ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com
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venerdì 31 luglio 2020

A Conegliano «Il racconto della montagna nella pittura tra Ottocento e Novecento»

È il 1864 quando due viaggiatori britannici, Josiah Gilbert e George Cheetham Churchill, danno alle stampe il libro «The Dolomite Mountains». Il primo è un artista, abile con il disegno e l’acquarello; l’altro è uno scienziato, naturalista e botanico, con il block notes e il raccoglitore di erbe sempre sotto il braccio. Tra il 1861 e il 1863, con le mogli al seguito, che li aiutano a relazionarsi con le introverse popolazioni locali, avendo così «accesso a molte case e cuori contadini», i due turisti esplorano il territorio, allora piuttosto sconosciuto, delle montagne che incorniciano il nord-est italiano, andando alla scoperta di una valle dietro l’altra, dal Tirolo alle Alpi venete.
Josiah Gilbert e George Cheetham Churchill, con le loro amate consorti S. e A., rimangono incantati da quei luoghi con le rupi «come absidi di enormi cattedrali» e i crinali simili a «muri di abbazie in rovina». Con l’intento di «colmare un vuoto nella letteratura alpina», raccontano quel territorio in un libro pubblicato per i tipi di Longman.
Al momento di dare alle stampe il volume hanno anche l’idea di dare un nuovo nome a quell’arco alpino e per farlo si ispirano alle rocce dolomie, ovvero alla scoperta del geologo Déodat de Dolomieu, che per primo aveva scritto, all’epoca della Rivoluzione francese, sulla particolarità che avevano le guglie delle montagne nel nord-est italiano, le cui pietre calcaree, trattate con acido cloridrico, non davano luogo a effervescenza.
È l’inizio della fama per le Dolomiti, che diventano, lentamente, di moda oltre Manica come meta del Grand Tour, il «viaggio per imparare a vivere» che l’élite nord europea, soprattutto britannica, compie tra il XVIII e il XIX secolo. Quella fama è destinata ad aumentare, nei decenni successivi, con l'apertura di ardite strade carrozzabili, di nuovi alberghi e con il soggiorno dell'imperatrice Sissi al Grand Hotel Karezza nell'agosto del 1897.
Il libro di Josiah Gilbert e George Cheetham Churchill è stato scelto per aprire il percorso espositivo della mostra «Il racconto della montagna nella pittura tra Ottocento e Novecento», per la curatela di Giandomenico Romanelli e Franca Lugato, allestita negli spazi di Palazzo Sarcinelli a Conegliano Veneto, città di grande fascino al centro delle colline del prosecco e sentinella delle Dolomiti.
Accanto a questo volume viene presentato anche un altro testo importante per la storia di quest’angolo d’Italia, patrimonio mondiale dell’umanità di Unesco. Si tratta del «Bel Paese», pubblicato nel 1876 dall’abate rosminiano Antonio Stoppani, docente di geologia a Pavia e a Milano. Il volume, destinato a costituire la magna carta della geografia dello Stivale, adotta l’espediente della conversazione borghese in salotto, davanti al camino, con i nipotini, per raccontare la bellezza del nostro Paese; e il racconto parte proprio dal territorio dolomitico compreso tra Belluno e Agordo.
Da questi due volumi si dipana un’importante riflessione sul paesaggio montano tra Ottocento e Novecento, che allinea libri, stampe, carte geografiche e opere di celebri autori italiani e stranieri che hanno frequentato le Dolomiti, da Ciardi a Compton, da Sartorelli a Pellis, da Wolf Ferrari a Chitarin.
Se Josiah Gilbert e George Cheetham Churchill fanno diventare le Dolomiti una meta turistica, al veneziano Guglielmo Ciardi si deve, invece, l’invenzione della cosiddetta «pittura di montagna», fatta en plein air, nella natura e con l’inebriante luce alpina come compagna. L'artista porta il cavalletto e la tavolozza di colori dal Grappa all’Altipiano di Asiago, dalle Dolomiti alle Alpi Carniche. Le vette rocciose dai colori rosati, i piani innevati, il ghiacciaio della Marmolada, gli alpeggi in quota entrano così nel suo bagaglio figurativo, ma anche in quello dei figli Emma e Beppe e dell’allievo Giovanni Salviati.
Dal realismo si passa alla stagione simbolista con pittori come Francesco Sartorelli (1856- 1939), Traiano Chitarin(1864-1935), Teodoro Wolf Ferrari, (1878-1945), Carlo Costantino Tagliabue (1880-1960), Millo Bortoluzzi (1905-1995), Marco Davanzo (1872-1955), Giovanni Napoleone Pellis (1888-1962). Nelle loro opere le atmosfere si caricano di suggestioni cromatiche rosate, crepuscolari, indefinite. Le forme si sfaldano nei riflessi dell’alba o del tramonto così da far rivivere l’intera tradizione di miti e favole legate alla montagna, ora considerata sede degli dei ora trono di Giove e cuscino per i suoi piedi.
Un discorso a parte merita il triestino Ugo Flumiani (1876-1938), che vanta al suo attivo una splendida e poco conosciuta produzione di paesaggi montani dalla ricca e pastosa pennellata e dall’originale taglio compositivo come si può ben apprezzare nella piccola e preziosa tela «Da Tarvisio. I nuovi confini della patria». L'artista friulano ci ha lasciato anche una serie di opere dedicate all’interpretazione delle «viscere» della montagna con alcune inedite visioni del Carso, o meglio delle Grotte di San Canziano, di cui coglie fiumi sotterranei, stalattiti, profonde acque increspate.
Un effetto di silenziosa sospensione trapela, invece, dalle tele del bosnìaco-erzegòvino Gabril Jurkić (1886-1974), che attribuisce nuovi valori simbolici e mistici al paesaggio alpino oltre il confine italiano. «Dalla neve, dal luccicare delle distese bianche e dal contrasto con l’azzurro del cielo e i colori vivacissimi delle vesti della gente di montagna, -raccontano i curatori- l'artista ha tratto l’essenziale per una pittura modernista e sintetista».
Una selezione di manifesti dei primi decenni del Novecento provenienti dalla collezione Salce di Treviso arricchisce il racconto con la pubblicità degli sport invernali, in particolare grazie ai lavori dell’austro-italiano Franz Lenhart incentrati sulle Dolomiti e Cortina. «Perfetti nel taglio modernista, nella tipizzazione dei personaggi, nella essenzialità decorativa dei paesaggi, nell’anti naturalismo e nella vivacissima gamma cromatica, -raccontano i curatori della mostra- questi manifesti ci raccontano una montagna giovane, felice e dinamica con uno stile che richiama la grande tradizione cartellonistica italiana e francese del primo Novecento e un accenno al sintetismo elegante tipico delle riviste americane».
La mostra offre anche degli interessanti focus su alcune figure, dalla storia affascinante, legate alla montagna. Si parla, per esempio, di resistenza e di coraggio con la vicenda della trevigiana Irene Pigatti (1859-1937), pioniera dell’alpinismo dolomitico e «collezionista» di cime, a partire dall’ascensione al monte Cristallo, sulle Dolomiti ampezzane, nel 1886 e del Cimon del Froppa, la maggiore montagna del gruppo delle Marmarole nelle Dolomiti Cadorine, nel 1888.
Altra figura interessante è quella del triestino Napoleone Cozzi, uno dei primi interpreti dell'alpinismo senza guida nelle Dolomiti e precursore dell'arrampicata sportiva con il gruppo «Squadra volante». In mostra sono esposti tre suoi taccuini, conservati nell’Archivio della Società alpina delle Giulie di Trieste e noti quasi esclusivamente agli addetti ai lavori, che raccontano, attraverso una serie di acquerelli e didascalie ironiche e spassose, le sue imprese sulle Prealpi Giulie nel 1898 e sulle Prealpi Clautane, le attuale Dolomiti friulane, nel 1902.
Nell’ultimo album c’è una dedica al trevigiano Giuseppe Mazzotti (1907-1981), direttore dell'Ente provinciale per il turismo e autore di numerosi lavori per la promozione del territorio, altra figura interessante che la mostra di Conegliano permette di conoscere.
Nel suo fortunato «La montagna presa in giro», il critico d’arte e saggista preannuncia il timore di un turismo sfrenato e non di qualità, osservando i nuovi costumi e le recenti liturgie attorno alla montagna e denunciando con ironia le «smanie» di villeggiatura che «inquinano» la bellezza: dalle attrezzature sportive ai segnali colorati per indicare i sentieri, dagli elegantoni alle femmes fatales, dai beoni alle automobili. Quella sezione del libro si intitola «Ferragosto ed altri guai» e lì c'è tutto il guizzo profetico di chi conosce gli uomini, con i loro vizi e virtù, ma soprattutto ha un rapporto privilegiato con la montagna perché l’ha studiata, percorsa, scalata, corteggiata, blandita, difesa. Amata, senza se e senza ma.

