ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

venerdì 17 dicembre 2021

Rinasce la rivista d’arte FMR, «la perla nera dell’editoria mondiale»

Era il 1982 quando Franco Maria Ricci presentava il primo numero di una rivista destinata a diventare «la perla nera dell’editoria mondiale»: «FMR». Quella pubblicazione, che voleva «mostrare l’arte come non era mai stata mostrata», si affermò sul mercato per «l’originalità delle scelte, l’eleganza della veste, la qualità dei testi», lasciando orfani i suoi tanti collezionisti quando nei primi anni Duemila, dopo 163 numeri e con il passaggio del marchio alla società «Art’è» di Marilena Ferrari, cessava le uscite.
Il prossimo solstizio di inverno, «FMR» rinasce, rendendo concreto un sogno dello stesso Franco Maria Ricci che, dopo la costruzione del Labirinto del Masone e sino alla fine dei suoi giorni, aveva cercato di riacquisire la proprietà della rivista. Nell’intento sono riusciti, alla fine del 2020, i suoi eredi e in questi giorni è in pubblicazione il «Numero Zero», un regalo di Natale per chi, sottoscrivendo un abbonamento annuale, voglia lasciar sedurre il suo sguardo e la sua mente dalle immagini e dai testi che impreziosiranno i quattro numeri in uscita nel 2022.
A rendere possibile tutto questo è una nuova redazione, guidata da Laura Casalis e dal direttore Edoardo Pepino, che vanta un pétit comité di consiglieri composto da Giorgio Antei, Massimo Listri, Giovanni Mariotti, Gabriele Reina e Stefano Salis. È già, inoltre, lunga la lista di stimati studiosi e scrittori che hanno salutato con gioia la rinascita della rivista e che doneranno ai lettori la loro competenza e penna in questo numero e nei prossimi in programma. Héctor Abad Faciolince, Pietro Citati, Orhan Pamuk, Christian Beaufort- Spontin, Jean Blanchaert, Gian Carlo Calza, David Ekserdjian, Sylvia Ferino, Caterina Napoleone, Pierre Rosenberg, Vittorio Sgarbi, Edward Sullivan e Óscar Tusquets Blanca sono alcuni di questi.
Tutto è già pronto. La pubblicazione che dà nuova linfa all’avventura di «FMR», ritornando a offrire ai lettori «una scuola per lo sguardo», è stampata da Grafiche Milani, una delle tipografie storiche del capoluogo lombardo, a cinque colori su carta, rilegata in brossura, con formato 23 x 30 centimetri, 132 pagine stampate a colori, carta Tatami Fedrigoni 170 gr/m2 per le pagine interne, carta Tatami Fedrigoni da 300 gr/m2 plastificata con film lucido per la copertina.
Il sipario si sta, dunque, aprendo. Lo spettacolo sta per iniziare . «Abbiamo accordato gli strumenti – scrive Laura Casalis, moglie di Franco Maria Ricci, mutuando il linguaggio dal mondo del teatro e della musica - e siamo pronti ad andare in scena, siamo già all’«Ouverture»: ecco il Numero Zero con cui torna «FMR», la rivista d’arte che ha stregato il mondo e che resta senza uguali». Viene già da applaudire solo per questo, per poter riprendere tra le mani un sogno fatto di carta, con i colori che risaltano dal fondo nero, come in teatro quando si fa il buio in sala, e i caratteri Bodoni che parlano il linguaggio dell’eleganza, quella di chi sa che la semplicità e l’attenzione al dettaglio sono la carta vincente.
