è frutto delle numerose acquisizioni realizzate durante la direzione di Pier Giovanni Castagnoli, tra il 1998 e il 2008. Molte di queste opere sono state acquisite grazie al contributo della Fondazione per l’arte moderna e contemporanea CRT, a cui si deve anche la recente acquisizione dei libri d’artista e delle due opere di Marco Bagnoli, «Vedetta notturna» (1986) e «Iris» (1987), avvenuta durante l’attuale direzione di Riccardo Passoni.
Tra le opere esposte ci sono anche «Animale terribile» (1981) di Mario Merz e «Gli Attaccapanni (di Napoli)» di Luciano Fabro, facenti parte di un ristretto gruppo di lavori provenienti dalla Collezione Margherita Stein, acquistato per essere affidato alla comune cura della Gam e del Castello di Rivoli.
Quella che racconta la rassegna curata da Elena Volpato è la storia di un insieme di ricerche artistiche, perlopiù a lungo scarsamente riconosciute dalla più diffusa interpretazione storiografica.
Verso la metà degli anni Sessanta, quando le ricerche artistiche si muovevano in direzioni per lo più tese a sovvertire i tradizionali linguaggi artistici e a disconoscere ogni debito con il museo e la storia dell’arte, alcuni artisti italiani continuarono a interrogarsi sul significato della scultura, della pittura e del disegno, sulla possibilità di superare i limiti che sin lì quei linguaggi avevano espresso.
Lo fecero senza recidere i legami con la storia, ponendo mente alle origini stesse del gesto pittorico e scultoreo, aprendo le loro opere, come mai prima di allora, ad accogliere e nutrire al loro interno il respiro dello spazio e, con esso, quello del tempo.
Gli artisti rappresentati non fanno parte di un unico gruppo. Alcuni dei loro nomi sono legati alle vicende dell’Arte Povera. È il caso di Pier Paolo Calzolari, Luciano Fabro e Giovanni Anselmo. Il percorso di altri si è intrecciato con quello della Pittura analitica. Altri ancora, dopo una stagione concettuale, hanno trovato nuove ragioni per tornare a riflettere su linguaggi tradizionali e su antichi codici espressivi. Tuttavia, se le loro opere sembrano dialogare qui con naturalezza, non è per mera cronologia, ma perché nel lavoro di ciascuno di loro c’è molto più di quanto le parole della critica militante avesse motivo di raccontare. In tutti loro, come spesso accade, c’è più personalità e indipendenza di quanto le ragioni di un raggruppamento o le linee di tendenza del mondo dell’arte possano dire.
Ecco così che il visitatore può accostarsi ad opere come «Cultura Mummificata» (1972) di Eliseo Mattiacci, con i suoi calchi di libri antichi che ci parlano di un sapere custodito e da custodire o il «Rotolo di cartone ondulato» di Alighiero Boetti, in cui il disegno arcaico della spirale si coniuga con impressioni di architetture del Medio Oriente e con l'interesse per le simbologie dell’infinito, senza dimenticare lo scenografico «DadAndroginErmete» (1987) di Luigi Ontani, carico di simboli occidentali e orientali.
A distanza di decenni, ora che quelle storie d’insieme sono note e codificate, ora che sempre più mostre internazionali vengono tributate ad alcune di esse, possiamo concederci di guardare agli aspetti più personali del loro lavoro. Ed è proprio in quella cifra individuale che sembra risuonare con più chiarezza un insoluto legame con la storia dell’arte, con i suoi antichi linguaggi, per ciascuno in modo diverso, ma con simile forza.
Se si dovesse provare a spiegare in una frase cosa avvicina tra loro queste opere e i loro autori, là dove sembrano esprimere la loro voce più personale, si direbbe che hanno in comune un autentico desiderio dell’arte, un senso di appartenenza, la consapevolezza di tutto ciò che quella parola aveva significato sin lì e tutto ciò che ancora poteva rappresentare in virtù di quel passato.

