Un’eccellente medicina contro le preoccupazioni e le difficoltà della vita di tutti i giorni: si presenta così «Il barbiere di Siviglia», opera buffa in due atti che il compositore Gioacchino Rossini scrisse all’inizio del 1816, in poco meno di tre settimane (ma qualcuno parla addirittura di solo nove giorni), per le celebrazioni carnevalesche del teatro Argentina di Roma, allora di proprietà del duca Francesco Cesarini Sforza.
Il componimento, su libretto di Cesare Sterbini, trae la propria trama della commedia settecentesca «Le barbier de Séville ou La précaution inutile» del drammaturgo francese Pierre-Augustin-Caron de Beaumarchais, già oggetto di varie versioni musicali, tra le quali quella, molto applaudita, di Giovanni Paisiello, i cui sostenitori -secondo i pettegolezzi del tempo- fischiarono lungamente il debutto della versione rossiniana.
Ma alla «prima» dell’opera non accadde solo questo episodio sfortunato; pare addirittura che, durante lo spettacolo, un gatto sia passato quatto quatto sul palcoscenico.
Nonostante l’insuccesso della prima rappresentazione, andata in scena il 20 febbraio 1816 con il titolo «Almaviva ossia l’inutile precauzione» (l’attuale nome sarà utilizzato solo a partire dalla ripresa bolognese dello stesso anno), il capolavoro del musicista marchigiano, con il suo meccanismo teatrale perfetto e le sue frizzanti e giocose invenzioni musicali, era destinato a diventare uno dei più grandi successi del teatro musicale italiano.
Non a caso un altro importante compositore ottocentesco, Giuseppe Verdi, ebbe a dire: «Non posso che credere il Barbiere di Siviglia, per abbondanza d'idee, per verve comica e per verità di declamazione, la più bella opera buffa che esista».
Definito oggi dalla critica come «il più grande poema musicale, comico, satirico e umoristico dell’umanità», «Il barbiere di Siviglia» ambienta la propria vicenda nel tardo Settecento ed ha come scenario la calda e solare Spagna.
Qui il maturo don Bartolo tiene segregata in casa la pupilla Rosina, che egli desidererebbe sposare. Il barbiere Figaro, fantasioso e pieno di risorse, aiuta l’innamorato conte di Almaviva a conquistare la giovane, che ricambia i suoi sentimenti. Dopo arditi travestimenti, scambi di biglietti, colpi di scena e la corruzione di don Basilio, maestro di musica della fanciulla, Figaro e il conte di Almaviva riescono a compiere il loro progetto: i due giovani innamorati si sposano, don Bartolo non può che rassegnarsi alla situazione e l’opera si chiude nell’allegria generale.
Sembra abbastanza evidente, come ha scritto il regista Luis Jouvet, che nell’opera «Il barbiere di Siviglia» si trova tutta la tradizione della commedia dell’arte: Arlecchino, Scaramuccia e Scapino sono stati tramutati in Figaro, Pantalone in Bartolo, Lelio e Leandro nel conte d’Almaviva.
Tra i brani entrati nell’immaginario collettivo, per quella che il critico Giuseppe Radiciotti ha definito la loro «giocondità serena e benefica», si ricordano l’ ouverture iniziale, la cavatina «Largo al factotum» e l’ aria «La calunnia è un venticello».
Per l’ouverture Gioachino Rossini si autocopiò; la sinfonia esisteva già, era quella dell’«Aureliano in Palmira», opera composta tre anni prima de «Il barbiere di Siviglia». Questo ci mostra un’altra caratteristica del teatro d’opera all’epoca di Gioachino Rossini: l’ouverture era, infatti, sì il momento musicale che annunciava i toni e i temi dell’opera, ma era anche un vero e proprio segnale sonoro che avvisava gli spettatori dell’inizio dello spettacolo ed era, dunque, spesso eseguita tra chiassi e schiamazzi che si calmavano successivamente.
La cavatina «Largo al factotum», grande classico che ogni baritono ha nel proprio repertorio, è così famosa per le sue note gioiose e spavalde che se ne conosce addirittura un’interpretazione del gatto Tom, della celebre coppia Tom e Gerry, nel cartone animato «The Cat Above and the Mouse Below» (1964).
L’ aria «La calunnia è un venticello» è utile per comprendere il cosiddetto «crescendo rossiniano», una tecnica compositiva molto utilizzata da Gioachino Rossini che consiste nel ripetere in maniera ossessiva determinate battute inserendo gradualmente nuovi strumenti a ogni ripetizione.