«FMR» sarà pubblicata in due edizioni, italiana e inglese, e sarà un «dono di stagione», perché uscirà quattro volte all’anno. Gli argomenti saranno gli stessi che hanno caratterizzato il passato, glorioso e mitologico, della rivista: storia dell’arte, design, architettura, e in generale argomenti «ove ogni sorpresa, ogni avventura dell’occhio si trasforma in uno stimolo per la fantasia e per la mente».
La nuova pubblicazione si apre e si chiude con due rubriche: «Hors d'oeuvre» e «Mignardises», «degli antipasti – si legge nella nota stampa - per stuzzicare l’appetito e delle delizie per terminare il pasto con qualcosa di dolce». Le prime pagine del «Numero Zero», «un fuori serie», sono, poi, occupate da uno scritto inedito di Franco Maria Ricci per la rubrica «Quattro venti», nel quale è raccontato l’ultimo viaggio dell’intellettuale emiliano in Portogallo e la sua visita al Monastero dos Jerónimos.
Per la rubrica «Congetture», Bruno Zanardi ci porta, invece, alla scoperta di un insolito ritratto di Dante Alighieri che nasconde dietro la cornice, un misterioso foglietto con il nome Degas. In chiusura ci sono le rubriche «Aste», a cura di Massimo Navoni, e «Biblioteca», a firma di Carlo della Grivola, nel quale è presentata una recensione del volume «La Chine en Miniature» della Franco Maria Ricci Editore, un ritratto della Cina del XVIII secolo curioso ed eclettico, oltre che incredibilmente dettagliato, con quasi duecento affascinanti illustrazioni.
Mentre gli articoli di questo numero da collezione sono cinque. Ne «L’amore lungo di Alex e Rhoda», Giovanni Mariotti ha scelto tredici tele del pittore canadese Alex Colville che tracciano uno straordinario racconto d’amore durato settant’anni. Gian Carlo Calza firma, invece, «Tagasode ‘Di chi quelle vesti?’», la domanda senza risposta che un poeta formulò alle origini della letteratura giapponese e che secoli più tardi ispirò artigiani geniali nella creazione dei paraventi, manufatti trasognati che toccano con estrema delicatezza la corda dell’Eros. Mentre «Il sorriso Totonaca» di Giorgio Antei rivela come dagli scavi nella regione di Veracruz, sulle alture del sud del Messico, nonostante l’aridità del paesaggio, è venuta alla luce una gaiezza mai vista: a tutte le figure emerse un misterioso sorriso o un’aperta risata illumina il volto. 
Ne «Il vangelo secondo Gaudenzio», Vittorio Sgarbi svela, quindi, le meraviglie che si celano dietro la severità delle chiese francescane, come il santuario della Madonna delle Grazie a Varallo, dove Gaudenzio Ferrari ci ha lasciato una versione rinascimentale della «Biblia Pauperum» di sfolgorante bellezza. Infine, il pezzo a quattro mani «Arcs de cel» vede Pablo Bofill e Nicolas Véron raccontare lo scultore e architetto Xavier Corberó, protagonista di una stagione artistica che ha elevato la Catalogna a capitale della modernità.
«La rivista più bella del mondo» è, dunque, pronta a ritornare sul mercato. Nell’epoca delle pubblicazioni digitali, la carta, con il suo frusciante e persistente fascino, vince ancora una volta. Sarà bello, di stagione in stagione, sedersi in poltrona sul fare della sera, alla luce di una lampada, per sfogliare e leggere un gioiello fatto di parole e immagini, un libro-rivista da conservare, come tutti gli oggetti preziosi, in un elegante astuccio da collezione.

