ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

mercoledì 17 aprile 2019

«Gulp! Goal! Ciak!», un secolo di cinema e fumetto alla Mole di Torino

Nascono entrambi alla fine dell’Ottocento e hanno un intento comune, quello di raccontare non solo a parole, ma anche con le immagini. Eppure sono diversissimi: uno è sempre in movimento e impone allo spettatore i suoi ritmi; l’altro è fermo sulla carta e le emozioni devono essere attivate dal lettore, al quale spetta il compito di creare dentro di sé i suoni, suggeriti dalle parole inserite nelle didascalie e nelle nuvolette, nonché dalle onomatopee. Stiamo parlando del cinema e del fumetto, arti alle quali il Museo nazionale del cinema di Torino dedica, insieme con lo Juventus Museum, la mostra «Gulp! Goal! Ciak!», nata da un’idea di Gaetano Renda e curata da Luca Raffaelli.
Il percorso di visita, fruibile fino al prossimo 20 maggio, parte dall’Aula del Tempio, cuore della Mole Antonelliana, dove nella chapelle del Caffè Torino si trovano i primi esempi di fumetti, linguaggio teorizzato dal ginevrino Rodolphe Töpffer nella prima metà del diciannovesimo secolo. Nella Sala dedicata all’animazione si possono, invece, ammirare importanti acetati originali, in gergo tecnico «rodovetri», sui quali venivano disegnati e colorati i personaggi, che poi sarebbero stati fotografati sopra la giusta scenografia.
Da qui, salendo sulla rampa elicoidale, si snoda un percorso che allinea oltre duecento film e altrettanti fumetti, cinquantaquattro tavole originali, sessanta schermi per più di novanta metri di proiezioni lineari, ai quali si aggiungono i busti di Catwoman e di Batman e cinque manifesti originali, appartenenti alle collezioni del Museo nazionale del cinema.
«L’alternanza di tavole originali e di oggetti, le proiezioni e le postazioni interattive sfruttano il verticalismo antonelliano -raccontano gli organizzatori- e accompagnano il visitatore alla scoperta dei rapporti tra cinema e fumetto, individuando peculiarità di due linguaggi che progressivamente tendono ad avvicinarsi, grazie anche alla loro potenza espressiva e comunicativa».
Quasi in apertura della mostra, in un angolo della scala elicoidale, si trova uno spazio dedicato a Winsor McCay, uno dei primi e più grandi artisti della storia del fumetto e del cinema d’animazione.
Il suo personaggio più celebre è Little Nemo, che apparve per la prima volta nel 1905 sulle pagine del «New York Herald». Le sue avventure, tutte sorprendenti e straordinarie, si concludono sempre con un brusco risveglio. Insieme a questo personaggio, al quale fu dedicato nel 1911 anche un film di animazione, sono in mostra Flap il pagliaccio, il nero Imp e la Principessa di Slumberland.
Il percorso prosegue, quindi, sulla rampa e si sviluppa in sei aree tematiche che raccontano i film storici, il manga e l’anime giapponese, i grandi nomi della storia del fumetto e i loro personaggi più famosi, gli eroi meno conosciuti, i supereroi della D.C. Comics, le trasposizioni cinematografiche di Tim Burton e i romanzi a fumetti che sono diventati film.
Ecco così che il visitatore può ammirare le improvvisazioni da cabaret delle Sturmtruppen o il complesso e variegato mondo del «dio del manga» Osamu Tezuka. Può rivivere le avventure di Batman, Asterix, Hugo Cabret o di Tintin, personaggio del belga Hergé che, nel 2011, Spielberg ha voluto animare con la tecnica della motion capture.