Didascalie delle immagini 
[Fig. 1] Sandro Bidasio Degli Imberti, detto Sabi, Dolomiti provincia di Belluno, 1950 ca, riproduzione fotomeccanica, 35 x 25 cm, inv. 07805 162D Treviso, Museo nazionale Collezione Salce, Polo Museale del Veneto, su concessione del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo; [fig. 2] Franz Lenhart, Cortina, 1947 ca, riproduzione fotomeccanica, 102,1 x 70 cm, inv. 10942 Treviso, Museo nazionale Collezione Salce, Polo Museale del Veneto, su concessione del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo; [fig. 3] Giovanni Salviati, Cime di Lavaredo Padova, Courtesy Galleria Nuova Arcadia di L. Franchi; [fig. 4] Carlo Costantino Tagliabue, Cortina Padova, Courtesy Galleria Nuova Arcadia di L. Franchi; [fig. 5] Giovanni Napoleone Pellis, Il viatico in montagna, 1921-22 olio su tela, 178 x 336 cm Udine, Casa Cavazzini – Museo di Arte Moderna e Contemporanea 

Informazioni utili 
«Il racconto della montagna nella pittura tra Ottocento e Novecento». Palazzo Sarcinelli, via XX settembre 132 – Conegliano Veneto. Orari: dal giovedì alla domenica, dalle 11 alle 19. Ingresso: intero € 11, ridotto € 8,50 (per studenti, adulti over 65 anni, convenzioni, residenti nel Comune di Conegliano nei giorni feriali), biglietto speciale € 7,00 per tutti i membri CAI e speciali convenzioni; gratuità e altri biglietti sono consultabili sul sito della mostra. Informazioni e prenotazioni: call center, 0438.1932123. Fino all’8 dicembre 2020.

mercoledì 9 ottobre 2019

Giornate Fai d’autunno, dall’«ermo colle» di Leopardi al borgo umbro di Macerino: settecento luoghi da visitare

Aveva ventun’anni Giacomo Leopardi quando a Recanati, nelle Marche, scriveva i versi immortali della sua poesia più conosciuta: «L’Infinito». Da allora sono trascorsi duecento anni e l’«ermo colle», decantato dallo scrittore, è da poco diventato uno dei luoghi italiani tutelati dal Fai – Fondo per l’ambiente italiano.
L’inaugurazione -raccontano dalla fondazione- «ci ha guidato in una necessaria, profonda messa a fuoco di quale fosse lo stato d’animo del giovane poeta su quel colle, in quell’orto, nella profonda riflessione del suo rapporto con l’infinito: lo stesso stato d’animo che alberga nei giovani d’oggi, che con la medesima speranza volgono lo sguardo a un futuro che sognano migliore, affidandosi come Leopardi all’immaginazione, attimo perfetto di abbandono e felicità, che si trasforma nel motore propulsivo dell’agire energico ed entusiasta delle nuove generazioni».
Da questa considerazione è nata l’idea di dedicare proprio allo scrittore recanatese l’ottava edizione delle Giornate Fai d’autunno, in programma sabato 12 e domenica 13 ottobre, che vedono proprio nei giovani, iscritti al fondo o aspiranti ciceroni delle scuole di ogni ordine e grado, il loro cuore pulsante.
Tre sono i luoghi leopardiani aperti per questa due giorni di cultura, che da sempre attira un gran numero di persone: l’orto sul colle dell’Infinito, il Parco Vergiliano a Napoli, dove le spoglie del poeta sono state traslate nel 1939 dalla Chiesa di San Vitale a Fuorigrotta, e la Chiesa di sant’Onofrio al Gianicolo a Roma, con la tomba di Torquato Tasso che Giacomo Leopardi considerava tra gli italiani più eloquenti e sulla quale pianse le sue lacrime più profonde.
Ma l’omaggio leopardiano è solo un piccolo frammento del ben più articolato programma delle Giornate Fai d’autunno, che permetteranno di vedere oltre settecento luoghi in tutta Italia, distribuiti in duecentosessanta città e con più di centoquaranta percorsi tematici organizzati. Si tratta di palazzi, chiese, castelli, aree archeologiche, giardini, architetture industriali, bunker e rifugi antiaerei, botteghe artigiane, musei e interi borghi, selezionati -raccontano dall’ente- «perché speciali, curiosi, originali o bellissimi».
«Ricordati di salvare l’Italia» è il tema scelto per questa edizione, come al solito accompagnata da una raccolta fondi, che prevede un contributo facoltativo dai 2,00 ai 5,00 euro per ogni visita, un sms o una telefonata solidale al numero 45584, e la possibilità di abbonarsi per un anno al Fai con una quota agevolata di 29,00 euro.
Ma lo slogan «Ricordati di salvare l’Italia» diventa, in questa edizione, anche un invito a focalizzare l’attenzione sull’emergenza climatica che stiamo vivendo.
Dopo aver aperto, dal 1975 a oggi, trentuno beni e mentre ne sta restaurando altri dodici, anche grazie al contributo dei suoi 190mila iscritti, il Fai punta, infatti, a una nuova sfida. «In un momento storico in cui l’impegno a favore della sostenibilità ambientale e dello sviluppo di una coscienza ecologica è cruciale, il nostro scopo -raccontano ancora dalla fondazione- è duplice: da un lato ci prefiggiamo di ridurre ancora di più le emissioni di CO² dei nostri siti; dall’altro intendiamo mettere a punto un progetto didattico per comunicare ai visitatori le azioni virtuose e ripetibili messe in atto nei beni. Favorendo l’implementazione di tecnologie all’avanguardia e contribuendo alla sensibilizzazione verso questi temi è possibile investire nel futuro dell’arte, della cultura e del paesaggio di questo Paese, che deve proiettarsi in avanti nel rispetto dell’ambiente».
Ma quali sono i luoghi che sarà possibile visitare in questa edizione? Partendo dal cuore d’Italia, a Roma si apriranno le porte del «Palazzaccio», oggi sede della Corte di Cassazione, un edificio in travertino, disegnato dall’architetto Guglielmo Calderini tra il 1888 e il 1910, che si ispira a motivi cinquecenteschi e barocchi, sul cui portone centrale si trova un’opera di Enrico Quattrini: «La Giustizia tra la Forza e la Legge».
La visita del palazzo, solitamente non accessibile se non in occasione dei processi giudiziari, permetterà di scoprire, tra gli altri spazi, le aule penali al secondo piano, l’Aula Magna con pregevoli affreschi di Cesare Maccari e del suo allievo Paride Pascucci sulla storia del diritto romano, l’aula ordinaria, lo studio del Primo presidente della Corte suprema di Cassazione, il cortile d’onore, ad arcate, e la biblioteca.
Sempre nella capitale si potranno vedere il Museo storico dell’Arma dei Carabinieri, e la Caserma dei Corazzieri del Quirinale, sede della guardia d’onore e di sicurezza del Presidente della Repubblica, ospitata in una parte del complesso monastico annesso alla Chiesa di Santa Susanna. Non meno gradita sarà l’apertura straordinaria dell’Avvocatura dello Stato, all’interno dell’ex convento di Sant’Agostino, ristrutturato su progetto di Luigi Vanvitelli a metà del XVIII secolo, che conserva la Biblioteca Angelica con circa centoventimila volumi antichi.
A Milano saranno a disposizione dei visitatori il Rifugio antiaereo di via Spaventa, edificato nel 1940 per offrire riparo ai dipendenti pubblici del servizio idrico cittadino in caso di attacco bellico aereo, e la Casa degli artisti, bell’edificio di impianto razionalista fresco di restauri. Immancabile sarà anche una visita all’headquarter della società immobiliare Coima, nell’edificio ecosostenibile progettato da Mario Cucinella e inaugurato nel 2017, con l’adiacente Biblioteca degli alberi, il terzo parco pubblico della città, disegnato dallo studio olandese Inside Outside | Petra Blaisse e realizzato nell’ambito del progetto urbanistico di Porta Nuova.
Nel Napoletano si potrà entrare nel Real sito di Portici, un gioiello architettonico affacciato sul mare e realizzato a metà Settecento per volere di Carlo di Borbone e della moglie Maria Amalia di Sassonia, che, dopo il trasferimento nella Reggia di Caserta, fu trasformato in residenza estiva e di caccia. La dimora - oggi sede della Facoltà di agraria dell’Università di Napoli Federico II e dei Musei delle Scienze agrarie- comprende due parchi, progettati da Francesco Geri, che vanno dalla costa alle pendici del Vesuvio.
Venezia, invece, attirerà i turisti con l’apertura straordinaria del cinquecentesco Palazzo Dolfin Manin dell’architetto Jacopo Sansovino, edificio affacciato sul Canal Grande, a pochi passi dal Ponte di Rialto, solitamente inaccessibile perché sede della Banca d’Italia.
A Novi Ligure sarà possibile entrare nell’ottocentesco teatro Romualdo Marenco, che, dopo cinquant’anni di chiusura e dopo i restauri, apre in anteprima grazie all’impegno dei giovani del Fai. La platea – progettata da Giuseppe Becchi con l’approvazione del collega Luigi Canonica, massimo esperto di architettura teatrale dell’epoca – ricalca il modello ottocentesco di teatro all’italiana ed è caratterizzata dalla forma a ferro di cavallo e da un alveare di palchi, aperti sulla sala e disposti su diversi piani lungo tre pareti, mentre la quarta è occupata dall’arco di boccascena. La soluzione progettuale affermò la separazione dei ceti sociali con i palchetti riservati alla vecchia aristocrazia e alla borghesia nascente, la platea per la classe meno abbiente e il loggione per il popolo. Tra le particolarità, si segnalano le barcacce, i palchetti a lato del palcoscenico che furono progettati in modo che potessero essere chiusi da pannelli in legno decorati e mobili per consentire ai proprietari di assistere allo spettacolo senza essere visti. Alle decorazioni lavorarono artisti di area genovese come Giovanni Battista Cevasco (1817-1891), che ha scolpito la testa di giano sulla porta d’accesso alla platea, le cariatidi del palco reale e i decori nel boccascena.
In Umbria si apriranno le porte di Macerino, un borgo collinare di origine romana, che nell’XI secolo era capitale delle terre Arnolfe, al centro del territorio dei monti Martani, sulla strada di comunicazione tra Acquasparta e Spoleto. Le Giornate Fai d’autunno permetteranno così un’immersione nel Medioevo, tra le case e le vie di un paese ormai praticamente disabitato nei mesi invernali che vive di un turismo estivo di provenienza perlopiù inglese e danese. Circondato da mura, ancora ben conservate, con quattro torri angolari, il borgo ha edifici di grande pregio come Palazzo Massarucci, la Pieve di San Biagio e la Chiesa di San Giovenale, con con affreschi del XVII secolo e un «San Francesco in estasi» di scuola umbra (XIII secolo).
Mentre a Prato sarà aperta la fabbrica tessile Lucchesi, che custodisce al suo interno le mura trecentesche della città; a Padova la Fabbrica Fratelli Ruffatti, che dal 1940 produce organi a canne esportati in tutto il mondo e che sarà visitabile eccezionalmente con l’accompagnamento dei proprietari.
Ma gli itinerari suggeriti dal Fai per questo fine settimana d’autunno sono ancora tanti e possono essere scoperti sul sito internet www.giornatefai.it.
La cura del colle di Giacomo Leopardi, l’attenzione all’ecosostenibilità, l’impegno ambientale con la relativa preoccupazione per la finitezza delle risorse disponibili sul pianeta, la difesa di borghi che vanno verso lo spopolamento e la tutela dei beni artistici del nostro Paese sono, dunque, i tanti fili rossi di una manifestazione all’insegna della bellezza, artistica e naturale: un atto d’amore per il nostro territorio e e un modo per esercitare il proprio ruolo di cittadini attivi.

