ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

lunedì 15 aprile 2019

Il Museo del Prado? Una «corte delle meraviglie» da grande schermo

«Il giorno in cui si entra per la prima volta in un museo come quello di Madrid resta scolpito come una data storica nella storia di un uomo […] Il piacere che provavo era così grande che, arrivando alla porta, mi fermai e dissi: ‘Suvvia! Che cosa hai fatto nella vita per meritarti l’onore di penetrare in questo luogo?’». Così Edmondo De Amicis nel 1871, in occasione del suo primo viaggio in Spagna, parlava dell’emozione provata nel visitare il Museo del Prado, una delle collezioni più cospicue e stupende mai accumulate nel corso della storia con le sue oltre millesettecento opere esposte ed altre settemila conservate.
«Fatta più con il cuore che con la ragione», ovvero costruita senza alcune strategia mercantile, la collezione del Prado è «un inventario dal gusto raffinato», che rispecchia le passioni artistiche di re, regine e diplomatici, ma che annovera al proprio interno anche opere giunte a Madrid grazie a successioni ereditarie legate alla corona, doni tra dinastie regnanti d’Europa e guerre tra Stati, oltre che dai lasciti di semplici cittadini che hanno così voluto legare per sempre il loro nome a quello del prestigioso museo spagnolo.
Prendendo a prestito le parole di André Malreaux, scritte nel libro «Les voix du silence», «un museo è uno di quei luoghi che ci danno dell’uomo l’idea più alta». Questo vale anche -e soprattutto- per il Prado, al cui interno sono conservati veri e propri capolavori come «Il giardino delle delizie» di Hieronymus Bosch, trittico con scene bibliche che descrive la storia dell’umanità attraverso la tradizione cristiana medioevale, o l’«Incoronazione di spine» di Antoon van Dyck, con la sua raffigurazione altamente realistica della muscolatura del Cristo o, ancora, «Il buon pastore» di Bartolomé Esteban Murillo, in cui la semplicità della scena agreste nasconde un messaggio dalla forte carica simbolica: la volontà del Padre è di prendersi cura di tutti, soprattutto dei più piccoli e indifesi.
A duecento anni dalla fondazione, la storia del Museo del Prado, un «tesoro di intensità» (a detta dello scrittore e pittore Antonio Saura), diventa un docu-film per i tipi di Nexo Digital, che si è avvalsa per l’occasione del soggetto di Didi Gnocchi, della sceneggiatura di Sabina Fedeli e Valeria Parisi, esperta in comunicazione video, quest’ultima, a cui si deve anche la regia della pellicola.
Il nuovo appuntamento del progetto «La grande arte al cinema», intitolato «Il Museo del Prado. La corte delle meraviglie» e in cartellone nelle sale italiane da lunedì 15 a mercoledì 17 aprile, vede, inoltre, la partecipazione straordinaria del premio Oscar Jeremy Irons, attore britannico conosciuto per le sue interpretazioni in film come «ll mistero Von Bulow», «Il danno», «Mission», «Io ballo da sola» e «La casa degli spiriti». Sarà lui a guidare gli spettatori alla scoperta del patrimonio di bellezza e arte del museo spagnolo, a partire dal Salon de Reinos, il vecchio salone delle feste e degli spettacoli teatrali, un'architettura volutamente spoglia che si anima di vita, luci e proiezioni, riportando così il visitatore al glorioso passato della monarchia spagnola e al Siglo de Oro, quando alle pareti erano appesi molti dei capolavori oggi esposti al Prado, simboli di un viatico universale in grado di comprendere e raccontare i pensieri e i sentimenti degli esseri umani.
