ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

venerdì 11 ottobre 2019

Peggy Guggenheim, le passioni artistiche dell’«ultima Dogaressa» di Venezia

Uno dei primi nomi che viene in mente quando si parla di donne e mecenatismo culturale è quello di Peggy Guggenheim (New York, 26 agosto 1898-Camposampiero, 23 dicembre 1979), la collezionista americana che aveva scelto Venezia come «luogo del cuore e dell’anima», stregata dal fascino di una città che, a suo dire, poteva rivaleggiare in bellezza solo «con il suo stesso riflesso al tramonto sul Canal Grande».
Era appena finita la Seconda guerra mondiale quando la fondatrice della galleria-museo newyorkese «Art of This Century» (1942-47), la culla dell’Espressionismo astratto americano, volava in Italia stabilendo la sua dimora a pochi passi dalla Chiesa di Santa Maria della Salute, a Palazzo Venier dei Leoni, oggi uno dei luoghi più iconici di quello straordinario percorso culturale soprannominato «il chilometro dell’arte», del quale fanno parte anche il Museo Vedova, la collezione Pinault a Punta Dogana, le Gallerie dell'Accademia e la Fondazione Cini con la sua sede cinquecentesca a San Vio.
Iniziava così, nel 1948, una storia d’amore intensa, di quelle che ti fanno dire che «nel cuore non resta più posto per altro».
Venezia aveva stregato Peggy Guggenheim che quello stesso anno era arrivata in Laguna con la sua collezione d’arte, grazie a una felice intuizione del pittore Giuseppe Santomaso e su invito di Rodolfo Pallucchini, per partecipare alla ventiquattresima edizione della Biennale, esponendo nel Padiglione della Grecia, Paese allora devastato dalla guerra civile, i nomi più rappresentativi dell’arte astratta e surrealista -Jean Arp, Costantin Brancusi, Alexander Calder, Max Ernst, Alberto Giacometti e Kazimir Malevich- e alcuni artisti americani -William Baziotes, Jackson Pollock, Mark Rothko, Arshile Gorky, Robert Motherwell e Clyfford Still-, mai presentati al di fuori degli Stati Uniti.
Stregata da quella città di cui amava le luci -le stesse che soggiogarono il pittore romantico William Turner- e la vena malinconica e decadente, quella che scopriva giorno dopo giorno perdendosi piacevolmente tra calli e campielli, Peggy Guggenheim decise di comprare nella città veneta una grande casa, dove vivere con i suoi «beloved babies», i suoi quattordici amati e inseparabili cani Lhasa Apsopuppy (terrier di razza tibetana), ora sepolti accanto a lei nel giardino di Palazzo Venier dei Leoni.
In quella dimora l’eccentrica e coraggiosa collezionista americana -per tutti «l’ultima Dogaressa» per quella sua aura di magnificenza che la vedeva girare per i canali su una gondola privata con un gondoliere de casada a sua disposizione- trascorse più di trent’anni della sua esistenza, rimanendovi fino alla morte, avvenuta il 23 dicembre del 1979, all'età di ottantuno anni.
Pochi mesi dopo, nella Pasqua del 1980, quella bella casa sul Canal Grande, passata nel frattempo alla gestione della Fondazione Solomon R. Guggenheim di New York, apriva ufficialmente le porte al grande pubblico diventando il museo più importante in Italia per l'arte europea e americana della prima metà del ventesimo secolo.
In occasione dei quarant’anni dalla morte e dei settant’anni dal trasferimento in Laguna, una mostra, per la curatela di Karole P. B. Vail -attuale direttrice della Collezione Guggenheim, nonché nipote di Peggy- e di Gražina Subelytė, ripercorre la storia della collezionista americana a Venezia attraverso una sessantina di opere, tra dipinti, sculture e lavori su carta, da «L’impero della luci» («L’Empire des lumières») di René Magritte allo «Studio per scimpanzè» («Study for Chimpanzee») di Francis Bacon, da «Autunno a Courgeron» («L'Automne à Courgeron») di René Brô a «Serendipity 2» di Gwyther Irwin.
Sala dopo sala, Palazzo Venier dei Leoni permette così ai visitatori di rivivere il mito di Peggy Guggeheim, icona di stile per i suoi occhiali dalle forme bizzarre, i suoi grandi cappelli e i suoi gioielli-capolavoro che farebbero invidia a una qualsiasi maison di moda, ma soprattutto donna capace di incidere con una straordinaria stagione di mostre e di eventi sulla vita culturale di Venezia.
È il settembre del 1949 quando la collezionista apre per la prima volta le porte di casa sua o meglio del suo giardino -quel luogo, a suo stesso dire, «dove la vita non è normale perché tutto e tutti galleggiano e dove i riflessi sono più belli di quelli dei grandi artisti»- a curiosi e amanti delle Avanguardie novecentesche.
