ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

mercoledì 19 maggio 2021

«Time Out»: una mostra virtuale su Robert Breer, il pioniere del cinema sperimentale

Si può visitare anche on-line la mostra personale «Time Out», a cura di Vincenzo de Bellis e Micola Brambilla, che la Fondazione Antonio Dalle Nogare di Bolzano dedica a Robert Breer( Detroit, Michigan, USA, 1926 – Tucson, Arizona, USA, 2011), pioniere nelle tecniche di animazione e tra gli autori più innovativi nel cinema sperimentale.
Dai primi anni Cinquanta del Novecento al 2011, anno della morte, l’artista americano ha sempre eluso etichette formali, stilistiche e concettuali, focalizzandosi su una ricerca libera, ma allo stesso tempo estremamente coerente. Ha portato avanti sperimentazioni diverse, dalla pittura astratta al Fluxus, dal Pop al Minimalismo, senza però mai legarsi definitivamente ad alcuno di questi movimenti.
Attraverso la selezione di più di sessanta opere, la mostra esplora i principali temi che percorrono l’arte di Robert Breer, dalla pratica pittorica a quella filmica, per dare, infine, spazio a una corposa selezione di disegni e sculture.
In questo modo la rassegna, che ritorna visitabile in presenza dal 7 maggio per i possessori del Coronapass  e che è stata prorogata al 17 luglio, esplora l’approccio formale e concettuale con cui l’artista si è confrontato per oltre sessant’anni, celebrando l’eterogeneità che caratterizza la sua ricerca. La tensione che emerge tra immagine in movimento e immagine statica rivela una costante riflessione sulla possibilità di catturare il tempo, confondendo i confini tra rappresentazione astratta e figurata, movimento e staticità, oggetto e soggetto, nell’intento di mettere alla prova i limiti della nostra percezione.
La mostra virtuale permette di vedere l'intero corpus di opere in mostra a Bolzano, ma anche di approfondirne i contenuti con le audioguide in triplice lingua - italiano, inglese e tedesco -, realizzate dal personale di mediazione che opera all'interno del museo. Per l'occasione, inoltre, è stata pubblicata un'intervista video tra Vincenzo de Bellis, direttore artistico e curatore della fondazione, e Nathalie Boutin, della galleria gb agency, con base a Parigi, che svela interessanti retroscena sulla vita e sull'opera dell'artista sperimentale. Nella mostra virtuale è presente anche un estratto di un minuto del film «Form Phases IV» (1954), considerato uno dei più importanti dell'artista, e un contributo audio della co-curatrice Micola Brambilla.
Figlio di un ingegnere della Chrysler Corporation, Breer inizialmente studia ingegneria per passare poco dopo alla facoltà di arte della Stanford University (California), di cui è uno dei primi studenti. Trascorre gli anni Cinquanta a Parigi, dove sviluppa una geometria visiva ispirata al neo-plasticismo di Piet Mondrian (1872-1944), ma allo stesso tempo profondamente innovativa e orientata all’idea di uno «spazio elastico».
I dipinti esposti, tra cui «Time Out» (1953) – da cui è tratto il titolo della mostra – «Three Stage Elevator» (1955) e «Composition aux trois lignes» (1950), rivelano un’interpretazione dell’astrazione che si distanzia dalla purezza formale di Mondrian, a favore di elementi irregolari e linee fluttuanti che alludono al movimento.
Poco dopo l’esordio come pittore Breer elabora – a partire dal suo primo film «From Phases I» (1952) – l'idea di un cinema che consista in una sequenza di molteplici immagini, estranee l'una dall'altra, che sia diretta conseguenza dell’idea di movimento presente nei suoi dipinti. Attraverso la sperimentazione con varie tecniche di animazione tra cui i flipbook (di cui cinque esemplari sono esposti in mostra), Breer realizza il desiderio di dare fisicità al movimento in modo che questo sia vissuto in tempo reale dallo spettatore.
In film come «Recreation» (1956), «A Man and His Dog Out for Air» (1957), «69» (1968), «Fuji» (1974) e «Swiss Army Knife With Rats and Pigeons» (1980), lo spettatore è bombardato da oscillazioni di linee, colori, lettere, forme astratte e immagini che saltano e lampeggiano, appaiono e scompaiono, creando quella che Breer definiva «un’aggressione della retina».
Con l’iniziale aiuto di Jean Tinguely (1925 - 1991), Breer comincia a realizzare negli anni Cinquanta una serie di «pre-cinematic objects». Espone prima a Parigi, poi a New York negli anni Sessanta, i «Mutoscopes». Questi dispositivi cinematografici rudimentali presentano una sequenza di singole immagini disposte su un rullo e – fatti scorrere alla velocità desiderata – mostrano allo spettatore la fenomenologia del movimento che si rivela nella sua origine e nel suo sviluppo.
A partire dagli anni Sessanta Breer inizia la produzione di un altro importante corpus di opere, i «Floats», sculture di diverse dimensioni, materiali e forme, che come descritto nel titolo della serie, fluttuano nello spazio. Esse sono la rappresentazione tridimensionale delle forme astratte e anti-narrative che caratterizzano la sua precedente ricerca pittorica e soprattutto cinematografica. Queste forme semplici – che sembrano alludere con ironia al Minimalismo – si muovono liberamente nello spazio, a una velocità quasi impercettibile e cambiano traiettoria in caso di collisione.
L’ambiente circostante si aggiorna e si modifica continuamente, mentre le forme si scontrano e cambiano direzione. Opere come «Switz» (1965), «Borne» (1967), «Porcupine» (1967), «Float» (1970) e «Tambour» (1972) circondano lo spettatore, come fossero presenze animate e, rivelando gradualmente il proprio movimento, agiscono sulla percezione dell’istante e della presenza dei nostri corpi nello spazio fisico che ci circonda.
Una selezione di numerosi disegni racconta lo studio attento e meticoloso che l’artista dedica alla composizione e alla creazione di un sistema di associazioni nella fase che precede la realizzazione di film e sculture. I disegni offrono così allo spettatore la possibilità di esplorare ogni possibile interazione tra forme e colori e di soffermarsi a osservare quei dettagli che nei film scorrono troppo veloci per essere colti.
Le diverse anime che compongono l’opera di Robert Breer sono raccolte in mostra con l’intento di celebrare la profondità e la complessità di una ricerca visionaria e di raccontare un’indagine costante sul concetto di tempo, che – come suggerisce il titolo della mostra – vive sospeso, al limite tra il reale e l’astratto, tra la fissità e il movimento, tra la magia del fenomeno e l’assoluto.

