ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

venerdì 5 aprile 2024

Giacomo Puccini, si arricchisce l’archivio del museo di Torre del Lago

«Gaudio supremo, paradiso, eden, empireo, turris eburnea, vas spirituale, reggia… abitanti 120, 12 case. Paese tranquillo con macchie splendide fino al mare, popolate di daini, cignali, lepri, conigli […]. Tramonti lussuriosi e straordinari»: con queste parole, nel 1900, Giacomo Puccini (1858-1929) celebrava la quiete e la bellezza di Torre del Lago. In questo ridente borgo toscano, dove il maestro compose e sue opere maggiori, tra cui la «Tosca» (1900), «Madama Butterfly» (1904), «La Fanciulla del West» (1910) e «La Rondine» (1917), oggi ha sede la Villa Museo Giacomo Puccini, che custodisce al proprio interno oltre 28.500 pezzi tra missive, fotografie, documenti amministrativi, musica manoscritta e a stampa, carteggi familiari e professionali.
Questo patrimonio consistente, dichiarato fondo di interesse storico dal ministero della Cultura, viene costantemente integrato grazie al lavoro della Fondazione Simonetta Puccini per Giacomo Puccini, che, anno dopo anno, ha portato tra le sale del museo un insieme di documenti unici e inediti, preziosi per lo studio del grande compositore e della sua immensa produzione artistica. In queste settimane, ovvero quelle che conducono al centenario della morte del compositore (che si commemorerà il prossimo 29 novembre), l’archivio si è arricchito di nuovo materiale: manoscritti musicali autografi, lettere, appunti scritti di proprio pugno da Giacomo Puccini e libretti originali delle sue opere liriche, ma non solo.
 
Tra le più recenti acquisizioni, c’è un libretto che la Fondazione ha comprato all’incanto, contenente alcuni scritti del maestro indirizzati alla famiglia della madre, Albina Magi, a partire dal 1898. A tal proposito va ricordato che Giacomo Puccini, sesto di nove figli, orfano del padre in giovanissima età, fu molto legato ai fratelli e ai parenti materni, tant’è che tra i suoi primi insegnanti di musica ci fu proprio lo zio Fortunato Magi, poi divenuto direttore del Conservatorio di Venezia. Mentre da una nota casa d’aste proviene un lotto di manoscritti musicali per pianoforte e organo, che costituiscono le parti mancanti di composizioni già custodite presso l’archivio e perciò elementi indispensabili per la completezza della raccolta.

L’importante operazione di ricostruzione dell’archivio è resa possibile anche grazie alla generosa iniziativa dei privati. Una minuta autografa e alcuni libretti d’opera dell’epoca sono stati, infatti, donati da Luciano Birghillotti, preside in pensione di una scuola fiorentina, appassionato di musica e in particolare di quella pucciniana, che nel 1991 aveva conosciuto la nipote di Puccini, Simonetta, durante la cerimonia di intitolazione di una scuola elementare al maestro. Birghillotti ha devoluto alla Fondazione anche un ritaglio del quotidiano «La Nazione» del novembre 1924, giorno successivo alla scomparsa dell’operista, e un telegramma autografo ricevuto in eredità dal nonno – capostazione a Capalbio nei primi decenni del Novecento, presso il quale il compositore si recava ogni settimana per inviare le sue comunicazioni – che Giacomo Puccini spedì dal paese toscano al drammaturgo e librettista Giovacchino Forzano per avvertirlo che avrebbe assistito alla prova di un’opera al Teatro Regio di Torino. Sandra Nicolini, invece, ha donato una rivista storica, il numero unico pubblicato con la «Gazzetta Mondana» in occasione della scomparsa del compositore, avvenuta nel 1924.
Ma oltre al Puccini autore, conosciuto e acclamato in tutto il mondo, dalle nuove acquisizioni emerge anche una dimensione più intima, quella delle sue relazioni sentimentali, come documentano i sette ritagli di quotidiani sui quali l’operista scrisse degli appunti relativi alla triste vicenda di Doria Manfredi, la giovane cameriera suicidatasi perché accusata dalla moglie di Puccini, Elvira, di avere una relazione con il maestro. Questi frammenti, rinvenuti tra le carte dell’ammiraglio Luigi Romani, che li ha donati con piacere alla Fondazione, possono contribuire a gettare un po’ di nuova luce sul Puccini uomo, marito e amante. A darci la possibilità di indagare, parallelamente alla produzione artistica, anche la sfera privata del musicista, c’è, poi, un fondo composto da una ventina di lettere e memorie, anche queste contenenti commenti autografi relativi alla storia della Manfredi, che la Fondazione ha invece acquistato presso il mercato antiquario.