L’occasione è una mostra di scultura contemporanea, nella quale Peggy Guggenheim espone i lavori di venti artisti da lei molto amati o selezionati dal critico d’arte e articolista Giuseppe Marchiori, passato alla storia come il fondatore del Fronte nuovo delle arti, movimento a cui parteciparono, fra gli altri, Emilio Vedova, Giuseppe Santomaso, Renato Guttuso ed Ennio Morlotti.
«Testa e conchiglia» («Tête et coquille») di Jean Arp, «Uccello nello spazio» («L'Oiseau dans l'Espace») di Constantin Brancusi e «Piazza» di Alberto Giacometti sono le tre opere che Karole P. B. Vail ha scelto per raccontare quella prima mostra veneziana di Peggy Guggenheim, nella quale viene esposto anche il bozzetto in gesso della scultura equestre «L’angelo della città» (1948) di Marino Marini, la cui versione in bronzo, di fusione successiva alla mostra del 1949, campeggia oggi sulla terrazza del palazzo prospiciente il Canal Grande.
Tra le prime rassegna della ricca collezionista americana in Laguna viene, inoltre, ricordata lungo il percorso espositivo a Palazzo Venier dei Leoni quella dedicata, nell’estate del 1950, a Jackson Pollock. Nell’Ala napoleonica del Museo Correr arrivano ventitré opere dell’artista, alla sua prima personale fuori dai confini americani. Ci sono anche dieci dipinti a colatura e quel linguaggio astratto, assolutamente inedito per l’Italia, lascia sgomento il pubblico, la critica e i tanti artisti nostrani che accorrono a Venezia alla ricerca di novità. Tra le opere in mostra, allora e oggi, ci sono due capisaldi come «Foresta incantata» («Enchanted Forest») e «Alchimia» («Alchemy»), un lavoro che è stato recentemente oggetto di restauro facendo emergere un progetto di lavoro razionale nella stesura dei colori, un sistema di contrappunti e simmetrie, in cui le linee rette si bilanciano con quelle curve, i colori brillanti con i colori opachi, il nero con l’argento, il blu con il rosso.
Fresca di restauro da parte dell’Opificio delle Pietre Dure e Laboratori di Restauro di Firenze è anche «Scatola in una valigia» («Boîte-en-Valise»), realizzata da Marcel Duchamp nel 1941. Raramente visibile al grande pubblico per la sua delicatezza, cosa che rende ancora più preziosa la mostra a Palazzo Venier dei Leoni, il lavoro, pensato proprio per la collezionista americana, è il primo di un’edizione deluxe di venti valigette da viaggio di Louis Vuitton, che raccolgono ciascuna sessantanove riproduzioni e miniaturizzazioni di celebri lavori del poliedrico e dissacrante artista francese.
Ad affiancare i grandi maestri dell’Espressionismo astratto, ci sono in mostra anche due donne artiste, testimonianza del sostegno che la collezionista non fece mai mancare alle figure femminili dell’arte, in quegli anni meno considerate dal mercato rispetto ai colleghi maschi. Si tratta di Grace Hartigan e Irene Rice Pereira. Della prima è visibile «Irlanda», le cui tonalità terrose alludano all’ambiente urbano di Dublino, dove si trova la dimora d’origine dell’artista. Della seconda è esposta «Riflessi», una composizione in vetro e tecnica mista.
La mostra veneziana prende, poi, in esame il sostegno che la mecenate americana offrì agli artisti italiani attivi dalla fine degli anni Quaranta e, nelle ultime sale, il suo interesse per la pittura e la scultura inglese degli anni Cinquanta e Sessanta, per l’Arte optical e cinetica degli anni Sessanta, e per il gruppo CoBrA. Ecco così scorrere lungo le pareti lavori come la tempera d’uovo su tela «Immagine del tempo» («Sbarramento») di Emilio Vedova, «Composizione» di Tancredi Parmeggiani, artista per cui Peggy Guggenheim organizza una mostra nel 1954, e l’olio su sabbia «Avvenimento #247» di Edmondo Bacci, pittore veneziano a cui viene dedicata un’intera sala alla Biennale del 1958, con catalogo introdotto da una prefazione della stessa collezionista. E poi, ancora, si possono ammirare, procedendo per exempla, «Sopra il bianco» («Above the White») di Kenzo Okada, «Deriva No 2» di Tomonori Toyofuku e «Il tamburino d'oro n. 2» («The Golden Drummer Boy No. 2») dell’inglese Alan Davie.
A Palazzo Venier dei Leoni sono, inoltre, eccezionalmente esposti per la prima volta al pubblico una serie di scrapbooks: preziosi album in cui la collezionista raccolse meticolosamente articoli di giornali, fotografie e lettere, grazie ai quali è possibile scoprire episodi inediti della sua vita di appassionata filantropa. Tra i tanti pezzi giornalistici c’è ne è uno scritto per «L’Europeo» dalla penna graffiante di Camilla Cederna: «Venezia sopravviverà alla signora Guggenheim. La moda dell’arte suprematista passerà come le altre». Non è stato così. Il mito di Peggy resiste al tempo, le opere della sua collezione entrano nei manuali di storia dell’arte. Chapeau! 

