ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

martedì 30 novembre 2021

Tutankhamon, Botticelli, Leonardo, Rembrandt: la «grande arte» torna al cinema

Artisti dalle vite bizzarre, trasgressive e imprevedibili. Quadri dai destini avventurosi. Storie che hanno il sapore della leggenda. Sono questi gli elementi che animano la nuova edizione del progetto «La grande arte al cinema», che vedrà in agenda nei primi mesi del 2022 quattro nuovi titoli, tutti distribuiti da Nexo Digital.
Il viaggio inizierà nella giornata del 24 gennaio con il primo dei tre giorni di proiezione del film «Botticelli e Firenze. La nascita della bellezza», diretto da Marco Pianigiani. Lo spettatore verrà trasportato nella città toscana all’epoca di Lorenzo de' Medici, detto il Magnifico, in pieno Rinascimento. La bellezza che usciva dalle botteghe degli artisti aveva il suo contraltare nelle lotte per il potere e in intrighi di efferata violenza. Un artista, più di tutti, seppe proiettare nelle sue opere, le luci e le ombre di quegli anni indimenticabili: Sandro Botticelli (1445-1510). Dall’esordio sotto l’ala dei Medici, l’artista, raffinato disegnatore e ritrattista rivoluzionario, si impose come l’inventore di una bellezza ideale, che trovò la sua massima espressione in opere come «Primavera» e «Nascita di Venere».
La morte di Lorenzo Il Magnifico, le prediche apocalittiche di Girolamo Savonarola e i falò delle vanità segnarono la parabola discendente del maestro fiorentino, destinato a un oblio di oltre tre secoli. La sua riscoperta da parte dei preraffaelliti diede inizio a un’autentica Botticelli-mania, che dal XIX secolo si protrae fino a oggi. Da Salvador Dalí a Andy Warhol, da David LaChapelle a Jeff Koons e a Lady Gaga, nessuno sembra immune al fascino eterno del maestro fiorentino e delle sue opere, continuamente re-immaginate dagli artisti di ogni sorta, fino a entrare nell’immaginario collettivo.
La programmazione proseguirà dal 21 al 23 febbraio con il documentario «Tutankhamon. L’ultima mostra», diretto da Ernesto Pagano e prodotto da Laboratoriorosso e Nexo Digital. Lo spettatore cinematografico verrà trasportato nell’imponente e misterioso Egitto dei faraoni e scoprirà la storia dell’archeologo ed egittologo britannico Howard Carter che, con ostinazione e passione, scoprì cento anni fa, nel 1922, a Luxor la camera sepolcrale della tomba di una delle figure più leggendarie di quel periodo storico: Tutankhamon. Sul grande schermo sarà possibile ammirare i centocinquanta manufatti che nel 2019 furono esposti prima a Los Angeles e poi in Francia, alla Grande Halle de la Villette di Parigi, per essere, quindi, presentati anche a Londra e in altre sedi museali di tutto il pianeta, in quello che è stato definito il loro «ultimo tour mondiale», prima di trovare una sede stabile al Cairo.
Il film si avvale della collaborazione del fotografo Sandro Vannini e, per la versione italiana, della voce di Manuel Agnelli, frontman degli Afterhours, al quale era già stata affidata in passato la voce dell’io interiore di Caravaggio, in un’altra produzione Nexo.
Si proseguirà, quindi, con la proiezione del film «Leonardo. Il capolavoro perduto» di Andreas Koefoed, presentato in anteprima, con grande successo, alla Festa del cinema di Roma. Il documentario, in agenda dal 21 al 23 marzo, racconta la storia del «Salvator Mundi», il dipinto più costoso mai venduto (450 milioni di dollari la sua quotazione) ritenuto un capolavoro perduto gel genio toscano. 
«Dal momento in cui viene acquistato da una casa d'aste di New Orleans e i suoi acquirenti scoprono magistrali pennellate sotto un restauro a buon mercato, - si legge nella presentazione - il destino del «Salvator Mundi» è guidato da un'insaziabile ricerca di fama, denaro e potere. Ma man mano che il suo prezzo sale, aumentano anche i dubbi sulla sua autenticità. Questo dipinto multimilionario è davvero di Leonardo o semplicemente alcuni uomini di potere vogliono che lo sia? Svelando i piani segreti di alcuni tra i personaggi più ricchi del mondo e di alcune delle più potenti istituzioni artistiche, «Leonardo: il capolavoro perduto» rivela come spesso gli interessi diventino cruciali e la verità solo un elemento secondario. Anche nel mondo dell’arte».
A chiudere la programmazione sarà, dal 9 all’11 maggio, «Il mio Rembrandt» di Oeke Hoogendijk, un mosaico di storie avvincenti in cui la passione sfrenata per i dipinti dell’artista olandese porta a sviluppi drammatici e colpi di scena inattesi. «Mentre – si legge nella sinossi - collezionisti d'arte come Eijk e Rose-Marie De Mol van Otterloo, l'americano Thomas Kaplan e lo scozzese Duca di Buccleuch mostrano il legame speciale che hanno con i ‘loro’ Rembrandt, il banchiere Eric de Rothschild mette in vendita due opere dell’artista, innescando una dura battaglia politica tra il Rijksmuseum e il Louvre. Il film segue anche l'aristocratico mercante d'arte olandese Jan Six sulle tracce di due «nuovi» dipinti di Rembrandt, uno snervante viaggio di scoperta che pare la realizzazione del suo più grande sogno d'infanzia. Ma quando è accusato di avere violato l’accordo con un altro mercante d'arte, il suo mondo collassa». Rembrandt diventa così un espediente per condurre lo spettatore dietro le quinte del mondo dell’arte, facendogli scoprire ciò che si nasconde dietro un quadro appeso.