giovedì 16 dicembre 2021

A Venezia un nuovo showroom per il marchio di tessuti Fortuny

Ci sono due spazi a Venezia che portano avanti il pensiero dello scenografo, pittore, stilista, incisore, designer e inventore spagnolo Mariano Fortuny (Granada, 11 maggio 1871 – Venezia, 3 maggio 1949), uomo dall’incalcolabile talento, più volte celebrato nella «Recherche» di Marcel Proust, che disegnò i modelli «alla greca» - le tuniche «Delphos» - per la ballerina Isadora Duncan e gli abiti di scena che Eleonora Duse, la «Divina» del teatro italiano, indossò nella tragedia «Francesca da Rimini» di Gabriele D’Annunzio. Uno è la casa-museo nel sestiere di San Marco, con ingresso da campo San Beneto, esempio magistrale di gotico veneziano che conserva al proprio interno i tessuti, gli abiti, le collezioni dell’artista, la cui visita termina nello scenografico atelier dell’ultimo piano, un laboratorio delle meraviglie che vide la nascita della plissettatura (il brevetto è del 1909) e del velluto di seta stampato. L’altro è la fabbrica tessile, che Mariano Fortuny fondò nel 1919 alla Giudecca, all’interno di un caratteristico edificio in mattoni rossi, che precedentemente fu sede del convento San Biagio, chiuso in epoca napoleonica.
Da cento anni questa azienda segna la storia del tessuto, conquistando il jet set internazionale, dall’Italia alla Spagna, per giungere al mercato statunitense. Con i macchinari d’epoca brevettati dallo stesso Mariano Fortuny, ancora oggi, sotto la guida dei fratelli Mickey e Maury Riad, si stampano tessuti di purissimo cotone che ripropongono i disegni dell’archivio storico (circa quattrocentocinquanta), ricolorati e rifiniti a mano.
La formula è segreta, custodita con riservatezza da una quindicina di operai, che, di giorno in giorno, rinnovano la sapienza artigiana di un artista totale, nell’accezione wagneriana del termine, che non solo ha saputo rendere il cotone simile ai più pregiati broccati di seta, ma è stato anche capace di rinnovare l’illuminazione teatrale con la Cupola Fortuny, un sistema che potenzia l’effetto illusorio della profondità della scena, adottato anche dalla Scala di Milano nel 1921.
Dopo la morte dell’artista spagnolo, nel 1949, la fabbrica ha, infatti, continuato a vivere grazie alla decisione della moglie di Mariano Fortuny, Henriette Negrin, che ha venduto il marchio alla interior designer newyorkese Elsie McNeill Lee, che l’ha, a sua volta, ceduto all’amico e legale Maged Riad, di origine egiziana, il padre degli attuali proprietari.
Nel 2022 l’azienda veneziana, uno degli status symbol del made in Italy, compie cento anni di attività. I primi tessuti firmati Fortuny uscirono, infatti, dall’edificio lagunare, all'ombra del Molino Stucky, nel 1922.
«Always beautiful never the same» («Sempre bellissimo, mai lo stesso») è la filosofia che da allora anima la produzione tessile dell’azienda, ospite d’onore in luoghi che sono da sempre sinonimo di lusso come l’hotel Gritti, Ca’ Rezzonico, villa Feltrinelli sul lago di Garda, l’hotel Excelsior al Lido, il Museo Carnavalet di Parigi e il Metropolitan di New York.
Per festeggiare l’anniversario è stato da poco inaugurato il nuovo showroom. Luce, riflesso, colore, viaggio, influenza, teatro: sono le sei parole chiave che hanno animato il progetto, firmato dall’architetto veneziano Alberto Torsello, compasso d’oro nel 2018, con all’attivo restauri architettonici per icone come Palazzo Ducale, il Fondaco dei Tedeschi, e la Scuola Grande della Misericordia a Venezia.
Il progettista, neo direttore artistico di Fortuny, ha ideato una vera e propria macchina scenica, un sistema per esporre non solo i preziosi tessuti realizzati nell’edificio in mattoni rossi, ma anche la storia, il senso e l’identità di questi manufatti antichi e bellissimi.
Fedele alla visione del suo fondatore, l'edificio è scandito da tre concetti ben precisi che si trasformano in altrettanti spazi: l’ingresso, la casa della memoria, il teatro.
Il primo è il luogo dell’accoglienza. Qui, intorno a un tavolo che avvolge una tipica scala veneziana stretta e ripida, si entra nel mondo creativo del brand Fortuny, che distilla nel tessuto pittura e rappresentazione, luce e architettura.
Il secondo spazio è la casa della memoria dove cuscini di varie dimensioni sono installati come opere d’arte in una libreria che sembra una quinta teatrale. Ogni elemento d’arredo coniuga identità e memoria, antico e contemporaneo. Ne è esempio l’archivio di tirelle site specific, progettato e incastonato fra due finestre da cui si vede il verde del canale.
Il terzo spazio è quello del teatro; qui Alberto Torsello ha creato un sistema espositivo in cui i rulli dei tessuti installati a soffitto sviluppano la possibilità di calare dall’alto le stoffe, come si fa con un sipario. In questa parte dello showroom i tessuti diventano elementi architettonici, pareti mobili, quinte teatrali intercambiabili che formano ambienti e luoghi ogni volta diversi e ammalianti. Tutto parla di Mariano Fortuny, del suo amore per il bello, della sua passione per la sperimentazione, della sua capacità di rendere nuovo il passato, del suo amore per Venezia, la città di luce e acqua, dai riflessi abbaglianti e dai colori cangianti.