Didascalie delle immagini
[fig. 1] Peggy Guggenheim in gondola, Venezia, 1968. Photo Tony Vaccaro / Tony Vaccaro Archives; [fig. 2] Peggy Guggenheim seduta sul trono nel giardino di Palazzo Venier dei Leoni, Venezia, anni Sessanta. Photo Roloff Beny / courtesy of Archives and National Archives of Canada; [fig.3] Kenzo Okada, «Sopra il bianco», 1960; olio su tela, 127,3 x 96,7 cm; Venezia, Collezione Peggy Guggenheim); [fig. 4] Francis Bacon, «Studio per scimpanzé», marzo 1957; olio e pastello su tela, 152,4 x 117 cm; Venezia, Collezione Peggy Guggenheim. © The Estate of Francis Bacon. All rights reserved, by SIAE 2019; [fig. 5] René Magritte, «L’impero della luce» (L’Empire des lumières), 1953–54; olio su tela, 195,4 x 131,2 cm; Venezia, Collezione Peggy Guggenheim. © René Magritte, by SIAE 2019; [fig. 6] Emilio Vedova, «Immagine del tempo (Sbarramento)», 1951; tempera d’uovo su tela, 130,5 x 170,4 cm; Venezia, Collezione Peggy Guggenheim. © Fondazione Emilio e Annabianca Vedova

Informazioni utili
Peggy Guggenheim. L'ultima dogaressa. Collezione Peggy Guggenheim, Dorsoduro 701 - Venezia. Orari: mercoledì-lunedì, dalle ore 10.00 alle ore 18.00 | La biglietteria chiude alle ore 17.30 | Il museo è chiuso tutti i martedì e il 25 dicembre. Ingresso: intero € 15,00, ridotto (incluso senior oltre i 65 anni) € 13,00, ridotto (Incluso studenti fino a 26 anni) € 9,00, gratuito per bambini fino a 10 anni, soci. Informazioni: tel. 041.2405440/419, info@guggenheim-venice.it. Sito internet: www.guggenheim-venice.it. Fino al 27 gennaio 2020