Infine, ad integrare un fondo già presente in archivio, acquistato da Simonetta Puccini, sono appena giunte al museo di Torre del Lago due lettere che Giacomo Puccini scrisse all’amico e pittore Ferruccio Pagni, donate da Mauro Masini. Quella tra l’operista e l’artista livornese, che frequentò l'Accademia delle belle arti di Firenze sotto la guida di Giovanni Fattori, fu un’amicizia profonda e di lungo corso, iniziata nel 1891 proprio sulle rive del lago di Massaciuccoli, dove Puccini abitava e dove Pagni amava dipingere le sue tele.

Le nuove acquisizioni sono, dunque, documenti di valore eccezionale, che arricchiscono e completano il patrimonio storico-documentario legato alla memoria del grande compositore, aperto agli studiosi di tutto il mondo, e che permettono alla comunità accademica di creare nuove sinergie, dal punto di vista musicale, artistico e documentario.

Informazioni utili 
Fondazione Simonetta Puccini, Viale Giacomo Puccini, 266 - 55049 Torre del Lago, Lucca, tel. +39.0584.341445, e-mail info@fondazionesimonettapuccini.it. Sito web: www.giacomopuccini.it

giovedì 4 aprile 2024

Roma, alla Galleria Borghese una delle prime opere di Diego Velázquez

Diego Velázquez (1599-1660), Donna in cucina con cena in Emmaus, c.1617-1618. © National Gallery of Ireland

