ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

giovedì 10 ottobre 2019

Alda Merini e Alberto Casiraghy, storia di un'amicizia tra versi e disegni

Racconta uno speciale sodalizio intellettuale e umano, legato a doppio filo dall’amore per i libri e l’arte, la mostra allestita alla Casa Museo Boschi Di Stefano a Milano, per la curatela del librario antiquario Andrea Tomasetig.
Protagonisti di questo racconto, allestito al piano nobile del museo, sono la poetessa Alda Merini, di cui il prossimo 1° novembre ricorrono i dieci anni dalla morte, e il tipografo-poeta-artista-editore brianzolo Alberto Casiraghy, instancabile sperimentatore nel campo della grafica e della tipografia, conosciuto nel mondo per aver pubblicato usando la stampa a mano con caratteri mobili, la pregiata carta hahnemuhle prodotta in Germania e cordicelle per tenere insieme i vari fogli.
Del legame tra i due artisti resta una grande testimonianza in quei librini editi in poche preziose copie, tra le quindici e le trentatré ciascuno, confluiti nel catalogo della casa editrice Pulcinoelefante di Osnago, nel Lecchese.
Si tratta di millecentoottantanove volumetti, prodotti in un arco di tempo che va dal 1992 al 2009, per i quali Alda Merini ha scritto aforismi o brevi poesie e che Alberto Casiraghy ha dato alle stampe, spesso creando appositamente anche un’opera grafica.
Di quel prezioso insieme di librini ne sono stati selezionati per la mostra -che vede tra i promotori l’assessorato alla Cultura del Comune di Milano e il teatro Elfo Puccini- oltre un centinaio.
Documenti, fotografie e oggetti che raccontano l’anima estrosa della poetessa come una statuetta di Biancaneve, un mazzo di rose di plastica con la rugiada e una collana portafortuna di peperoncini vanno a completare il percorso espositivo, il cui originale allestimento è firmato da Cristiana Vannini.
L’architetto e designer, toscana di nascita e milanese di adozione, ha creato, nelle sale della quadreria al secondo piano, un’ambientazione molto suggestiva, che vede i librini gremire i ripiani in ordine sparso, legati tra loro da una sottile trama di fili elastici, una sorta di gabbia concettuale da cui emerge la forza della libertà poetica e artistica di Alda Merini e Alberto Casiraghy.
La mostra, significativa nelle dimensioni e intensa nel contenuto, si articola in sei sezioni: «Poesie», «Aforismi», «Alda e Alberto», «Il mondo di Alda», «Amici artisti», «Cimeli». Sono sei tappe di un viaggio che racconta come due persone diverse caratterialmente -lei audace e psichicamente instabile, lui riservato ed elitario-, possano dar vita a qualcosa di unico e inestimabile quando ad unirli è il fuoco di una grande passione per «la gioia del bello» e la scrittura.
Sono nati così piccoli capolavori editoriali, che sembrano giochi tra persone di cultura, quella vera, e che oggi sono pezzi da collezione.
Camminando nel museo milanese, sembra quasi di vederla Alda Merini che prende in mano il suo telefono e chiama, anche più di una volta al giorno, l’amico Alberto per dettargli le sue poesie, opere brevi per necessità tipografiche, che spiccano per la loro potenza lirica e rimandano alla poesia greca, in un universo fatto di spiritualità e carnalità, di fame d’amore intessuta di ricordi e dolore.
Non meno affascinanti sono gli aforismi della scrittrice: anticonvenzionali, dissacranti, estremi, i cui temi spaziano dalla follia alla poesia, dall’eros alla vita e alla morte.
Alda Merini ne scrive due o tre per volumetto e Alberto Casiraghy li rende ancora più preziosi con i suoi contrappunti grafici, tra surrealismo e magiche astrazioni.
Ma la scrittrice vede in campo per le sue opere anche tanti altri artisti: da Ugo Nespolo a Sergio Dangelo, da Lucio Del Pezzo a Mario De Biasi, solo per citarne alcuni.
Non meno interessante è il rapporto della poetessa -documentato in mostra- con molti intellettuali del tempo come Dario Fo, Enrico Baj e Bruno Munari, ma anche Vincenzo Mollica, Giorgio Gaber, Roberto Vecchioni e Fabrizio De André, senza dimenticare Vanni Scheiwiller, alla cui memoria la Merini dedica più di un librino.
All’interno di un’amicizia durata oltre vent’anni non potevano mancare poesie e aforismi per Alberto Casiraghy. Sono testi affettuosi, complici, ironici, che vanno dalla consapevolezza di un’affinità elettiva fino all’autoironia estrema con quel «per il matto di Osnago darei la mia follia», che fa sorridere e pensare. È giocosa anche la fotografia del bibliofilo Giorgio Matticchio, che ritrae i due artisti insieme e che ne racconta la grande complicità, quella che porta la Merini a citare l’amico nel suo testamento: «Ad Alberto Casiraghy delego la chiusura della mia tomba».
La mostra, che prevede anche la presentazione del catalogo delle edizioni Merini-Casiraghy in edizione limitata, offre, inoltre, l’occasione per presentare l’archivio delle oltre diecimila edizioni Pulcinoelefante.
«Non finisce di stupire -raccontano gli organizzatori- l’elenco degli autori e degli artisti coinvolti e il felice stato di grazia che assiste l’editore brianzolo da quasi quarant’anni con continue invenzioni grafiche e tipografiche, che fanno di lui, nella molteplice veste di tipografo-grafico-autore-editore-pedagogo, l’erede più vicino di Bruno Munari».
Riflettere sull’ampio catalogo Pulcinoelefante, in cerca di una casa definitiva, fa dire che aveva proprio ragione Vanni Scheiwiller a definire quei libretti dalla linea inconfondibile «miniedizioni per libridinosi» o «ghiottonerie per spiriti liberi». Liberi come Alda Merini, espressione di quel coraggio tutto femminile di rimanere sempre se stesse nonostante tutto e tutti. Liberi come Alberto Casiraghy, che ha fatto proprio, anche a costo di sacrifici, un consiglio greco: fai fiorire la tua areté, la tua virtù, «diventa ciò che sei».