giovedì 10 ottobre 2019

Alda Merini e Alberto Casiraghy, storia di un'amicizia tra versi e disegni

Racconta uno speciale sodalizio intellettuale e umano, legato a doppio filo dall’amore per i libri e l’arte, la mostra allestita alla Casa Museo Boschi Di Stefano a Milano, per la curatela del librario antiquario Andrea Tomasetig.
Protagonisti di questo racconto, allestito al piano nobile del museo, sono la poetessa Alda Merini, di cui il prossimo 1° novembre ricorrono i dieci anni dalla morte, e il tipografo-poeta-artista-editore brianzolo Alberto Casiraghy, instancabile sperimentatore nel campo della grafica e della tipografia, conosciuto nel mondo per aver pubblicato usando la stampa a mano con caratteri mobili, la pregiata carta hahnemuhle prodotta in Germania e cordicelle per tenere insieme i vari fogli.
Del legame tra i due artisti resta una grande testimonianza in quei librini editi in poche preziose copie, tra le quindici e le trentatré ciascuno, confluiti nel catalogo della casa editrice Pulcinoelefante di Osnago, nel Lecchese.
Si tratta di millecentoottantanove volumetti, prodotti in un arco di tempo che va dal 1992 al 2009, per i quali Alda Merini ha scritto aforismi o brevi poesie e che Alberto Casiraghy ha dato alle stampe, spesso creando appositamente anche un’opera grafica.
Di quel prezioso insieme di librini ne sono stati selezionati per la mostra -che vede tra i promotori l’assessorato alla Cultura del Comune di Milano e il teatro Elfo Puccini- oltre un centinaio.
Documenti, fotografie e oggetti che raccontano l’anima estrosa della poetessa come una statuetta di Biancaneve, un mazzo di rose di plastica con la rugiada e una collana portafortuna di peperoncini vanno a completare il percorso espositivo, il cui originale allestimento è firmato da Cristiana Vannini.
L’architetto e designer, toscana di nascita e milanese di adozione, ha creato, nelle sale della quadreria al secondo piano, un’ambientazione molto suggestiva, che vede i librini gremire i ripiani in ordine sparso, legati tra loro da una sottile trama di fili elastici, una sorta di gabbia concettuale da cui emerge la forza della libertà poetica e artistica di Alda Merini e Alberto Casiraghy.
La mostra, significativa nelle dimensioni e intensa nel contenuto, si articola in sei sezioni: «Poesie», «Aforismi», «Alda e Alberto», «Il mondo di Alda», «Amici artisti», «Cimeli». Sono sei tappe di un viaggio che racconta come due persone diverse caratterialmente -lei audace e psichicamente instabile, lui riservato ed elitario-, possano dar vita a qualcosa di unico e inestimabile quando ad unirli è il fuoco di una grande passione per «la gioia del bello» e la scrittura.
Sono nati così piccoli capolavori editoriali, che sembrano giochi tra persone di cultura, quella vera, e che oggi sono pezzi da collezione.
Camminando nel museo milanese, sembra quasi di vederla Alda Merini che prende in mano il suo telefono e chiama, anche più di una volta al giorno, l’amico Alberto per dettargli le sue poesie, opere brevi per necessità tipografiche, che spiccano per la loro potenza lirica e rimandano alla poesia greca, in un universo fatto di spiritualità e carnalità, di fame d’amore intessuta di ricordi e dolore.
Non meno affascinanti sono gli aforismi della scrittrice: anticonvenzionali, dissacranti, estremi, i cui temi spaziano dalla follia alla poesia, dall’eros alla vita e alla morte.
Alda Merini ne scrive due o tre per volumetto e Alberto Casiraghy li rende ancora più preziosi con i suoi contrappunti grafici, tra surrealismo e magiche astrazioni.
Ma la scrittrice vede in campo per le sue opere anche tanti altri artisti: da Ugo Nespolo a Sergio Dangelo, da Lucio Del Pezzo a Mario De Biasi, solo per citarne alcuni.
Non meno interessante è il rapporto della poetessa -documentato in mostra- con molti intellettuali del tempo come Dario Fo, Enrico Baj e Bruno Munari, ma anche Vincenzo Mollica, Giorgio Gaber, Roberto Vecchioni e Fabrizio De André, senza dimenticare Vanni Scheiwiller, alla cui memoria la Merini dedica più di un librino.
All’interno di un’amicizia durata oltre vent’anni non potevano mancare poesie e aforismi per Alberto Casiraghy. Sono testi affettuosi, complici, ironici, che vanno dalla consapevolezza di un’affinità elettiva fino all’autoironia estrema con quel «per il matto di Osnago darei la mia follia», che fa sorridere e pensare. È giocosa anche la fotografia del bibliofilo Giorgio Matticchio, che ritrae i due artisti insieme e che ne racconta la grande complicità, quella che porta la Merini a citare l’amico nel suo testamento: «Ad Alberto Casiraghy delego la chiusura della mia tomba».
La mostra, che prevede anche la presentazione del catalogo delle edizioni Merini-Casiraghy in edizione limitata, offre, inoltre, l’occasione per presentare l’archivio delle oltre diecimila edizioni Pulcinoelefante.
«Non finisce di stupire -raccontano gli organizzatori- l’elenco degli autori e degli artisti coinvolti e il felice stato di grazia che assiste l’editore brianzolo da quasi quarant’anni con continue invenzioni grafiche e tipografiche, che fanno di lui, nella molteplice veste di tipografo-grafico-autore-editore-pedagogo, l’erede più vicino di Bruno Munari».
Riflettere sull’ampio catalogo Pulcinoelefante, in cerca di una casa definitiva, fa dire che aveva proprio ragione Vanni Scheiwiller a definire quei libretti dalla linea inconfondibile «miniedizioni per libridinosi» o «ghiottonerie per spiriti liberi». Liberi come Alda Merini, espressione di quel coraggio tutto femminile di rimanere sempre se stesse nonostante tutto e tutti. Liberi come Alberto Casiraghy, che ha fatto proprio, anche a costo di sacrifici, un consiglio greco: fai fiorire la tua areté, la tua virtù, «diventa ciò che sei».