Il film diventa così un viaggio non solo attraverso i duecento anni di vita del museo madrileno -la cui fondazione risale al 19 novembre 1819 (giorno in cui per la prima volta si parlò di Museo Real de Pinturas)-, ma anche in almeno sei secoli di storia, perché la vita della prestigiosa collezione del Prado ha inizio con la nascita della Spagna come nazione e con il matrimonio tra Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia.
Grande protagonista di questo percorso è -non poteva essere diversamente- Francisco Goya, presente al Prado con un corpus ricchissimo di oltre novecento opere, compresi gran parte dei disegni e delle lettere, come la corrispondenza con l'amico d'infanzia Martin Zapater. Tra i suoi quadri al centro del docu-film c’è «Il 3 maggio 1808», dipinto che narra l’effetto della rivolta degli spagnoli contro l'esercito francese, la cui influenza su molti artisti moderni è evidente. Basti pensare a Pablo Picasso, che ha guardato a quest’opera, simbolo di tutte le guerre, per la sua «Guernica».
Tra gli obiettivi del film vi, infatti, anche quello di dimostrare quanto l’arte contenuta in questo museo illumini il nostro presente e ponga interrogativi per il nostro futuro, raccontando la società coi suoi ideali, i suoi pregiudizi, i vizi, le nuove concezioni, le scoperte scientifiche, la psicologia umana, le mode.
Il film non racconta, però, solo le opere conservate al museo, ma anche il paesaggio delle architetture reali che sono state teatro e custodi della nascita e dello sviluppo delle collezioni d'arte. Vélazquez, Rubens, Tiziano, Mantegna, El Greco sono così alcuni dei protagonisti di questo racconto, che focalizza l’attenzione anche su sedi quali l'Escorial, Pantheon dei reali, il Palazzo Reale di Madrid, il Convento de Las Descalzas Reales e, appunto, il Salon de Reinos.
La nascita del Museo del Prado è, infatti, una storia avvincente, che inizia nel 1785 quando Carlo III di Borbone incarica l’architetto di corte, Juan de Villanueva, di disegnare un edificio per ospitare il Gabinete de Historia Natural. Sarà questa la sede del museo che conosciamo oggi, luogo di bellezza, in cui si possono, tra l’altro, ammirare -racconta il film- le opere della fiamminga Clara Peeters, che ha il coraggio di dipingere dei micro-autoritratti all'interno delle sue tele e rivendicare il ruolo femminile dell'arte, o la «Donna barbuta» di Ribera, dove una figura con il volto coperto da una folta barba allatta al seno il neonato che porta in braccio.
Lo sviluppo del docu-film intreccerà, quindi, alla narrazione d’arte anche lo studio dell’architettura e l’analisi di preziosi materiali d’archivio e verrà scandita dalle testimonianze dei vari esperti del museo intervistati, a partire dal direttore Miguel Falomir, ma anche da interventi di personalità di spicco come lord Norman Foster, architetto del progetto del Salón de Reinos (premio Pritzker), Helena Pimenta, direttrice della Compañía Nacional de Teatro Clásico di Madrid, Laura Garcia Lorca, nipote del poeta Federico Garcia Lorca, Marina Saura, figlia del pittore Antonio Saura, la ballerina Olga Pericet e la fotografa Pilar Pequeño.
«Il Museo del Prado. La corte delle meraviglie» si configura, dunque, come un appuntamento da non perdere perché -come dice il trailer, prendendo a prestito una frase di Pablo Picasso- «l’arte lava via dalla nostra anima la polvere della vita di tutti i giorni».