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lunedì 29 novembre 2021

Dall’antico Egitto al contemporaneo, a Bologna tutti i segreti della ceramica Faïence – Faenza

È una statuetta del faraone Sethi I, trovata nel 1817 dal padovano Giovanni Battista Belzoni nella Valle dei Re, a Tebe Ovest, ad aprire il percorso espositivo della mostra-dossier «Faïence – Faenza. Dall’antico Egitto al contemporaneo», a cura di Daniela Picchi e Valentina Mazzotti, allestita fino al 30 gennaio negli spazi del Museo civico archeologico di Bologna.
Particolarmente raro per materiale, dimensioni (circa ventisei centimetri), qualità di esecuzione e tono di azzurro, questo manufatto funerario, conosciuto con il nome di ushabti, introduce il pubblico alla sezione dedicata alla faenza silicea, che gli egiziani chiamavano «la brillante», le cui prime produzioni si attestano intorno al IV millennio a.C.. Questo tipo di faïence ante litteram era una maiolica creata con un quarzo friabile, ricoperto da una sottile invetriatura a base alcalina, così da assomigliare a pietre preziose come il turchese e il lapislazzulo, utilizzata, soprattutto nei decenni del Nuovo Regno (dal 1530 a.C. al 1080 a.C.), per decorare gli interni dei palazzi, per arricchire i corredi funerari e per infiniti altri manufatti di uso quotidiano.
Le caratteristiche estetiche così come le molteplici declinazioni cromatiche, oltre alla facilità di reperimento delle materie prime resero, infatti, la faïence di grande attrattiva e di ampia diffusione.
Un ulteriore aspetto da considerare è la valenza magica attribuita a questo materiale, con il quale furono realizzati gran parte degli amuleti in uso tra il popolo egiziano, ma anche un numero considerevole di statuette funerarie del tipo ushabti, la cui produzione è attestata dal Medio Regno all’Epoca Tolemaica (2046-306 a.C.). La maggior parte di questi manufatti ha aspetto mummiforme e raffigura principalmente il dio Osiris, il signore dell’Oltretomba; più rari sono quelli in abito di vivente.
Sempre dall’antico Egitto provengono pettorali e scarabei, che venivano appoggiati sulla mummia per indurre il cuore a non tradire il defunto nel tribunale dell’Oltretomba, permettendogli così di aspirare alla rinascita eterna sotto la protezione delle dee Isis e Nephtis.
Il focus tematico prosegue con una sezione dedicata alla faïence nel mondo islamico, di cui è un importante riferimento è il trattato sulla ceramica scritto nel 1301 da Abu’l Qasim, esponente di una famiglia di vasai di Kashan. Dieci parti di silice (sabbia), una parte di fritta alcalina (vetro macinato) e una parte di argilla bianca devono comporre il materiale, che ha un grande produttore nell’Iran, la cui industria si sviluppò già dalla fine dell’XI secolo in parallelo con quella egiziana.
Tra gli oggetti esposti, si segnala la brocca in faenza silicea con decorazione dipinta in nero sotto vetrina, di produzione iraniana del XII-XIII secolo, che mostra sul corpo globulare una decorazione impressa a «nido d’ape» a probabile imitazione delle coeve produzioni in vetro o in metallo. Di squisita realizzazione è, poi, il frammento di rivestimento murale, proveniente dall’Asia centrale e datato al XV secolo. Il mattone, probabile bordura a un pannello decorativo, mostra un intreccio di girali che creano quadrilobi con all’interno piccoli trifogli. Il profondo intaglio dell’ornato a rilievo è evidenziato dalla densa e lucente invetriatura turchese. Sotto i Timuridi (1370-1507), i portali, le cupole e intere pareti di edifici furono ricoperte di elementi ceramici invetriati, in faenza e in faenza silicea, dalle forme geometriche e vegetali che si intrecciano insieme a eleganti iscrizioni.
