Josiah Gilbert e George Cheetham Churchill, con le loro amate consorti S. e A., rimangono incantati da quei luoghi con le rupi «come absidi di enormi cattedrali» e i crinali simili a «muri di abbazie in rovina». Con l’intento di «colmare un vuoto nella letteratura alpina», raccontano quel territorio in un libro pubblicato per i tipi di Longman.
Al momento di dare alle stampe il volume hanno anche l’idea di dare un nuovo nome a quell’arco alpino e per farlo si ispirano alle rocce dolomie, ovvero alla scoperta del geologo Déodat de Dolomieu, che per primo aveva scritto, all’epoca della Rivoluzione francese, sulla particolarità che avevano le guglie delle montagne nel nord-est italiano, le cui pietre calcaree, trattate con acido cloridrico, non davano luogo a effervescenza.
È l’inizio della fama per le Dolomiti, che diventano, lentamente, di moda oltre Manica come meta del Grand Tour, il «viaggio per imparare a vivere» che l’élite nord europea, soprattutto britannica, compie tra il XVIII e il XIX secolo. Quella fama è destinata ad aumentare, nei decenni successivi, con l'apertura di ardite strade carrozzabili, di nuovi alberghi e con il soggiorno dell'imperatrice Sissi al Grand Hotel Karezza nell'agosto del 1897.
Il libro di Josiah Gilbert e George Cheetham Churchill è stato scelto per aprire il percorso espositivo della mostra «Il racconto della montagna nella pittura tra Ottocento e Novecento», per la curatela di Giandomenico Romanelli e Franca Lugato, allestita negli spazi di Palazzo Sarcinelli a Conegliano Veneto, città di grande fascino al centro delle colline del prosecco e sentinella delle Dolomiti.
Accanto a questo volume viene presentato anche un altro testo importante per la storia di quest’angolo d’Italia, patrimonio mondiale dell’umanità di Unesco. Si tratta del «Bel Paese», pubblicato nel 1876 dall’abate rosminiano Antonio Stoppani, docente di geologia a Pavia e a Milano. Il volume, destinato a costituire la magna carta della geografia dello Stivale, adotta l’espediente della conversazione borghese in salotto, davanti al camino, con i nipotini, per raccontare la bellezza del nostro Paese; e il racconto parte proprio dal territorio dolomitico compreso tra Belluno e Agordo.
Da questi due volumi si dipana un’importante riflessione sul paesaggio montano tra Ottocento e Novecento, che allinea libri, stampe, carte geografiche e opere di celebri autori italiani e stranieri che hanno frequentato le Dolomiti, da Ciardi a Compton, da Sartorelli a Pellis, da Wolf Ferrari a Chitarin.
Se Josiah Gilbert e George Cheetham Churchill fanno diventare le Dolomiti una meta turistica, al veneziano Guglielmo Ciardi si deve, invece, l’invenzione della cosiddetta «pittura di montagna», fatta en plein air, nella natura e con l’inebriante luce alpina come compagna. L'artista porta il cavalletto e la tavolozza di colori dal Grappa all’Altipiano di Asiago, dalle Dolomiti alle Alpi Carniche. Le vette rocciose dai colori rosati, i piani innevati, il ghiacciaio della Marmolada, gli alpeggi in quota entrano così nel suo bagaglio figurativo, ma anche in quello dei figli Emma e Beppe e dell’allievo Giovanni Salviati.
Dal realismo si passa alla stagione simbolista con pittori come Francesco Sartorelli (1856- 1939), Traiano Chitarin(1864-1935), Teodoro Wolf Ferrari, (1878-1945), Carlo Costantino Tagliabue (1880-1960), Millo Bortoluzzi (1905-1995), Marco Davanzo (1872-1955), Giovanni Napoleone Pellis (1888-1962). Nelle loro opere le atmosfere si caricano di suggestioni cromatiche rosate, crepuscolari, indefinite. Le forme si sfaldano nei riflessi dell’alba o del tramonto così da far rivivere l’intera tradizione di miti e favole legate alla montagna, ora considerata sede degli dei ora trono di Giove e cuscino per i suoi piedi.
Un discorso a parte merita il triestino Ugo Flumiani (1876-1938), che vanta al suo attivo una splendida e poco conosciuta produzione di paesaggi montani dalla ricca e pastosa pennellata e dall’originale taglio compositivo come si può ben apprezzare nella piccola e preziosa tela «Da Tarvisio. I nuovi confini della patria». L'artista friulano ci ha lasciato anche una serie di opere dedicate all’interpretazione delle «viscere» della montagna con alcune inedite visioni del Carso, o meglio delle Grotte di San Canziano, di cui coglie fiumi sotterranei, stalattiti, profonde acque increspate.
Un effetto di silenziosa sospensione trapela, invece, dalle tele del bosnìaco-erzegòvino Gabril Jurkić (1886-1974), che attribuisce nuovi valori simbolici e mistici al paesaggio alpino oltre il confine italiano. «Dalla neve, dal luccicare delle distese bianche e dal contrasto con l’azzurro del cielo e i colori vivacissimi delle vesti della gente di montagna, -raccontano i curatori- l'artista ha tratto l’essenziale per una pittura modernista e sintetista».
