ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

domenica 14 aprile 2019

«Il viaggio a Reims», in mostra a Bologna le «memorie di uno spettacolo» rossiniano

«In Bologna ho trovato ospitalità, amicizia. Bologna è la mia seconda patria ed io mi glorio di essere, se non per nascita, per adozione, suo figlio». Così il pesarese Gioachino Rossini esprimeva il suo amore nei confronti della città felsinea, che, all’inizio dell’Ottocento, lo aveva accolto dopo che il padre, fervente sostenitore della Rivoluzione francese, vi aveva trovato rifugio nel tentativo di sfuggire alla cattura da parte delle truppe dello Stato Pontificio.
Nella città emiliana il compositore trascorse gran parte della sua giovinezza: studiò al Liceo musicale e fu aggregato alla prestigiosa Accademia Filarmonica senza nemmeno sostenere il necessario esame di ammissione.
Non può stupire, dunque, che in occasione dei centocinquanta anni dalla morte di Gioachino Rossini, ricordata nel 2018, Bologna abbia organizzato numerosi eventi per onorarne la memoria.
In ideale proseguimento con quelle celebrazioni, il Museo internazionale e biblioteca della musica ospita il progetto espositivo «Il viaggio a Reims. Memorie di uno spettacolo», a cura di Giuseppina Benassati e Roberta Cristofori.
La mostra, già presentata nei mesi passati al ridotto del teatro Comunale di Ferrara, celebra quello che il giudizio storico della critica riconosce come uno dei maggiori spettacoli del Novecento: «Il viaggio a Reims», dramma giocoso in un atto realizzato in prima rappresentazione all’Auditorium Pedrotti di Pesaro nel 1984, in occasione del Rossini Opera Festival, con la direzione di Claudio Abbado, la regia di Luca Ronconi e le scene di Gae Aulenti.
Dalle felice intuizione di Philip Gosset e Janet Johnson, che riscoprirono questo lavoro rossiniano e che decisero di proporlo all’attento pubblico pesarese, nacque uno spettacolo straordinario, rappresentato, dopo il successo della “prima”, sui più importanti palcoscenici internazionali.
Nel 1992 Ferrara, che vedeva il crescere della neonata manifestazione Ferrara Musica, colse al volo l’occasione e realizzò una ripresa memorabile dell'opera rossiniana. A dirigere fu ancora Abbado, alla guida della Chamber Orchestra of Europe e di un cast di altissimo livello.
Questa storia rivive ora a Bologna grazie alla rassegna «Il viaggio a Reims. Memorie di uno spettacolo», allestita fino al prossimo 5 maggio. Il nucleo principale della rassegna si compone di una selezione di trentadue immagini fotografiche, tra gigantografie e formati più piccoli, realizzate da Marco Caselli Nirmal durante la recita del 1992, che ritraggono i tre protagonisti dello spettacolo, insieme alle maestranze, agli orchestrali e a un cast che annoverava eccellenze quali Cecilia Gasdia, Ruggero Raimondi, Carlos Chausson, Lucia Valentini Terrani, Enzo Dara, Cheryl Studer, Frank Lopardo, William Matteuzzi e Lucio Gallo sino ad arrivare a Placido Domingo.
Le istantanee colte durante le prove raccontano il lavoro dietro le quinte, gli allestimenti scenici, i confronti ed i dialoghi tra direttore e i cantanti, tra regista e autore degli allestimenti, geniali creatori e amici di lungo corso, mirando così alla documentazione del processo di creazione dello spettacolo e del lavoro quotidiano all’interno di un teatro durante la progettazione e realizzazione di esso.
Significativi appaiono i ritratti di Claudio Abbado -Marco Caselli Nirmal ne è stato il fotografo ufficiale per oltre vent’anni- e di Luca Ronconi, regista geniale, innovativo e profondo conoscitore del teatro e del suo funzionamento.
Gli scatti sono stati selezionati da un fondo di circa 2.800 fotografie che oggi appartiene allo straordinario Archivio del teatro comunale di Ferrara. Composto da oltre 250.000 immagini, questo patrimonio è stato oggetto di un recente progetto di catalogazione e digitalizzazione, finanziato e coordinato dall’Istituto per i beni artistici, culturali e naturali della Regione Emilia-Romagna che lo ha reso consultabile su web attraverso l’Opac del Polo bibliotecario ferrarese.