Didascalie delle immagini 
[Fig. 1] Alda Merini e Alberto Casiraghy. © Matticchio; [fig. 2] Alda Merini, «Breve storia del Pulcinoelefante», 1994. Con un’opera di Alberto Casiraghy. Copertina librino; [fig. 3] Alda Merini, «Il Paradiso», 2004. Con un disegno di Arnoldo Mosca Mondadori. Dettaglio; [fig. 4] Alda Merini, «Aforismi per matti», 2001. Con un disegno di Jgor Ravel (pseudonimo di Alberto Casiraghy). Copertina librino; [fig. 5] Alda Merini, «Parole», 2007. Grafica di Luigi Mariani 

Informazioni utili 
Alda Merini e Alberto Casiraghy. Storia di un’amicizia. Casa Museo Boschi Di Stefano, Via Giorgio Jan 15 – Milano. Orari martedì-domenica, ore 10.00-18.00; lunedì chiuso. Ingresso gratuito. Informazioni: tel. 02.88463736, c.casaboschi@comune.milano.it. Uffici stampa: info@irmabianchi.it ed elenamaria.conenna@comune.milano.it. Fino al 10 novembre 2019.

mercoledì 9 ottobre 2019

Giornate Fai d’autunno, dall’«ermo colle» di Leopardi al borgo umbro di Macerino: settecento luoghi da visitare