Una selezione di manifesti dei primi decenni del Novecento provenienti dalla collezione Salce di Treviso arricchisce il racconto con la pubblicità degli sport invernali, in particolare grazie ai lavori dell’austro-italiano Franz Lenhart incentrati sulle Dolomiti e Cortina. «Perfetti nel taglio modernista, nella tipizzazione dei personaggi, nella essenzialità decorativa dei paesaggi, nell’anti naturalismo e nella vivacissima gamma cromatica, -raccontano i curatori della mostra- questi manifesti ci raccontano una montagna giovane, felice e dinamica con uno stile che richiama la grande tradizione cartellonistica italiana e francese del primo Novecento e un accenno al sintetismo elegante tipico delle riviste americane».
La mostra offre anche degli interessanti focus su alcune figure, dalla storia affascinante, legate alla montagna. Si parla, per esempio, di resistenza e di coraggio con la vicenda della trevigiana Irene Pigatti (1859-1937), pioniera dell’alpinismo dolomitico e «collezionista» di cime, a partire dall’ascensione al monte Cristallo, sulle Dolomiti ampezzane, nel 1886 e del Cimon del Froppa, la maggiore montagna del gruppo delle Marmarole nelle Dolomiti Cadorine, nel 1888.
Altra figura interessante è quella del triestino Napoleone Cozzi, uno dei primi interpreti dell'alpinismo senza guida nelle Dolomiti e precursore dell'arrampicata sportiva con il gruppo «Squadra volante». In mostra sono esposti tre suoi taccuini, conservati nell’Archivio della Società alpina delle Giulie di Trieste e noti quasi esclusivamente agli addetti ai lavori, che raccontano, attraverso una serie di acquerelli e didascalie ironiche e spassose, le sue imprese sulle Prealpi Giulie nel 1898 e sulle Prealpi Clautane, le attuale Dolomiti friulane, nel 1902.
La mostra offre anche degli interessanti focus su alcune figure, dalla storia affascinante, legate alla montagna. Si parla, per esempio, di resistenza e di coraggio con la vicenda della trevigiana Irene Pigatti (1859-1937), pioniera dell’alpinismo dolomitico e «collezionista» di cime, a partire dall’ascensione al monte Cristallo, sulle Dolomiti ampezzane, nel 1886 e del Cimon del Froppa, la maggiore montagna del gruppo delle Marmarole nelle Dolomiti Cadorine, nel 1888.
Altra figura interessante è quella del triestino Napoleone Cozzi, uno dei primi interpreti dell'alpinismo senza guida nelle Dolomiti e precursore dell'arrampicata sportiva con il gruppo «Squadra volante». In mostra sono esposti tre suoi taccuini, conservati nell’Archivio della Società alpina delle Giulie di Trieste e noti quasi esclusivamente agli addetti ai lavori, che raccontano, attraverso una serie di acquerelli e didascalie ironiche e spassose, le sue imprese sulle Prealpi Giulie nel 1898 e sulle Prealpi Clautane, le attuale Dolomiti friulane, nel 1902.
Nell’ultimo album c’è una dedica al trevigiano Giuseppe Mazzotti (1907-1981), direttore dell'Ente provinciale per il turismo e autore di numerosi lavori per la promozione del territorio, altra figura interessante che la mostra di Conegliano permette di conoscere.
Nel suo fortunato «La montagna presa in giro», il critico d’arte e saggista preannuncia il timore di un turismo sfrenato e non di qualità, osservando i nuovi costumi e le recenti liturgie attorno alla montagna e denunciando con ironia le «smanie» di villeggiatura che «inquinano» la bellezza: dalle attrezzature sportive ai segnali colorati per indicare i sentieri, dagli elegantoni alle femmes fatales, dai beoni alle automobili. Quella sezione del libro si intitola «Ferragosto ed altri guai» e lì c'è tutto il guizzo profetico di chi conosce gli uomini, con i loro vizi e virtù, ma soprattutto ha un rapporto privilegiato con la montagna perché l’ha studiata, percorsa, scalata, corteggiata, blandita, difesa. Amata, senza se e senza ma.
Nel suo fortunato «La montagna presa in giro», il critico d’arte e saggista preannuncia il timore di un turismo sfrenato e non di qualità, osservando i nuovi costumi e le recenti liturgie attorno alla montagna e denunciando con ironia le «smanie» di villeggiatura che «inquinano» la bellezza: dalle attrezzature sportive ai segnali colorati per indicare i sentieri, dagli elegantoni alle femmes fatales, dai beoni alle automobili. Quella sezione del libro si intitola «Ferragosto ed altri guai» e lì c'è tutto il guizzo profetico di chi conosce gli uomini, con i loro vizi e virtù, ma soprattutto ha un rapporto privilegiato con la montagna perché l’ha studiata, percorsa, scalata, corteggiata, blandita, difesa. Amata, senza se e senza ma.
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