Il visitatore trova, quindi, una sezione espositiva dedicata alla faenza dipinta a lustro tra Oriente e Occidente. Si tratta di un complesso procedimento decorativo, applicato sul rivestimento vetroso già cotto, che dopo successiva cottura a temperatura relativamente bassa (tra i 650 e i 700°C) in ambiente riducente consente di ottenere pellicole metalliche dai riflessi iridescenti della madreperla e dalle tonalità generalmente giallo dorate e rosso rubino.
Già perfettamente sviluppata nell’Iraq abbàside del IX-X secolo, questa antica tecnica mutuata dall’arte vetraria giunse in Egitto sul finire del X secolo e conseguì vette di grande virtuosismo nella ceramica persiana del XII-XIII secolo.
Dall’Oriente la produzione faenza dipinta a lustro giunse in Occidente a seguito della conquista musulmana della Penisola Iberica che ebbe inizio nel 711 d.C. e terminò nel 1492 con la presa di Granada da parte dei re cattolici. Si affermò così lo «stile moresco», caratterizzato da decori geometrici, del quale sono uno splendido esempio le faenze smaltate (maioliche) con decorazione dipinta a lustro prodotte a Valencia nei secoli XV-XVII. Le forme tipiche sono piatti, ciotole, scodelle ad ampia tesa di diverse dimensioni e albarelli per contenere erbe officinali e vivande, nei quali gli artigiani adottarono un ricco repertorio decorativo di motivi vegetali a foglie di brionia, edera, felce, cardo, rosette, pseudo-margherite.
Questi manufatti esercitarono una notevole influenza stilistica sulla ceramica italiana del Quattrocento e del Cinquecento, soprattutto per quella delle fabbriche di Deruta e Gubbio.
L’ambivalenza semantica della parola «faenza», toponimo della città romagnola famosa per le sue maioliche, ma anche vocabolo che indica un genere di ceramica a pasta colorata, porosa, rivestita con uno smalto bianco, brillante, a base di ossido di piombo e di stagno, è centrale nella sezione dedicata al Rinascimento e al Barocco.
Tra la fine del ‘400 e gli inizi del ‘500 si impose una cultura decorativa incentrata sulla figura umana, dipinta sulla superficie maiolicata del vasellame ma anche modellata in magnifiche composizioni scultoree con scene tratte dai miti della classicità o con soggetti di carattere devozionale raffiguranti la Madonna con il Bambino, la Pietà, il Compianto e la Natività.
Sono coeve le raffigurazioni pittoriche del vasellame amatorio con «belle», recante l’effige idealizzata della persona amata, da cui si giunse alla formulazione di vere e proprie «istorie».
La vera fortuna degli artefici faentini fu, però, l’elaborazione, a partire dalla metà del XVI secolo, di uno stile antitetico al vivace decorativismo e cromatismo delle maioliche precedenti, che per la predominanza dello smalto bianco, coprente e applicato a spessore, assunse la denominazione di «bianchi» di Faenza, la cui fortuna si protrasse per tutto il XVII secolo, alimentata dall’apprezzamento per gli esemplari delle botteghe di Virgiliotto Calamelli, dei Bettisi e di Enea Utili, solo per citare le più famose.
Tra i pezzi più preziosi di questa sezione c’è uno splendido calamaio in maiolica della fine del XV secolo, conservato ai Musei civici d’arte antica di Bologna, che raffigura i quattro Santi protettori di Bologna e la città turrita.
La mostra si chiude con una sezione dedicata al contemporaneo. Da Fontana a Leoncillo, da Melotti a Valentini, differenti esperienze hanno valorizzato l’antico linguaggio della Faenza. L’esposizione dà voce a Luigi Ontani, artista sperimentatore e anticonformista, che unisce ironia e narcisismo, mito e favola, Oriente e Occidente. La sua scultura «ErmEstEtica AiDialettica», realizzata in collaborazione con la Bottega Gatti di Faenza, è un omaggio alla cultura egizia e alla sua icona più emblematica, l’Erma.