Oltre all’esposizione di cinque bozzetti disegnati da Gae Aulenti per le scenografie, un video con ulteriore materiale fotografico e l’installazione del cavallo e della carrozza originali realizzati per la scenografia, già presentati a Ferrara, la tappa bolognese si arricchisce di una nuova sezione di immagini, opera dello stesso Caselli Nirmal, dedicate allo spettacolo andato in scena al teatro Comunale di Bologna nel 2001, sotto la direzione di Daniele Gatti.
Una naturale integrazione alla mostra viene, inoltre, offerta dalle collezioni del museo al primo piano di Palazzo Sanguinetti, in «uno spazio che -suggerisce Roberto Grandi, presidente dell’Istituzione Bologna Musei- vede Rossini muoversi di stanza in stanza fra strumenti musicali, ripiani e bacheche». In particolare, la figura di Gioachino Rossini si incontra nella sala 7 del percorso espositivo dove, accanto a documenti e oggetti personali che documentano lo stretto legame del compositore con Bologna, si trova esposto il libretto dell’opera «Il viaggio a Reims», scritto da Luigi Balocchi e ispirato da «Corinna o l'Italia» di Madame de Staël.
Le preziose memorie di quest'opera rossiniana, la cui prima si tenne a Parigi nel Théâtre Italien il 19 giugno 1825, rivivono in un catalogo di Longo Editore, curato da Giuseppina Benassati e Roberta Cristofori, che contiene la riproduzione di ottantacinque immagini fotografiche di Marco Caselli Nirmal, sei bozzetti di scena disegnati da Gae Aulenti e i programmi di sala delle edizioni di Ferrara (1992) e Bologna (2001).
Un ricco apparato di testi arricchisce il volume. Tra gli autori ci sono Stefano Bonaccini, presidente della Regione Emilia-Romagna, Vittorio Emiliani, autore della più aggiornata e accattivante biografia del genio pesarese, Marino Pedroni, direttore del teatro Comunale di Ferrara, Roberto Grandi, presidente dell’Istituzione Bologna Musei, Gianfranco Mariotti, presidente onorario del Rossini Opera Festival di Pesaro.
Il catalogo presenta, inoltre, le interviste rilasciate da Alessandra Abbado e dal soprano Cecilia Gasdia, oggi sovrintendente e direttore artistico della Fondazione Arena di Verona.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] I musicisti della Chamber Orchestra of Europe e il Maestro Claudio Abbado durante le prove. Teatro Comunale di Ferrara, febbraio 1992. Fotografia di Marco Caselli Nirmal (Archivio Teatro, SPE 1311); [fig. 2] Enzo Dara (Barone di Trombonok, maggiore tedesco fanatico per la musica), Ruggero Raimondi (Don Profondo, letterato, amico di Corinna, membro di varie accademie e fanatico per le antichità), Walter Matteuzzi (Conte di Libenskof, generale russo, d’un carattere impetuoso, innamorato della marchesa Melibea ed estremamente geloso) e Carlos Chausso (grande di Spagna, uffizial generale di marina, innamorato di Melibea) avvolti nelle bandiere. Teatro Comunale di Ferrara, 20 febbraio 1992. Fotografia di Marco Caselli Nirmal (Archivio Teatro, SPE 1311); [fig. 3] Il Maestro Claudio Abbado suona il violoncello con i musicisti della Chamber Orchestra of Europe durante le prove. Teatro Comunale di Ferrara, febbraio 1992. Fotografia di Marco Caselli Nirmal (Archivio Teatro, SPE 1311); [fig.4] La scenografa e costumista Gae Aulenti durante le prove. Teatro Comunale di Ferrara, febbraio 1992. Fotografia di Marco Caselli Nirmal (© Marco Caselli Nirmal); [fig. 5] Il Maestro Claudio Abbado applaude gli interpreti. Teatro Comunale di Ferrara, 20 febbraio 1992. Fotografia di Marco Caselli Nirmal (Archivio Teatro, SPE 1311); [fig. 6] Il regista Luca Ronconi, il direttore Claudio Abbado e la scenografa e costumista Gae Aulenti durante le prove. Teatro Comunale di Ferrara, febbraio 1992. Fotografia di Marco Caselli Nirmal (Archivio Teatro, SPE 1311)