In cima alla rampa, sei cappelle mettono in mostra le performance dei fumettisti, sia quando si mettono davanti alla macchina da presa sia quando vi si mettono dietro, come avviene, per esempio, per Hugo Pratt diretto da Leos Carax, Pino Zac diretto da Monicelli, Bonvi guidato da Samperi e da Sergio Staino, e Gianluigi Bonelli, padre di Tex, nella versione inedita di regista di un piccolo cameo.
Ci sono poi tre film mai realizzati da altrettanti maestri del cinema italiano e disegnati da fumettisti. Massimo Bonfatti interpreta, per esempio, «Capelli lunghi», storia di due ribelli nell’Italia del boom economico, scritta da Mario Monicelli alla fine degli anni Sessanta. Milo Manara racconta «Il viaggio di G. Mastorna detto Fernet», un film mai fatto pieno di misteri, scritto da Federico Fellini insieme a Brunello Rondi e a Dino Buzzati. Ivo Milazzo, infine, realizza «Un drago a forma di nuvola», storia di un libraio parigino travolto da un amore insolito, che rischia di mettere in crisi il delicato rapporto con la figlia, la cui sceneggiatura fu scritta da Ettore Scola, insieme a Giacomo Scarpelli e Silvia Scola.
Non manca lungo il percorso espositivo una cappella, allestita da Panini, dedicata a Topolino, il settimanale a fumetti più longevo d’Italia, che nei prossimi mesi ospiterà nelle sue pagine alcune storie originali sul cinema. Mentre a chiudere la mostra è un gioco dove ai film viene tolto il sonoro e vengono aggiunte le onomatopee. I ruoli cambiano -verrebbe da dire-, ma la magia resta la stessa.
La mostra, che sarà arricchita da visite guidate e laboratori per bambini e famiglie, prosegue idealmente alla Bibliomediateca Mario Gromo, dove, a partire da materiali conservati nelle sue collezioni, viene proposta una selezione di fumetti in cui il cinema è declinato secondo percorsi diversi e complementari, in un reciproco scambio di influenza tra personaggi e storie. Si tratta di un percorso plurale, declinato secondo sei macro-categorie, alle quali si aggiunge un focus specifico sull’universo di «Star Wars». Ecco così che il visitatore potrà vedere come divi del piccolo schermo quali Charlot, Marilyn Monroe o Rodolfo Valentino siano stati trasfigurati da matite e chine o come un capolavoro del cinema muto quale «Cabiria», diretto nel 1914 da Giovanni Pastrone, riviva nelle tavole illustrate pubblicate da «Topolino» negli anni Quaranta.
Lo Juventus Museum propone, invece, un percorso alla scoperta di come il calcio sia stato affrontato dal fumetto. «C’è un linguaggio migliore per raccontare l’emozione di uno scarpino che tocca il pallone, della sfera che solca l’aria mentre gli sguardi di tutti (giocatori e spettatori) sono coinvolti nel destino di quella traiettoria?». Si è chiesto Luca Raffaelli per costruire questo percorso espositivo. La risposta sembra essere no, guardando le sale del museo torinese dove si trovano personaggi dei fumetti di professione calciatori come l’inglese Roy of the Rovers di Walter Booth, Eric Castel del francese Raymond Reding o il celeberrimo Capitan Tsubasa di «Holly e Benji», ideato dal giapponese Yoichi Takahashi. Ci sono, poi, in mostra anche personaggi che occasionalmente si sono trovati a giocare con un pallone, da Peppa Pig ai Simpson, e tavole di disegnatori quali Mordillo, Forattini e Giannelli.
 Un percorso, dunque, completo quello proposto a Torino per celebrare due linguaggi espressivi, cinema e fumetto, che, da oltre un secolo, si incontrano e percorrono un sentiero comune, fatto di prestiti, reciproche influenze e omaggi, con la medesima volontà di mettere il mondo in immagini, spesso trasfigurandolo e trasformandolo.