Didascalie delle immagini
[Figg. 1 e 2 ] Foto di Alessandra Chemollo; [figg. 3, 4 e 5] Foto di Colin Dutton 

Informazioni utili 

venerdì 10 dicembre 2021

#notizieinpillole, cronache d'arte della settimana dal 6 al 12 dicembre 2021

Torna la giornata del contemporaneo di Amaci
È un’opera di Armin Linke (Milano, 1966) a fare da filo rosso tra i vari appuntamenti che animeranno la diciassettesima edizione della Giornata del contemporaneo, promossa per sabato 11 dicembre da Amaci, l’associazione dei musei di arte contemporanea italiani, con il sostegno della Direzione generale creatività contemporanea del Ministero della Cultura.
«Jurong Bird Park» – questo il titolo dell’opera – raffigura un fungo in cemento armato che, tra foglie lussureggianti, diventa rifugio per pappagalli multicolore. Il fotografo e filmmaker italo-tedesco apre così una profonda riflessione sui luoghi fortemente antropizzati nei quali la natura è piegata al servizio dell’uomo e dei suoi inarrestabili desideri di appropriazione.
L’ospitale cappello-rifugio di Armin Linke dà accoglienza, in questa edizione, a un mondo colorato e variegato, quello delle realtà che nel nostro Paese si occupano di contemporaneo, comunicando le iniziative organizzate per sabato 11 dicembre da oltre cinquecento spazi tra musei, fondazioni, istituzioni pubbliche e private, gallerie, studi d’artista, insieme ai ventiquattro soci della rete Amaci, presieduta da Lorenzo Giusti, direttore della Gamec di Bergamo.
Il programma, con il suo formato ibrido che combina eventi in presenza a progetti digitali, avrà come fil rouge il tema del performativo, in riferimento non solo all’esperienza della corporeità del performer sulla scena, ma soprattutto all’urgenza di ripensare nuove dinamiche di interazione con il pubblico attraverso la condivisione dello spazio.
Per partecipare all’edizione 2021 della Giornata del Contemporaneo sarà necessaria l’iscrizione alla manifestazione entro il 10 dicembre tramite il form d’iscrizione disponibile sul sito www.amaci.org, dove è anche consultabile l’elenco completo degli eventi. 

Irving Penn torna a Milano dopo trent’anni. alla Cardi Gallery una mostra-tributo
«Cambiò radicalmente il modo in cui la gente vedeva il mondo, e la nostra percezione del bello». Sta tutta nelle parole di Anna Wintour, la storia direttrice di «Vogue», la cifra stilistica del lavoro di Irving Penn (1917-2009), uno dei maggiori fotografi del Novecento, protagonista in questi giorni di un’importante retrospettiva alla Cardi Gallery di Milano.
La rassegna, che rappresenta per il pubblico meneghino la prima occasione in oltre trent’anni di incontrare l’opera dell’artista americano, si sviluppa su due piani della galleria, abbracciando non solo la fotografia di moda, ma anche quella che sottolinea il legame speciale del fotografo con il nostro Paese e che immortala, tra l’altro, i volti di «italiani illustri» come Giorgio De Chirico (1944), Sophia Loren (1962) e Luciano Pavarotti (1980).
In mostra sono presenti una cinquantina di scatti realizzati, sia in studio che in esterno, tra gli anni Quaranta e gli anni Novanta del Novecento, emblematici dello stile minimalista ed elegante di Irving Penn, le cui immagini sono state definite dallo storico art director di «Vogue», Alexander Liberman, suo primo mentore, «stoppers» per descriverne l’effetto su chi le guarda.
Il percorso spazia così dagli accattivanti ritratti dello star system americano agli studi botanici, dagli innovativi still life di oggetti alle opere dedicate agli aborigeni della Nuova Guinea, dagli scatti di detriti urbani alle tante fotografie di moda per le copertine di «American Vogue», con cui il fotografo iniziò a lavorare nel 1943 firmando, in 66 anni di collaborazione, oltre 165 copertine.
Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito www.cardigallery.com.