Informazioni utili
«Il viaggio a Reims. Memorie di uno spettacolo». Museo e biblioteca internazionale della musica, Strada Maggiore, 34 – Bologna. Orari: da martedì a domenica, festivi compresi, ore 10.00 – 18.30; chiuso i lunedì feriali e il 1° maggio. Ingresso: sala mostre temporanee gratuito; collezione permanente del museo intero € 5,00, ridotto € 3,00, gratuito Card Musei Metropolitani Bologna. Informazioni: tel. 051.2757711, museomusica@comune.bologna.it. Sito internet: www.museibologna.it/musica. Fino al 5 maggio 2019

sabato 13 aprile 2019

Aosta, Jacovitti tra Cocco Bill e Pinocchio

Cocco Bill, l'arcipoliziotto Cip, Zorro Kid, Microciccio Spaccavento, il giornalista Tom Ficcanaso, senza dimenticare Tarallino, Occhio di Pollo, Jack Mandolino, Chicchirino e il mitico Pinocchio. Ci sono tutti i personaggi nati dalla mente e dal pennino di Benito Jacovitti (Termoli, 9 marzo 1923 – Roma, 3 dicembre 1997) nella bella mostra monografica allestita al Centro Saint Bénin di Aosta, per la curatela di Dino Aloi e di Silvia Jacovitti.
Oltre duecentocinquanta disegni originali tra schizzi, vignette, tavole di fumetti e illustrazioni compongono l'articolato percorso espositivo, un appassionante viaggio attraverso quasi sessant'anni di carriera di uno dei fumettisti italiani più conosciuti, un artista a cui si deve la creazione di un universo originale e irripetibile, una sorta di paese delle meraviglie in cui tutto è possibile, che ha conquistato più di una generazione di ragazzi.

La mostra, corredata da un catalogo edito dalla casa editrice «Il Pennino» di Torino, propone alcune «chicche», per la prima volta esposte in originale, accanto a tante opere conosciute che, per anni, sono apparse sulle pagine di giornali come «Il Giorno dei ragazzi», il «Corriere dei Piccoli» e «Il Giornalino». È il caso di sessanta disegni di figurine realizzate nel 1954 per l’albo «Genti d’ogni paese» de «Il Vittorioso», in cui l’estro di Benito Jacovitti spazia in giro per i cinque continenti, raffigurando a modo suo ogni popolo.
Ricche di fascino sono anche alcune tra le prime tavole realizzate negli anni Quaranta, veri esempi di calligrafismo disegnato. Tra queste spiccano per bellezza le storie di «Pippo e la guerra», «Mandrago», «L’Onorevole Tarzan», «Pippo in montagna», «Giacinto corsaro dipinto» e «Oreste il guastafeste», recentemente tornate in possesso della figlia dell'artista.
Nella sezione dedicata agli esordi si potrà ammirare una delle primissime panoramiche realizzate da Jacovitti a 17 anni, anticipatrice di quelle meravigliose e affollatissime opere che diventeranno, nel corso del tempo, una sorta di suo marchio di produzione.
Sempre in questa sezione sono esposte sei tavole, le uniche rimaste, della storia inedita «I tre re», disegnata durante la Seconda guerra mondiale.
Sarà, quindi, possibile ammirare il mitico «Diario Vitt», realizzato dal 1949 al 1980, vera icona per gli studenti di quegli anni, a cui il fumettista parlava di temi quali la lealtà, l’amicizia, la fraternità e la solidarietà.
Non mancheranno lungo il percorso espositivo alcune illustrazioni realizzate per il «Pinocchio» di Collodi, edito nel 1964, riconosciute dai critici come tra le opere più significative della lunghissima carriera di Jacovitti.
La mostra di Aosta proporrà, inoltre, un focus sul rapporto dell'artista con la televisione, per la quale egli realizzò importanti «Caroselli» e storie, andate in onda nel programma cult «Supergulp!», con centinaia di personaggi e di battute, personificazione dell’Italia di quegli anni.
Destinato a rimanere impresso nella memoria dei visitatori, soprattutto dei più piccoli, sarà,  poi, il «Patentone», gioco dell’oca sul tema automobilistico riprodotto in grande formato, proprio all’ingresso dell’esposizione, che permetterà ai ragazzi di poter giocare all’interno dello spazio del Saint Bénin con sagome segna posto e un dado in gommaspugna. È, dunque, un percorso in tutto «Il mondo di Jacovitti», per usare il titolo della mostra, quello che va in scena ad Aosta, offrendoci un viaggio - surreale, bizzarro e parodistico- all’interno della nostra storia passata, perché il fumetto -quando è buon fumetto- può anche essere una sorta di manuale di sociologia del nostro tempo.