Didascalie delle immagini
[fig. 1] Milano, COIMA Headquarter © COIMA; [fig. 2] Portici (NA), Reggia - Foto di Eliano Imperato © FAI - Fondo Ambiente Italiano; [fig. 3] Roma, Biblioteca Angelica - Foto Giovanni Formosa ©FAI; [fig. 4] Roma, Palazzaccio - Foto Giovanni Formosa ©FAI; [fig. 5] Santa Teresa di Gallura, Faro di Capo Testa © Marina Militare; [fig. 6] Venezia, Palazzo Dolfin Manin © FAI - Fondo Ambiente Italiano; [fig. 7] Cosenza, BoCs Art - Foto di Salvatore Paravati © FAI - Fondo Ambiente Italiano 

Informazioni utili 
www.giornatefai.it | www.fondoambiente.it | tel. 02.467615399

martedì 21 maggio 2019

Da Merano a Fontanellato, otto labirinti da vedere

Il più leggendario è senz’altro quello di Cnosso, che secondo la mitologia greca fu fatto costruire dal re Minosse, sull'isola di Creta, per rinchiudervi il mostruoso Minotauro, nato dall'unione di sua moglie Pasifae con un toro.
L’ultimo nato in termini di tempo è quello ricreato da Milovan Farronato per il Padiglione Italia dell’attuale edizione della Biennale internazionale d’arte di Venezia, all’interno del quale si trovano le opere di Enrico David (Ancona, 1966), Liliana Moro (Milano, 1961) e della compianta Chiara Fumai (Roma, 1978 – Bari, 2017), scomparsa lo scorso anno.
Il labirinto è da sempre un luogo affascinante, carico di mistero e di simbologia, un viaggio del quale si conosce la meta, ma non la strada per raggiungerla.
Virail, la piattaforma che compara i diversi mezzi di trasporto per trovare la soluzione migliore per ogni esigenza, ha da poco proposto ai suoi utenti un percorso su e giù per l'Italia, nel quale perdersi e ritrovarsi, in mezzo alla natura, tra i dedali più belli del nostro Paese.
Il viaggio può partire da Kränzelhof, una delle cantine che puntellano l’area di Merano e che producono vini nella zona di Cermes, tra le montagne dell’Alto Adige.
La tenuta ha una storia antichissima, pare risalga addirittura al 1182, e oggi è famosa non solo per le bottiglie che vengono prodotte, ma anche per i suoi sette giardini. Uno di questi ospita un labirinto vinicolo, un’opera più unica che rara in Italia, realizzata con oltre dieci specie diverse di vitigni. Il percorso di 1500 metri fu voluto dal proprietario, il conte Franz Graf Pfeil, e, ogni anno, seguendo un tema specifico, viene decorato con opere d’arte diverse per arricchire la visita dei curiosi che vogliono perdersi e giocare tra le viti.
Rimanendo nel Nord-est merita una segnalazione il labirinto situato sull’isola di San Giorgio, a Venezia, raggiungibile in pochi minuti di vaporetto da piazza San Marco. Tra le mete più gettonate dagli amanti dell’arte, che in questi mesi potranno ammirare una bella retrospettiva di Alberto Burri alla Fondazione Cini e una raffinata personale di Sean Scully in Basilica, l'isola permette di avventurarsi, all'interno dell’antico convento, nel Labirinto Borges, costruito nel 2011 in omaggio allo scrittore argentino Jorge Luis Borges e alla sua opera «Il giardino dei sentieri che si biforcano».
Il percorso è creato con oltre tremila piante di bosco e si snoda per circa mille e centocinquanta metri, ma la vera sorpresa la si può scoprire solo guardando il dedalo dal campanile della chiesa di San Giorgio Maggiore: i sentieri, tra spirali e linee rette, danno vita ad innumerevoli parole e simboli da individuare, tra cui anche la parola Borges.
Rimanendo in provincia di Venezia un altro labirinto da visitare è quello di Stra, a Villa Pisani, una delle più famose residenze della Riviera del Brenta, punto di riferimento architettonico e artistico importante, ma anche meta perfetta anche per gli amanti dei giardini. Il suo dedalo in siepi di bosso, realizzato nel diciottesimo secolo come luogo di divertimento e corteggiamento, è un piccolo capolavoro: nella torretta centrale, ai tempi, una dama mascherata era solita aspettare il cavaliere alle prese con il complesso percorso, pronta per rivelarsi una volta raggiunta.
In Veneto ci sono altri tre labirinti da non perdere: due in provincia di Padova, uno nel Veronese. Quest'ultimo si trova a Valeggio sul Mincio, nel parco di Sigurtà, che dal 1978 ospita al suo interno specchi d’acqua, decine e decine di specie diverse di piante, un elegante castelletto, aree didattiche e un grande labirinto, composto da oltre mille e cinquecento piante di tasso che superano i due metri.
Ci sono voluti ben due anni per progettare questo dedalo e il doppio di tempo perché le piante raggiungessero l’altezza ottimale. La torretta al centro, meta finale di chiunque provi a risolvere il suo enigma, è ispirata a quella francese del parco Bois de Boulogne di Parigi: un dettaglio molto elegante che si sposa perfettamente con l’atmosfera del parco.
Nel Padovano merita, invece, una visita Villa Barbarigo a Valsanzibio, nel cui giardino, ricco di alberi secolari da tutto il mondo, di fontane e di statue ospita c'è un grande labirinto in bosso: un dedalo quadrato che oggi è tra i più grandi realizzati nel XVII secolo e giunti fino a noi.
La maggior parte delle piante fu posizionata tra il 1664 e il 1669 e ha, quindi, oltre quattrocento anni: un dettaglio che rende l’esperienza ancora più autentica.
Il percorso, voluto dal cardinale San Gregorio Barbarigo, raggiunge in totale i 1500 metri e fu realizzato con un forte significato simbolico: il complesso cammino verso la perfezione e la salvezza.
I sei vicoli ciechi e il circolo vizioso rappresentano i vizi capitali e costringono i visitatori a tornare sui propri passi, una metafora che invita a riflettere sui propri errori per raggiungere la salvezza, ossia il centro del labirinto e il suo punto più alto.
Il giardino venne realizzato dalla famiglia Barbarigo come voto a Dio per sconfiggere la peste del 1631, l’epidemia che segnò anni molto difficili e dolorosi per Venezia.
Il labirinto, in particolare, intendeva trasmettere un messaggio positivo: la vita può essere complicata, ma tutto si risolve poiché c’è sempre una via d’uscita.
Dal 1929 il giardino è di proprietà della famiglia Pizzoni Ardemani, oggi giunti alla terza generazione, che come i proprietari precedenti si impegno ad essere custodi attenti e scrupolosi di questo luogo unico al mondo per varietà botanica e per la sua simbologia.
Sempre nel Padovano ci sono i labirinti del Castello di San Pelagio, nome con cui è conosciuta Villa Zaborra, al cui interno è conservato il Museo del volo, uno spazio espositivo dedicato alla storia dell’uomo e dell’aria, dai primi studi ai mezzi spaziali, passando per mongolfiere e personaggi che hanno compiuto imprese straordinarie.
La villa accoglie tre ben dedali, ognuno con un proprio tema: il Labirinto del Minotauro, di ispirazione mitologica, il Labirinto africano, arricchito con animali e maschere rituali, e il Labirinto del «Forse che sì forse che no», ispirato a un’opera di Gabriele D’Annunzio.
Nel Nord-ovest è, invece, immancabile una visita al dedalo del Castello di Masino a Caravino, una delle tante residenze aristocratiche del Piemonte. Un tempo dimora dei conti Valperga, l'affascinante edificio è oggi proprietà del Fai - Fondo ambiente italiano. Il suo dedalo si trova all’interno del parco e rappresenta il secondo labirinto botanico più grande della nostra penisola. È un percorso ricco di svolte e vicoli ciechi ricostruito secondo l’antico progetto settecentesco, quando il castello si trasformò da massiccia fortezza a elegante dimora nobile.
Chiede il percorso tra i labirinti italiani Fontanellato, in provincia di Parma, con il Labirinto della Masone, aperto ai visitatori nel 2015. Interamente realizzato con oltre duecentomila piante di bambù, l'intero percorso supera i tre chilometri e permette al pubblico di camminare affiancato da canne alte anche quindici metri. Quello voluto da Franco Maria Ricci non è, però, solo un dedalo nel quale vagare, ma anche un luogo dedicato all’arte e alla musica, agli eventi e agli incontri: un vero e proprio punto di riferimento culturale nel territorio.
Sono tante, dunque, le occasione che l’Italia offre per una giornata in mezzo alla natura, giocando a perdersi e a ritrovarsi cullati dalle suggestioni di un elemento come il labirinto di cui è in debito molta arte e letteratura.