Didascalie delle immagini 
[Fig. 1] Robert Breer, Three Stage Elevator, 1955. Huile sur toile, encadrée / Oil on canvas, framed / Olio su tela, incorniciato. 153 x 116 x 3,5 cm.
Signé et daté au dos / Signed and dated at the back / Firmato e datato sul retro. Courtesy Kate Flax, gb agency, Paris; [fig.2] Robert Breer, Float, 1970, Sculpture motorisée / Motorized sculpture / Scultura motorizzata. Coque en résine, moteur, roues et batterie / Resin coating, motor, wheels and battery / Rivestimento in resina, motore, ruote e batteria. 183 (h) x 180 cm (diam). Courtesy Kate Flax, gb agency, Paris; [fig. 3] Robert Breer, Borne, 1966-67. Sculpture motorisée / Motorized sculpture / Scultura motorizzata. Polystyrène peint, roues, moteur / Painted styrofoam, wheels, motor / Polistirolo verniciato, ruote, motore. 142 x 18 x 18 cm. Pièce unique / Unique piece / Pezzo unico. Courtesy Kate Flax, gb agency, Paris; [fig. 4] Robert Breer, Tucson #1, 2009. Sculpture motorisée / Motorized sculpture / Scultura motorizzata. 45 x 27,5 x 33,5 cm. Pièce unique / Unique piece / Pezzo unico. Courtesy Kate Flax, gb agency, Paris; [fig. 5] Robert Breer, Float, 1972. Sculpture motorisée / Motorized sculpture / Scultura motorizzata. Résine, peinture, bois, moteur, roues et batteries / Resin, paint, wood, motor, wheels and battery / Resina, vernice, legno, motore, ruote e batteria. 50 (h) x 100 (diam) cm. Pièce unique / Unique piece / Pezzo unico. Courtesy Kate Flax, gb agency, Paris