Informazioni utili
Tutto il mondo di Jacovitti. Centro Saint Bénin, via Festaz, 27 - Aosta. Orari: martedì- domenica, ore 10 -13 e ore 14 - 18; chiuso il lunedì. Ingresso: intero € 7,00, ridotto € 5,00. Informazioni: Assessorato Istruzione e Cultura, tel. 0165.275937 |Centro Saint-Bénin, tel. 0165.272687. Sito internet: www.regione.vda.it. Fino al 28 aprile 2019.

giovedì 11 aprile 2019

«Il grande sacrifico», Puglisi e l’«Ultima Cena» di Leonardo da Vinci

La Sacrestia del Bramante a Milano, normalmente non accessibile al pubblico, apre in via straordinaria le proprie porte per una mostra personale di Lorenzo Puglisi (Biella, 1971), artista piemontese, da anni residente a Bologna, la cui ricerca artistica si è focalizzata principalmente, negli ultimi sette anni, su grandi tele che interpretano capolavori del passato.
L’esposizione, a cura di Giovanni Gazzaneo, è un omaggio a Leonardo da Vinci, nell’anno del cinquecentenario della morte, e alla sua opera più celebre: l’«Ultima Cena».
Accanto a due opere dedicate al tema della Passione di Cristo, «Crocifissione» del 2018 e «Nell’orto degli ulivi» del 2017, è esposto l’inedito dipinto a olio su tavola di pioppo «Il grande sacrifico», realizzato dall’artista biellese nel 2019.
Si tratta, con i suoi sei metri di lunghezza e due di altezza, dell’opera più grande realizzata dall’artista: nell’abisso del nero emergono, nella purezza del bianco, le teste e le mani di Cristo e degli apostoli, in una sequenza ritmica e fluttuante.
«La storia dell’arte -scrive Giovanni Gazzaneo nel catalogo pubblico per l’occasione da Manfredi edizioni-, Puglisi l’accoglie nella sua opera non attraverso la perfezione della compiutezza formale, ma offrendoci un’immagine aperta, libera di giocare nelle polarità del bianco e del nero, in un dinamismo che non conosce fine. Dove il nero non è solo orizzonte, tanto meno cornice: è sostanza stessa dell’opera. Dal buio emerge la presenza, una presenza che da quel buio è sostenuta e in quel buio prende vita: bagliori di luce, scaglie di pittura densa e fremente, come in movimento. Il nero invoca la luce e accoglie il generarsi della forma. E nella generazione della forma possiamo cogliere il senso del contemplare l’arte del passato da parte di Puglisi: l’opera non è morta, l’opera è viva, è feconda e il suo splendore attraversa i secoli e continua a illuminare gli uomini e il tempo. Uno splendore che si fa abbagliante per un’icona come l’«Ultima Cena» di Leonardo. Gli apostoli, ritratti di uomini veri colti in un turbine di emozioni e pensieri per l’annuncio inaspettato del tradimento -che si accompagna al miracolo più grande, l’offerta d’amore e di vita di Cristo nella consacrazione del pane e del vino- nella visione di Puglisi si fanno volti e mani di luce, quasi a formare una partitura ideale o forse una costellazione di stelle».
Nel discorso pittorico di Puglisi spazio, luce e figura si risolvono nell’antitesi drammatica della bicromia, con la conseguente sospensione del tempo e dello spazio, in un processo di semplificazione visiva che riduce la composizione dell’opera ai suoi elementi minimali e più profondi, in cui si concentra lo sguardo di chi contempla.