Didascalie delle immagini
[Figg. 1 e 2] Allestimento della mostra «Pittura spazio e scultura» alla Gam di Torino. Foto di Giorgio Perottino; [fig. 3] Luciano Fabro, Attaccapanni (di Napoli), 1976-1977. Bronzo, tela di lino, pittura acrilica, filo in cotone. Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT/già Collezione Margherita Stein; [fig. 4] Eliseo Mattiacci, Cultura mummificata, (1972). 134 calchi di libri in alluminio fuso. Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT [fig. 5] Alighiero Boetti, Rotolo di cartone ondulato (1966). Cartone ondulato. Dono dell’artista, 1967, per il Museo Sperimentale

Informazioni utili 
GAM, via Magenta, 31 - 10128 Torino. Orari di apertura: da martedì a domenica, ore 10.00 - 18.00, lunedì chiuso | la biglietteria chiude un’ora prima. Ingresso: intero € 10,00, ridotto € 8,00,  ingresso libero Abbonamento Musei e Torino Card. Informazioni: tel. 011.4429518 o 011.4436907, e-mail: gam@fondazionetorinomusei.it. Sito internet: www.gamtorino.it.

Da Vinci a Milano: in viaggio sulle orme di Leonardo

Il 2019 è l’anno di Leonardo da Vinci. Per festeggiare al meglio i cinquecento anni dalla morte dell'artista, figure-icona nella storia dell’umanità, Virail, la piattaforma e app che compara tutti i mezzi di trasporto, propone un itinerario alla scoperta delle opere del genio toscano.
Il viaggio parte simbolicamente da Anchiano, località alle pendici del Montalbano, collegata a Vinci dall’antico sentiero chiamato Strada Verde. Qui, in un paesaggio ricco di vigne e uliveti secolari, Leonardo trascorse infanzia e giovinezza, ponendo le basi per la sua attività di artista e scienziato.
In questo bel borgo toscano il visitatore può, dunque, scoprire la casa in cui l'artista nacque il 15 aprile 1452, all'interno della quale è ospitata un’esposizione interattiva dove un ologramma a grandezza naturale riproduce le fattezze del maestro e racconta la vita e i rapporti di questo con la sua terra.
Il viaggio può, quindi, continuare verso la vicina Vinci. Tra i luoghi che, in questa cittadina, testimoniano la presenza di Leonardo c’è la Chiesa di Santa Croce, nella quale è conservato il fonte battesimale in cui si ritiene che l’artista sia stato battezzato nel 1452.
Per ritrovare la più antica collezione di modelli delle opere di Leonardo architetto, scienziato e ingegnere, bisogna, invece, dirigersi al Museo leonardiano di Vinci: un vero e proprio centro di documentazione sull’opera tecnica e scientifica del maestro, che comprende anche l’originale sezione espositiva dedicata ai suoi studi sul corpo umano.
Da non perdere, infine, è una visita alla Biblioteca leonardiana, centro di documentazione internazionale specializzato nel lavoro dell'artista, che conserva più di 13mila opere, tra cui le riproduzioni in facsimile di manoscritti, disegni e opere stampate.
Rimanendo in Toscana non si può non andare a Firenze, città che vide Leonardo formarsi alla bottega di Andrea del Verrocchio.
Agli Uffizi, tappa imprescindibile è la Sala 35, dove si trovano tre opere giovanili dell'artista: il «Battesimo di Cristo» (1470-1475 circa), dipinto insieme al suo maestro; l’«Annunciazione» (1472), con le ali dell’angelo che ricordano quelle di un rapace, e l'«Adorazione dei Magi» (1481), opera destinata alla chiesa di San Donato a Scopeto, ma rimasta incompiuta per il trasferimento di Leonardo a Milano, alla corte di Ludovico il Moro.
Chi vuole ripercorrere la vita, le opere e i segreti del maestro, non può, poi, perdersi, sempre a Firenze, il Museo Leonardo da Vinci, con un percorso che si snoda attraverso macchine costruite seguendo i disegni dell’artista, riproduzioni di dipinti celebri, video mapping di studi anatomici su un modello di corpo umano.
Per i più curiosi è da mettere in conto anche una visita a Palazzo Vecchio, dove sembrerebbe che dietro le pareti del Salone dei Cinquecento siano nascosti i disegni originali della Battaglia di Anghiari e dove, dal prossimo 25 marzo, arriverà una selezione delle tavole del Codice Atlantico. I disegni, organizzati in più sezioni, racconteranno vari soggetti: le relazioni di parenti e amici con fatti fiorentini; il Palazzo della Signoria, i Medici, Santa Maria Nuova, l’Arno e la cartografia idraulica nel territorio fiorentino, gli studi sul volo e sulla geometria. «Oltre al corpus grafico -raccontano gli organizzatori- sarà presente in mostra il «Busto del Redentore», opera attribuita a Gian Giacomo Caprotti detto Salaino, già allievo di Leonardo e soggetto di molti dei suoi dipinti».