Informazioni utili
«Faïence – Faenza. Dall’antico Egitto al contemporaneo». Museo civico archeologico, via dell'Archiginnasio, 2 – Bologna. Orari: lunedì, mercoledì, ore 9:00-14:00; giovedì, ore 15:00-19:00; venerdì, sabato, domenica, festivi, ore 10:00-19:00; martedì chiuso. Ingresso: intero € 6 | ridotto € 3 | ridotto speciale € 2 ≥ 18-25 anni | gratuito possessori Card Cultura. Sito web: www.museibologna.it/archeologico. Fino al 30 gennaio 2022

venerdì 26 novembre 2021

#notizieinpillole, cronache d'arte della settimana dal 22 al 28 novembre 2021

A GORIZIA UNA MOSTRA IMMERSIVA SU PINOCCHIO
Incline alla menzogna, intollerante alle regole, esuberante fino allo sfinimento, ma anche ingenuo e innocente come sanno essere solo i sognatori: il «burattino più discolo di tutti i discoli» compie centoquarant’anni. Era il 7 luglio 1881 quando Carlo Lorenzini, in arte Collodi, dava alle stampe sul «Giornale dei bambini», inserto settimanale del quotidiano «Il Fanfulla», la prima puntata «Storia di un burattino». Nasceva così Pinocchio, un romanzo per ragazzi che andrebbe riletto da grandi, perché in queste pagine lo scrittore toscano mette nero su bianco gli alti e bassi del nostro cammino in questo mondo, con gli immancabili momenti di crisi, con i presunti amici che ti voltano le spalle, con i furbi che cercano di ingarbugliare la matassa della vita, con la capacità di sognare un futuro diverso e di renderlo realtà anche quando sempre impossibile. Al bambino di legno più famoso di tutti i tempi guarda la nuova mostra immersiva negli spazi multimediali della EmotionHall del Tiare Shopping di Villesse, nel Goriziano, allestita fino al prossimo 31 marzo (tutti i giorni, dalle 10 alle 21).
L’esposizione, che si avvale del patrocinio della Fondazione Nazionale Carlo Collodi e della collaborazione di Giunti Editore, è ideata e diretta da Roberto Luciani, con la curatela di Marine Kevkhisvili.
Il percorso, della durata complessiva di circa sessanta minuti, si articola in 2000 metri quadrati allestiti in otto tappe che coinvolgono digitale e reale attraverso pannelli educativi e didascalie, teche e video con animazioni digitali, videomapping interattivo e bozzetti a colori, costumi originali e animazioni in realtà aumentata, burattini kinetici e teatro virtuale, fino ad arrivare all’esperienza immersiva vera e propria. Grazie al connubio di elementi digitali e interattivi e ad allestimenti e ricostruzioni teatrali, i visitatori possono ripercorrere le avventure del burattino di legno, sperimentando in prima persona le sensazioni provate da Pinocchio nel suo processo di crescita e di educazione per diventare un bambino a tutti gli effetti. La mostra analizza, inoltre, i personaggi principali del romanzo e i luoghi della storia, descritti nel loro possibile collegamento all’infanzia dell’autore.
A completare il percorso, è stata ideata una App scaricabile sul proprio smartphone permette al visitatore di acquisire informazioni sulla mostra, comprare i biglietti on-line, scattare dei selfie per postarli sui propri social e vivere, attraverso il proprio dispositivo, la realtà aumentata presente all’interno della mostra. È prevista, inoltre, una «Caccia al tesoro» con sette quesiti che consente ai più piccoli di scoprire curiosità e memorizzare alcuni aspetti importanti del racconto.
Per saperne di più: www.emotionhallarena.com