«Nell’«Ultima Cena» –spiega l’artista– Leonardo ha lavorato su quello che più gli interessava, ossia il moto interiore dell’essere umano, la relazione tra gestualità, emozione e pensiero che poi vedremo espressi anche in opere come «La Gioconda» e «La Vergine delle Rocce». È da qui che parte il mio tentativo di riguardare all’opera del Cenacolo, che credo rappresenti una summa di tutti i capolavori della storia della pittura occidentale. Nel 2016 ho presentato a Parigi il primo «Grande Sacrificio» (un metro e mezzo per cinque), cui hanno fatto seguito altri lavori di piccolo e grande formato su carta, tela, tavola e altri materiali incluso il metallo, con l’ambizione e la speranza che a ogni nuova realizzazione dello stesso soggetto il mio lavoro acquisisca maggiore intensità ed energia».
In tutte le opere di Puglisi, incentrate sul bianco e nero, emerge un forte simbolismo cromatico, che vede nel nero non l’assenza bensì la forza del colore, raggiunta attraverso continue stratificazioni, e la rappresentazione della condizione di preesistenza delle cose.
Senza buio non c’è luce, o come sostiene Mark Gisbourne «è dal vuoto più estremo o dall’oscurità che la visione può emergere»: infatti dal nero misterioso, dal buio assoluto dello sfondo che occupa tutta la tavola appaiono, abbaglianti e improvvise, figure composte da pennellate dense, bianche, con soli accenni, talvolta, di rosso e di blu.
Si tratta di tocchi di luce capaci di definire i volumi, i volti, le mani, i piedi, come presenze catturate in un’espressione o in un gesto, frutto di un lungo percorso verso l’essenzialità della rappresentazione. Ispirato dai grandi maestri come Leonardo, Caravaggio, Rembrandt e Goya, Lorenzo Puglisi illumina solo ciò che vuole evidenziare, frammenti che emergono dal buio per cercare la luce.
Scrive, a tal proposito, Alessandro Beltrami nel testo in catalogo: «Puglisi lavora per una completa rimozione del dettaglio. Da una parte con un nero che satura lo spazio, elimina qualsiasi contesto possibile e rende illecito ogni particolare. In un certo senso scarnifica il discorso di qualsiasi aggettivo, di inciso e di struttura complementare, per ridurlo alla proposizione base: soggetto-verbo. Dall’altra opera una ulteriore scarnificazione degli elementi sopravvissuti, tracciati con colpi e velature di colore bianco solo screziate di rosso o giallo: le teste e ciò che noi riconosciamo come parti anatomiche sono in realtà gesti pittorici compendiari che non “dettagliano” nulla o quasi di un volto o di un arto».

Informazioni utili 
«Il grande sacrifico». Basilica di Santa Maria delle Grazie, Sacrestia del Bramante, via Caradosso 1, Milano. Orari: da martedì a domenica, ore 15-19.30. Ingresso libero. Catalogo: Manfredi Edizioni. Informazioni: tel. 392.8139491, fondazionecrocevia@gmail.com. Sito internet www.fondazionecrocevia.it. Fino al 28 aprile 2019