Aveva ventun’anni Giacomo Leopardi quando a Recanati, nelle Marche, scriveva i versi immortali della sua poesia più conosciuta: «L’Infinito». Da allora sono trascorsi duecento anni e l’«ermo colle», decantato dallo scrittore, è da poco diventato uno dei luoghi italiani tutelati dal Fai – Fondo per l’ambiente italiano.
L’inaugurazione -raccontano dalla fondazione- «ci ha guidato in una necessaria, profonda messa a fuoco di quale fosse lo stato d’animo del giovane poeta su quel colle, in quell’orto, nella profonda riflessione del suo rapporto con l’infinito: lo stesso stato d’animo che alberga nei giovani d’oggi, che con la medesima speranza volgono lo sguardo a un futuro che sognano migliore, affidandosi come Leopardi all’immaginazione, attimo perfetto di abbandono e felicità, che si trasforma nel motore propulsivo dell’agire energico ed entusiasta delle nuove generazioni».
Da questa considerazione è nata l’idea di dedicare proprio allo scrittore recanatese l’ottava edizione delle Giornate Fai d’autunno, in programma sabato 12 e domenica 13 ottobre, che vedono proprio nei giovani, iscritti al fondo o aspiranti ciceroni delle scuole di ogni ordine e grado, il loro cuore pulsante.
Tre sono i luoghi leopardiani aperti per questa due giorni di cultura, che da sempre attira un gran numero di persone: l’orto sul colle dell’Infinito, il Parco Vergiliano a Napoli, dove le spoglie del poeta sono state traslate nel 1939 dalla Chiesa di San Vitale a Fuorigrotta, e la Chiesa di sant’Onofrio al Gianicolo a Roma, con la tomba di Torquato Tasso che Giacomo Leopardi considerava tra gli italiani più eloquenti e sulla quale pianse le sue lacrime più profonde.
Ma l’omaggio leopardiano è solo un piccolo frammento del ben più articolato programma delle Giornate Fai d’autunno, che permetteranno di vedere oltre settecento luoghi in tutta Italia, distribuiti in duecentosessanta città e con più di centoquaranta percorsi tematici organizzati. Si tratta di palazzi, chiese, castelli, aree archeologiche, giardini, architetture industriali, bunker e rifugi antiaerei, botteghe artigiane, musei e interi borghi, selezionati -raccontano dall’ente- «perché speciali, curiosi, originali o bellissimi».
«Ricordati di salvare l’Italia» è il tema scelto per questa edizione, come al solito accompagnata da una raccolta fondi, che prevede un contributo facoltativo dai 2,00 ai 5,00 euro per ogni visita, un sms o una telefonata solidale al numero 45584, e la possibilità di abbonarsi per un anno al Fai con una quota agevolata di 29,00 euro.
Ma lo slogan «Ricordati di salvare l’Italia» diventa, in questa edizione, anche un invito a focalizzare l’attenzione sull’emergenza climatica che stiamo vivendo.
Dopo aver aperto, dal 1975 a oggi, trentuno beni e mentre ne sta restaurando altri dodici, anche grazie al contributo dei suoi 190mila iscritti, il Fai punta, infatti, a una nuova sfida. «In un momento storico in cui l’impegno a favore della sostenibilità ambientale e dello sviluppo di una coscienza ecologica è cruciale, il nostro scopo -raccontano ancora dalla fondazione- è duplice: da un lato ci prefiggiamo di ridurre ancora di più le emissioni di CO² dei nostri siti; dall’altro intendiamo mettere a punto un progetto didattico per comunicare ai visitatori le azioni virtuose e ripetibili messe in atto nei beni. Favorendo l’implementazione di tecnologie all’avanguardia e contribuendo alla sensibilizzazione verso questi temi è possibile investire nel futuro dell’arte, della cultura e del paesaggio di questo Paese, che deve proiettarsi in avanti nel rispetto dell’ambiente».
Ma quali sono i luoghi che sarà possibile visitare in questa edizione? Partendo dal cuore d’Italia, a Roma si apriranno le porte del «Palazzaccio», oggi sede della Corte di Cassazione, un edificio in travertino, disegnato dall’architetto Guglielmo Calderini tra il 1888 e il 1910, che si ispira a motivi cinquecenteschi e barocchi, sul cui portone centrale si trova un’opera di Enrico Quattrini: «La Giustizia tra la Forza e la Legge».
La visita del palazzo, solitamente non accessibile se non in occasione dei processi giudiziari, permetterà di scoprire, tra gli altri spazi, le aule penali al secondo piano, l’Aula Magna con pregevoli affreschi di Cesare Maccari e del suo allievo Paride Pascucci sulla storia del diritto romano, l’aula ordinaria, lo studio del Primo presidente della Corte suprema di Cassazione, il cortile d’onore, ad arcate, e la biblioteca.
Sempre nella capitale si potranno vedere il Museo storico dell’Arma dei Carabinieri, e la Caserma dei Corazzieri del Quirinale, sede della guardia d’onore e di sicurezza del Presidente della Repubblica, ospitata in una parte del complesso monastico annesso alla Chiesa di Santa Susanna. Non meno gradita sarà l’apertura straordinaria dell’Avvocatura dello Stato, all’interno dell’ex convento di Sant’Agostino, ristrutturato su progetto di Luigi Vanvitelli a metà del XVIII secolo, che conserva la Biblioteca Angelica con circa centoventimila volumi antichi.