Un'altra tappa obbligata per gli amanti di Leonardo è Milano. Qui l'artista giunse nel 1482, stabilendosi alla corte di Ludovico il Moro, e vi rimase per circa vent’anni, lasciando tracce indelebili come l’«Ultima Cena», nel Refettorio di Santa Maria delle Grazie. La Veneranda Biblioteca Ambrosiana dal 1637 custodisce, invece, il Codice Atlantico, la più vasta raccolta al mondo di disegni e scritti autografi di Leonardo da Vinci, che trattano i temi più disparati, dall’anatomia all’architettura.
Una delle più belle testimonianze della presenza dell’artista alla corte sforzesca si trova, però, all’interno del Castello: la Sala delle Asse, che verrà riaperta al pubblico il 2 maggio, è stata, infatti, decorata dal maestro nel 1498 con un finto pergolato, dove i rami intrecciati formano l’emblema vinciano del nodo che forma un cerchio che inscrive una doppia croce.
A Milano, inoltre, è possibile visitare il Museo nazionale della scienza e tecnologia «Leonardo da Vinci», la più importante collezione al mondo di modelli leonardeschi, realizzati tra il 1952 e il 1956 da un gruppo di studiosi, interpretando i disegni dell’artista. Per scoprire un’altra passione del maestro toscano bisogna, infine, recarsi alla Vigna, spazio naturale che gli avrebbe donato Ludovico il Moro, situato sul retro della Casa degli Atellani.
Venezia vale, invece, una gita per avvicinarsi il più possibile al disegno originale a penna e inchiostro su carta de «L'Uomo Vitruviano», opera che siamo soliti “incontrare” quotidianamente sulle monete da un euro, il cui originale è conservato nel Gabinetto dei disegni e delle stampe delle Gallerie dell'Accademia. Purtroppo, come per la maggior parte delle opere in carta, per motivi conservativi il lavoro è raramente esposto al pubblico e, quindi, non è inserito nel percorso abituale di visita del museo. Con questa famosa rappresentazione delle proporzioni ideali del corpo umano, riconducibile al periodo pavese (1490), Leonardo intendeva dimostrare come esso possa essere armoniosamente inscritto nelle due figure "perfette" del cerchio, che rappresenta l'universo, la perfezione divina, e del quadrato, che simboleggia la Terra.
Proseguendo la ricerca delle opere di Leonardo in Italia, bisogna recarsi alla Galleria nazionale di Parma, dove è esposta «La testa di fanciulla» (detta «La Scapigliata»), un dipinto a terra ombra, ambra inverdita e biacca su tavola. Il lavoro, forse incompiuto, è avvolto nel mistero per quanto riguarda la datazione (probabilmente 1508), la provenienza e la sua destinazione. Si è anche ipotizzato che l'opera possa essere uno studio per la Leda col cigno andata perduta.
Il nostro viaggio sulle orme di Leonardo termina a Roma, dove l’artista arrivò nel 1514 per dedicarsi a studi scientifici, meccanici, di ottica e di geometria. Non può, quindi, mancare in questo percorso leonardesco una tappa al Museo Leonardo da Vinci, nei pressi della Basilica di Santa Maria del Popolo: qui è possibile scoprire le macchine interattive a grandezza naturale realizzate da artigiani italiani seguendo i codici manoscritti di Leonardo, oltre che studi delle sue opere rinascimentali più famose, bozzetti di anatomia umana e video multimediali dell’«Ultima Cena», dell’«Uomo Vitruviano» e del progetto di scultura equestre per gli Sforza.
Da non perdere, inoltre, nella capitale la mostra permanente «Leonardo Da Vinci Experience», in via della Conciliazione: per la prima volta in Italia presenta una riproduzione a grandezza naturale de l’«Ultima Cena». Sempre Roma, ma più precisamente nella Città del Vaticano, merita una visita la Pinacoteca, che accoglie il San Girolamo penitente, un’opera che rivela grande attenzione all’anatomia: è rimasta incompiuta ed è datata agli ultimi anni del primo soggiorno fiorentino di Leonardo (1480).

Per saperne di più
virail.it