 Informazioni utili 
 «Gulp! Goal! Ciak!». #Museo nazionale del cinema, via Montebello 20 – Torino. Orari: lunedì, mercoledì, giovedì, venerdì, domenica, ore 9.00-20.00; martedì e sabato, ore 9.00-23.00.Ingresso: intero € 11,00, ridotto € 9,00, ridotto scuole € 3,50. Informazioni: info@museocinema.it. Sito internet: www.museocinema.it. #Juventus Museum, via Druento 153 (int. 42) -Torino. Orari: lunedì-venerdì, ore 10.30-18.00; sabato-domenica e festivi, ore 10:30-19:30; chiusura il martedì. Ingresso: € 22,00 museo+stadium tour, € 15,00 solo museo. Informazioni: juventus.museum@juventus.com. Catalogo: Silvana editoriale. Fino al 20 maggio 2019 | La chiusura della mostra è stata prorogata al 17 giugno 2019. 

lunedì 15 aprile 2019

Il Museo del Prado? Una «corte delle meraviglie» da grande schermo

«Il giorno in cui si entra per la prima volta in un museo come quello di Madrid resta scolpito come una data storica nella storia di un uomo […] Il piacere che provavo era così grande che, arrivando alla porta, mi fermai e dissi: ‘Suvvia! Che cosa hai fatto nella vita per meritarti l’onore di penetrare in questo luogo?’». Così Edmondo De Amicis nel 1871, in occasione del suo primo viaggio in Spagna, parlava dell’emozione provata nel visitare il Museo del Prado, una delle collezioni più cospicue e stupende mai accumulate nel corso della storia con le sue oltre millesettecento opere esposte ed altre settemila conservate.
«Fatta più con il cuore che con la ragione», ovvero costruita senza alcune strategia mercantile, la collezione del Prado è «un inventario dal gusto raffinato», che rispecchia le passioni artistiche di re, regine e diplomatici, ma che annovera al proprio interno anche opere giunte a Madrid grazie a successioni ereditarie legate alla corona, doni tra dinastie regnanti d’Europa e guerre tra Stati, oltre che dai lasciti di semplici cittadini che hanno così voluto legare per sempre il loro nome a quello del prestigioso museo spagnolo.
Prendendo a prestito le parole di André Malreaux, scritte nel libro «Les voix du silence», «un museo è uno di quei luoghi che ci danno dell’uomo l’idea più alta». Questo vale anche -e soprattutto- per il Prado, al cui interno sono conservati veri e propri capolavori come «Il giardino delle delizie» di Hieronymus Bosch, trittico con scene bibliche che descrive la storia dell’umanità attraverso la tradizione cristiana medioevale, o l’«Incoronazione di spine» di Antoon van Dyck, con la sua raffigurazione altamente realistica della muscolatura del Cristo o, ancora, «Il buon pastore» di Bartolomé Esteban Murillo, in cui la semplicità della scena agreste nasconde un messaggio dalla forte carica simbolica: la volontà del Padre è di prendersi cura di tutti, soprattutto dei più piccoli e indifesi.
A duecento anni dalla fondazione, la storia del Museo del Prado, un «tesoro di intensità» (a detta dello scrittore e pittore Antonio Saura), diventa un docu-film per i tipi di Nexo Digital, che si è avvalsa per l’occasione del soggetto di Didi Gnocchi, della sceneggiatura di Sabina Fedeli e Valeria Parisi, esperta in comunicazione video, quest’ultima, a cui si deve anche la regia della pellicola.
Il nuovo appuntamento del progetto «La grande arte al cinema», intitolato «Il Museo del Prado. La corte delle meraviglie» e in cartellone nelle sale italiane da lunedì 15 a mercoledì 17 aprile, vede, inoltre, la partecipazione straordinaria del premio Oscar Jeremy Irons, attore britannico conosciuto per le sue interpretazioni in film come «ll mistero Von Bulow», «Il danno», «Mission», «Io ballo da sola» e «La casa degli spiriti». Sarà lui a guidare gli spettatori alla scoperta del patrimonio di bellezza e arte del museo spagnolo, a partire dal Salon de Reinos, il vecchio salone delle feste e degli spettacoli teatrali, un'architettura volutamente spoglia che si anima di vita, luci e proiezioni, riportando così il visitatore al glorioso passato della monarchia spagnola e al Siglo de Oro, quando alle pareti erano appesi molti dei capolavori oggi esposti al Prado, simboli di un viatico universale in grado di comprendere e raccontare i pensieri e i sentimenti degli esseri umani.