Didascalie delle immagini 
[Fig. 1] Alda Merini e Alberto Casiraghy. © Matticchio; [fig. 2] Alda Merini, «Breve storia del Pulcinoelefante», 1994. Con un’opera di Alberto Casiraghy. Copertina librino; [fig. 3] Alda Merini, «Il Paradiso», 2004. Con un disegno di Arnoldo Mosca Mondadori. Dettaglio; [fig. 4] Alda Merini, «Aforismi per matti», 2001. Con un disegno di Jgor Ravel (pseudonimo di Alberto Casiraghy). Copertina librino; [fig. 5] Alda Merini, «Parole», 2007. Grafica di Luigi Mariani 

Informazioni utili 
Alda Merini e Alberto Casiraghy. Storia di un’amicizia. Casa Museo Boschi Di Stefano, Via Giorgio Jan 15 – Milano. Orari martedì-domenica, ore 10.00-18.00; lunedì chiuso. Ingresso gratuito. Informazioni: tel. 02.88463736, c.casaboschi@comune.milano.it. Uffici stampa: info@irmabianchi.it ed elenamaria.conenna@comune.milano.it. Fino al 10 novembre 2019.

mercoledì 9 ottobre 2019

Giornate Fai d’autunno, dall’«ermo colle» di Leopardi al borgo umbro di Macerino: settecento luoghi da visitare