Informazioni utili 
«Time Out». Mostra persona di Robert Breer.Fondazione Antonio Dalle Nogare, Rafensteiner Weg, 19 – Bolzano. Informazioni: tel. 0471.971626. Sito internet: fondazioneantoniodallenogare.com. Orari d'apertura: da martedì a giovedì su prenotazione, venerdì, ore 17.00 - 19.00 con visita guidata gratuita alle ore 18.00, sabato 10.00 - 18.00 con visita guidata gratuita alle ore 11.00. Per accedere al museo è necessario essere in posso del coronapass. Tutte le info in merito al coronapass sono reperibili al link https://www.provincia.bz.it/sicurezza-protezione-civile/protezione-civile/corona-pass.aspLa mostra sarà visibile anche in presenza fino al 17 luglio 2021 

martedì 18 maggio 2021

«Reset», la open call per fotografi e ricercatori sui cambiamenti della società

Tratta il tema della rigenerazione umana e urbana la open call «Reset. Sistema Festival Fotografia racconta la società contemporanea», rivolta a fotografi, ricercatori e curatori, italiani o residenti in Italia. 
Un lavoro fotografico, un saggio o un testo critico che illustri la complessità morfologica, economica e culturale del nostro Paese e che descriva i cambiamenti della nostra società è quanto ricerca il bando, lanciato dalla rete dei più importanti festival italiani dedicati all’immagine, ovvero il Fotografia europea di Reggio Emilia, il Cortona On The Move, il Si Fest di Savignano sul Rubicone, il Festival della Fotografia etica di Lodi e il Photolux Festival di Lucca.
«Le attuali forme di aggregazione delle comunità, i mutamenti indotti dalle nuove tecnologie, i concetti di mobilità evoluta sono solo alcune delle istanze che stanno ridefinendo il concetto stesso di territorio e di relazione tra cittadini», raccontano gli ideatori della open call, indetta nell’ambito del bando «Strategia Fotografia 2020», promosso della Direzione generale creatività contemporanea del Mic - Ministero della cultura.
I progetti, che dovranno pervenire in modalità digitale entro il 9 giugno, sulla piattaforma dedicata (http://www.sistemafestivalfotografia.it/open-call/), saranno giudicati da una commissione scientifica composta da Denis Curti, Alberto Prina, Matteo Balduzzi, Francesca Fabiani, il fotografo e scrittore Aaron Schuman e la giornalista Elisa Medde, managing editor di «Foam Magazine».
Ai vincitori – tre per la call for picture e uno per la call for paper – sarà riconosciuto un premio di tremila euro e saranno destinati una mostra, un catalogo e una serie di attività formative.
Al bando si affiancherà, inoltre, una serie di attività in programma in ciascuno dei cinque festival della rete. Il 22 e 23 maggio, a Reggio Emilia, nel corso delle giornate inaugurali di Fotografia europea, si terrà un convegno che approfondirà i diversi aspetti del tema al centro di «Reset», inserendo l'indagine fotografica all'interno di una più ampia riflessione multidisciplinare e coinvolgendo nel dialogo fotografi, curatori, urbanisti e architetti che si sono occupati di rigenerazione umana e urbana.
Cortona On The Move
accoglierà, il 15 luglio, un momento di alta formazione con professionisti internazionali della fotografia, al quale i quattro vincitori della call avranno accesso gratuito. «L'obiettivo delle giornate a Cortona - sottolinea il direttore del festival, Antonio Carloni - è quello di favorire per i premiati lo sviluppo di una rete di contatti che sia utile alla loro crescita umana e professionale».
Mentre nei suoi tre weekend di apertura (10-12, 18-19, 25-26 settembre), il Si Fest di Savignano sul Rubicone ospiterà la mostra con le opere dei progetti selezionati, negli spazi dell’ex Consorzio di Bonifica. Per l’occasione, durante le giornate inaugurali (il 10, l’11 e il 12 settembre), sarà presentato il catalogo, edito da Postcart, che raccoglierà i lavori fotografici e il saggio premiato.
In ottobre, poi, al Festival di Fotografia etica di Lodi saranno illustrati i principi dell’Educational program e in particolare il kit digitale composto da un ciclo di lezioni da sviluppare in chiave interdisciplinare, al fine di essere utilizzato dagli insegnanti del territorio nazionale con la mediazione del personale didattico dei festival.
Infine, durante il Photolux Festival di Lucca, in programma a ottobre, una tavola rotonda, alla quale parteciperanno i cinque direttori artistici del Sistema Festival Fotografia, insieme ai membri della giuria e ai referenti delle istituzioni e manifestazioni internazionali coinvolte, analizzerà il percorso fatto e i risultati raggiunti, gettando le basi per il lavoro dell’anno successivo, per continuare a raccontare il nostro mondo che cambia.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Cortona On The Movie. Foto di Alessia Manti; [fig. 2] Si Fest. Foto di Margherita Cenni; [fig. 3] Fotografia europea. Foto di Renza Grossi; [fig. 4] Festival di fotografia etica. Foto di Miki Golden
 