Il film diventa così un viaggio non solo attraverso i duecento anni di vita del museo madrileno -la cui fondazione risale al 19 novembre 1819 (giorno in cui per la prima volta si parlò di Museo Real de Pinturas)-, ma anche in almeno sei secoli di storia, perché la vita della prestigiosa collezione del Prado ha inizio con la nascita della Spagna come nazione e con il matrimonio tra Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia.
Grande protagonista di questo percorso è -non poteva essere diversamente- Francisco Goya, presente al Prado con un corpus ricchissimo di oltre novecento opere, compresi gran parte dei disegni e delle lettere, come la corrispondenza con l'amico d'infanzia Martin Zapater. Tra i suoi quadri al centro del docu-film c’è «Il 3 maggio 1808», dipinto che narra l’effetto della rivolta degli spagnoli contro l'esercito francese, la cui influenza su molti artisti moderni è evidente. Basti pensare a Pablo Picasso, che ha guardato a quest’opera, simbolo di tutte le guerre, per la sua «Guernica».
Tra gli obiettivi del film vi, infatti, anche quello di dimostrare quanto l’arte contenuta in questo museo illumini il nostro presente e ponga interrogativi per il nostro futuro, raccontando la società coi suoi ideali, i suoi pregiudizi, i vizi, le nuove concezioni, le scoperte scientifiche, la psicologia umana, le mode.
Il film non racconta, però, solo le opere conservate al museo, ma anche il paesaggio delle architetture reali che sono state teatro e custodi della nascita e dello sviluppo delle collezioni d'arte. Vélazquez, Rubens, Tiziano, Mantegna, El Greco sono così alcuni dei protagonisti di questo racconto, che focalizza l’attenzione anche su sedi quali l'Escorial, Pantheon dei reali, il Palazzo Reale di Madrid, il Convento de Las Descalzas Reales e, appunto, il Salon de Reinos.
La nascita del Museo del Prado è, infatti, una storia avvincente, che inizia nel 1785 quando Carlo III di Borbone incarica l’architetto di corte, Juan de Villanueva, di disegnare un edificio per ospitare il Gabinete de Historia Natural. Sarà questa la sede del museo che conosciamo oggi, luogo di bellezza, in cui si possono, tra l’altro, ammirare -racconta il film- le opere della fiamminga Clara Peeters, che ha il coraggio di dipingere dei micro-autoritratti all'interno delle sue tele e rivendicare il ruolo femminile dell'arte, o la «Donna barbuta» di Ribera, dove una figura con il volto coperto da una folta barba allatta al seno il neonato che porta in braccio.
Lo sviluppo del docu-film intreccerà, quindi, alla narrazione d’arte anche lo studio dell’architettura e l’analisi di preziosi materiali d’archivio e verrà scandita dalle testimonianze dei vari esperti del museo intervistati, a partire dal direttore Miguel Falomir, ma anche da interventi di personalità di spicco come lord Norman Foster, architetto del progetto del Salón de Reinos (premio Pritzker), Helena Pimenta, direttrice della Compañía Nacional de Teatro Clásico di Madrid, Laura Garcia Lorca, nipote del poeta Federico Garcia Lorca, Marina Saura, figlia del pittore Antonio Saura, la ballerina Olga Pericet e la fotografa Pilar Pequeño.
«Il Museo del Prado. La corte delle meraviglie» si configura, dunque, come un appuntamento da non perdere perché -come dice il trailer, prendendo a prestito una frase di Pablo Picasso- «l’arte lava via dalla nostra anima la polvere della vita di tutti i giorni».