È il dialogo artistico e culturale fra due giganti della pittura barocca il cardine della mostra «Un Velázquez in Galleria», che ha fatto volare da Dublino a Roma l’opera «Donna in cucina con Cena di Emmaus», uno dei primi lavori conosciuti di Diego Velázquez (1599-1660), usualmente conservato nella collezione permanente della National Gallery of Ireland. La sede dell’esposizione capitolina, allestita fino al 23 giugno, è, infatti, una delle stanze più amate della Galleria Borghese, la numero 8 conosciuta come Sala del Sileno, al cui interno sono ospitati sei pregevoli dipinti del Caravaggio.
Il prezioso focus di ricerca rivela prospettive inedite di critica e approfondimento, collocando la mostra in quel filone dedicato allo sguardo degli artisti stranieri sulla Città Eterna a cui il museo dedica da tempo una parte consistente della sua attività di studio.
Diego Velázquez visitò Roma ben due volte nel corso della vita e come Rubens, che incontrò a Madrid nel 1629, ebbe un rapporto privilegiato con l’Urbe, cosa che lo inserisce di fatto in quella schiera di artisti stranieri che dalla città e dai suoi maestri trassero insegnamento e ispirazione.
La pittura di Michelangelo Merisi da Caravaggio (1571-1610) fu rivoluzionaria per le sorti artistiche di tutto il Seicento. Fin dalle prime tele svelate al pubblico nella chiesa di San Luigi dei Francesi a Roma nel 1600, il «rumore» (come scrisse Baglione) attorno alla sua opera fu eclatante, spingendo numerosi artisti a imitarne lo stile e copiare i suoi dipinti. Nacque così il fenomeno del caravaggismo, che nel giro di pochi anni divenne di portata europea, e i cui esiti più alti fiorirono spesso lontano dall’Italia, grazie a pittori fiamminghi, olandesi, francesi e spagnoli.
Questi artisti stranieri giungevano a Roma e in altre città italiane per vedere e imparare l’arte italiana, e anche la pittura di Caravaggio, esercitandosi nella riproduzione dei loro capolavori, in un viaggio di formazione che anticipava di un secolo il Grand Tour.
A Siviglia, nella calda e assolata Andalusia, si accese forse la luce più brillante di questa corrente artistica, con l’opera di Diego Velázquez (1599-1660), il cui legame a distanza con Caravaggio è di grande fascino e intensità.
La «Donna in cucina con Cena in Emmaus» è tra le prime opere del pittore spagnolo, dipinta intorno al 1618-1620 quando era da poco uscito dalla bottega di Francisco Pacheco, pittore sivigliano di cui sposò la figlia Juana nel 1618. 
Il dipinto rientra nel genere dei bodegón, filone di pittura spagnolo che ritraeva persone delle condizioni sociali più umili, in cucina o vicino a cibi e oggetti poveri.
Protagonista del dipinto è una giovane domestica affaccendata in cucina, che sembra aver appena finito di mettere in ordine dopo una cena, come dimostrano la brocca e le ciotole rovesciate a scolare e il panno bianco in primo piano. La natura morta degli oggetti è dipinta con grande realismo e vividezza, la luce rifulge nella pentola di rame e nel mortaio, accarezza la cesta di paglia appesa al muro e accende le brocche di ceramica che fanno pensare già alle opere di Giorgio Morandi. Sullo sfondo a sinistra, come fosse un quadro nel quadro, vediamo da una finestra una scena con l’episodio evangelico della Cena in Emmaus, che era stato celato da ridipinture ed è riemerso grazie a un restauro nel 1933.
Si tratta del momento in cui due discepoli riconoscono il Cristo risorto che si era presentato loro come un mendicante, nell’istante esatto in cui spezza il pane e lo benedice. La giovane domestica è immobile e trasognata, sembra aver percepito la sacralità dell’avvenimento, come se stesse ascoltando le parole pronunciate alla mensa sullo sfondo. 
Quest’opera è stata messa in relazione a un passo di santa Teresa d’Avila, la mistica spagnola del Cinquecento, che avrebbe detto alle sue sorelle monache: «Figlie mie non sconfortatevi se l’obbedienza vi porta a occuparvi di cose esteriori, sappiate che anche in cucina si trova il Signore, e tra le pentole vi aiuta nelle cose interiori e in quelle esteriori».
Così quella che potrebbe apparire come una consueta e semplice «scena di genere» assume significati più alti e spirituali, proprio come le opere giovanili di Caravaggio, come «Autoritratto in veste di Bacco», tra le prime opere note del Merisi, custodito fin dal Seicento nella Galleria Borghese. Nel rigoglioso grappolo poggiato sul piano e in quello tenuto in mano in cui si intravedono degli acini appassiti, nella foglia riarsa come in quella verde del serto, si sono visti significati allegorici e morali. Anche il dipinto spagnolo con la giovane e pudica domestica mostra una straordinaria natura morta ed entrambe, benché quella caravaggesca sia biologica («umile dramma biologico», secondo Longhi) e l’altra inanimata, sono fortemente drammatiche.
Velázquez soggiornò in Italia ben due volte, la prima nel 1629, per circa un anno e mezzo, e la seconda dal 1649 al 1651. Entrambi i viaggi furono di enorme importanza per la sua pittura, che fu nutrita dai grandi maestri veneti, lombardi ed emiliani. Come solo Raffaello prima di lui, il grande pittore spagnolo fu in grado di assimilare ogni cosa vista, di farla propria e reinterpretarla in una maniera unica. Tiziano, i Carracci, Caravaggio, Guido Reni e persino Bernini rivivono nei ritratti e nelle grandi tele storiche e mitologiche di Velázquez, che tiene assieme classicismo e naturalismo. Bisogna osservare però come la «Donna in cucina con Cena in Emmaus» sia stata eseguita oltre un decennio prima del suo soggiorno italiano, ed è, quindi, lecito domandarsi come gli sia giunta questa forte eco caravaggesca. Si può facilmente immaginare che le opere del Caravaggio fossero arrivate in Spagna per mezzo di alcune copie, che circolavano allora in grandi quantità, e che egli possa aver visto una replica della «Cena in Emmaus» a lungo conservata nella Galleria Borghese e oggi alla National Gallery di Londra.
È ad ogni modo certo che fin da subito i suoi esordi pittorici furono sotto il segno di Caravaggio, entrambi cercarono la verità nei bassifondi delle rispettive città, nelle strade, nelle taverne e nelle locande, collocando il sacro all’interno di ambientazioni umili e quotidiane.

