ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

venerdì 12 aprile 2024

«Miart, «no time no space»: al via la ventottesima edizione di miart

178 gallerie
provenienti da 28 Paesi, oltre 1000 opere di maestri moderni e artisti contemporanei affermati ed emergenti, 10 riconoscimenti tra premi, fondi acquisizioni e nuove committenze e altrettanti direttori di museo provenienti da tutto il mondo tra i propri giurati: sono questi i numeri della 28ª edizione di miart, la fiera internazionale d’arte moderna e contemporanea, in programma fino al 14 aprile all’Allianz MiCo di Milano, dove negli stessi giorni si tiene anche il Mia Photo Festival.
«No time no space» è la frase, tratta da una canzone di Franco Battiato, musicista, artista ed esploratore «di mondi lontanissimi e di civiltà sepolte», scelta come filo conduttore di questa edizione della kermesse mercantile, che vede alla guida, per il quarto anno consecutivo, Nicola Ricciardi.

Attraverso due sezioni inedite, pensate come portali dimensionali o ideali macchine del tempo, la fiera allarga ulteriormente i propri confini geografici e temporali. «Portal», a cura di Abaseh Mirvali, propone, per esempio, otto piccole mostre con lavori, tra gli altri, di Franco Mazzucchelli (ChertLüdde, Berlino), Francesco Gennari (Ciaccia Levi, Parigi - Milano /ZERO…, Milano), Anna Boghiguian (Galleria Franco Noero, Torino), Troy Makaza e Gresham Tapiwa Nyaude (First Floor Gallery, Harare - Victoria Falls). «Timescape», progetto espositivo anch’esso presentato all’interno di «Established» (il segmento della fiera che vede dialogare alcune tra le più importanti realtà operanti a livello internazionale nei settori dell’arte moderna, contemporanea e del design), offre, invece, un viaggio all’interno del Novecento grazie a micro-esposizioni come quella della Galleria Gomiero (Montegrotto Terme), che racconta il ritratto nell'ambito della scultura con opere di Medardo Rosso e Giacomo Manzù, o quella curata da Bottegantica (Milano), con opere di Giacomo Balla e Umberto Boccioni, nonché con un focus sul Futurismo e sull’Aeropittura.
Fa, poi, il suo ritorno in fiera «Emergent», la sezione curata da Attilia Fattori Franchini e riservata alle gallerie specializzate nella promozione dei giovani artisti, che quest'anno accoglie 23 realtà provenienti da tutto il mondo, dalle ormai consolidate Bel Ami (Los Angeles), Sébastien Bertrand (Ginevra) e Sans titre (Parigi) alle new entries Arcadia Missa (Londra), Lovay Fine Arts (Ginevra) e Sweetwater (Berlino).

All’interno delle diverse sezioni sono presenti, come consuetudine, opere di ogni genere, dai dipinti ai disegni, dalle sculture alle installazioni, ma non solo. Molti sono i lavori di carattere museale. Ne danno l’esempio «Caribbean Tea Time», uno spettacolare paravento di David Hockney, proposto da Galerie Lelong & Co. (Parigi - New York), le opere «Combustione B.A.» (1960) e «Combustione plastica» (1957) di Alberto Burri, esposte da Tornabuoni Arte (Firenze - Milano - Forte dei Marmi - Roma - Parigi - Crans Montana), e l’installazione di Vivian Suter per kaufmann repetto (Milano - New York), frutto della decennale ricerca dell'artista sulle vicissitudini della foresta pluviale del Guatemala.

Numerose sono anche le opere commissionate appositamente per questa edizione di miart come la poetica e monumentale altalena di Francesco Arena per Galleria Raffaella Cortese (Milano - Albisola) o la performance «Thyself Agency» di Luca de Leva, che trasforma lo stand di Pinksummer (Genova) in «un’agenzia di viaggio per spedizioni verso l’ignoto», proponendo metodi di ricerca personale volti a scardinare automatismi comportamentali.
Non mancano, poi, le mostre personali come quelle di Tomasz Kowalski da Dawid Radziszewski (Varsavia), di Lucy Stein da Galerie Gregor Staiger (Zurigo - Milano), di Pietro Consagra da Mucciaccia Gallery (Roma - Londra - Cortina d’Ampezzo - Singapore) o di Giosetta Fioroni da Marcorossi (Milano - Verona - Torino - Pietrasanta - Roma).