Aveva ventun’anni Giacomo Leopardi quando a Recanati, nelle Marche, scriveva i versi immortali della sua poesia più conosciuta: «L’Infinito». Da allora sono trascorsi duecento anni e l’«ermo colle», decantato dallo scrittore, è da poco diventato uno dei luoghi italiani tutelati dal Fai – Fondo per l’ambiente italiano.
L’inaugurazione -raccontano dalla fondazione- «ci ha guidato in una necessaria, profonda messa a fuoco di quale fosse lo stato d’animo del giovane poeta su quel colle, in quell’orto, nella profonda riflessione del suo rapporto con l’infinito: lo stesso stato d’animo che alberga nei giovani d’oggi, che con la medesima speranza volgono lo sguardo a un futuro che sognano migliore, affidandosi come Leopardi all’immaginazione, attimo perfetto di abbandono e felicità, che si trasforma nel motore propulsivo dell’agire energico ed entusiasta delle nuove generazioni».
Da questa considerazione è nata l’idea di dedicare proprio allo scrittore recanatese l’ottava edizione delle Giornate Fai d’autunno, in programma sabato 12 e domenica 13 ottobre, che vedono proprio nei giovani, iscritti al fondo o aspiranti ciceroni delle scuole di ogni ordine e grado, il loro cuore pulsante.
Tre sono i luoghi leopardiani aperti per questa due giorni di cultura, che da sempre attira un gran numero di persone: l’orto sul colle dell’Infinito, il Parco Vergiliano a Napoli, dove le spoglie del poeta sono state traslate nel 1939 dalla Chiesa di San Vitale a Fuorigrotta, e la Chiesa di sant’Onofrio al Gianicolo a Roma, con la tomba di Torquato Tasso che Giacomo Leopardi considerava tra gli italiani più eloquenti e sulla quale pianse le sue lacrime più profonde.
Ma l’omaggio leopardiano è solo un piccolo frammento del ben più articolato programma delle Giornate Fai d’autunno, che permetteranno di vedere oltre settecento luoghi in tutta Italia, distribuiti in duecentosessanta città e con più di centoquaranta percorsi tematici organizzati. Si tratta di palazzi, chiese, castelli, aree archeologiche, giardini, architetture industriali, bunker e rifugi antiaerei, botteghe artigiane, musei e interi borghi, selezionati -raccontano dall’ente- «perché speciali, curiosi, originali o bellissimi».
«Ricordati di salvare l’Italia» è il tema scelto per questa edizione, come al solito accompagnata da una raccolta fondi, che prevede un contributo facoltativo dai 2,00 ai 5,00 euro per ogni visita, un sms o una telefonata solidale al numero 45584, e la possibilità di abbonarsi per un anno al Fai con una quota agevolata di 29,00 euro.
Ma lo slogan «Ricordati di salvare l’Italia» diventa, in questa edizione, anche un invito a focalizzare l’attenzione sull’emergenza climatica che stiamo vivendo.
Dopo aver aperto, dal 1975 a oggi, trentuno beni e mentre ne sta restaurando altri dodici, anche grazie al contributo dei suoi 190mila iscritti, il Fai punta, infatti, a una nuova sfida. «In un momento storico in cui l’impegno a favore della sostenibilità ambientale e dello sviluppo di una coscienza ecologica è cruciale, il nostro scopo -raccontano ancora dalla fondazione- è duplice: da un lato ci prefiggiamo di ridurre ancora di più le emissioni di CO² dei nostri siti; dall’altro intendiamo mettere a punto un progetto didattico per comunicare ai visitatori le azioni virtuose e ripetibili messe in atto nei beni. Favorendo l’implementazione di tecnologie all’avanguardia e contribuendo alla sensibilizzazione verso questi temi è possibile investire nel futuro dell’arte, della cultura e del paesaggio di questo Paese, che deve proiettarsi in avanti nel rispetto dell’ambiente».
Ma quali sono i luoghi che sarà possibile visitare in questa edizione? Partendo dal cuore d’Italia, a Roma si apriranno le porte del «Palazzaccio», oggi sede della Corte di Cassazione, un edificio in travertino, disegnato dall’architetto Guglielmo Calderini tra il 1888 e il 1910, che si ispira a motivi cinquecenteschi e barocchi, sul cui portone centrale si trova un’opera di Enrico Quattrini: «La Giustizia tra la Forza e la Legge».
La visita del palazzo, solitamente non accessibile se non in occasione dei processi giudiziari, permetterà di scoprire, tra gli altri spazi, le aule penali al secondo piano, l’Aula Magna con pregevoli affreschi di Cesare Maccari e del suo allievo Paride Pascucci sulla storia del diritto romano, l’aula ordinaria, lo studio del Primo presidente della Corte suprema di Cassazione, il cortile d’onore, ad arcate, e la biblioteca.