Nella foto: Irving Penn, Bee (A), New York, 1995. © The Irving Penn Foundation

Dal libro al segnalibro: a Milano l’arte tra le pagine di una storia
D’artista, di design, ibridi e non solo: offre una visione esaustiva della creatività associata al libro la mostra allestita fino al prossimo 12 gennaio a Milano, negli spazi prestigiosi della Biblioteca Braidense, per iniziativa di SBLU_spazioalbello e con la curatela di Susanna Vallebona.
Accanto ad autori come Mariella Bettineschi, Fausta Squatriti, Marcello Diotallevi o Vito Capone, l’esposizione presenta libri a elevata tiratura e volumi fatti a mano in copia unica. L’aspetto manuale della creatività legata all’«Oggetto libro» – questo il titolo della mostra – dialoga così con le tecniche di stampa tradizionali o con quelle calcografiche, ma anche con la fotografia e il digitale.
Altro motivo di interesse di questa edizione della rassegna, la quarta dal 2016, è rappresentato dalla realtà aumentata, che offre la possibilità di accedere ai contenuti che si celano dietro l’artefatto grazie alla app «Aria the Ar Platform» (disponibile gratuitamente su Google Play e Apple Store).
Il percorso espositivo è completato da una mostra sul segnalibro promossa da Fila – Fabbrica italiana lapis e affini in occasione del centenario dalla fondazione. Alcuni esemplari storici appartenenti alla collezione dell’azienda fondata a Firenze nel 1920 dialogano con lavori creati da artisti, designer e studenti dell’Isia di Roma e Pordenone sul tema del tempo, analizzato in tutte le sue accezioni (dalla meteorologia alla quarta dimensione).
In mostra, si scoprono esempi dalle forme e dai materiali differenti, come il riquadro rettangolare da applicare agli angoli delle pagine, sottili strisce di carta o elaborati oggetto in metallo o legno. Il visitatore può così vedere manufatti realizzati dalla calligrafa Alex Barocco, dal designer Kuno Prey e dall’artista William Xerra, oltre a lavori ispirati ad alcuni aspetti del costume italiano, in un viaggio che spazia dal «Sardo» (1928) al «Bersagliere», uno dei protagonisti della serie «Soldati d’Italia» (1935 ca), dai «Segnali stradali» (anni ’60-’70) alle «Maschere» della Commedia dell’arte (1950-55 ca), dai «Monumenti d’Italia» agli «Animali interessanti», ma non solo.
L’ingresso alla mostra è gratuito, con prenotazione obbligatoria alla pagina https://booking.bibliotecabraidense.org/it. Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito www.oggettolibro.it

«La gentilezza della carta», Caterina Crepax inaugura il punto sostenibilità della Fondazione Fashion Research Italy
È un «grido gentile» per richiamare l’attenzione sulle tematiche green quello che lancia Caterina Crepax (Milano, 1964) con la mostra «La gentilezza della carta», in agenda fino al prossimo 30 gennaio a Bologna.
La rassegna – ospitata dalla Fondazione Fashion Research Italy, ideata nel 2015 da Alberto Masotti, già presidente dello storico marchio «La perla» - è stata promossa per festeggiare l’inaugurazione del Punto sostenibilità: il più completo archivio italiano, sia fisico che digitale, di materiali tessili, accessori e soluzioni di packaging sostenibili per la moda. Dalla lana riciclata alla seta rigenerata - al tatto simile al cachemire -, dal jersey biodegradabile ai complementi in alluminio riciclato, passando per la riscoperta di antichi filati e tessiture, l’archivio ospita il meglio dell’innovazione, con una ulteriore caratteristica dirimente: solo materiali e soluzioni già industrializzate e immediatamente disponibili per la produzione in piccola o larga scala.
Caterina Crepax (figlia del famoso fumettista Guido) mette in scena per l’occasione diciotto abiti scultura, realizzati con numerosi pattern di textile design conservati dalla fondazione bolognese, raccontando così le infinite vite della carta nel mondo fashion style e offrendo nel contempo una riflessione contro lo spreco.
Gli abiti in mostra sono modellati sugli innovativi manichini di Bonaveri, in materiale da fonte rinnovabile e biodegradabile e realizzati in carta prodotta con il 100% di fibre riciclate dalla storica cartiera Cordenons.
Per maggiori informazioni è possibile consultare la pagina www.mybologna.app/FFRI