Proseguendo nel percorso, l’arte moderna, storica spina dorsale della fiera milanese, è ben rappresentata dal progetto «Artisti italiani nella collezione Peggy Guggenheim», proposto da ML fine art (Milano), con opere di Giorgio de Chirico, Marina Apollonio e Piero Dorazio, o dalla mostra di Gió Marconi (Milano), con lavori di Enrico Baj, Lucio del Pezzo e Mario Schifano.

L’imminente inaugurazione della 60. Esposizione internazionale d'arte della Biennale di Venezia ha, infine, portato numerose gallerie a dare risalto in fiera agli artisti selezionati dal curatore Adriano Pedrosa per «Stranieri Ovunque». Ecco così che Louis Fratino espone alla Galerie Neu (Berlino), mentre Greta Schödl, Bertina Lopes e Xiyadie da Richard Saltoun Gallery (Londra – Roma). La Galleria dello Scudo (Verona) propone, invece, un focus sullo Spazialismo veneziano con opere degli anni Cinquanta di artisti quali Emilio Vedova, Tancredi Parmeggiani, Renato Birolli e Edmondo Bacci, mentre ED Gallery (Piacenza) presenta una selezione di opere che vennero realizzate dai maestri vetrai di Murano per la Biennale di Venezia del 1914.

Sempre in fiera il main sponsor Intesa San Paolo offre al pubblico la mostra «Io sono una forza del passato», a cura di Luca Beatrice, per una riflessione sulla pittura contemporanea come dialogo tra nuovi orientamenti – che vedono sempre più l’adozione dell’artificiale e del digitale e la rinuncia del ‘fatto a mano’ – e il recupero delle forme classiche del passato.

Mentre all’esterno dell’Allianz MiCo, grazie alla rinnovata partnership con il brand di moda Msgm, è visibile un'opera site specific di Jenna Bliss (1984, Yonkers, New York) con una serie di schermi dove scorreranno le sue opere video: «evocazioni - si legge nella nota stampa - di un passato recente ormai dimenticato, memorie personali e collettive, incontri e osservazioni della vita quotidiana e del legame con le convenzioni sociali e i contesti storici che mettono in discussione ipotesi comuni ed espandono narrazioni consolidate».

Come ogni anno la kermesse mercantile esce fuori dai padiglioni fieristici grazie alla Milano Art Week, manifestazione diffusa coordinata dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Milano, che mette in rete le principali istituzioni pubbliche e private della città dedicate all’arte moderna e contemporanea, con un programma di mostre e attività, per un totale di quasi duecento eventi, molti dei quali proseguiranno anche nei giorni dell’imminente Milano Design Week

Pino Pascali da Fondazione Prada, Alessandro Mendini e Cino Boeri in Triennale, Nari Ward e Chiara Camoni da Pirelli Hangar Bicocca, Adrian Piper al Pac, Dolce & Gabbana a Palazzo Reale, i Masbedo e FormaFantasma da Fondazione Ica sono solo alcune delle proposte da non perdere. La Fondazione Nicola Trussardi torna, invece, a invadere la città con «Italia70 – I nuovi mostri», un’esplosione di immagini realizzate da 70 artisti, tra grandi maestri e talenti emergenti, per una vera e propria caccia al tesoro che coinvolge tutti i quartieri, dal Cimitero monumentale al centro storico, da City Life a Porta Romana.

Una segnalazione merita, infine, «Abbandonare il locale», la prima mostra monografica in Italia dedicata a David Horvitz, che porta in un ufficio dismesso di Bim (mbizioso progetto di rigenerazione urbana nel quartiere Bicocca che sta trasformando un iconico edificio progettato da Vittorio Gregotti in una work destination all'avanguardia), 20 opere dell’artista americano, che ripercorrono quasi altrettanti anni di carriera, selezionate da Nicola Ricciardi. La mostra – si legge nella nota stampa - «nasce dalla volontà di dare una forma tangibile all’espressione «no time no space», alternando lavori storici con nuove produzioni e oggetti trovati che provano a complicare l’idea standardizzata di tempo e a sovvertire la logica dei confini a cui siamo abituati».
 