Informazioni utili
[Fig. 1] Labirinto del Masone a Fontanellato, Parma; [fig. 2] Labirinto di Villa Pisani a Stra, in provincia di Venezia; [fig. 3] Labirinto di Villa Barbarigo a Valsanzibio, nel Padovano;  [fig. 4] Labirinto Borges all'Isola di San Giorgio Maggiore, a Venezia. Ph Agenzia Vision. Courtesy Fondazione Giorgio Cini; [figg. 5 e 6] Labirinto Sigurtà a Valeggio sul Mincio; [fig. 7] Labirinto della Kränzelhof in Alto Adige

martedì 12 marzo 2019

Da Vinci a Milano: in viaggio sulle orme di Leonardo

Il 2019 è l’anno di Leonardo da Vinci. Per festeggiare al meglio i cinquecento anni dalla morte dell'artista, figure-icona nella storia dell’umanità, Virail, la piattaforma e app che compara tutti i mezzi di trasporto, propone un itinerario alla scoperta delle opere del genio toscano.
Il viaggio parte simbolicamente da Anchiano, località alle pendici del Montalbano, collegata a Vinci dall’antico sentiero chiamato Strada Verde. Qui, in un paesaggio ricco di vigne e uliveti secolari, Leonardo trascorse infanzia e giovinezza, ponendo le basi per la sua attività di artista e scienziato.
In questo bel borgo toscano il visitatore può, dunque, scoprire la casa in cui l'artista nacque il 15 aprile 1452, all'interno della quale è ospitata un’esposizione interattiva dove un ologramma a grandezza naturale riproduce le fattezze del maestro e racconta la vita e i rapporti di questo con la sua terra.
Il viaggio può, quindi, continuare verso la vicina Vinci. Tra i luoghi che, in questa cittadina, testimoniano la presenza di Leonardo c’è la Chiesa di Santa Croce, nella quale è conservato il fonte battesimale in cui si ritiene che l’artista sia stato battezzato nel 1452.
Per ritrovare la più antica collezione di modelli delle opere di Leonardo architetto, scienziato e ingegnere, bisogna, invece, dirigersi al Museo leonardiano di Vinci: un vero e proprio centro di documentazione sull’opera tecnica e scientifica del maestro, che comprende anche l’originale sezione espositiva dedicata ai suoi studi sul corpo umano.
Da non perdere, infine, è una visita alla Biblioteca leonardiana, centro di documentazione internazionale specializzato nel lavoro dell'artista, che conserva più di 13mila opere, tra cui le riproduzioni in facsimile di manoscritti, disegni e opere stampate.
Rimanendo in Toscana non si può non andare a Firenze, città che vide Leonardo formarsi alla bottega di Andrea del Verrocchio.
Agli Uffizi, tappa imprescindibile è la Sala 35, dove si trovano tre opere giovanili dell'artista: il «Battesimo di Cristo» (1470-1475 circa), dipinto insieme al suo maestro; l’«Annunciazione» (1472), con le ali dell’angelo che ricordano quelle di un rapace, e l'«Adorazione dei Magi» (1481), opera destinata alla chiesa di San Donato a Scopeto, ma rimasta incompiuta per il trasferimento di Leonardo a Milano, alla corte di Ludovico il Moro.
Chi vuole ripercorrere la vita, le opere e i segreti del maestro, non può, poi, perdersi, sempre a Firenze, il Museo Leonardo da Vinci, con un percorso che si snoda attraverso macchine costruite seguendo i disegni dell’artista, riproduzioni di dipinti celebri, video mapping di studi anatomici su un modello di corpo umano.
Per i più curiosi è da mettere in conto anche una visita a Palazzo Vecchio, dove sembrerebbe che dietro le pareti del Salone dei Cinquecento siano nascosti i disegni originali della Battaglia di Anghiari e dove, dal prossimo 25 marzo, arriverà una selezione delle tavole del Codice Atlantico. I disegni, organizzati in più sezioni, racconteranno vari soggetti: le relazioni di parenti e amici con fatti fiorentini; il Palazzo della Signoria, i Medici, Santa Maria Nuova, l’Arno e la cartografia idraulica nel territorio fiorentino, gli studi sul volo e sulla geometria. «Oltre al corpus grafico -raccontano gli organizzatori- sarà presente in mostra il «Busto del Redentore», opera attribuita a Gian Giacomo Caprotti detto Salaino, già allievo di Leonardo e soggetto di molti dei suoi dipinti».
Un'altra tappa obbligata per gli amanti di Leonardo è Milano. Qui l'artista giunse nel 1482, stabilendosi alla corte di Ludovico il Moro, e vi rimase per circa vent’anni, lasciando tracce indelebili come l’«Ultima Cena», nel Refettorio di Santa Maria delle Grazie. La Veneranda Biblioteca Ambrosiana dal 1637 custodisce, invece, il Codice Atlantico, la più vasta raccolta al mondo di disegni e scritti autografi di Leonardo da Vinci, che trattano i temi più disparati, dall’anatomia all’architettura.
Una delle più belle testimonianze della presenza dell’artista alla corte sforzesca si trova, però, all’interno del Castello: la Sala delle Asse, che verrà riaperta al pubblico il 2 maggio, è stata, infatti, decorata dal maestro nel 1498 con un finto pergolato, dove i rami intrecciati formano l’emblema vinciano del nodo che forma un cerchio che inscrive una doppia croce.
A Milano, inoltre, è possibile visitare il Museo nazionale della scienza e tecnologia «Leonardo da Vinci», la più importante collezione al mondo di modelli leonardeschi, realizzati tra il 1952 e il 1956 da un gruppo di studiosi, interpretando i disegni dell’artista. Per scoprire un’altra passione del maestro toscano bisogna, infine, recarsi alla Vigna, spazio naturale che gli avrebbe donato Ludovico il Moro, situato sul retro della Casa degli Atellani.
Venezia vale, invece, una gita per avvicinarsi il più possibile al disegno originale a penna e inchiostro su carta de «L'Uomo Vitruviano», opera che siamo soliti “incontrare” quotidianamente sulle monete da un euro, il cui originale è conservato nel Gabinetto dei disegni e delle stampe delle Gallerie dell'Accademia. Purtroppo, come per la maggior parte delle opere in carta, per motivi conservativi il lavoro è raramente esposto al pubblico e, quindi, non è inserito nel percorso abituale di visita del museo. Con questa famosa rappresentazione delle proporzioni ideali del corpo umano, riconducibile al periodo pavese (1490), Leonardo intendeva dimostrare come esso possa essere armoniosamente inscritto nelle due figure "perfette" del cerchio, che rappresenta l'universo, la perfezione divina, e del quadrato, che simboleggia la Terra.
Proseguendo la ricerca delle opere di Leonardo in Italia, bisogna recarsi alla Galleria nazionale di Parma, dove è esposta «La testa di fanciulla» (detta «La Scapigliata»), un dipinto a terra ombra, ambra inverdita e biacca su tavola. Il lavoro, forse incompiuto, è avvolto nel mistero per quanto riguarda la datazione (probabilmente 1508), la provenienza e la sua destinazione. Si è anche ipotizzato che l'opera possa essere uno studio per la Leda col cigno andata perduta.
Il nostro viaggio sulle orme di Leonardo termina a Roma, dove l’artista arrivò nel 1514 per dedicarsi a studi scientifici, meccanici, di ottica e di geometria. Non può, quindi, mancare in questo percorso leonardesco una tappa al Museo Leonardo da Vinci, nei pressi della Basilica di Santa Maria del Popolo: qui è possibile scoprire le macchine interattive a grandezza naturale realizzate da artigiani italiani seguendo i codici manoscritti di Leonardo, oltre che studi delle sue opere rinascimentali più famose, bozzetti di anatomia umana e video multimediali dell’«Ultima Cena», dell’«Uomo Vitruviano» e del progetto di scultura equestre per gli Sforza.
Da non perdere, inoltre, nella capitale la mostra permanente «Leonardo Da Vinci Experience», in via della Conciliazione: per la prima volta in Italia presenta una riproduzione a grandezza naturale de l’«Ultima Cena». Sempre Roma, ma più precisamente nella Città del Vaticano, merita una visita la Pinacoteca, che accoglie il San Girolamo penitente, un’opera che rivela grande attenzione all’anatomia: è rimasta incompiuta ed è datata agli ultimi anni del primo soggiorno fiorentino di Leonardo (1480).