È nata Mrt Virtual, la nuova App con realtà aumentata dei Musei Reali di Torino
È un inedito strumento digitale per offrire al pubblico nuovi contenuti ed esperienze all'interno del percorso espositivo dei Musei reali di Torino l’app MRT Virtual, ideata in occasione del restauro che ha interessato l’altare della Cappella della Sindone. Basata sulla tecnologia della realtà aumentata, la nuova applicazione è stata progettata come un raccoglitore di contenuti multimediali, al momento focalizzati sulla conoscenza dettagliata dell’altare, della cappella e del boschetto dei Giardini reali.
L’applicazione, sviluppata da Ribes Solutions e VisivaLab, è scaricabile gratuitamente da Google Play Store (android), App Store (iOS) o attraverso un QR code posizionato in prossimità dell’ingresso della zona sacra dei musei. E troverà la sua massima espressione attraverso l’attivazione della telecamera del proprio dispositivo che, puntata verso le aree di interesse, offrirà all’utente contenuti testuali, video, foto e animazioni in realtà aumentata estremamente suggestivi e coinvolgenti.
Il progetto si inserisce all’interno del piano di innovazione e trasformazione digitale «GoDigital!», avviato gli scorsi mesi dai Musei reali e che porterà nei prossimi anni allo sviluppo di altre soluzioni tecnologiche. Nei primi mesi del 2022 verranno, infatti, presentati un nuovo sito web, rivisto nella veste grafica e nei contenuti, innovative segnaletiche digitali per orientare il visitatore nel percorso dei musei, totem per il rilevamento del gradimento e della soddisfazione degli utenti, e l'implementazione di un free WI-FI nei Giardini reali.
«Tutto ciò è soltanto la punta dell’iceberg di un cambiamento più profondo e duraturo per portare il visitatore al centro dell’azione dei musei, mediante un nuovo modello di interazione, in ottica omni-canale. - dichiara Enrica Pagella, direttrice dei Musei reali -. La trasformazione digitale e i nuovi bisogni dettati dall'emergenza sanitaria impongono ai musei lo sviluppo di nuove modalità d’ascolto, costruendo una relazione empatica con il pubblico che offra a tutti opportunità di fiducia, di benessere e di ripresa, anche attraverso lo sviluppo di idee e di progetti ad alto contenuto inclusivo e partecipativo».
Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito https://www.museireali.beniculturali.it/.

«Il monello», un evento a Roma per i cento anni dalla prima proiezione
Nel 2021 ricorrono i cento anni del primo lungometraggio prodotto, diretto e interpretato da Charlie Chaplin«Il monello» («The Kid »), uno dei capolavori del cinema muto.
Per festeggiare l’anniversario, al teatro Parioli di Roma vanno in scena tre appuntamenti che prevedono la proiezione integrale del film con l’esecuzione dal vivo della colonna sonora originale arrangiata ed eseguita al pianoforte da Maude Nelissen. A organizzare l’evento è l’associazione Orchestra italiana del cinema, con il contributo del Ministero della Cultura e in collaborazione con Charlie Chaplin™ ©Bubbles Incorporates S.A.. Le date da segnarsi in agenda sono quelle di venerdì 10 (ore 21) e sabato 11 dicembre (ore 16 e ore 21).
L’appuntamento si rivela imperdibile perché la pianista olandese Maude Nelissen ha lavorato a stretto contatto con l’ultimo arrangiatore delle musiche di Chaplin, Eric James, ed è da sempre dedita all’accompagnamento musicale per film muti.
La colonna sonora di «The Kid» fu composta da Charlie Chaplin in età già avanzata nel 1971, a 50 anni esatti dall’uscita del film. L'autore aveva deciso di tagliare alcune scene che riteneva superate dal tempo e di dare un respiro musicale più ampio all’opera. Compose così diciotto distinti movimenti e affidò al suo fedele collaboratore Eric James il compito di trascriverli sul pentagramma. A orchestrare le musiche e dirigere la sessione di registrazione fu, invece, chiamato l'arrangiatore e compositore inglese Eric Rogers. La versione rieditata fu registrata in un solo giorno, il 25 ottobre del 1971, e contribuì a rendere il film un successo straordinario in tutto il Paese, dove rimase in cartellone per mesi. La prima si tenne la sera del 4 aprile 1972 al Lincoln Center di New York. Pochi giorni dopo Charlie Chaplin sarebbe stato premiato con un Oscar alla carriera, assegnatogli «per aver fatto delle immagini in movimento una forma d'arte del XX secolo».
I biglietti per la triplice rappresentazione sono in vendita sul circuito Vivaticket. Per maggiori informazioni è possibile contattare il teatro Parioli ai seguenti recapiti: tel. 06.8084259/5434851; biglietteria@ilparioli.it. Il sito internet di riferimento è http://www.orchestraitalianadelcinema.it/.