«IL SOLE È NUOVO OGNI GIORNO»: IL FRINIRE DELLE CICALI DIVENTA UN’OPERA D’ARTE
Prende spunto da un aforismo di Eraclito, «Il sole è nuovo ogni giorno», il titolo della prima mostra personale di Giuliana Storino (Manduria, 1986) nel suo paese natale: la Puglia. Fino al 31 dicembre il Museo archeologico di Santa Scolastica a Bari accoglie una selezione di opere site-specific, per la curatela di Giacinto di Pietrantonio, che dialogano con l’architettura del museo e rintracciano nell’archeologia, nel tema del Mediterraneo e del genius loci i segni di un’origine, geografica e culturale, che si fa crocevia di sapienza e mitologia, tra contemplazione e incanto.
Spaziando tra media e linguaggi eterogenei, l’artista trasla il linguaggio pittorico e scultoreo in una dimensione architettonico-ambientale, privilegiando il corpo e la sensorialità per sollecitare la partecipazione del pubblico.
Si attraversano così proiezioni aeree e ologrammi, elaborazioni fotografiche e installazioni sospese tra parola e forma, grazie alle quali si osserva il cambiamento dell’uomo in relazione al mondo tecnologico e all’ambiente.
Tra le opere ispirate alla storia pugliese sono in mostra «Cicàdidi» (2018 ologrammi e sound) e da «Cicàdidi, la cadenza della vita» (2021). Giuliana Storino ha infatti registrato dall’alba al tramonto il frinire continuo delle cicale nelle campagne baresi: una scansione dell’arco temporale di una giornata, realizzata grazie alle più recenti tecnologie, che trasforma l’impalpabile canto in volume del suono e realizza l’ossimoro dell’orecchio che vede e dell’occhio che sente.
Con «Ora et labora» (2021) o «Il peso del vuoto» (2018) si compie, invece, un percorso che spazia tra memoria e rinnovamento, che punta a ridefinire l’identità del luogo in cui è radicato e a rendere immortale il suo legame con esso.
Per saperne di più: http://www.cittametropolitana.ba.it/.

Nell'immagine: 
Light pillars, 2021, veduta mostra Il sole è nuovo ogni giorno, Chiostro Museo Arc.di Santa Scolastica

MILANO, UN GRANDE MURALES DI CAMUFFOLAB PER IL CERTOSA DISTRICT
Colori vivaci, forme geometriche che si susseguono, citazioni di elementi architettonici industriali simbolo di un’area in piena evoluzione: è una narrazione per immagini, del quartiere e della sua identità, quella che appare nel nuovo grande murale, lungo oltre 57 metri, appena realizzato a Milano su progetto dello studio grafico veneziano CamuffoLab in via Varesina 162, sul muro esterno del corporate campus La Forgiatura.
Il murales, intitolato «Quando la città cambia tu guarda i suoi colori», rappresenta l’avvio di una più ampia collaborazione e sinergia scaturita dall’incontro fra Signs, l’osservatorio permanente sul visual design che coinvolge oltre 100 progettisti e studi grafici italiani, e Certosa District, il quartiere nella zona nord-ovest del capoluogo lombardo attualmente al centro di una vivace rinascita che, dopo anni di abbandono, sta ora riemergendo come polo commerciale, popolato da industrie creative e aziende innovative in rapida crescita.
Forme diverse e colori decisi compongono una narrazione «a tessere» accostate l’una all’altra, per portare la città dentro a questi spazi e riflettere sul significato di quartiere; il graphic design diventa così strumento di cambiamento.
In occasione dell’inaugurazione, è stata annunciata la prima edizione del Milano Graphic Festival, il nuovo festival diffuso dedicato al graphic design, all’illustrazione e alle culture visive, a cura di Francesco Dondina, che dall’11 al 13 febbraio porterà un ampio calendario di appuntamenti, fra mostre, workshop, talk, lecture, studio visit e installazioni, in tutta la città, a partire dai due hub principali: il Certosa District e Base Milano.
Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito www.milanographicfestival.com.


PRATO, AL PECCI APRE L’URBAN CENTER
Uno spazio aperto al confronto e al dibattito, una sala per installazioni immersive, un teatro, un laboratorio di possibilità e strumento fondamentale per portare sempre più il museo a incontrare la città e i suoi cittadini: è tutto questo il nuovo «Urban Center», inaugurato sabato 20 novembre all’interno del Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato.
Composto da una grande tenda isolante e fonoassorbente – il cui tessuto, ideato in collaborazione con aziende del territorio, è un omaggio alla grande tradizione tessile della città – «Urban Center» è stato studiato per essere continuamente ripensato nella forma grazie a un grande sipario che abbraccia lo spazio, permettendo in un solo gesto di attivare configurazioni sempre diverse.
In occasione dell’inaugurazione, il Centro Pecci ospita, nell’Ala grande, la mostra «L’arte e la città», a cura di Stefano Pezzato, che mette in dialogo un’ampia selezione di opere dalle collezioni museali con rari materiali d'archivio. Dipinti, sculture, installazioni, fotografie, video, insieme a disegni e stampe di quaranta protagonisti dell’arte italiana e internazionale presentano una panoramica dei rapporti fra creatività contemporanea e ambiente urbano. Tra gli artisti in mostra, i cui lavori saranno visibili fino al prossimo 12 giugno, si segnalano Jan Fabre (con Ilya Kabakov), Fischli & Weiss, Gilbert & George, Nan Goldin, Fausto Melotti, Nino Migliori, Fabrizio Plessi e Andy Warhol.
In occasione dell’apertura dell’Urban Center viene presentata, sotto il titolo «Urban Trilogy / Trilogia Urbana», anche una selezione di film incentrati sul tema della città firmati da Gianni Pettena e dai gruppi Superstudio e Ufo.
Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito internet www.centropecci.it.