Per saperne di più
virail.it

lunedì 28 maggio 2018

Toscana, la Tavola Doria in mostra al Castello di Poppi

«Prendete uno dei borghi più belli d’Italia, il tocco del genio, la storia rocambolesca di un’opera ancora sotto tanti aspetti avvolta nel mistero e il gioco è fatto»: inizia così il comunicato stampa della mostra «Nel segno di Leonardo. La tavola Doria dagli Uffizi al Castello di Poppi», in programma dal 7 luglio al 30 settembre negli spazi delle scuderie del Castello di Poppi in Casentino, prima valle dell’Arno.
Al centro dell’esposizione, che prevede un allestimento multimediale ad alta tecnologia con proiezioni in HD di disegni leonardiani e l’ologramma del genio di Vinci a fare da cicerone, c’è uno dei dipinti più celebri e contesi dell’arte italiana del Cinquecento: la tavola Doria.
L’opera, illegalmente esportata dall’Italia, dopo una lunga peregrinazione fra Germania, Stati Uniti, Giappone e Svizzera, è rientrata miracolosamente nel nostro Paese nel 2012 ed è stata al centro, negli anni passati, di due mostre, una al Palazzo del Quirinale (27 novembre del 2012 – 13 gennaio 2013), l’altra agli Uffizi di Firenze (24 marzo – 29 giugno 2014).
Contesa in passato fra il sultano del Brunei e il fondatore della Microsoft, Bill Gates, la Tavola Doria è un dipinto a olio su tavola, di forte impatto e suggestione, che misura 86x110 centimetri. Raffigura la Lotta per lo stendardo, la scena centrale della Battaglia di Anghiari, il leggendario affresco di Leonardo (andato perduto) nella parete destra del Salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio, che secondo il programma originale della decorazione avrebbe dovuto illustrare il sanguinoso scontro che il 29 giugno del 1440 ad Anghiari mise di fronte l’esercito dei Visconti, duchi di Milano ed una coalizione composta da truppe fiorentine, pontificie e veneziane.
L’opera, proveniente dalla collezione Doria D’Angri di Napoli, passò nel 1940 nelle mani del nobile genovese Giovanni Nicolò De Ferrari. Da allora se ne persero le tracce fino a quando nel 2009, dopo trent’anni di indagini e due di caccia serrata, il Comando dei carabinieri - Tutela patrimonio culturale la ritrovarono in un caveau al Porto Franco di Ginevra.
Nel 1992 la tavola venne acquistata dal Tokyo Fuji Art Museum; nel 2012 è stata restituita all’Italia che ha concesso all’istituzione giapponese per venticinque anni (fino al 2037), di poterla avere in prestito, con l’alternanza di due anni in Italia e di quattro in Giappone.
Al centro della scena, partendo da destra sono raffigurati i due combattenti della coalizione, Pietro Giampaolo Orsini e Ludovico Scarampo Mezzarota, mentre lottano per strappare lo stendardo visconteo ai nemici. Sul lato opposto Francesco e Niccolò Piccinino tentano a colpi di spada di difendere il possesso del vessillo. Lo scontro è violento, furioso, amplificato acusticamente dai cavalli che cozzano i musi l’un contro l’altro, tanto che Giorgio Vasari parla di un «groppo di cavalli!», cioè un viluppo di animali e cavalieri. La lotta si fa serrata anche fra i cavalieri a terra, come documenta a destra l’uomo raffigurato sotto le zampe del cavallo, detto «bozzolo».
Si tratta della più importante per quanto martoriata testimonianza pittorica di quella che il Cellini definì la «scuola del mondo», il celebre dipinto murale affidato a Leonardo nel maggio del 1504 per il cui cartone preparatorio egli ricevette un compenso ragguardevole di 35 fiorini e altri 15 al mese per terminare in fretta l’opera – era ben noto come l’artista, impegnato in quegli anni su più fronti, fosse refrattario alle scadenze la chiusura dei suoi lavori.
La Tavola Doria, la cui paternità in passato è stata a lungo contesa fra Leonardo e un pittore fiorentino della prima metà del Cinquecento, viene esposta al Castello di Poppi con l’attribuzione a Francesco Morandini, detto il Poppi, avanzata da Louis A. Waldman del Dipartimento di arte e storia dell’Università di Austin (Texas).
Nato a Poppi nel 1544 e morto a Firenze nel 1597, il Morandini fu uno degli artisti attivi nella decorazione del celebre Studiolo di Francesco I in Palazzo Vecchio. Fu altresì autore di altre importanti opere a Firenze, Prato, Roma ed a Poppi, dove è documentato fra il 1575 e il 1576 e dopo il 1584 con importanti commesse come la chiesa dell’Annunziata delle monache camaldolesi (che accoglieva due sorelle del pittore, Dianora e Margherita) e per altri centri del Casentino.
La mostra proseguirà lungo il borgo di Poppi nei luoghi dove sono custodite tavole del Morandini come l’Abbazia di San Fedele, la Propositura dei Santi Marco e Lorenzo, il Monastero delle Camaldolesi.
L’occasione è ghiotta per gli appassionati del turismo slow che quest’estate avranno un’occasione in più per venire in quest’angolo di Toscana, terra di monasteri (La Verna e Camaldoli) e di castelli feudali (Castello di Poppi, Porciano, Romena e Castel San Niccolò), di emozionanti itinerari nel verde e di buon cibo.

Informazioni utili 
«Nel segno di Leonardo. La tavola Doria dagli Uffizi al Castello di Poppi». Castello dei conti Guidi, piazza della Repubblica, 1 – Poppi (Arezzo). Orari: tutti i giorni, dalle ore 10.00 alle ore 19.30. Ingresso: intero € 7,00, ridotto € 4,00. Informazioni: tel. 0575 520516 / info@castellodipoppi.it. Dal 7 luglio al 30 settembre 2018.