Sempre nella capitale si potranno vedere il Museo storico dell’Arma dei Carabinieri, e la Caserma dei Corazzieri del Quirinale, sede della guardia d’onore e di sicurezza del Presidente della Repubblica, ospitata in una parte del complesso monastico annesso alla Chiesa di Santa Susanna. Non meno gradita sarà l’apertura straordinaria dell’Avvocatura dello Stato, all’interno dell’ex convento di Sant’Agostino, ristrutturato su progetto di Luigi Vanvitelli a metà del XVIII secolo, che conserva la Biblioteca Angelica con circa centoventimila volumi antichi.
A Milano saranno a disposizione dei visitatori il Rifugio antiaereo di via Spaventa, edificato nel 1940 per offrire riparo ai dipendenti pubblici del servizio idrico cittadino in caso di attacco bellico aereo, e la Casa degli artisti, bell’edificio di impianto razionalista fresco di restauri. Immancabile sarà anche una visita all’headquarter della società immobiliare Coima, nell’edificio ecosostenibile progettato da Mario Cucinella e inaugurato nel 2017, con l’adiacente Biblioteca degli alberi, il terzo parco pubblico della città, disegnato dallo studio olandese Inside Outside | Petra Blaisse e realizzato nell’ambito del progetto urbanistico di Porta Nuova.
Nel Napoletano si potrà entrare nel Real sito di Portici, un gioiello architettonico affacciato sul mare e realizzato a metà Settecento per volere di Carlo di Borbone e della moglie Maria Amalia di Sassonia, che, dopo il trasferimento nella Reggia di Caserta, fu trasformato in residenza estiva e di caccia. La dimora - oggi sede della Facoltà di agraria dell’Università di Napoli Federico II e dei Musei delle Scienze agrarie- comprende due parchi, progettati da Francesco Geri, che vanno dalla costa alle pendici del Vesuvio.
Venezia, invece, attirerà i turisti con l’apertura straordinaria del cinquecentesco Palazzo Dolfin Manin dell’architetto Jacopo Sansovino, edificio affacciato sul Canal Grande, a pochi passi dal Ponte di Rialto, solitamente inaccessibile perché sede della Banca d’Italia.
A Novi Ligure sarà possibile entrare nell’ottocentesco teatro Romualdo Marenco, che, dopo cinquant’anni di chiusura e dopo i restauri, apre in anteprima grazie all’impegno dei giovani del Fai. La platea – progettata da Giuseppe Becchi con l’approvazione del collega Luigi Canonica, massimo esperto di architettura teatrale dell’epoca – ricalca il modello ottocentesco di teatro all’italiana ed è caratterizzata dalla forma a ferro di cavallo e da un alveare di palchi, aperti sulla sala e disposti su diversi piani lungo tre pareti, mentre la quarta è occupata dall’arco di boccascena. La soluzione progettuale affermò la separazione dei ceti sociali con i palchetti riservati alla vecchia aristocrazia e alla borghesia nascente, la platea per la classe meno abbiente e il loggione per il popolo. Tra le particolarità, si segnalano le barcacce, i palchetti a lato del palcoscenico che furono progettati in modo che potessero essere chiusi da pannelli in legno decorati e mobili per consentire ai proprietari di assistere allo spettacolo senza essere visti. Alle decorazioni lavorarono artisti di area genovese come Giovanni Battista Cevasco (1817-1891), che ha scolpito la testa di giano sulla porta d’accesso alla platea, le cariatidi del palco reale e i decori nel boccascena.
In Umbria si apriranno le porte di Macerino, un borgo collinare di origine romana, che nell’XI secolo era capitale delle terre Arnolfe, al centro del territorio dei monti Martani, sulla strada di comunicazione tra Acquasparta e Spoleto. Le Giornate Fai d’autunno permetteranno così un’immersione nel Medioevo, tra le case e le vie di un paese ormai praticamente disabitato nei mesi invernali che vive di un turismo estivo di provenienza perlopiù inglese e danese. Circondato da mura, ancora ben conservate, con quattro torri angolari, il borgo ha edifici di grande pregio come Palazzo Massarucci, la Pieve di San Biagio e la Chiesa di San Giovenale, con con affreschi del XVII secolo e un «San Francesco in estasi» di scuola umbra (XIII secolo).
Mentre a Prato sarà aperta la fabbrica tessile Lucchesi, che custodisce al suo interno le mura trecentesche della città; a Padova la Fabbrica Fratelli Ruffatti, che dal 1940 produce organi a canne esportati in tutto il mondo e che sarà visitabile eccezionalmente con l’accompagnamento dei proprietari.
Ma gli itinerari suggeriti dal Fai per questo fine settimana d’autunno sono ancora tanti e possono essere scoperti sul sito internet www.giornatefai.it.
La cura del colle di Giacomo Leopardi, l’attenzione all’ecosostenibilità, l’impegno ambientale con la relativa preoccupazione per la finitezza delle risorse disponibili sul pianeta, la difesa di borghi che vanno verso lo spopolamento e la tutela dei beni artistici del nostro Paese sono, dunque, i tanti fili rossi di una manifestazione all’insegna della bellezza, artistica e naturale: un atto d’amore per il nostro territorio e e un modo per esercitare il proprio ruolo di cittadini attivi.