Nella fotografia: Marco Bagnoli, Città del sole (lucernaio), 1988 | Città del sole, 1987-1997. Collezione del Centro Pecci e del Comune di Prato. Foto Carlo Fei 

AL MUSEO DEL TESSUTO DI PRATO UN PROGETTO PER BAMBINI E ADULTI AFFETTI DA AUTISMO
Si intitola «Intorno a te» il nuovo progetto di inclusione sociale destinato a bambini, ragazzi e adulti affetti da autismo ideato dal Museo del tessuto di Prato, con la collaborazione della Fondazione Opera Santa Rita - in particolar modo con il Centro Silvio Politano e il loro servizio ambulatoriale - e con l’associazione Orizzonte autismo.
Il programma, sostenuto da Banco Bpm, prevede quaranta incontri complessivi con percorsi differenziati per le tre tipologie di pubblico coinvolto: ventiquattro bambini a basso, medio e alto funzionamento dagli 8 agli 14 anni della sezione ambulatoriale, quindici adulti a basso, medio e alto funzionamento dai 18 ai 33 anni del Centro Politano e diversi nuclei familiari dell’associazione Orizzonte autismo.
I percorsi nascono dalla co-progettazione tra lo staff educativo del museo e gli esperti sanitari della Fondazione Santa Rita, che ha permesso di individuare le strategie più opportune per coinvolgere i partecipanti attraverso esperienze sensoriali e attività creative collegate ai temi della mostra attualmente in corso «Turandot e l’Oriente fantastico di Puccini, Chini e Caramba». Caramba».
Il museo diventa così non solo un luogo in cui scoprire l’arte, ma anche e soprattutto uno spazio in cui mettersi in relazione e trovare un contatto con gli altri, dove poter dar libero sfogo alla propria immaginazione e condividere pensieri ed emozioni.
A conclusione del progetto è previsto un momento di restituzione con le famiglie coinvolte per far conoscere alla comunità il lavoro svolto in questi mesi da questi ragazzi. «Perché – ricordano dal Museo del tessuto di Prato - le persone autistiche non sono un mondo a parte ma una parte del mondo».
Per maggiori informazioni è possibile consultare la pagina www.museodeltessuto.it.

«MARIA JOSÉ», IN SCENA A ROMA «LA STORIA DELL’ULTIMA REGINA D’TALIA»

Irrequieta, anticonformista e fuori dagli schemi: Maria José di Sassonia Coburgo, la sposa di Umberto II di Savoia, l’ultima regina d’Italia, è protagonista del prossimo appuntamento in cartellone all’Off Off Theatre di Roma.
Nell’anno in cui ricorrono i vent’anni dalla scomparsa, il palcoscenico di via Giulia accoglie il nuovo spettacolo scritto e diretto da Silvano Spada, che vedrà in scena, fino a domenica 28 novembre, un’intensa Elena Croce, attrice protagonista di quarant’anni di teatro italiano con registi del calibro di Strehler, Luca Ronconi, Pressburger, Patroni Griffi e tantissimi altri.
Figlia del re del Belgio e consanguinea di Ludwig di Baviera, Massimiliano d’Asburgo e dello sfortunato principe Rodolfo, noto per la tragedia di Mayerling, Maria José ha intrecciato la sua vita con quelle di Benito Mussolini, Adolf Hitler, Gian Galeazzo Ciano, Vittorio Emanuele III, ma avuto anche rapporti con Ferruccio Parri, Pietro Nenni e, in qualche modo, ha partecipato alla Resistenza, portando armi ai partigiani piemontesi.
Già da principessa ereditaria, fuggiva dal Palazzo del Quirinale e dalle regole, frequentando trattorie romane e incontrando intellettuali antifascisti. Sfuggendo al cerimoniale, si sedeva sui gradini delle chiese per ammirare i monumenti di Roma. Di lei si è detto tutto e il contrario di tutto, si è parlato e scritto delle sue vere o presunte infedeltà coniugali e si sono fatte congetture sulle paternità dei suoi quattro figli. Era anche noto il suo amore per la musica e per la storia. Dal suo esilio di Merlinge, è stata autrice di libri e saggi. Fumava sessanta sigarette al giorno e non disdegnava il whisky. Moglie infelice e ferita ma, il suo ultimo desiderio, è stato di essere sepolta accanto a quello che, comunque, era stato suo marito: l’uomo del quale si era innamorata al primo incontro.
Lo spettacolo racconta, dunque, una storia che, nel bene e nel male, appartiene a tutti noi, quella dell’ultima donna che ha occupato, anche se per poco tempo (poco più di un mese, dal 9 maggio al 13 giugno 1946), il trono d’Italia prima della proclamazione della Repubblica.
Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito http://off-offtheatre.com/.