Raffaello, Dante e Caravaggio nel presepe della Cappella Sistina
È una delle opere d’arte più importanti di tutti i tempi, il ciclo di affreschi di Michelangelo nella Cappella Sistina in Vaticano, a fare da cornice al presepe di stile e soggetto rinascimentale, visibile fino al prossimo 15 gennaio a Roma grazie al contributo della Fondazione Giulio e Giovanna Sacchetti onlus.
L’opera, di circa tre metri di lunghezza e due di profondità, è un omaggio a Raffaello Sanzio nel cinquecentesimo anniversario dalla sua scomparsa (ricorrenza commemorata lo scorso anno), ma anche a Dante e Caravaggio, di cui, nel 2021, si sono celebrati rispettivamente i settecento anni dalla morte e i quattrocentocinquanta anni della nascita. Questi tre personaggi appaiono così all’interno del presepe, insieme a Giulio II, il papa mecenate. Ma i riferimenti ai tre intellettuali rinascimentali non finiscono qui. Giuseppe e Maria indossano, infatti, vestiti ispirati allo «Sposalizio della Vergine» di Raffaello. Mentre sopra la grotta - ambientata in un’architettura che ricorda il Serapeo di Villa Adriana a Tivoli e piazza della Cisterna a San Gimignano, ma anche alcuni scorsi caratteristici di Spoleto - è riprodotto in miniatura l'affresco con la «Scuola di Atene», situato nella Stanza della Segnatura all’interno dei Musei Vaticani, anche questo opera dell’urbinate.
Il presepe è stato realizzato nell’arco di nove mesi da un gruppo di artisti-artigiani (Giuseppe PasseriEva Maria Antulov e Alfonso Pepe) con grande attenzione ai dettagli e dopo aver effettuato studi su colori e su terre rare e di difficile reperimento. Il blu è stato, per esempio, ricavato dal più pregiato dei lapislazzuli al mondo, quello del Sar-e-Sang a nord dell’Afghanistan; mentre le azzurriti provengono dalla miniera di Alnif, in Marocco, e il diaspro, molto raro, dalle isole dell’arcipelago toscano.
Il presepe, donato al Vaticano, è anche e soprattutto un doveroso omaggio al marchese Giulio Sacchetti, scomparso nel 2010, già Delegato speciale della Pontificia commissione per lo Stato della Città del Vaticano. «Il mio rapporto con la Sistina, uno dei più importanti siti artistici al mondo, - ha detto la moglie, Giovanna Sacchetti, in occasione dell’inaugurazione - inizia nel 1980 con la firma del contratto di mio marito per seguire i lavori per la pulitura e termina nel 1994, con la messa solenne celebrata da papa Giovanni Paolo II, in occasione della presentazione dei restauri. In quei quattordici anni ho visitato molte volte il cantiere e tornare qui con un presepe dedicato a mio marito personalmente è molto commovente».
Per maggiori informazioni è possibile consultare la pagina www.fondazionegiulioegiovannasacchetti.it.