mercoledì 28 marzo 2018

Da Amelia a Montone, arte e cibo nei borghi dell’Umbria

Terra di arte e spiritualità, ma anche di prelibatezze enogastronomiche come l’olio e il Sagrantino: l’Umbria è una regione dai mille volti, che vale la pena di scoprire durante le vacanze pasquali, magari andando a visitare uno dei suoi tanti borghi fortificati.
Il viaggio può avere inizio da Amelia, dove proprio nei giorni della Settimana santa, o meglio nella giornata di sabato 31 marzo, inaugurerà «Sentieri», un festival di arte contemporanea, alla sua prima edizione, che porterà nei palazzi nobiliari e nelle note cisterne sotterranee della bella cittadina, di origine romana, una trentina di giovani artisti e poeti di varie nazionalità, invitati da Claudio Pieroni del Centro ricerca arte contemporanea.
L’esposizione, realizzata con la consulenza dell’associazione culturale «Feng Huang», che vede alla guida Luo Guixia, «immagina -a detta degli organizzatori- le tappe di un percorso visivo e simbolico che accomuna, sfiorandole, la memoria e la metafora di viaggi lontani, tra «La Via della seta» e la «Via Francigena», che in questo territorio di orizzonti a perdita d’occhio, si sono incrociate secoli addietro».
Dipinti, fotografie, video e installazioni racconteranno, dunque, quel ricco tessuto di scambi culturali che si costruiva durante i lunghi viaggi di pellegrini e mercanti tra Oriente e Occidente, dando vita a feconde commistioni di lingue, abitudini, riti e comportamenti.
La mostra, che rimarrà aperta nei giorni di Pasqua, Pasquetta e tutti i sabati e le domeniche fino al 29 aprile (dalle ore 11.30 alle ore 19; sono possibili aperture straordinarie chiamando i numeri 335.7077948 o 3487595963), offrirà anche l’occasione per visitare spazi solitamente chiusi al pubblico, da antiche dimore come il prestigioso e rinascimentale Palazzo Venturelli, riqualificato in elegante residenza d’epoca con annessa osteria, a luoghi in abbandono che popolano le vie del centro storico come botteghe chiuse, officine in disuso e magazzini dimenticati, ma abitati ancora da oggetti, strumenti e suppellettili che ne conservano la memoria.
Per l’occasione saranno visitabili anche gli spazi monumentali delle cisterne romane, risalenti al II secolo a.C.. Questo sito, di grande suggestione, è ubicato sotto piazza Matteotti ed è costituito da un sistema di dieci locali deputati alla raccolte delle acque piovane per dissetare gli antichi abitanti della città di Amelia, conosciuta anche per essere la patria dei fichi girotti.
Spostandoci verso il nord dell’Umbria, una visita nei giorni di Pasqua la merita anche il borgo di Montone. Qui, lunedì 2 aprile è in programma la prima ostensione della Santa Spina, una festa ricca di spiritualità, fortemente legata alla storia del borgo. La festa si svolge in due tappe, una di un giorno, il lunedì dell’Angelo, e la seconda nella settimana di ferragosto, con un programma incentrato su una rievocazione storica fedelissima che richiama a Montone migliaia di visitatori.
I documenti storici narrano che proprio il Lunedì dell’Angelo Carlo Fortebracci, figlio del celebre condottiero Braccio, donò a Montone la Spina della corona di Cristo ricevuta dalla Serenissima Repubblica di Venezia, per i suoi servigi militari. C’è anche una leggenda secondo la quale questa Spina, oggi conservata nel convento di Sant’Agnese, sarebbe fiorita il Venerdì Santo, emanando un dolcissimo profumo.
La Pro Loco e il Comune di Montone predispongono ogni anno un programma di eventi molto ricco che si apre la mattina con la lettura del Proclama del Gran Gonfaloniero e con l’arrivo del conte Carlo Fortebracci e dei suoi soldati a cavallo, seguito dal corteo storico della Donazione della Santa Spina con i rappresentanti dei tre rioni, accompagnato dai tamburi e dalle chiarine del Castello.
Il reliquiario della Santa Spina sarà visitabile per l’intero pomeriggio nella chiesa della Collegiata. Oltre ai riti religiosi sono previsti diversi appuntamenti ricreativi, dal mercato medievale dei mestieranti del contado di Montone e dei castelli vicini, ai giochi in piazza e agli spettacoli di burattini per i bambini. In programma, infine, l’omaggio alla corte degli «Arcieri Malatesta» di Montone e l’esibizione dei locali sbandieratori.
Punta, invece, sulle sue specialità enogastronomiche il borgo di Montefalco, la patria del Sagrantrino e degli affreschi di Benozzo Gozzoli sulla vita di San Francesco, per i giorni pasquali. Dal 31 marzo al 2 aprile ci sarà, infatti, nella cittadina umbra la manifestazione «Terre del Sagrantino», una rassegna dove sarà possibile trovare anche formaggi, salumi, ceramiche e tessuti, i protagonisti per eccellenza del territorio umbro nel magnifico Chiostro di Sant'Agostino.
In questi primi giorni di primavera merita una visita anche Trevi, dove il 21 e il 22 aprile andrà in scena l’undicesima edizione di «Pic & Nic. Arte, musica e merende tra gli ulivi», che offrirà l’occasione per conoscere una parte di quel suggestivo paesaggio della Fascia Olivata Assisi-Spoleto, recentemente premiato come Paesaggio rurale storico dal Ministero delle Politiche agricole. 

Didascalie delle immagini 
[Figg. 1 e 2] Amelia; [figg. 3 e 4] Montone; [fig. 5] Trevi, una scena della festa «Pic & Nic. Arte, musica e merende tra gli ulivi» [Si ringrazia per le immagini Michela Federici di www.addcomunicazione.it

Informazioni utili 
www.sentieriartecontemporanea.com 
www.comunemontone.it 
www.treviturismo.it
www.picnicatrevi.it

sabato 25 novembre 2017

«I luoghi del cuore», al via i lavori in ventiquattro beni

Sono ventiquattro i progetti di intervento e valorizzazione che il Fai – Fondo per l’ambiente italiano ha deciso di sostenere a un anno dalla chiusura dell’ottava edizione del censimento «I luoghi del cuore», che ha visto gli italiani votare per quei tesori, paesaggi e monumenti, che rappresentano per loro un simbolo delle proprie origini e tradizioni. Otre un milione e cinquecento mila persone espresse il proprio parere nel 2016 chiedendo di salvare o di proteggere luoghi, spesso considerati minori, ma di fondamentale valore identitario per le comunità di riferimento. Di questi ne sono stati scelti appunto ventiquattro, situati in quindici regioni italiane, per i quali sono stati stanziati complessivamente 400mila euro.
I primi interventi riguardano i vincitori del censimento: il Complesso monumentale di Bosco Marengo (Alessandria), posizionatosi al secondo posto della classifica e che grazie a un contributo di 40mila euro completerà l’allestimento al suo interno di un museo vasariano con ventotto nuove opere attualmente in deposito, e le Grotte del Caglieron a Fregona (Treviso), classificatosi terzo, che beneficerà di un intervento di 30mila euro.
Non sono, invece, state prese ancora decisioni in merito al bene classificatosi per primo, il Castello di Sammezzano a Reggello (Firenze), che si trova in una situazione particolare: in seguito all’annullamento dell’asta dello scorso 9 maggio, che aveva visto l’assegnazione del bene a una società araba, la proprietà è tornata al custode giudiziario e, in attesa di sviluppi chiari circa il nuovo proprietario e i suoi progetti, è stato congelato il contributo di 50mila euro già stanziato.
Tra i beni che si sono aggiudicati un contributo vi è anche quello più votato nelle filiali Intesa San Paolo: il Tempietto di San Miserino a San Donac (Brescia), che riceverà 5.000 euro destinati a migliorarne la fruibilità.
Gli altri ventuno luoghi sono stati scelti nell’ambito delle «Linee Guida per la selezione degli interventi», rivolto agli oltre centonovanta beni che hanno ricevuto almeno 1.500 segnalazioni, settantasette dei quali hanno presentato una richiesta di intervento. Le proposte sono state vagliate da una commissione composta da archeologi, architetti e storici dell’arte, secondo otto parametri di valutazione: numero di voti al censimento, qualità e innovazione del progetto proposto, possibilità di effettuare un intervento significativo e duraturo, valenza storico e artistica o naturalistica, importanza per il territorio di riferimento e urgenza dell’urgenza.
Fra questi luoghi si annoverano, per esempio, l’area archeologica di Capo Colonna (Crotone), la spiaggia di Randello a Ragusa, l’Anfiteatro Augusteo di Lucera (Foggia), il Santuario internazionale per i cetacei del Mediterraneo e la Chiesa rupestre del Crocifisso a Lentini, nelle campagne siciliane, con i suoi affreschi di struggente bellezza.
Ma il lavoro del Fai non finisce qui. L’obiettivo è di poter gettare nuova luce su tanti altri luoghi italiani. Non resta, dunque, che aspettare il maggio 2018 quando verrà lanciata la nuova edizione del censimento, un’occasione per raccontare la propria Italia del cuore.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Chiesa rupestre del Crocifisso, Lentini (SR) - Foto di Fabio Fortuna © FAI - Fondo Ambiente Italiano; [ fig.2] Complesso di Santa Croce, Bosco Marengo (AL) a - Foto di Jonathan Vitali © FAI - Fondo Ambiente Italiano; [fig. 3] Pelagos – Santuario internazionale per i cetacei del Mediterraneo

Informazioni utili
www.iluoghidelcuore.it

lunedì 5 giugno 2017

«Scoprendo l’Umbria», dai «Tesori della Valnerina» alle visite guidate al Deposito di Spoleto