Didascalie delle immagini
[fig. 1] Milano, COIMA Headquarter © COIMA; [fig. 2] Portici (NA), Reggia - Foto di Eliano Imperato © FAI - Fondo Ambiente Italiano; [fig. 3] Roma, Biblioteca Angelica - Foto Giovanni Formosa ©FAI; [fig. 4] Roma, Palazzaccio - Foto Giovanni Formosa ©FAI; [fig. 5] Santa Teresa di Gallura, Faro di Capo Testa © Marina Militare; [fig. 6] Venezia, Palazzo Dolfin Manin © FAI - Fondo Ambiente Italiano; [fig. 7] Cosenza, BoCs Art - Foto di Salvatore Paravati © FAI - Fondo Ambiente Italiano 

Informazioni utili 
www.giornatefai.it | www.fondoambiente.it | tel. 02.467615399

martedì 8 ottobre 2019

Marco Goldin racconta a teatro «La grande storia dell’Impressionismo»

Da oltre dieci anni regala la sua conoscenza di storico dell’arte ai frequentatori dei principali teatri italiani, dal Regio di Torino al Carcano di Milano, dal Comunale di Bologna al Grande di Brescia, dal Donizetti di Bergamo al Filarmonico di Verona. Tutto nacque nel 2005 per introdurre, in modo fortemente emotivo e poetico, una delle grandi mostre da lui curate sull’Impressionismo: «Lontano dal mondo», un omaggio alla coppia artistica formata da Paul Gauguin e Vincent Van Gogh.
Da allora Marco Goldin (Treviso, 1961), curatore di oltre quattrocento rassegne, che è riuscito negli anni a portare nei musei italiani oltre undici milioni di persone, non ha più lasciato il palcoscenico.
La scorsa stagione il critico veneto -che con le sue mostre ha trasformato la vita culturale di molte città italiane, da Treviso a Brescia, da Torino a Vicenza- ha deciso di fare un ulteriore passo in avanti. Ha sospeso momentaneamente le attività espositive della sua società, Linea d’ombra, e ha scritto uno spettacolo autonomo, svincolato dalla promozione di un evento artistico e capace di raccontare a 360° una pagina della storia dell’arte da lui molto amata. È nato così «La grande storia dell’impressionismo», evento promosso con International Music and Arts, che mette in scena l’incanto della pittura da Claude Monet a Vincent Van Gogh, nomi che, come una calamita, attraggono da sempre il grande pubblico.
Lo spettacolo -che ha debuttato con successo la passata stagione a Salsomaggiore per toccare, poi, piazze come Milano, Bologna e Firenze- è pronto per tornare nelle sale italiane. Le prime sei date in cartellone avranno per scenario l’Auditorium Santa Chiara di Trento (24 novembre), il teatro Verdi di Gorizia (28 novembre), il Politeama Rossetti di Trieste (2 dicembre), il teatro Display di Brescia (5 dicembre), il Corso di Mestre (7 dicembre) e il Politeama di Genova (10 dicembre).
Spesso criticato per aver trascurato il lato storico e scientifico in favore della trepidazione e del batticuore (e per aver creato mostre blockbuster, che gli hanno valso anche il soprannome di «re del turistificio»), Marco Goldin volta, dunque, pagina e sperimenta in un altro modo il suo bisogno di raccontare quelle emozioni che nascono dalle immagini della pittura, cartina di tornasole dei nostri sogni, dei nostri ricordi, delle nostre attese, ovvero della nostra vita e di ciò che si muove nella nostra anima.
Il suo modo di descrivere l’arte fatto di poesia, emozione e conoscenza non guarda, quindi, più al teatro come a un espediente per preparare lo spettatore all’incontro fisico con il quadro. Le immagini scorrono davanti agli occhi di chi è seduto in platea, grazie al lavoro dei videomaker Fabio Massimo Iaquone e Luca Attilii, ma è la parola, mai banale e sempre coinvolgente, nonché di estrema comprensibilità, la vera protagonista dello spettacolo.