Didascalie delle immagini
[Figg. 2, 3, 4 e 5] Un Velazquez in Galleria. Installation view. Ph A. Novelli. Credit: Galleria Borghese, Roma

Informazioni utili
Un Velazquez in Galleria. Galleria Borghese, Piazzale Scipione Borghese, 5 - Roma. Orari: dal martedì alla domenica, dalle 9.00 alle 19.00. Ultimo ingresso alle ore 17.45Ingresso: € 13,00*  (ultimo turno € 8,00*) | *in Occasione della mostra Raffaello, Tiziano, Rubens. Capolavori dalla Galleria Borghese a Palazzo Barberini i biglietti subiscono una riduzione di € 2,00; ridotto 18-25 anni € 2,00; gratuito per i minori di 18 anni | prenotazione obbligatoria per tutte le tipologie di biglietto € 2,00. Sito internet: https://galleriaborghese.beniculturali.it. Fino al 23 giugno 2024

mercoledì 3 aprile 2024

La «Madonna Sorlini» di Giovanni Bellini in mostra a Venezia

Giovanni Bellini,Madonna in adorazione con bambino dormiente, tempera su tavola, 1470 circa, inv.n. 004. Fondazione Luciano Sorlini - Museo MarteS, Calvagese della Riviera (Brescia)