Informazioni utili 
Sito Internet: http://www.sistemafestivalfotografia.it/. Facebook: @SistemaFestivalFotografia. Instagram: @sistemafestivalfotografia. Youtube: Sistema Festival Fotografia. Per saperne di più sui social: #sistemafestivalfotografia | #reset | #DGCC | #CreativitaContemporanea | #StrategiaFotografia2020 | #SF_2020

lunedì 17 maggio 2021

Da Photology una mostra on-line su Gianfranco Gorgoni, il fotografo della Land art

Ha fotografato buona parte dell’arte del secondo Novecento. Ci ha lasciato scatti memorabili di Jean-Michel Basquiat, Andy Warhol, Roy Lichtenstein, Keith Haring e John Chamberlain. Gianfranco Gorgoni (Roma, 24 dicembre 1941 – New York, 11 settembre 2019), fotografo abruzzese scomparso prematuramente nel settembre 2019, è al centro della nuova mostra virtuale di Photology, galleria che lo scorso 2 settembre, in risposta alla pandemia da Covid, che rende sempre più difficile la programmazione nei luoghi della cultura, ha lanciato la sua nuova piattaforma 3D, con un sistema di navigazione semplice e intuitivo che permette agli utenti di muoversi all’interno di uno spazio virtuale, ma allo stesso tempo del tutto realistico. I lavori esposti nei virtual tour di Photology possono essere ingranditi, guardati nei dettagli e visti da varie angolazioni; i testi, i contributi video e gli apparati informativi sono inseriti nel contesto espositivo per una omogeneità di informazione.
«Gorgoni Art U.S.A.»
, questo il titolo della nuova esposizione, è un doveroso omaggio a Gianfranco Gorgoni, artista del quale ricorre quest’anno l’ottantesimo anniversario della nascita e che nel corso del 2021 sarà celebrato dal Nevada Museum of Art con un focus sulle sue opere legate alla Land Art, al centro nel 2019/2020 anche del progetto «Photology Air», il primo parco per l’arte contemporanea fotografica in Sicilia, aperto nel 2018 a Noto all’interno della Tenuta Busulmone.
Nato a Roma nel 1941 nel 1986, all’età di ventisette anni, Gianfranco Gorgoni si trasferisce negli Stati Uniti, a New York, e da qui inizia, immortalando sulla pellicola gli spettacoli dei teatri sperimentali contemporanei come l’Open Theatre e il Living Theatre, il suo «corpo a corpo» col mondo della fotografia, con particolare attenzione alle nuove dinamiche sociali americane legate al mondo dei giovani e dell’arte.
Autore di immagini memorabili, la sua attività di foto-giornalista internazionale lo porta a lavorare nelle aree più a rischio del mondo: Iran, Iraq, Nicaragua, Libano, Pakistan, India, Afghanistan, Isole Faulkland, Giappone e Cina. Collabora con diversi magazine internazionali, quali «L’Espresso», il «New York Times», «Life», «Newsweek», che ne hanno riconosciuto l’unicità delle sue fotografie, capaci di immortalare le figure più rappresentative del secolo scorso, dal presidente Jmmy Carter a papa Karol Wojtyla, da Fidel Castro a Salvador Allende.
Nel 1969 Gianfranco Gorgoni attraversa l’America coast-to-coast a bordo di una vecchia Pontiac acquistata per 99 dollari e realizza un reportage sulle comuni hippies. Sulla via del ritorno decide di fermarsi a Woodstock in occasione del concerto rock più famoso della storia. Lì scatta, sul palco, delle foto indimenticabili, come quella a Jimi Hendrix, che finiscono sul mensile tedesco «Twen» e su «L’Espresso».
Importantissimo nella sua vita è l’incontro con il gallerista newyorkese Leo Castelli, che gli permette di conoscere e lavorare con gli artisti americani più importanti del XX secolo, come Andy Warhol, Richard Serra, Keith Haring, Robert Rauschenberg e James Rosenquist.