Trenta opere straordinarie per un omaggio a una terra, l’Umbria, che sa reagire al terremoto con la forza del suo patrimonio culturale: si presenta così la mostra «Tesori della Valnerina», allestita nelle sale della Rocca Albornoziana – Museo nazionale del Ducato di Spoleto, per la curatela di Marica Mercalli, Antonella Pinna e Rosaria Mencarelli.
Sculture, dipinti, manufatti, oggetti di oreficeria, arredi e volumi sacri tratti in salvo da chiese danneggiate dal terremoto della scorsa estate e dal Museo della Castellina di Norcia, anch’esso chiuso per inagibilità, restituiscono tutta la ricchezza artistica del «cuore verde d’Italia», un territorio che offre al visitatore più di centosettanta siti tra musei, ecomusei e siti archeologici.
Le opere esposte -riportate a nuova vita con l'aiuto e il sostegno dei restauratori dei Musei Vaticani, dell'Opificio delle Pietre Dure di Firenze e della Soprintendenza all'Archeologia, Belle arti e paesaggio dell'Umbria- rappresentano i diversi contesti di appartenenza delle zone colpite, così che tutte le comunità della Valnerina possano sentirsi rappresentate, e sono espressione di devozione popolare, tradizione artigiana e natura etnoantropologica.
La presenza, tra gli altri lavori esposti, anche di una campana proveniente dall’Abbazia di Sant’Eutizio di Preci è stata voluta per rappresentare, tra le tante campane ricoverate a Spoleto, gli edifici e segnatamente i campanili distrutti dal sisma, simboli, spesso, di quanto oggi non esiste più come nel caso delle campane di Castelluccio di Norcia.
La mostra, che permette anche di ammirare il frutto di un impegno nella salvaguardia dell’ambiente, cominciato subito dopo le prime scosse, e la professionalità e la competenza dei tecnici chiamati a vario titolo a operare nel campo della tutela e del restauro dei beni culturali, è strettamente legata alla campagna di raccolta fondi aperta per sostenere il restauro di opere danneggiate dal terremoto, a cui si può contribuire attraverso la piattaforma web Starteed (https://valorecultura.starteed.com/it/lightquake).
In occasione dell’esposizione, Sistema Museo ha organizzato, a cadenza settimanale, una serie di visite guidate al Deposito di sicurezza per i Beni culturali di Santo Chiodo di Spoleto, dove sono “ricoverati” oltre quattromilacinquecento beni storico artistici, librari e documenti storici recuperati dai luoghi danneggiati a seguito del recente terremoto nel Centro Italia.
Durante la visita -in agenda fino al 30 luglio, tutti i giovedì, con un doppio appuntamento alle ore 15 e alle ore 16 (prenotazioni obbligatorie ai numeri tel. 0743.224952, cell. 340.5510813 o all’indirizzo e-mail spoleto@sistemamuseo.it; quota di partecipazione € 6,00)- uno storico dell’arte illustrerà il lavoro di recupero delle opere, le funzioni e le caratteristiche del deposito stesso, attraverso riproduzioni di immagini. La visita comprende anche l’ingresso nel laboratorio di restauro dove i restauratori illustreranno loro stessi fasi, tecniche e procedura di questi delicati interventi.
L’evento si inserisce nel programma «Scoprendo l’Umbria», fortemente voluto e promosso dalla Regione per sostenere e valorizzare le attività dei musei, un’esperienza autentica da vivere in oltre centosettanta tra musei, ecomusei e siti archeologici.
Solo una piccola parte dell'Umbria ha avuto danni diretti dal terremoto e, anche se le immagini delle chiese gravemente danneggiate della Valnerina hanno colpito il cuore di tutti, la volontà della comunità umbra è di non farsi piegare dagli eventi e di continuare a valorizzare il proprio patrimonio storico e artistico, la bellezza delle terre del Perugino, di Giotto, del Signorelli e di Burri. Alle ferite del sisma enti e cittadini reagiscono, dunque, invitando tutti gli amanti del «cuore verde d’Italia» a visitare i musei e i monumenti che sono aperti, vitali e offrono uno straordinario spaccato di storia, arte, ambiente e tradizioni.
Il progetto è corredato da un sito internet e da una pagina Facebook ,attiva dal 5 marzo, che è seguita da oltre 4350 fan, con una crescita costante del numero di utenti e dell'interesse suscitato, tanto che con un solo post sono state raggiunte 35mila persone. Il sito internet ha, invece, superato le 6200 visualizzazioni e offre costanti aggiornamenti su centinaia di proposte, itinerari e curiosità in grado di suscitare emozioni intense in chi le vive.
A tutto questo si aggiunge la grande risposta da parte dei musei del territorio regionale: oltre ottanta, infatti, hanno aderito a questo progetto di promozione offrendo sconti sugli ingressi previa esibizione di una card a tema.
Un invito a scoprire e riscoprire testimonianze artistiche che hanno segnato la storia di questa terra e oggi diventano parte viva del contemporaneo.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Orvieto, museo archeologico; [fig. 2] Città della Pieve, Museo civico; [fig. 3] Spoleto, Palazzo Collicola Arti visive; [fig. 4] Magione, Museo della pesca del lago Trasimeno

Informazioni utili 
«Tesori della Valnerina». Rocca Albornoziana – Museo Nazionale del Ducato di Spoleto (Perugia). Orari: dal martedì alla domenica, dalle ore 9.30 alle ore 19.30, lunedì dalle ore 9.30 alle ore 13.30; aperture straordinarie in occasione di eventi speciali, ponti e festività. Ultimo ingresso 45 minuti prima della chiusura. Ingresso: intero € 7,50, ridotto € 3,75 (da 18 a 25 anni), gratuito fino a 17 anni, fatte salve le agevolazioni previste dal regolamento di ingresso ai luoghi della cultura italiani, consultabili nel sito web del Mibact; ingresso gratuito la prima domenica del mese; Spoleto Card - Red Card € 9,50, Green Card € 8,00 (+ 65, da 7 a 25 anni, gruppi oltre 15 persone). Catalogo: il 70% del ricavato dalle vendite del catalogo contribuirà al restauro di opere d’arte danneggiate dal sisma. Informazioni e prenotazioni: Sistema Museo biglietteria e accoglienza tel. 0743.224952, cell. 340.5510813, spoleto@sistemamuseo.it. Sito internet: www.scoprendolumbria.it. Fino al 30 luglio 2017. Chiusura posticipata al 5 novembre 2017.