A Milano saranno a disposizione dei visitatori il Rifugio antiaereo di via Spaventa, edificato nel 1940 per offrire riparo ai dipendenti pubblici del servizio idrico cittadino in caso di attacco bellico aereo, e la Casa degli artisti, bell’edificio di impianto razionalista fresco di restauri. Immancabile sarà anche una visita all’headquarter della società immobiliare Coima, nell’edificio ecosostenibile progettato da Mario Cucinella e inaugurato nel 2017, con l’adiacente Biblioteca degli alberi, il terzo parco pubblico della città, disegnato dallo studio olandese Inside Outside | Petra Blaisse e realizzato nell’ambito del progetto urbanistico di Porta Nuova.
Nel Napoletano si potrà entrare nel Real sito di Portici, un gioiello architettonico affacciato sul mare e realizzato a metà Settecento per volere di Carlo di Borbone e della moglie Maria Amalia di Sassonia, che, dopo il trasferimento nella Reggia di Caserta, fu trasformato in residenza estiva e di caccia. La dimora - oggi sede della Facoltà di agraria dell’Università di Napoli Federico II e dei Musei delle Scienze agrarie- comprende due parchi, progettati da Francesco Geri, che vanno dalla costa alle pendici del Vesuvio.
Venezia, invece, attirerà i turisti con l’apertura straordinaria del cinquecentesco Palazzo Dolfin Manin dell’architetto Jacopo Sansovino, edificio affacciato sul Canal Grande, a pochi passi dal Ponte di Rialto, solitamente inaccessibile perché sede della Banca d’Italia.
A Novi Ligure sarà possibile entrare nell’ottocentesco teatro Romualdo Marenco, che, dopo cinquant’anni di chiusura e dopo i restauri, apre in anteprima grazie all’impegno dei giovani del Fai. La platea – progettata da Giuseppe Becchi con l’approvazione del collega Luigi Canonica, massimo esperto di architettura teatrale dell’epoca – ricalca il modello ottocentesco di teatro all’italiana ed è caratterizzata dalla forma a ferro di cavallo e da un alveare di palchi, aperti sulla sala e disposti su diversi piani lungo tre pareti, mentre la quarta è occupata dall’arco di boccascena. La soluzione progettuale affermò la separazione dei ceti sociali con i palchetti riservati alla vecchia aristocrazia e alla borghesia nascente, la platea per la classe meno abbiente e il loggione per il popolo. Tra le particolarità, si segnalano le barcacce, i palchetti a lato del palcoscenico che furono progettati in modo che potessero essere chiusi da pannelli in legno decorati e mobili per consentire ai proprietari di assistere allo spettacolo senza essere visti. Alle decorazioni lavorarono artisti di area genovese come Giovanni Battista Cevasco (1817-1891), che ha scolpito la testa di giano sulla porta d’accesso alla platea, le cariatidi del palco reale e i decori nel boccascena.
In Umbria si apriranno le porte di Macerino, un borgo collinare di origine romana, che nell’XI secolo era capitale delle terre Arnolfe, al centro del territorio dei monti Martani, sulla strada di comunicazione tra Acquasparta e Spoleto. Le Giornate Fai d’autunno permetteranno così un’immersione nel Medioevo, tra le case e le vie di un paese ormai praticamente disabitato nei mesi invernali che vive di un turismo estivo di provenienza perlopiù inglese e danese. Circondato da mura, ancora ben conservate, con quattro torri angolari, il borgo ha edifici di grande pregio come Palazzo Massarucci, la Pieve di San Biagio e la Chiesa di San Giovenale, con con affreschi del XVII secolo e un «San Francesco in estasi» di scuola umbra (XIII secolo).
Mentre a Prato sarà aperta la fabbrica tessile Lucchesi, che custodisce al suo interno le mura trecentesche della città; a Padova la Fabbrica Fratelli Ruffatti, che dal 1940 produce organi a canne esportati in tutto il mondo e che sarà visitabile eccezionalmente con l’accompagnamento dei proprietari.
Ma gli itinerari suggeriti dal Fai per questo fine settimana d’autunno sono ancora tanti e possono essere scoperti sul sito internet www.giornatefai.it.
La cura del colle di Giacomo Leopardi, l’attenzione all’ecosostenibilità, l’impegno ambientale con la relativa preoccupazione per la finitezza delle risorse disponibili sul pianeta, la difesa di borghi che vanno verso lo spopolamento e la tutela dei beni artistici del nostro Paese sono, dunque, i tanti fili rossi di una manifestazione all’insegna della bellezza, artistica e naturale: un atto d’amore per il nostro territorio e e un modo per esercitare il proprio ruolo di cittadini attivi.

Didascalie delle immagini
[fig. 1] Milano, COIMA Headquarter © COIMA; [fig. 2] Portici (NA), Reggia - Foto di Eliano Imperato © FAI - Fondo Ambiente Italiano; [fig. 3] Roma, Biblioteca Angelica - Foto Giovanni Formosa ©FAI; [fig. 4] Roma, Palazzaccio - Foto Giovanni Formosa ©FAI; [fig. 5] Santa Teresa di Gallura, Faro di Capo Testa © Marina Militare; [fig. 6] Venezia, Palazzo Dolfin Manin © FAI - Fondo Ambiente Italiano; [fig. 7] Cosenza, BoCs Art - Foto di Salvatore Paravati © FAI - Fondo Ambiente Italiano 

Informazioni utili 
www.giornatefai.it | www.fondoambiente.it | tel. 02.467615399