Il pubblico si ritrova così catapultato nella Francia degli ultimi decenni dell’Ottocento, scoprendo fatti, personaggi, quadri e luoghi di una stagione che, a partire dagli anni Sessanta, ha fatto dell’elogio della natura e della pittura en plein air la sua cifra stilistica.
Protagonista del racconto è anche la musica composta da Remo Anzovino (Pordenone, 1976), uno dei principali esponenti della scena contemporanea, premiato nel 2019 con il Nastro d’argento per i film-evento della serie «La grande arte al cinema»: «Hitler contro Picasso e gli altri. L’ossessione nazista per l’arte», «Van Gogh. Tra il grano e il cielo», «Le Ninfee di Monet» e «Gauguin a Tahiti. Il paradiso perduto».
Il musicista friulano è sul palco con Marco Goldin in tutte le repliche, eseguendo dal vivo, al pianoforte, le sue composizioni.
Per quanto riguarda la scenografia, fatta da sessanta metri quadrati di led wall, lo spettacolo propone non solo fotografie di opere d’arte e dei loro particolari, ma anche immagini d’epoca e scattate al giorno d’oggi, oltre a brani di video che danno il senso dei luoghi nei quali gli impressionisti hanno lavorato. Si tratta, nello specifico, di filmati girati in Provenza, sulla costa del mar Mediterraneo, nella foresta di Fontainebleau, sulle spiagge di Normandia, sulle scogliere a picco sul mare del Nord e in Bretagna.
Il racconto si sviluppa in cinque momenti per un totale di centoventi minuti di spettacolo, nei quali la natura e la luce del paesaggio, raccontate con pennellate rapide ed evanescenti, giocano un ruolo decisivo.
Marco Goldin accompagna, dapprima, il pubblico nella foresta di Fontainebleau, dove i giovani impressionisti, da Claude Monet a Camille Pissarro, da Pierre-Auguste Renoir ad Alfred Sisley, si incontravano a metà degli anni Sessanta per dipingere nei boschi.
La seconda parte focalizza, invece, l'attenzione sul decennio successivo, quello canonico dell’impressionismo, con l’ingresso sulla scena parigina della pittura di Paul Cézanne, Edgar Degas e Paul Gauguin, ma anche di figure femminili come Berthe Morisot o l’americana Mary Cassatt.
«La meraviglia del fiume, i disgeli lungo la Senna, le alte scogliere di Normandia, le sue spiagge e il mare», danno, quindi, la possibilità a Marco Goldin, nel terzo tempo del suo racconto, -si legge nella scheda dello spettacolo- «di parlare della crisi dell’impressionismo e della fine del dogma della pittura di plein-air in Monet».
I due momenti conclusivi sono, invece, riservati ad altrettanti straordinari artisti che hanno portato fino alle estreme conseguenze la crisi dell’impressionismo: Vincent van Gogh e Paul Gauguin. Non è affatto casuale la scelta di questi due nomi, ai quali il critico veneto ha dedicato anche un romanzo uscito lo scorso novembre per i tipi della Solferino edizioni: «I colori delle stelle».
Nel corso dello spettacolo l’autore ne legge alcuni passi, permettendoci di comprendere meglio quella relazione così intensa e travagliata che caratterizzò i due artisti nel 1888, anno in cui tentarono una convivenza, non felice, ad Arles.
Il risultato finale sono due ore coinvolgenti ricche di storie e aneddoti, una lezione di storia dell’arte, che parla il linguaggio della poesia e tocca le corde del cuore.

Per saperne di più 
www.internationalmusic.it