Per saperne di più
Fiorella Colombo e Laura Di Biase, «Il barbiere si Siviglia – Un percorso di sensibilizzazione e avvicinamento all’opera di Gioachino Rossini», Erga edizioni, Genova 2012;
Fiorella Colombo e Laura Di Biase, «Figaro qua, Figaro là», Vallardi, Milano 2014 (le immagini pubblicate sono tratte da questo libro);
Cecilia Gobbi e Nunzia Nigro, «Alla scoperta del melodramma – Il barbiere di Siviglia», Curci, Milano 2010;
Isabella Vasilotta (a cura di), «Rossini. Ascoltando Il barbiere di Siviglia, La Cenerentola e Guglielmo Tell», Sillabe, Livorno 2015
ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com
martedì 14 marzo 2017
lunedì 13 marzo 2017
Art For Kids, l'opera lirica: ma che cos'è?
L’opera lirica, detta anche melodramma, è una forma di teatro speciale, nata tra la fine del Cinquecento e gli inizi del Seicento nella città di Firenze, a casa del conte Giovanni Bardi, per iniziativa di Vincenzo Galilei. Si parlò di recitar cantando per indicare questa invenzione, una speciale tecnica artistica che unisce il canto alla parola e alla gestualità tipica dell’attore.
Gli interpreti, detti cantanti lirici, indossano costumi, trucco e parrucche bellissimi e si muovono sullo sfondo di una scenografia che rappresenta i luoghi in cui si svolge la storia. I loro discorsi canori sono accompagnati dalla musica eseguita da una grande orchestra; a volte è presente in scena anche un corpo di ballo, con le sue étoiles (o primi ballerini).
La storia di un’opera può prendere spunto da una leggenda, da una favola, da un romanzo o da un lavoro teatrale, ma può anche essere completamente inventata. In base all’argomento narrato, l’opera lirica in Italia può essere definita a grandi linee seria o buffa: nel primo caso la trama ha prevalentemente un soggetto storico o mitologico; nel secondo l’ambientazione è contemporanea e la storia è ricca di equivoci, imbrogli e malintesi divertenti, quasi sempre con il lieto fine.
Nel corso dei secoli, in vari Paesi europei, si sono diffusi anche altri generi operistici: il Singspiel tedesco («canto e recitazione», che prevede l’alternanza tra dialoghi e parti cantate), la tragédie-lyrique (opera di corte francese con cori e danze), l’operetta (leggera e spiritosa nei contenuti), l’opéra-ballet, la grand-opéra (fastoso spettacolo musicale in cinque atti con balli, scene sontuose, cori e un gran numero di cantanti).
Uno scrittore, detto librettista, scrive i dialoghi dei personaggi, nella maggior parte dei casi in versi, e le didascalie, con le quali vengono descritte l’epoca e i luoghi in cui si svolge la vicenda. Il risultato finale è il libretto d’opera. Questo è composto da sezioni chiamate atti, a loro volte suddivise in scene; tra uno e l’altro ci sono gli intervalli, durante i quali si cambiano le scenografie e gli spettatori si intrattengono nel foyer.
Seguendo il testo del libretto, il compositore mette in musica i versi, creando l’atmosfera della storia e sottolineando i sentimenti e le emozioni dei personaggi. Se, per esempio, arriva in scena un personaggio cattivo la musica sarà cupa o minacciosa, mentre se due innamorati si dividono l’orchestra accompagnerà il loro addio con melodie dolci.
I protagonisti indiscussi di un’opera lirica sono i cantanti, che si distinguono in solisti e coro e si classificano in base al loro registro di voce, ovvero all’estensione vocale. Partendo dalla più grave per giungere alla più acuta, le tre voci maschili sono basso, baritono e tenore; le tre femminili contralto, mezzosoprano e soprano.
Il basso di solito interpreta il ruolo di un anziano o di un saggio; mentre nelle opere buffe caratterizza un personaggio un po’ ridicolo, vittima degli scherzi degli altri. La voce del baritono è quella di un uomo adulto; mentre il tenore, al quale è affidato il ruolo del giovane innamorato o dell’eroe romantico, ha il registro vocale più acuto ed è capace di raggiungere il famoso Do di petto che fa tremare i vetri.
Tra le voci femminili quella del contralto è la più scura e profonda ed è legata a personaggi anziani, drammatici e misteriosi. Il mezzosoprano è la voce intermedia; mentre il soprano è generalmente la protagonista femminile dell’opera.
In scena si trovano anche gli orchestrali, tutti vestiti rigorosamente di scuro, con il loro direttore. L’orchestra d’opera è composta da quattro grandi famiglie di strumenti: gli archi (violino, viola, violoncello e contrabbasso), i legni (flauto, clarinetto, oboe, fagotto, corno), gli ottoni (tromba, trombone, corno e tuba) e le percussioni (timpani, grancassa, piatti); talvolta può, però, includere altri strumenti come l’arpa e il pianoforte. A dare il segnale che l’opera lirica sta per incominciare è l’orchestra, con il La d’intonazione del primo violino.
Ci sono, poi, tante altre persone ugualmente importanti per determinare il successo di un’opera lirica: il regista, che decide e coordina le azioni dei cantanti e del coro in palcoscenico; il coreografo, che decide i movimenti dei ballerini; lo scenografo e il costumista, che disegnano rispettivamente le scene e i costumi.