Leo Castelli affianca Gianfranco Gorgoni anche nel suo progetto sulla nuova avanguardia, che lo porterà a diventare il principale testimone del movimento della Land Art negli sconfinati paesaggi dei deserti non antropizzati americani, espressione del disagio degli artisti nei confronti dell’artificialità e della commercializzazione dell’arte, nonché dell’esigenza rivoluzionaria verso una nuova forma d’arte che porta alla scoperta e all’accettazione del non possesso dell’opera prodotta.
Nel 1976 fonda con altri fotografi l’Agenzia Contact, mentre nel 1985 esce il suo libro «Cuba Mi Amor», con una prefazione scritta da Gabriel Garcia Marquez e un testo di Fidel Castro.
A partire dalla fine degli anni Sessanta, Gianfranco Gorgoni immortala i principali artisti della Land Art anche durante l’esecuzione delle loro stesse opere, da Christo a Walter De Maria, da Michael Heizer a Nancy Holt, da Richard Serra a Robert Smithson. La progettazione di lavori monumentali in territori aperti e solitari, idealmente visibili dallo spazio, è spesso realizzata a quattro mani con il fotografo abruzzese, proprio per poter costruire nel modo più efficace possibile una «memoria» fotografica, l’unica traccia concreta di quei lavori performativi effimeri.
Non si può dimenticare in anni più recenti la collaborazione con Ugo Rondinone e altri giovani artisti che rendono Gianfranco Gorgoni una vera e propria icona fotografica della storia dell’arte contemporanea della seconda metà del Novecento.
A questi maestri della Land Art americana, sono dedicate due sezioni della mostra «Gorgoni Art U.S.A.». In particolare, «Special Outdoor Editions» è frutto di un lavoro di ricerca da parte del fotografo abruzzese nel campo dei materiali anti-UV in alta definizione e stampati direttamente su D-Bond. Queste opere dal valore scultoreo per peso e dimensioni possono, quindi, essere esposte, una volta acquisite, anche all’aperto in condizioni metereologiche estreme.
Tra le opere in mostra ci sono quelle dedicate alla celebre «Spiral Jetty» di Robert Smithson, alla «Seven Magic Mountains» di Ugo Rondinone e alla nota «Running Fence» di Christo, una recinzione continua, tesa da Est a Ovest per quasi quaranta chilometri tra alcuni declivi della campagna californiana, a nord di San Francisco.
Nota di pregio va, poi, riservata alla sezione della mostra intitolata «Vintage Prints», che allinea una selezione di stampe uniche e realizzate da Gianfranco Gorgoni al momento dello sviluppo dei negativi in bianco e nero: dalla celebre foto che immortala Keith Haring nell’atto di scavalcare una rete metallica di fronte al Queens Bridge (1985) a quella di Richard Serra che lavora nel magazzino newyorkese di Leo Castelli (1970), senza dimenticare l’immagine di Robert Rauschenberg rilassato nella piscina della casa di Le Corbusier’s (Hamedabad, India 1975) o quella di Andy Warhol sul suo letto o, ancora, la serie «Land Art – Michael Heizer ‘Motorcycle drawing’ Dry Lake» (Nevada 1970), composta da sei fotografie. Il tutto potrà essere visto fino al prossimo 31 maggio

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Gianfranco Gorgoni - Ugo Rondinone, Seven Magic Mountains - Sunrise 2016, dry Lake, Nevada 2016-18; [fig. 2] Gianfranco Gorgoni - Ugo Rondinone, Seven Magic Mountains, 2016; [fig. 3] Gianfranco Gorgoni, Jean-Michel Basquiat,  NYC 1983; [fig. 4]  Gianfranco Gorgoni, Andy Warhol on his bed, NYC 1971; [fig. 5] Gianfranco Gorgoni - Christo _ Jeanne Claude, Surrounded Island 1983, Portrait, Biscayne Bay, Miami, Florida, 1983-2018; [fig. 6] Gianfranco Gorgoni, Richard Serra working at Castelli warehouse in Harlem preparing a show for Leo, NYC 1970

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