Con l’edizione 2024, miart conferma, dunque, il suo ruolo centrale tra gli appuntamenti del mercato dell’arte rendendo ancora più estesi e permeabili i propri confini tematici, spaziali e temporali e ponendosi come piattaforma di osservazione della società e dei suoi cambiamenti. 

Didascalie delle immagini 
Miart 2024. Foto di Nicola Gnesi studio 

Informazioni utili 
miart 2024 - Allianz MiCo, Padiglione 3, viale Scarampo – Milano. Orari: 12 e 13 aprile: dalle 11.30 alle 20.00 | 14 aprile: dalle 11.00 alle 19.00. Biglietto: intero: 18€, ridotto (minori dai 4 ai 17 anni e studenti): 14€. Sito internet: https://www.miart.it. Fino al 14 aprile 2024

giovedì 11 aprile 2024

Canaletto, un «ospite illustre» al Palazzo Ducale di Venezia

«Venezia è la perla d’Italia. Quando si volge lo sguardo a questi palazzi marmorei, a questi ponti, a queste chiese, a questo merletto stupendo di colonne, balconi e finestre, si comprende perché veniamo tutti qui». Così il francese Hippolyte Tayne dava voce ai tanti stranieri che vedevano nella Serenissima una tappa obbligata del loro Grand Tour, il viaggio tra i Paesi dell’Europa che, a partire dal Seicento e fino ai primi decenni dell’Ottocento, fu considerato parte essenziale nel percorso educativo dei giovani rampolli dell'aristocrazia inglese, francese e tedesca.

In quegli stessi anni nacque l’industria del ricordo. Le élite europee non rinunciavano, infatti, a portarsi a casa un «souvenir d’Italie». Per soddisfare la domanda di questo esigente stuolo di turisti-compratori, a caccia di una statuetta in biscuit o di un piccolo acquerello, di un cammeo o di un oggetto in vetro, artisti e artigiani diedero vita a una lucrosa attività, realizzando copie di capolavori d’arte antica o creando nuove opere, in alcuni casi commissionate dagli stessi viaggiatori. Il risultato di questa pratica fu l’impetuoso sviluppo di alcuni generi artistici, in particolare i ritratti e le vedute, vere e proprie cartoline di viaggio che servivano a ricordare i luoghi e i paesaggi rimasti nel cuore. Pompeo Batoni, Canaletto, Zuccarelli, Gaspar Van Wittel, Joseph Wright of Derby, Luca Carlevarijs e Giovan Battista Piranesi sono solo alcuni degli artisti coinvolti in questa attività nelle varie città italiane: Roma, Firenze, Napoli, Milano, il Golfo dei poeti, la Costiera amalfitana e, ovviamente, Venezia.

Nella Serenissima, tra i soggetti più amati e più richiesti dagli aristocratici del Grand Tour, c’era la veduta del Bacino di San Marco con Palazzo Ducale, massima espressione della bellezza luminosa e acquatica della città, diventata immagine e «oggetto del desiderio» in tutta Europa proprio grazie alla diffusione del vedutismo. Antonio Canal, meglio noto come Canaletto (Venezia, 1697-1768), era un maestro indiscusso di questo genere, con le sue vedute così accurate e minuziose da sembrare una fotografia. E il cuore pulsante della Serenissima, un vero e proprio museo a cielo aperto, ma anche un palcoscenico per eventi storici come l’incontro tra l'imperatore Barbarossa e papa Alessandro (1177) o le grandi feste per il Carnevale, era uno degli scorci più pittoreschi della sua produzione.

Tra le opere più iconiche del pittore veneziano, non si può, dunque, non annoverare «Il molo verso Riva degli Schiavoni con la colonna di San Marco» (1735-1740): un dipinto, acquistato come souvenir di lusso da Thomas Osborne (1713-1789), quarto duca di Leeds, in cui «la coerenza prospettica dell’impianto spaziale, la resa precisa delle architetture e la qualità della luce cristallina, che evoca in lontananza il pulviscolo atmosferico, riassumono al meglio la sua straordinaria produzione». Ogni elemento della narrazione concorre, infatti, «alla resa dello spazio, alla vastità della visione, alla celebrazione di Venezia come città che sorge dalle acque, suscitando stupore e meraviglia».