«OPEN ART», UN PROGETTO DI DIDATTICA DIGITALE ALLA GALLERIA DELL’ACCADEMIA DI FIRENZE
È stato inaugurato con un focus sul Maestro della Maddalena il nuovo progetto di didattica digitale della Galleria dell’Accademia di Firenze: «Open Art», nato da un’idea del direttore Cecilie Hollberg e realizzato da Federica Chezzi.
Attraverso dieci video animati, pubblicati con cadenza quindicinale sulla pagina https://www.galleriaaccademiafirenze.it/accademia-online/?slide=contenuti-didattici-4807, i più piccoli – bambini dai 6 anni in su, anche stranieri - potranno conoscere le opere conservate nella collezione del museo fiorentino, in un viaggio che spazierà dal Duecento all’Ottocento e che offrirà, di volta in volta, approfondimenti su soggetti e tecniche differenti.
Aperti da una sigla animata in stop motion, dopo una prima parte narrativa di approfondimento sull’opera selezionata, i video, della durata di circa otto minuti, proposti anche in lingua inglese, prevedono un tutorial per un laboratorio creativo da realizzare a casa o in classe. Le opere saranno raccontate da un attore o un’attrice con un linguaggio semplice e puntuale; le narrazioni saranno accompagnate da suoni, musiche e una grafica originale che ha lo scopo di catturare l’attenzione dei più piccoli e trasportarli all’interno delle opere, con visioni di dettagli che a occhio nudo non riusciremmo mai a vedere.
A inaugurare il progetto è stato, martedì 23 novembre, un focus sul Maestro della Maddalena e sul suo dipinto più celebre, la «Santa Maria Maddalena e otto storie della sua vita» (tempera e oro su tavola, databile al 1280-1285). Dopo aver descritto alcune curiosità sulla vita della Santa, il narratore introduce all’opera e al suo autore, purtroppo sconosciuto, prima di passare al laboratorio creativo che richiederà di cimentarsi nella realizzazione di un prezioso fondo oro, proprio come quello del Maestro della Maddalena.
I due video successivi saranno: il primo su Giotto, la sua arte e il suo modo di disegnare, e il secondo su Giovanni di Ser Giovanni, detto lo Scheggia, e il suo celebre Cassone Adimari.
Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito www.galleriaaccademiafirenze.beniculturali.it.