Informazioni utili 
Il film può essere richiesto anche per speciali matinée al cinema dedicate alle scuole. Per prenotazioni: Maria Chiara Buongiorno, progetto.scuole@nexodigital.it, tel. 02.8051633.

domenica 14 aprile 2019

«Il viaggio a Reims», in mostra a Bologna le «memorie di uno spettacolo» rossiniano

«In Bologna ho trovato ospitalità, amicizia. Bologna è la mia seconda patria ed io mi glorio di essere, se non per nascita, per adozione, suo figlio». Così il pesarese Gioachino Rossini esprimeva il suo amore nei confronti della città felsinea, che, all’inizio dell’Ottocento, lo aveva accolto dopo che il padre, fervente sostenitore della Rivoluzione francese, vi aveva trovato rifugio nel tentativo di sfuggire alla cattura da parte delle truppe dello Stato Pontificio.
Nella città emiliana il compositore trascorse gran parte della sua giovinezza: studiò al Liceo musicale e fu aggregato alla prestigiosa Accademia Filarmonica senza nemmeno sostenere il necessario esame di ammissione.
Non può stupire, dunque, che in occasione dei centocinquanta anni dalla morte di Gioachino Rossini, ricordata nel 2018, Bologna abbia organizzato numerosi eventi per onorarne la memoria.
In ideale proseguimento con quelle celebrazioni, il Museo internazionale e biblioteca della musica ospita il progetto espositivo «Il viaggio a Reims. Memorie di uno spettacolo», a cura di Giuseppina Benassati e Roberta Cristofori.
La mostra, già presentata nei mesi passati al ridotto del teatro Comunale di Ferrara, celebra quello che il giudizio storico della critica riconosce come uno dei maggiori spettacoli del Novecento: «Il viaggio a Reims», dramma giocoso in un atto realizzato in prima rappresentazione all’Auditorium Pedrotti di Pesaro nel 1984, in occasione del Rossini Opera Festival, con la direzione di Claudio Abbado, la regia di Luca Ronconi e le scene di Gae Aulenti.
Dalle felice intuizione di Philip Gosset e Janet Johnson, che riscoprirono questo lavoro rossiniano e che decisero di proporlo all’attento pubblico pesarese, nacque uno spettacolo straordinario, rappresentato, dopo il successo della “prima”, sui più importanti palcoscenici internazionali.
Nel 1992 Ferrara, che vedeva il crescere della neonata manifestazione Ferrara Musica, colse al volo l’occasione e realizzò una ripresa memorabile dell'opera rossiniana. A dirigere fu ancora Abbado, alla guida della Chamber Orchestra of Europe e di un cast di altissimo livello.
Questa storia rivive ora a Bologna grazie alla rassegna «Il viaggio a Reims. Memorie di uno spettacolo», allestita fino al prossimo 5 maggio. Il nucleo principale della rassegna si compone di una selezione di trentadue immagini fotografiche, tra gigantografie e formati più piccoli, realizzate da Marco Caselli Nirmal durante la recita del 1992, che ritraggono i tre protagonisti dello spettacolo, insieme alle maestranze, agli orchestrali e a un cast che annoverava eccellenze quali Cecilia Gasdia, Ruggero Raimondi, Carlos Chausson, Lucia Valentini Terrani, Enzo Dara, Cheryl Studer, Frank Lopardo, William Matteuzzi e Lucio Gallo sino ad arrivare a Placido Domingo.
Le istantanee colte durante le prove raccontano il lavoro dietro le quinte, gli allestimenti scenici, i confronti ed i dialoghi tra direttore e i cantanti, tra regista e autore degli allestimenti, geniali creatori e amici di lungo corso, mirando così alla documentazione del processo di creazione dello spettacolo e del lavoro quotidiano all’interno di un teatro durante la progettazione e realizzazione di esso.
Significativi appaiono i ritratti di Claudio Abbado -Marco Caselli Nirmal ne è stato il fotografo ufficiale per oltre vent’anni- e di Luca Ronconi, regista geniale, innovativo e profondo conoscitore del teatro e del suo funzionamento.
Gli scatti sono stati selezionati da un fondo di circa 2.800 fotografie che oggi appartiene allo straordinario Archivio del teatro comunale di Ferrara. Composto da oltre 250.000 immagini, questo patrimonio è stato oggetto di un recente progetto di catalogazione e digitalizzazione, finanziato e coordinato dall’Istituto per i beni artistici, culturali e naturali della Regione Emilia-Romagna che lo ha reso consultabile su web attraverso l’Opac del Polo bibliotecario ferrarese.