giovedì 25 maggio 2017

«Dialoghi sull’uomo», a Pistoia tre giorni di appuntamenti sulla cultura

Compie otto anni «Pistoia – Dialoghi sull’uomo», festival di antropologia del contemporaneo, ideato e diretto da Giulia Cogoli, che da venerdì 26 a domenica 28 maggio porterà nella città toscana, scelta per il 2017 quale Capitale italiana della Cultura, venticinque incontri di profilo internazionale, rivolti a un pubblico intergenerazionale, sempre alla ricerca di nuovi strumenti per comprendere la realtà di oggi.
«La cultura ci rende umani. Movimenti, diversità e scambi» è il tema scelto per questa edizione della manifestazione che sarà inaugurata da una lezione magistrale di Salvatore Settis a partire dal libro «Cieli d’Europa» (venerdì 26 maggio, dalle ore 17.30, in piazza Duomo), appena pubblicato per i tipi di Utet. Lo studioso, attualmente presidente del consiglio scientifico del Louvre di Parigi, parte dal presupposto che siamo ormai incapaci di convivere con il nostro passato, al quale guardiamo spesso solo con nostalgia o disagio. Questo comporta uno scenario difficile: le distruzioni intenzionali di opere d’arte, l’incuria che affligge monumenti e paesaggi, il declino delle città storiche e il diffondersi dei ghetti urbani sono segnali di una crisi che non è solo economica e politica, ma anche culturale. L’esercizio creativo del pensiero critico diventa così l’unica cosa che può consentirci di comprendere i processi in corso oggi nel mondo: una memoria «plurale», un sentimento che incardina l’individuo nella comunità di cui fa parte, «è -secondo Salvatore Settis- il terreno di crescita di una creatività che non mira all’effimera felicità del successo, ma comporta la piena realizzazione delle proprie potenzialità».
La giornata inaugurale vedrà anche la presenza a Pistoia del fisico Guido Tonelli (venerdì 26 maggio, alle ore 19, al teatro Bolognini), uno dei protagonisti della scoperta del bosone di Higgs, che parlerà al pubblico dell’importanza della cultura e della ricerca scientifica e delle nuove sfide che la scienza sta affrontando a partire dallo studio dalle nostre origini.
Sempre il primo giorno «Pistoia – Dialoghi sull’uomo» vedrà la presenza di Claudio Magris (venerdì 26 maggio, dalle ore 21.30, in piazza Duomo), uno dei maggiori intellettuali del nostro tempo, che, partendo dalla sua personale esperienza di allievo del poeta Biagio Marin e poi di insegnante, affronterà il tema dello speciale rapporto che intercorre tra maestro e allievo e che fin dall’antichità – come dimostrano i grandi esempi della letteratura – ha permesso la trasmissione di conoscenza e il riconoscimento tra le due figure.
Evento clou della giornata di apertura sarà l’esecuzione della Nona sinfonia di Ludwig van Beethoven (venerdì 26 maggio, alle ore 21, al teatro Manzoni - ingresso € 7,00). Il messaggio di fratellanza universale di questo brano musicale, adottato nel 1972 come inno europeo, sarà portato in scena, sotto la direzione del maestro Daniele Giorgi, dall’Orchestra Leonore, un progetto di eccellenza culturale, che dal 2014 riunisce musicisti di prestigiosi ambiti cameristici e di orchestre internazionali.
A chiudere la programmazione della giornata sarà la proiezione del film «Il ragazzo selvaggio» (venerdì 26 maggio, alle ore 22.30, con l’intervento di Adriano Favole) nell’ambito di una mini-rassegna sulla cinematografia di François Truffaut al teatro Bolognini, che prevede anche appuntamenti con «Fahrenheit 451» (sabato 27 maggio, dalle ore 22.30, con il commento di Stefano Allovio) e «L’ultimo metrò» (domenica 28 maggio, alle ore 20, con l’analisi critica di Marco Aime).
Il secondo giorno di festival si aprirà con un incontro sulla gastronomia e la dieta mediterranea animato dagli antropologi Elisabetta Moro e Marino Niola (sabato 27 maggio, alle ore 10.30, al teatro Bolognini).
Lo scrittore Edoardo Albinati (sabato 27 maggio, alle ore 11, in piazza San Bartolomeo), che da oltre vent’anni insegna nel penitenziario di Rebibbia, sarà, invece, testimone di come la cultura possa intervenire in situazioni di degrado sociale, creando una diversa consapevolezza e l’apertura di nuove possibilità per chi non ne ha avuto o ha mancato quelle che gli si presentavano.
Appuntamento da non perdere anche quello con la filosofa Michela Marzano (sabato 27 maggio, alle ore 12, in piazza Duomo) che intratterrà i presenti sul tema «A cosa serve la cultura oggi?», affermando che avere capacità critica significa anche avere il coraggio di pensare in maniera autonoma, senza cedere ai processi globali che producono cultura, esattamente come si producono le merci.
Spazio, quindi, a Gianni Berengo Gardin (sabato 27 maggio, alle ore 15, al teatro Bolognini), maestro della fotografia italiana, che rifletterà su quale sia il senso del lavoro del fotografo oggi, in un dialogo con l’editore e curatore Roberto Koch: «si avverte più che mai la necessità -afferma il fotografo- di un tempo lento, approfondito, diverso da quello tumultuoso che porta a realizzare scatti a valanga, a riempire i social di selfie, a guardare e dimenticare immediatamente migliaia di immagini».
L’incontro sarà accompagnato da una mostra a cura di Giulia Cogoli, che racconta attraverso sessanta fotografie in bianco e nero, realizzate da Gianni Berengo Gardin fra 1957 e il 2009 ed esposte al Palazzo comunale, la società italiana, i suoi riti e mutamenti, le feste popolari, i costumi e le tradizioni antiche e meticce di tutte le regioni.
Il festival proseguirà con un incontro animato dallo storico francese Serge Gruzinski (sabato 27 maggio, alle ore 15.30, al Palazzo comunale) e con un appuntamento con lo psichiatra e psicanalista Vittorio Lingiardi (sabato 27 maggio, alle ore 16, in piazza Bartolomeo). Sarà, quindi, la volta di Silvia Ronchey (sabato 27 maggio, alle ore 17.30, al teatro Bolognini) e dell’antropologo Adriano Favole (sabato 27 maggio, alle ore 17.30, al Palazzo comunale) che parlerà dei limiti della cultura a partire dal mito di Prometeo che metteva in guardia sui rischi della hybris, dell’arroganza delle tecniche: si tratta di un tema oggi molto attuale, per esempio nel campo delle leggi che regolano la vita del nostro pianeta, al punto da trasformare il suo clima, o delle tecnologie genetiche.
L’antropologo Marco Aime e il genetista Guido Barbujani (sabato 27 maggio, alle ore 18.30, in piazza Duomo) dialogheranno, quindi, sui processi dell’evoluzione umana: «il lungo cammino degli umani, i loro continui spostamenti, gli incontri, gli scambi hanno portato -affermano i due studiosi- a una mescolanza genetica e culturale tale che non esistono più razze o culture pure, contrariamente a quanto vogliono far credere costruzioni identitarie che rievocano il mito della purezza».
La serata di sabato vedrà due appuntamenti da non perdere. Si inizia con l’assegnazione del «Premio internazionale Dialoghi sull’uomo» all’autore israeliano David Grossman che racconterà, con lo scrittore Paolo Di Paolo (sabato 27 maggio, alle ore 21.15, in piazza Duomo), il suo lavoro letterario e il suo costante impegno nella ricerca di una soluzione pacifica della questione mediorientale. Si proseguirà con Toni Servillo (sabato 27 maggio, alle ore 21.30, al teatro Manzoni) e il suo omaggio, a trent’anni dalla morte, a Primo Levi con letture tratte da «Il sistema periodico» e da «Se questo è un uomo», che restituiscono – come ne «Il canto di Ulisse» – il senso e il ruolo fondamentale della cultura nella vita di un uomo.
Ad aprire l’ultimo giorno di festival sarà la scrittrice Paola Mastrocola (domenica 28 maggio, alle ore 10.30, al teatro Bolognini), che si interrogherà sulle parole della nuova scuola – percorsi formativi, piano per la scuola digitale, certificazione delle competenze, alternanza scuola-lavoro – chiedendosi se esse hanno ancora a che fare con l’idea classica di cultura.
Mentre l’antropologo francese Jean-Loup Amselle (domenica 28 maggio, alle ore 11.30, in piazza San Bartolomeo) indagherà il destino del format «museo» come forma di narrazione culturale, partendo dal Louvre di Abu Dhabi di prossima apertura. Donald Sassoon (domenica 28 maggio, alle ore 11.30, al Palazzo comunale), massimo storico dei processi culturali, racconterà, invece, che la cultura è intrattenimento, istruzione, strumento di promozione personale e sociale, ma è anche un business.
Una delle massime esperte di antropologia culturale, Amalia Signorelli (domenica 28 maggio, alle ore 15, al teatro Bolognini), declinerà il concetto di «cultura popolare» nelle sue espressioni più attuali: la cultura televisiva, la cultura di massa, la cultura che nasce dalle esperienze dei mondi virtuali, la cultura delle reti e dei social, per arrivare a comprendere qual è oggi e quale ruolo occupa nella nostra società la cultura popolare. Mentre l’etno-antropologo Stefano Allovio (domenica 28 maggio, alle ore 16, in piazza San Bartolomeo) ripercorrerà la nostra storia evolutiva, evidenziando come vi si possa ritrovare la forza della cultura nel costruire umanità.
John Eskenazi (domenica 28 maggio, alle ore 17, al Palazzo comunale), uno dei maggiori studiosi dell’arte dell’Asia meridionale, metterà, invece, a confronto le figure del Buddha e di Alessandro Magno. Questo fortunoso incrocio sarà l'inizio di un innesto riuscitissimo di civiltà, religione, cultura, arte e commerci. Una straordinaria commistione di idee e stili, raccontata attraverso le immagini dell'arte Gandhara, che nasce dall'arte ellenistico-romana, assorbe influenze medio orientali e centro asiatiche, e finisce per determinare l'immagine del Buddha alla guisa di un imperatore romano.
Il festival si chiuderà con uno sguardo sul futuro che ci attende. In una conferenza-lezione speciale Marco Paolini (domenica 28 maggio, alle ore 18.30, in piazza Duomo) ci parlerà del futuro prossimo e del ruolo sempre maggiore della tecnologia. «Non sono un esperto di Internet, non sono un utente dei social. Non conosco la meccanica quantistica, né le neuroscienze e la fisica, né la robotica e le intelligenze artificiali» -dice l’attore-, «ma tutto questo mi riguarda e mi interessa. So che la mia vita sta cambiando grazie o per colpa delle tecnologie che da queste innovazioni derivano e di cui faccio uso anch’io come i miei simili».

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Immagine scattata durante una passata edizione di «Pistoia – Dialoghi sull’uomo»; [ fig. 2] Gianni Berengo Gardin. Foto: Luca Nizzoli Toetti; [fig.  3] Orchestra Leonore; [fig. 4] Giulio Paolini. Foto: Elisa Temporin; [fig. 5] Toni Servillo. Foto: Grazia Lissi; [fig. 6] Salvatore Settis

Informazioni utili
Gli eventi proposti sono tutti a pagamento (€ 3,00 per le conferenze; € 7,00 per gli spettacoli);  la lectio di apertura e la mostra di Gianni Berengo Gardin sono gratuite.  Prevendita biglietti: dal 28 aprile presso la biglietteria La Torre, via Tomba di Catilina 5/7 - Pistoia, dal lunedì al sabato, dalle ore 9 alle ore 13 e dalle ore 16.30 alle ore 19.30. Informazioni: tel. 0573.371305. Programma: www.dialoghisulluomo.it.