Milano, due concerti per il Natale del Museo Bagatti Valsecchi
Sarà un Natale a tempo di musica quello del Museo Bagatti Valsecchi di Milano. L’associazione «OttavaNota» ha organizzato due appuntamenti per le prossime settimane.
Si inizierà sabato 11 dicembre, alle ore 19, con il concerto «Dulcem Natum», che vede come protagonisti l’Ensemble Barocco e il coro Chanson d’Aube, diretto dal maestro Alberto Odone, ma anche le voci soliste delle soprano Micol Pisanu e Desirée Corapi.
In questo appuntamento, la musica vocale polifonica classica si accosta a brani della tradizione natalizia, spaziando tra la produzione di Haendel, Mozart, Holst e Vivaldi insieme a classiche musiche natalizie di origine popolare. Una particolarità imperdibile è la presenza di strumenti musicali dell’epoca, come l’oboe barocco e la viola da gamba che amplificano l’atmosfera suggestiva resa ancor più intensa dalla presenza del coro che si alterna alla voce delle giovani soprano.
Mentre venerdì 31 dicembre, alle ore 16, il museo invita il pubblico a trascorrere insieme l’ultimo pomeriggio dell’anno con un concerto che avrà per protagonisti gli allievi, provenienti da diverse nazioni, della Masterclass di canto tenuta dal maestro Ernesto Palacio, con la collaborazione pianistica del maestro Gioele Muglialdo. Il programma prevede alcune celebri arie tratte dal grande repertorio operistico italiano e francese.
Un’ora prima di entrambi gli appuntamenti sarà possibile visitare il museo in autonomia avvalendosi, per chi lo desidera, del supporto delle audioguide ascoltabili dal sito www.museobagattivalsecchi.org (si consiglia di portare i propri auricolari).
Il Salone d’onore, sede dei due concerti, è la sala che i fratelli Fausto e Giuseppe Bagatti Valsecchi vollero rendere quanto più maestosa possibile. Nacque così un ambiente a doppia altezza. Il soffitto fu ornato con cassettoni lignei, le pareti con una preziosa tappezzeria ottocentesca personalizzata con i gigli e l’aquila dello stemma della famiglia. Tra le decorazioni appaiono anche diversi motti in latino tra cui ne spicca uno - «Laudamus veteres sed notris utimur annis» («Lodiamo gli antichi, ma viviamo il nostro tempo») – oggi ancora valido e che ispira ogni visita e attività che il museo propone.
Il costo del biglietto è fissato a euro 10,00 per il singolo appuntamento; è obbligatoria la prenotazione sul sito www.museobagattivalsecchi.org.

«Fossili, il passato ritrovato»: nel maceratese una nuova mostra sul «tesoro di Serrapetrona»
Un insospettabile Indiana Jones italiano e un paesino nel cuore delle Marche, una morte improvvisa e la scoperta di un tesoro archeologico e paleontologico inestimabile: sono questi gli elementi che, nel dicembre 2006, hanno portato Serrapetrona, piccolo paese del Maceratese, incastonato sui Monti Azzurri, a diventare famoso. Quell’ampio patrimonio rinvenuto nella casa del geologo Giorgio Recchi - composto da ottocentotrentanove reperti paleontologici, trecentocinque archeologici e milletrecentosettantasette numismatici - è stato oggetto di un percorso di musealizzazione, che ha già preso forma in tre esposizioni tenutesi nel 2010, 2012 e 2017.
A questa storia si aggiunge ora un nuovo capitolo: la rassegna «Fossili, il passato ritrovato», allestita fino al 31 dicembre 2022 nelle sale del Palazzo Claudi di Serrapetrona. La mostra presenta circa cinquanta esemplari provenienti da tutto il mondo, appartenenti a ere lontanissime (fino a 500 milioni di anni fa), ma anche a epoche più recenti, permettendo al pubblico di scoprire anche animali estinti, spesso impressionanti, come i gigantostraci, predatori marini vissuti 400 milioni di anni fa, simili a giganteschi scorpioni.
Tra i fossili più sorprendenti in mostra c’è l’enorme uovo dell’«uccello-elefante» (pari a circa 150 uova di gallina), rinvenuto in Madagascar e risalente al 1700 d.C., uno dei trenta esemplari di questo tipo, conservati interi, in tutto il mondo.
La mostra consente, poi, di ammirare alcuni esemplari che sembrano delle vere e proprie opere d’arte, come le ammoniti (molluschi estinti dalla caratteristica conchiglia a spirale), che colpiscono per l’armonia delle forme, o gli insetti perfettamente conservati nell’ambra.
I fossili di Serrapetrona aiutano anche a sfatare alcune credenze, come quella sulla dimensione dei dinosauri, che nel nostro immaginario sono sempre enormi. Spesso questi animali erano, invece, piccoli, come testimonia lo scheletro di un dinosauro «ornitischio» proveniente dalla Mongolia e risalente al Cretaceo inferiore (tra i 145 e i 99 milioni di anni fa).
La mostra, a ingresso gratuito, è aperta nei seguenti orari: il sabato, dalle ore 15:30 alle ore 18:30; la domenica e festivi, dalle ore 10:30 alle ore 12:30 e dalle ore 15:30 alle ore 18:30.
Per maggiori informazioni: https://www.facebook.com/mostrapaleontologicaserrapetrona/.