L’opera è il terzo degli «Ospiti a Palazzo», la rassegna che porta nelle sale del Palazzo Ducale di Venezia grandi esempi di opere pittoriche, volte a esaltare il ruolo della città lagunare e dei suoi protagonisti nella storia e nella cultura europea e che, al contempo, rafforza il dialogo tra istituzioni museali. Inaugurato nel 2022, con la presentazione del capolavoro «Maria Maddalena in estasi» di Artemisia Gentileschi, e proseguito lo scorso anno, con «L’ultimo Senato della Repubblica di Venezia» di Vittorio Emanuele Bressanin, il progetto espositivo stringe in questa edizione, in cartellone fino al 21 luglio nella rinnovata Quadreria, e più precisamente nella Sala del Magistrato alle Leggi, un sodalizio con il Castello sforzesco di Milano. È, infatti, in queste sale che è usualmente esposto il dipinto «Il molo verso Riva degli Schiavoni con la colonna di San Marco», conservato, a partire dal 1995 (l’anno dell’acquisto a Finarte da parte dell’istituzione meneghina), insieme con un altro lavoro del Canaletto, «Il molo verso la Zecca con la Colonna di San Teodoro», anch’esso proveniente dalla collezione dei duchi di Leeds, dove era entrato nel Settecento probabilmente attraverso la mediazione del banchiere, mercante e collezionista inglese Joseph Smith, dal 1744 console britannico a Venezia, protettore e agente ufficiale dello stesso artista, che nel suo palazzo ai Santi Apostoli esponeva, a scopo promozionale, dodici vedute canalettiane del Canal Grande.

La mostra non si configura solo come un «ritorno a casa» del telero, ma offre anche l’occasione per un confronto con un interlocutore coevo, tra i massimi esponenti della pittura veneziana del Settecento: Giambattista Tiepolo (Venezia 1696 – Madrid 1770) con la sua opera «Nettuno offre a Venezia i doni del mare» (1757-1758), appositamente realizzata per Palazzo Ducale, rappresentando il mito di Venezia, regina del mare, che la classe dirigente voleva perpetuare. 

«I due artisti, pressoché coetanei, non potrebbero essere più differenti nella loro poetica – si legge nei pannelli descrittivi in mostra -. Se Canaletto si specializza nell’arte della veduta, nella resa precisa, lenticolare, della realtà circostante, eleggendo la città di Venezia a sua musa ispiratrice, Giambattista Tiepolo origina visioni d’incanto con scene popolate da divinità classiche, personaggi mitologici e allegorie. Affascinati inizialmente dall’aspro contrasto di luce e ombra, nel crescere degli anni la tensione chiaroscurale si apre, in entrambi, a una luminosità tersa, a uno stile più controllato e nitido». Canaletto non restituisce però alla nostra vista solo le architetture della città, ma ci porta all’interno della vita quotidiana dei suoi abitanti, figure che rendono ancora più reale e animata la scena raffigurata, un mercato. Come scriveva Pietro Zampetti, nel 1967, il pittore ci racconta così «la realtà schietta e sincera, il senso delle cose scrutate nella loro essenza più vera e profonda».

Informazioni utili
Ospiti a Palazzo: Canaletto. Palazzo Ducale, Quadreria, piazza San Marco - Venezia. Orario: tutti i giorni, ore 9.00 – 19.00 (ultimo ingresso ore 18.00) | Domenica 28 aprile il Museo aprirà al pubblico alle ore 14:00 | Aperture speciali: dal 1° maggio al 30 settembre 2024, ogni venerdì e sabato apertura fino alle ore 23.00 (ultimo ingresso ore 22.00). Ingresso: i costi dei biglietti sono consultabili al link https://palazzoducale.visitmuve.it/it/pianifica-la-tua-visita/biglietti/. Informazioni: tel. +39.041.2715911 o https://palazzoducale.visitmuve.it/it/contattaci/. Fino al 21 luglio 2024

mercoledì 10 aprile 2024

«Restaurando Canova», nuova vita per l’«Apollino» e la «Testa di vecchio» delle Collezioni comunali d’arte di Bologna