Informazioni utili 
Il film può essere richiesto anche per speciali matinée al cinema dedicate alle scuole. Per prenotazioni: Maria Chiara Buongiorno, progetto.scuole@nexodigital.it, tel. 02.8051633.

domenica 14 aprile 2019

«Il viaggio a Reims», in mostra a Bologna le «memorie di uno spettacolo» rossiniano

«In Bologna ho trovato ospitalità, amicizia. Bologna è la mia seconda patria ed io mi glorio di essere, se non per nascita, per adozione, suo figlio». Così il pesarese Gioachino Rossini esprimeva il suo amore nei confronti della città felsinea, che, all’inizio dell’Ottocento, lo aveva accolto dopo che il padre, fervente sostenitore della Rivoluzione francese, vi aveva trovato rifugio nel tentativo di sfuggire alla cattura da parte delle truppe dello Stato Pontificio.
Nella città emiliana il compositore trascorse gran parte della sua giovinezza: studiò al Liceo musicale e fu aggregato alla prestigiosa Accademia Filarmonica senza nemmeno sostenere il necessario esame di ammissione.
Non può stupire, dunque, che in occasione dei centocinquanta anni dalla morte di Gioachino Rossini, ricordata nel 2018, Bologna abbia organizzato numerosi eventi per onorarne la memoria.
In ideale proseguimento con quelle celebrazioni, il Museo internazionale e biblioteca della musica ospita il progetto espositivo «Il viaggio a Reims. Memorie di uno spettacolo», a cura di Giuseppina Benassati e Roberta Cristofori.
La mostra, già presentata nei mesi passati al ridotto del teatro Comunale di Ferrara, celebra quello che il giudizio storico della critica riconosce come uno dei maggiori spettacoli del Novecento: «Il viaggio a Reims», dramma giocoso in un atto realizzato in prima rappresentazione all’Auditorium Pedrotti di Pesaro nel 1984, in occasione del Rossini Opera Festival, con la direzione di Claudio Abbado, la regia di Luca Ronconi e le scene di Gae Aulenti.
Dalle felice intuizione di Philip Gosset e Janet Johnson, che riscoprirono questo lavoro rossiniano e che decisero di proporlo all’attento pubblico pesarese, nacque uno spettacolo straordinario, rappresentato, dopo il successo della “prima”, sui più importanti palcoscenici internazionali.
Nel 1992 Ferrara, che vedeva il crescere della neonata manifestazione Ferrara Musica, colse al volo l’occasione e realizzò una ripresa memorabile dell'opera rossiniana. A dirigere fu ancora Abbado, alla guida della Chamber Orchestra of Europe e di un cast di altissimo livello.
Questa storia rivive ora a Bologna grazie alla rassegna «Il viaggio a Reims. Memorie di uno spettacolo», allestita fino al prossimo 5 maggio. Il nucleo principale della rassegna si compone di una selezione di trentadue immagini fotografiche, tra gigantografie e formati più piccoli, realizzate da Marco Caselli Nirmal durante la recita del 1992, che ritraggono i tre protagonisti dello spettacolo, insieme alle maestranze, agli orchestrali e a un cast che annoverava eccellenze quali Cecilia Gasdia, Ruggero Raimondi, Carlos Chausson, Lucia Valentini Terrani, Enzo Dara, Cheryl Studer, Frank Lopardo, William Matteuzzi e Lucio Gallo sino ad arrivare a Placido Domingo.
Le istantanee colte durante le prove raccontano il lavoro dietro le quinte, gli allestimenti scenici, i confronti ed i dialoghi tra direttore e i cantanti, tra regista e autore degli allestimenti, geniali creatori e amici di lungo corso, mirando così alla documentazione del processo di creazione dello spettacolo e del lavoro quotidiano all’interno di un teatro durante la progettazione e realizzazione di esso.
Significativi appaiono i ritratti di Claudio Abbado -Marco Caselli Nirmal ne è stato il fotografo ufficiale per oltre vent’anni- e di Luca Ronconi, regista geniale, innovativo e profondo conoscitore del teatro e del suo funzionamento.
Gli scatti sono stati selezionati da un fondo di circa 2.800 fotografie che oggi appartiene allo straordinario Archivio del teatro comunale di Ferrara. Composto da oltre 250.000 immagini, questo patrimonio è stato oggetto di un recente progetto di catalogazione e digitalizzazione, finanziato e coordinato dall’Istituto per i beni artistici, culturali e naturali della Regione Emilia-Romagna che lo ha reso consultabile su web attraverso l’Opac del Polo bibliotecario ferrarese.