«GEN Z ART STORIEZ», GLI UNDER 25 RACCONTANO L’ARTE DELLA COLLEZIONE PEGGY GUGGENHEIM DI VENEZIA
Sono giovani. Amano l’arte in ogni sua forma. Guardano il mondo con occhi curiosi. Sono i protagonisti di «Gen Z Art Storiez», mini serie realizzata dalla Collezione Peggy Guggenheim di Venezia con la collaborazione del portale Arte.it e con il sostegno economico di Lavazza.
Dal 24 novembre, e per i successivi mercoledì, sui canali social e web del museo lagunare verranno diffusi quattro video nei quali nove ragazzi dai 17 ai 24 anni racconteranno, attualizzandoli, i temi di alcuni capolavori della collezione di Peggy Guggenheim: «Paesaggio con macchie rosse n.2» di Vasily Kandinsky, «L’impero della luce» di René Magritte, «La pastorella delle sfingi» di Leonor Fini e «Dinamismo di un cavallo in corsa + case» di Umberto Boccioni. Ad affiancare i ragazzi nel loro racconto ci saranno quattro ospiti: il musicista Lorenzo Senni, i fotografi Piero Percoco e Matteo Marchi, la scrittrice e attivista Carlotta Vagnoli.
Davanti al paesaggio astratto di Kandinsky, Lorenzo Senni affronta, con Pietro ed Enrico, il tema dell’influenza reciproca tra discipline artistiche, e nello specifico il rapporto che lega arte e musica, fondamentale tanto per l’artista russo, autore de «Lo spirituale nell’arte», quanto per il musicista che afferma come l’arte visiva abbia sempre influenzato la sua musica, tanto da avergli fatto coniare termini quali «pointillistic trance».
La relazione tra sogno e realtà, sorpresa e incanto, è, invece, centrale nel dialogo tra Piero Percoco, Marcello e Sofia, davanti al capolavoro surrealista «L’impero della luce» di Magritte. La dimensione onirica e surreale, centrale nell’opera dell’artista belga, è altrettanto presente nell’immaginario visivo del fotografo, i cui scatti sono arrivati sulle pagine del «New Yorker», e, in generale, fonte d’ispirazione per andare oltre la realtà del mondo visibile.
Due temi attuali e urgenti del vivere contemporaneo quale la parità di genere e l’emancipazione del ruolo della donna oltre gli stereotipi di genere, emergono dal dialogo tra Alice C., Eugenia, e Carlotta Vagnoli, davanti all’enigmatica figura femminile, protagonista del dipinto «La pastorella delle sfingi» della Fini, un’opera, come la definisce scrittrice e divulgatrice fiorentina che utilizza le piattaforme social per trattare temi a lei cari, potente e molto contemporanea, in grado di parlare alle donne di oggi.
Infine, al centro dell’opera di Boccioni, «Dinamismo di un cavallo in corsa + case», emblema dell’avanguardia futurista, c’è la velocità e il movimento sui quali si confrontano Lorenzo, Alice S. e Matteo Marchi, fotografo sportivo per anni sul parquet delle grandi sfide dell’Nba, che focalizza i suoi scatti proprio su quella dinamicità per lui sinonimo di libertà.
Il dialogo e lo scambio attivo tra la Collezione Peggy Guggenheim e questo consolidato team di giovani proseguirà anche nel corso del 2022, con nuovi progetti, ideati con e per loro, legati alle tante attività in programma, quali la mostra temporanea «Surrealismo e magia. La modernità incantata», che aprirà al pubblico il 9 aprile 2022, e i Public Programs correlati.
Per maggiori informazioni è possibile consultare la pagina guggenheim-venice.it.

AL MEIS DI FERRARA UN CONCERTO DELLA ISRAEL KLEZMER ORCHESTRA PER LA FESTA DI HANUKKAH
Arriva a Ferrara una delle poche orchestre al mondo che ancora conoscono e valorizzano il repertorio klezmer. In occasione di Hanukkah, la festa ebraica dei lumi, il Meis – Museo nazionale dell’ebraismo italiano e della Shoah organizza per martedì 30 novembre, alle ore 18, un concerto della Israel Klezmer Orchestra.
Direttamente da Gerusalemme, la band porterà nelle sale della realtà culturale emiliana il ritmo trascinante della musica popolare ebraica, sviluppatasi nei villaggi dell'Europa dell'Est e tuttora molto amata. Il gruppo, unico nel suo genere, possiede una dimensione e un'energia distintive che affondano le radici nel periodo in cui le orchestre di musica klezmer erano di gran moda, all'inizio del XX secolo.
I membri dell'ensemble suonano una varietà di strumenti come legni, ottoni, archi e percussioni, e molti di loro affiancano alla musica strumentale virtuosistica e alle danze tradizionali ebraiche il canto di brani in yiddish, ebraico e inglese.
Le esibizioni si trasformano in trascinanti momenti sociali, che coinvolgono il pubblico a ballare, cantare e prendere parte all'esperienza, mentre i musicisti dell'orchestra spesso si allontanano dal palco per unirsi alla folla.
La festa di Hanukkah si ricollega alla riconquista della libertà di culto degli ebrei, dopo le proibizioni inflitte dagli elleni nel II sec. a.e.v., e il miracolo dell'olio che durò otto giorni e permise di tenere accesa nel Tempio la Menorah, il lume perenne. Ancora oggi, ogni sera, per otto giorni, migliaia di famiglie ebraiche in tutto il mondo accendono la Hanukkiah, mangiano deliziose prelibatezze tradizionalmente fritte, cantano canzoni del repertorio classicamente legato alla ricorrenza e si scambiano doni.
Il concerto è gratuito, è consigliata la prenotazione chiamando il numero 342.5476621 (attivo da martedì a domenica, dalle ore 10 alle ore 18) o scrivendo a meis@coopculture.it.
Per maggiori informazioni: https://meis.museum/.