Due anni fa, in occasione del bicentenario della morte di Antonio Canova (Possagno, 1757 – Venezia, 1822), i Musei civici d’arte antica di Bologna diedero vita un progetto di tutela, valorizzazione e conservazione dell’opera dell’artista ottocentesco, restaurando due sculture appartenenti alle collezioni comunali d’arte: l’«Apollino» (1797) e la «Testa di vecchio» (1820-1830). I due progetti conservativi – che hanno coinvolto l’Opificio delle Pietre Dure, il Museo Gypsotheca Antonio Canova e il Politecnico di Milano – Dipartimento di design e Laboratorio di restauro «Ottorino Nonfarmale» - sono stati recentemente presentati, anche in diretta streaming, al grande pubblico nella Cappella Farnese di Palazzo D’Accursio.
Entrambe le sculture sono pervenute alle collezioni comunali d’arte grazie alla donazione disposta nel 1878 dallo scultore Cincinnato Baruzzi (Imola, 1796 – Bologna, 1878), allievo di Canova e a lungo direttore del famoso studio romano del maestro in via delle Colonnette, a favore del Comune di Bologna, nominato suo erede universale.

L’«Apollino» (cm 53 x 145 x 44 x 62, altezza base cm 78), capolavoro della fase giovanile, fu restituito al catalogo dell’artista veneto nel 2013 da Antonella Mampieri, storica dell’arte dei Musei civici d’arte antica di Bologna, sito in cui la statua era sempre stata esposta, a partire dagli anni Trenta del Novecento, ma riferita allo scultore Cincinnato Baruzzi, che lo aveva acquistato sul mercato antiquario internazionale negli anni Cinquanta dell’Ottocento.
Il lavoro, in marmo bianco apuano, deriva da una lunga riflessione dell'artista sul tema del nudo giovanile, iniziata con l'«Amorino Lubomirski» (1786 - 88), conservato nel Castello Łańcut in Polonia, e proseguita con altre tre versioni idealizzate del medesimo tema: l’«Amorino Campbell» (1787 - 89) dell’Anglesey Abbey di Cambridge, l’«Amorino La Touche» (1789) della National Gallery of Ireland a Dublino e l’«Amorino alato Jusupov» (1793 - 97) all’Ermitage di San Pietroburgo.
Il dio è rappresentato come un giovane nudo dalle forme perfette, in appoggio sulla gamba destra e con la sinistra flessa, leggermente scartata di lato. Il corpo è animato da una lieve torsione serpentinata. Il volto androgino è incorniciato da una chioma di capelli lievemente arricciati e raccolti classicamente sulla sommità del capo in un nodo, che esalta l’effetto etereo della luce. Apollo trattiene con la mano sinistra l’arco, che termina con delle piccole teste di rapace, appoggiato al suolo, in evidenza rispetto alla corteccia del tronco posto dietro di lui. Con la mano destra tratteneva una freccia di metallo, ora perduta. La faretra è legata con un fiocco al tronco d’albero dove il serpente Pitone sta avviluppando le sue spire.
La scultura, scolpita a tutto tondo, è associata al piedistallo di marmo, concepito come un’antica ara. Questo, un cilindro dalla forma a rocchetto, è decorato con festoni vegetali trattenuti da nastri e borchie sul fusto. Gli elementi decorativi sono scolpiti a basso e alto rilievo. Il disco superiore o bilico è variamente modanato e decorato da una fascia perlinata sormontata da una decorazione vegetale dal profilo convesso. La base del piedistallo si presenta variamente modanata e con una fascia concentrica decorata con foglie e bacche di alloro a profilo convesso di imposta al fusto. Il basamento cilindrico è ancora dotato del congegno originario che permetteva la rotazione a 360° della scultura, presente anche in altre opere scultoree di Canova, e in occasione del restauro è stato ripristinato e rimesso in funzione.
L'intervento conservativo ha interessato la pulitura delle superfici e lo studio degli strati superficiali protettivi applicati in passato, per procedere all’eliminazione dei materiali dannosi e non più idonei per l’opera (materiale di deposizione, incrostazioni e collanti).