Rimarrà visibile ancora per pochi giorni, alle Gallerie dell’Accademia di Venezia, la «Madonna in adorazione del Bambino dormiente» di Giovanni Bellini (1432/1433 circa - 1516), opera di proprietà della Fondazione Luciano Sorlini di Calvagese della Riviera, in provincia di Brescia.
Il prestito, che durerà fino al 7 aprile, precede l’importante intervento di restauro a cui sarà sottoposto il lavoro proprio a Venezia, sotto la mano esperta di Giulio Bono e con il patrocino di Banca Intesa Sanpaolo, nell’ambito del programma biennale di restauri «Restituzioni», che in oltre trent’anni ha riconsegnato più di duemila beni, testimonianze di espressioni artistiche datate dall’antichità al secondo Novecento, alla fruizione della collettività.
L’opera, che risale alla prima maturità del suo autore, è nota al mondo dell’arte con più nomi. Roberto Longhi la definì «Madonna in rosso» nel suo «Viatico per cinque secoli di pittura veneziana», pubblicato nel 1946, sottolineandone il cromatismo che la contraddistingue. I più la chiamano «Madonna Sorlini» dopo che, nel 2004, l’imprenditore e collezionista bresciano Luciano Sorlini (1925-2015) la acquisì e dopo che, dal 2018, è stata messa in mostra nel “suo” MarteS, un museo moderno e un punto di riferimento per l’arte veneziana in Lombardia, soprattutto per la pittura figurativa veneta del XVII e XVIII secolo, che oggi vanta una collezione di 184 opere, alcune delle quali portano la firma di Tiepolo, Ricci, Guardi,
Vista della sala n 4 alle Gallerie dell'Accademia di Venezia
Canaletto
e Rosalba Carriera, ma anche di autori meno conosciuti come Pittoni, Diziani, Molinari, Bellucci, Fontebasso e molti altri. Il titolo originario dell'opera belliniana in mostra alle Gallerie del'Accademia è, però, - come già ricordato - la «Madonna in adorazione del Bambino dormiente».
Il lavoro, che ritornerà nella sua abituale casa nel 2026, è visibile all’interno della Sala V al primo piano delle Gallerie dell’Accademia, quella adiacente alla Sala IV dedicata alle opere di piccolo formato dell’artista, e in particolare all’evoluzione interpretativa del grande «patriarca della pittura rinascimentale veneziana» sul tema della «Madonna col Bambino».
Vista della sala n 5 alle Gallerie dell'Accademia di Venezia
Giovanni Bellini fece parte della più importante impresa familiare della Venezia quattrocentesca, attiva tra gli anni Quaranta del XV secolo e il primo decennio del XVI secolo. L’accostamento di tele e tavole opera dei fratelli Giovanni e Gentile documenta i modi e la gradualità del processo di affrancamento dallo stile più arcaico del padre Jacopo, aprendosi alle novità del linguaggio rinascimentale elaborate a Padova da Francesco Squarcione, sulla base degli stimoli introdotti da Donatello. Nel corso della sua lunga vita, Giovanni traghettò, infatti, la pittura ancora influenzata dai modelli bizantini allo stile rinascimentale di Donatello e Mantegna, fino al tonalismo veneto di Giorgione e Tiziano.
La «Madonna Sorlini» è indicata dalla storiografia critica come centrale all’interno della produzione dell’artista veneziano ed è sempre presente all’interno dei principali cataloghi ragionati della sua opera, quelli pubblicati nel 1974, 1992 e 1997.
La tavola vanta un importante pedigree collezionistico ed espositivo: prima di giungere nelle Collezione Sorlini appartenne alla prestigiosa raccolta fiorentina del conte Alessandro Contini Bonacossi e fu esposta nell’importante mostra dedicata a Bellini, allestita a Palazzo Ducale di Venezia nel 1949. La Vergine, dalle fattezze dolci e delicate, appare, qui, saldamente ancorata nella composizione, mentre lo sguardo rivolto all’Infante tradisce la consapevolezza della Passione futura, confermata dagli elementi iconografici a corollario della composizione: il panneggio in cui è avvolto il bambino, trattato come un sudario, ed il manto rosso, all’epoca colore del lutto.
Al termine della mostra l’opera sarà direttamente trasferita nel laboratorio di restauro di Giulio Bono, a Venezia, e sarà oggetto anche di nuove indagini storico- artistiche, la cui curatela scientifica è stata affidata al professor Antonio Mazzotta, tra i massimi esperti di pittura belliniana. Di origini bresciane, insignito del Premio Grimani 2022 per il restauro artigiano e la conservazione delle opere storico-artistiche, Giulio Bono è il maggiore restauratore di opere veneziane di epoca rinascimentale. Suoi sono i restauri della «Vecchia» di Giorgione e della monumentale pala dedicata all’«Assunzione della Vergine», posta sull’altare maggiore della Basilica dei Frari, la più grandiosa opera su tavola eseguita da Tiziano, restaurata grazie al comitato internazionale Save Venice. Bono si è, inoltre, occupato di interventi conservativi su dipinti mobili su tavola e tela del XV e XVI secolo di Gentile Bellini, Piero della Francesca, Sebastiano del Piombo, Moretto, Jacopo Tintoretto, Paolo Veronese.

Informazioni utili
«La Madonna in rosso di Giovanni Bellini». Gallerie dell'Accademia, Campo della Carità – Venezia. Orari: lunedì, ore 8.15-14.00; martedì-domenica, ore 8.15 - 19.15 (La biglietteria chiude un’ora prima). Ingresso: intero € 15,00, ridotto € 2,00, altri biglietti e agevolazioni su https://www.beniculturali.it/agevolazioni. Informazioni: call center 800150666. Sito internet: gallerieaccademia.it. Fino al 7 aprile 2024.