Oltre all’esposizione di cinque bozzetti disegnati da Gae Aulenti per le scenografie, un video con ulteriore materiale fotografico e l’installazione del cavallo e della carrozza originali realizzati per la scenografia, già presentati a Ferrara, la tappa bolognese si arricchisce di una nuova sezione di immagini, opera dello stesso Caselli Nirmal, dedicate allo spettacolo andato in scena al teatro Comunale di Bologna nel 2001, sotto la direzione di Daniele Gatti.
Una naturale integrazione alla mostra viene, inoltre, offerta dalle collezioni del museo al primo piano di Palazzo Sanguinetti, in «uno spazio che -suggerisce Roberto Grandi, presidente dell’Istituzione Bologna Musei- vede Rossini muoversi di stanza in stanza fra strumenti musicali, ripiani e bacheche». In particolare, la figura di Gioachino Rossini si incontra nella sala 7 del percorso espositivo dove, accanto a documenti e oggetti personali che documentano lo stretto legame del compositore con Bologna, si trova esposto il libretto dell’opera «Il viaggio a Reims», scritto da Luigi Balocchi e ispirato da «Corinna o l'Italia» di Madame de Staël.
Le preziose memorie di quest'opera rossiniana, la cui prima si tenne a Parigi nel Théâtre Italien il 19 giugno 1825, rivivono in un catalogo di Longo Editore, curato da Giuseppina Benassati e Roberta Cristofori, che contiene la riproduzione di ottantacinque immagini fotografiche di Marco Caselli Nirmal, sei bozzetti di scena disegnati da Gae Aulenti e i programmi di sala delle edizioni di Ferrara (1992) e Bologna (2001).
Un ricco apparato di testi arricchisce il volume. Tra gli autori ci sono Stefano Bonaccini, presidente della Regione Emilia-Romagna, Vittorio Emiliani, autore della più aggiornata e accattivante biografia del genio pesarese, Marino Pedroni, direttore del teatro Comunale di Ferrara, Roberto Grandi, presidente dell’Istituzione Bologna Musei, Gianfranco Mariotti, presidente onorario del Rossini Opera Festival di Pesaro.
Il catalogo presenta, inoltre, le interviste rilasciate da Alessandra Abbado e dal soprano Cecilia Gasdia, oggi sovrintendente e direttore artistico della Fondazione Arena di Verona.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] I musicisti della Chamber Orchestra of Europe e il Maestro Claudio Abbado durante le prove. Teatro Comunale di Ferrara, febbraio 1992. Fotografia di Marco Caselli Nirmal (Archivio Teatro, SPE 1311); [fig. 2] Enzo Dara (Barone di Trombonok, maggiore tedesco fanatico per la musica), Ruggero Raimondi (Don Profondo, letterato, amico di Corinna, membro di varie accademie e fanatico per le antichità), Walter Matteuzzi (Conte di Libenskof, generale russo, d’un carattere impetuoso, innamorato della marchesa Melibea ed estremamente geloso) e Carlos Chausso (grande di Spagna, uffizial generale di marina, innamorato di Melibea) avvolti nelle bandiere. Teatro Comunale di Ferrara, 20 febbraio 1992. Fotografia di Marco Caselli Nirmal (Archivio Teatro, SPE 1311); [fig. 3] Il Maestro Claudio Abbado suona il violoncello con i musicisti della Chamber Orchestra of Europe durante le prove. Teatro Comunale di Ferrara, febbraio 1992. Fotografia di Marco Caselli Nirmal (Archivio Teatro, SPE 1311); [fig.4] La scenografa e costumista Gae Aulenti durante le prove. Teatro Comunale di Ferrara, febbraio 1992. Fotografia di Marco Caselli Nirmal (© Marco Caselli Nirmal); [fig. 5] Il Maestro Claudio Abbado applaude gli interpreti. Teatro Comunale di Ferrara, 20 febbraio 1992. Fotografia di Marco Caselli Nirmal (Archivio Teatro, SPE 1311); [fig. 6] Il regista Luca Ronconi, il direttore Claudio Abbado e la scenografa e costumista Gae Aulenti durante le prove. Teatro Comunale di Ferrara, febbraio 1992. Fotografia di Marco Caselli Nirmal (Archivio Teatro, SPE 1311)