In occasione del restauro, il Dipartimento di design del Politecnico di Milano, con la direzione scientifica di Giuseppe Amoruso, si è posto l’obiettivo di riprodurre l’opera con le più moderne tecnologie per proporne un nuovo allestimento interattivo ed esperienziale. Il team di ricerca è partito da alcune domande: cosa può giustificare la replica di un capolavoro artistico? Come è possibile, superando le difficoltà tecniche e operative della riproduzione, trasmettere a coloro che la visiteranno quei valori tangibili e intangibili che riflettono ed amplificano i concetti di materialità, fragilità e immaginazione tattile?
Nella prima fase di sviluppo è stata completata l’acquisizione tridimensionale dell’opera tramite la tecnica di scansione senza contatto, attualmente considerata il metodo più efficace per ricavare la morfologia della superficie di un oggetto di forma complessa e di difficile riproduzione fotografica a causa dei numerosi dettagli anatomici e decorativi. Il procedimento ha sperimentato l’utilizzo di uno scanner a luce strutturata, tecnologia che permette di ricostruire la geometria degli oggetti attraverso la proiezione di pattern di luce codificati, che vengono deformati quando si proiettano sul soggetto. I pattern di luce strutturata, solitamente bianca, sono costituiti da motivi geometrici codificati; la fotocamera acquisisce questi modelli di luce distorti, fotogramma dopo fotogramma, mentre il software di scansione analizza la griglia e ricostruisce accuratamente le superfici dell'oggetto. A seconda delle dimensioni dell'oggetto e della durata della scansione, in una sola sessione lo scanner 3D può acquisire decine, centinaia o addirittura migliaia di fotogrammi. La luce riflessa viene trasformata in un modello ad alta risoluzione tramite gli algoritmi di riconoscimento e ricostruzione. Con questo procedimento iterativo si determinano i punti sulla superficie che sono rispettivamente più vicini o più lontani dalla fotocamera. Dal modello geometrico, completato con la rappresentazione dello stato superficiale della scultura (la sua texture), sono state rappresentate le ortofoto (proiezioni ortografiche) a beneficio del successivo intervento di conservazione e il prototipo della maniglia presente sul bilico rotante su cui poggia la statua per poterne poi realizzare una copia e integrare quella mancante. Infine è stata realizzata la replica tattile in scala 1:1 (tramite la stampa 3D) per poter portare il visitatore alla scoperta di quei dettagli che svelano il mito e la sua traduzione nella forma scolpita: i capelli raccolti in un nodo nella parte superiore del cranio, le lunghe ciocche che accarezzano il collo e le spalle del giovane Apollo, i lineamenti del viso che rappresentano la perfezione classica e il desiderio di purezza espressiva.

La «Testa di vecchio» (cm 51 x 52 x 24, altezza base cm 22), databile tra il 1820 e 1830, è un'opera non certa del catalogo di Antonio Canova ed è considerata la sua unica scultura in terracotta, stando a quanto è riportato su una base in marmo con epigrafe latina («Unicum Canovae Plasma») commissionata da Cincinnato Baruzzi. L'attendibilità dell’attribuzione è stata messa in discussione da parte della critica e forse proprio grazie a questo restauro sarà possibile affrontare nuovamente il problema. Tuttavia va sottolineata l'alta qualità del ritratto particolarmente vivo, alla cui naturalezza contribuiscono la lieve rotazione su cui si dispone il personaggio e il torso nudo, altre volte presente nella produzione ritrattistica dello scultore.
L’intervento conservativo, condotto da Giovanni Giannelli del Laboratorio di restauro «Ottorino Nonfarmale», ha recuperato a una migliore leggibilità il lavoro, che torna così alla fruizione del pubblico e all’attenzione degli storici dell’arte, libera da colorazioni incoerenti e da restauri inadeguati, offrendosi a una nuova valutazione critica. Le operazioni di restauro sono state finalizzate alla pulitura completa di tutta la superficie del busto e della base, alla rimozione di tutte le stuccature di giunzione tra i vari elementi e di ricostruzione, alla rifinitura della pulitura della superficie.

Durante l'intervento sono state, inoltre, rilevate nella parte retrostante della scultura delle impronte digitali rimaste sull’argilla durante le fasi di plasmatura. Queste sono state analizzate e comparate dall’Università degli Studi di Padova con il dataset di impronte di Antonio Canova conservato alla Gipsoteca di Possagno, con l’acquisizione di ulteriori dati utili per quanto riguarda l’attribuzione dell’opera. Ora tocca agli studiosi dire la loro.

Informazioni utili
Collezioni comunali d’arte - Palazzo d’Accursio, piazza Maggiore 6 - 40121 Bologna, tel. +39 051 2193998, museiarteantica@comune.bologna.it | www.museibologna.it/arteantica | Facebook: Musei Civici d'Arte Antica | Instagram: @museiarteanticabologna | TiKTok: @museiarteanticabologna | X: @MuseiCiviciBolo