Oltre all’esposizione di cinque bozzetti disegnati da Gae Aulenti per le scenografie, un video con ulteriore materiale fotografico e l’installazione del cavallo e della carrozza originali realizzati per la scenografia, già presentati a Ferrara, la tappa bolognese si arricchisce di una nuova sezione di immagini, opera dello stesso Caselli Nirmal, dedicate allo spettacolo andato in scena al teatro Comunale di Bologna nel 2001, sotto la direzione di Daniele Gatti.
Una naturale integrazione alla mostra viene, inoltre, offerta dalle collezioni del museo al primo piano di Palazzo Sanguinetti, in «uno spazio che -suggerisce Roberto Grandi, presidente dell’Istituzione Bologna Musei- vede Rossini muoversi di stanza in stanza fra strumenti musicali, ripiani e bacheche». In particolare, la figura di Gioachino Rossini si incontra nella sala 7 del percorso espositivo dove, accanto a documenti e oggetti personali che documentano lo stretto legame del compositore con Bologna, si trova esposto il libretto dell’opera «Il viaggio a Reims», scritto da Luigi Balocchi e ispirato da «Corinna o l'Italia» di Madame de Staël.
Le preziose memorie di quest'opera rossiniana, la cui prima si tenne a Parigi nel Théâtre Italien il 19 giugno 1825, rivivono in un catalogo di Longo Editore, curato da Giuseppina Benassati e Roberta Cristofori, che contiene la riproduzione di ottantacinque immagini fotografiche di Marco Caselli Nirmal, sei bozzetti di scena disegnati da Gae Aulenti e i programmi di sala delle edizioni di Ferrara (1992) e Bologna (2001).
Un ricco apparato di testi arricchisce il volume. Tra gli autori ci sono Stefano Bonaccini, presidente della Regione Emilia-Romagna, Vittorio Emiliani, autore della più aggiornata e accattivante biografia del genio pesarese, Marino Pedroni, direttore del teatro Comunale di Ferrara, Roberto Grandi, presidente dell’Istituzione Bologna Musei, Gianfranco Mariotti, presidente onorario del Rossini Opera Festival di Pesaro.
Il catalogo presenta, inoltre, le interviste rilasciate da Alessandra Abbado e dal soprano Cecilia Gasdia, oggi sovrintendente e direttore artistico della Fondazione Arena di Verona.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] I musicisti della Chamber Orchestra of Europe e il Maestro Claudio Abbado durante le prove. Teatro Comunale di Ferrara, febbraio 1992. Fotografia di Marco Caselli Nirmal (Archivio Teatro, SPE 1311); [fig. 2] Enzo Dara (Barone di Trombonok, maggiore tedesco fanatico per la musica), Ruggero Raimondi (Don Profondo, letterato, amico di Corinna, membro di varie accademie e fanatico per le antichità), Walter Matteuzzi (Conte di Libenskof, generale russo, d’un carattere impetuoso, innamorato della marchesa Melibea ed estremamente geloso) e Carlos Chausso (grande di Spagna, uffizial generale di marina, innamorato di Melibea) avvolti nelle bandiere. Teatro Comunale di Ferrara, 20 febbraio 1992. Fotografia di Marco Caselli Nirmal (Archivio Teatro, SPE 1311); [fig. 3] Il Maestro Claudio Abbado suona il violoncello con i musicisti della Chamber Orchestra of Europe durante le prove. Teatro Comunale di Ferrara, febbraio 1992. Fotografia di Marco Caselli Nirmal (Archivio Teatro, SPE 1311); [fig.4] La scenografa e costumista Gae Aulenti durante le prove. Teatro Comunale di Ferrara, febbraio 1992. Fotografia di Marco Caselli Nirmal (© Marco Caselli Nirmal); [fig. 5] Il Maestro Claudio Abbado applaude gli interpreti. Teatro Comunale di Ferrara, 20 febbraio 1992. Fotografia di Marco Caselli Nirmal (Archivio Teatro, SPE 1311); [fig. 6] Il regista Luca Ronconi, il direttore Claudio Abbado e la scenografa e costumista Gae Aulenti durante le prove. Teatro Comunale di Ferrara, febbraio 1992. Fotografia di Marco Caselli Nirmal (Archivio Teatro, SPE 1311)

Informazioni utili
«Il viaggio a Reims. Memorie di uno spettacolo». Museo e biblioteca internazionale della musica, Strada Maggiore, 34 – Bologna. Orari: da martedì a domenica, festivi compresi, ore 10.00 – 18.30; chiuso i lunedì feriali e il 1° maggio. Ingresso: sala mostre temporanee gratuito; collezione permanente del museo intero € 5,00, ridotto € 3,00, gratuito Card Musei Metropolitani Bologna. Informazioni: tel. 051.2757711, museomusica@comune.bologna.it. Sito internet: www.museibologna.it/musica. Fino al 5 maggio 2019