Informazioni utili
«Il viaggio a Reims. Memorie di uno spettacolo». Museo e biblioteca internazionale della musica, Strada Maggiore, 34 – Bologna. Orari: da martedì a domenica, festivi compresi, ore 10.00 – 18.30; chiuso i lunedì feriali e il 1° maggio. Ingresso: sala mostre temporanee gratuito; collezione permanente del museo intero € 5,00, ridotto € 3,00, gratuito Card Musei Metropolitani Bologna. Informazioni: tel. 051.2757711, museomusica@comune.bologna.it. Sito internet: www.museibologna.it/musica. Fino al 5 maggio 2019

sabato 13 aprile 2019

Aosta, Jacovitti tra Cocco Bill e Pinocchio

Cocco Bill, l'arcipoliziotto Cip, Zorro Kid, Microciccio Spaccavento, il giornalista Tom Ficcanaso, senza dimenticare Tarallino, Occhio di Pollo, Jack Mandolino, Chicchirino e il mitico Pinocchio. Ci sono tutti i personaggi nati dalla mente e dal pennino di Benito Jacovitti (Termoli, 9 marzo 1923 – Roma, 3 dicembre 1997) nella bella mostra monografica allestita al Centro Saint Bénin di Aosta, per la curatela di Dino Aloi e di Silvia Jacovitti.
Oltre duecentocinquanta disegni originali tra schizzi, vignette, tavole di fumetti e illustrazioni compongono l'articolato percorso espositivo, un appassionante viaggio attraverso quasi sessant'anni di carriera di uno dei fumettisti italiani più conosciuti, un artista a cui si deve la creazione di un universo originale e irripetibile, una sorta di paese delle meraviglie in cui tutto è possibile, che ha conquistato più di una generazione di ragazzi.

La mostra, corredata da un catalogo edito dalla casa editrice «Il Pennino» di Torino, propone alcune «chicche», per la prima volta esposte in originale, accanto a tante opere conosciute che, per anni, sono apparse sulle pagine di giornali come «Il Giorno dei ragazzi», il «Corriere dei Piccoli» e «Il Giornalino». È il caso di sessanta disegni di figurine realizzate nel 1954 per l’albo «Genti d’ogni paese» de «Il Vittorioso», in cui l’estro di Benito Jacovitti spazia in giro per i cinque continenti, raffigurando a modo suo ogni popolo.
Ricche di fascino sono anche alcune tra le prime tavole realizzate negli anni Quaranta, veri esempi di calligrafismo disegnato. Tra queste spiccano per bellezza le storie di «Pippo e la guerra», «Mandrago», «L’Onorevole Tarzan», «Pippo in montagna», «Giacinto corsaro dipinto» e «Oreste il guastafeste», recentemente tornate in possesso della figlia dell'artista.
Nella sezione dedicata agli esordi si potrà ammirare una delle primissime panoramiche realizzate da Jacovitti a 17 anni, anticipatrice di quelle meravigliose e affollatissime opere che diventeranno, nel corso del tempo, una sorta di suo marchio di produzione.
Sempre in questa sezione sono esposte sei tavole, le uniche rimaste, della storia inedita «I tre re», disegnata durante la Seconda guerra mondiale.
Sarà, quindi, possibile ammirare il mitico «Diario Vitt», realizzato dal 1949 al 1980, vera icona per gli studenti di quegli anni, a cui il fumettista parlava di temi quali la lealtà, l’amicizia, la fraternità e la solidarietà.
Non mancheranno lungo il percorso espositivo alcune illustrazioni realizzate per il «Pinocchio» di Collodi, edito nel 1964, riconosciute dai critici come tra le opere più significative della lunghissima carriera di Jacovitti.
La mostra di Aosta proporrà, inoltre, un focus sul rapporto dell'artista con la televisione, per la quale egli realizzò importanti «Caroselli» e storie, andate in onda nel programma cult «Supergulp!», con centinaia di personaggi e di battute, personificazione dell’Italia di quegli anni.
Destinato a rimanere impresso nella memoria dei visitatori, soprattutto dei più piccoli, sarà,  poi, il «Patentone», gioco dell’oca sul tema automobilistico riprodotto in grande formato, proprio all’ingresso dell’esposizione, che permetterà ai ragazzi di poter giocare all’interno dello spazio del Saint Bénin con sagome segna posto e un dado in gommaspugna. È, dunque, un percorso in tutto «Il mondo di Jacovitti», per usare il titolo della mostra, quello che va in scena ad Aosta, offrendoci un viaggio - surreale, bizzarro e parodistico- all’interno della nostra storia passata, perché il fumetto -quando è buon fumetto- può anche essere una sorta di manuale di sociologia del nostro tempo.

Informazioni utili
Tutto il mondo di Jacovitti. Centro Saint Bénin, via Festaz, 27 - Aosta. Orari: martedì- domenica, ore 10 -13 e ore 14 - 18; chiuso il lunedì. Ingresso: intero € 7,00, ridotto € 5,00. Informazioni: Assessorato Istruzione e Cultura, tel. 0165.275937 |Centro Saint-Bénin, tel. 0165.272687. Sito internet: www.regione.vda.it. Fino al 28 aprile 2019.