Maestri collaboratori come il direttore di coro, il direttore di palcoscenico e il suggeritore, truccatori, parrucchieri, sarte, datori luci, macchinisti (tecnici addetti al montaggio e smontaggio delle scene e al funzionamento dei dispositivi meccanici), attrezzisti (tecnici che procurano gli elementi di arredo e gli oggetti necessari alla messa in scena) sono le tante altre figure che lavorano «dietro le quinte» per rendere magico lo spettacolo.
Ad aprire un’opera lirica è l’ouverture (in italiano «apertura»), ovvero la sinfonia iniziale suonata dall’orchestra a sipario chiuso. Questa musica è il biglietto da visita dell’opera stessa: ne annuncia il carattere e l’argomento trattato.
Le arie sono, invece, i brani melodici che esprimono un sentimento e che commentano un episodio; sono di solito arricchite da virtuosismi che permettono al cantante di fare sfoggio delle proprie qualità canore. La più nota è la cavatina o aria di sortita, che viene cantata dal personaggio principale alla sua prima entrata in scena per presentare se stesso.
Accanto all’aria e ad altre forme solistiche affini come la cabaletta e la romanza (l’una dall’intonazione vivace, l’altra dallo stile più sentimentale), nell’opera lirica ci sono pezzi di insieme quali il duetto, il terzetto, il quartetto e il quintetto, così detti a seconda del numero di personaggi che cantano contemporaneamente.
Un’altra parte importante dell’opera lirica è il concertato, ovvero la parte di una scena o di un atto, caratterizzata dalla presenza di due o più personaggi che si trovano a cantare contemporaneamente, spesso anche con il coro, senza seguire la medesima linea melodica. Il concertato si usa per far capire che ogni personaggio si è smarrito nei propri pensieri.
Ad unire le varie parti di un’opera lirica è il recitativo, uno stile di canto che si avvicina alla lingua parlata, imitandone il ritmo e l’intonazione.
Per saperne di più
Cecilia Gobbi e Nunzia Nigro, «Alla scoperta del melodramma. Il teatro e le sue storie», Edizioni Curci, Milano 2009
Fiorella Colombo e Laura Di Biase, «Recitar cantando ovvero come accostare i bambini all’opera lirica attraverso il teatro», Erga edizioni, Genova 2006
Giorgio Paganone, «Insegnare il melodramma. Saperi essenziali, proposte didattiche», Pensa MultiMedia, Lecce –Iseo 2010
Gli interpreti, detti cantanti lirici, indossano costumi, trucco e parrucche bellissimi e si muovono sullo sfondo di una scenografia che rappresenta i luoghi in cui si svolge la storia. I loro discorsi canori sono accompagnati dalla musica eseguita da una grande orchestra; a volte è presente in scena anche un corpo di ballo, con le sue étoiles (o primi ballerini).
La storia di un’opera può prendere spunto da una leggenda, da una favola, da un romanzo o da un lavoro teatrale, ma può anche essere completamente inventata. In base all’argomento narrato, l’opera lirica in Italia può essere definita a grandi linee seria o buffa: nel primo caso la trama ha prevalentemente un soggetto storico o mitologico; nel secondo l’ambientazione è contemporanea e la storia è ricca di equivoci, imbrogli e malintesi divertenti, quasi sempre con il lieto fine.
Nel corso dei secoli, in vari Paesi europei, si sono diffusi anche altri generi operistici: il Singspiel tedesco («canto e recitazione», che prevede l’alternanza tra dialoghi e parti cantate), la tragédie-lyrique (opera di corte francese con cori e danze), l’operetta (leggera e spiritosa nei contenuti), l’opéra-ballet, la grand-opéra (fastoso spettacolo musicale in cinque atti con balli, scene sontuose, cori e un gran numero di cantanti).
Uno scrittore, detto librettista, scrive i dialoghi dei personaggi, nella maggior parte dei casi in versi, e le didascalie, con le quali vengono descritte l’epoca e i luoghi in cui si svolge la vicenda. Il risultato finale è il libretto d’opera. Questo è composto da sezioni chiamate atti, a loro volte suddivise in scene; tra uno e l’altro ci sono gli intervalli, durante i quali si cambiano le scenografie e gli spettatori si intrattengono nel foyer.
Seguendo il testo del libretto, il compositore mette in musica i versi, creando l’atmosfera della storia e sottolineando i sentimenti e le emozioni dei personaggi. Se, per esempio, arriva in scena un personaggio cattivo la musica sarà cupa o minacciosa, mentre se due innamorati si dividono l’orchestra accompagnerà il loro addio con melodie dolci.
I protagonisti indiscussi di un’opera lirica sono i cantanti, che si distinguono in solisti e coro e si classificano in base al loro registro di voce, ovvero all’estensione vocale. Partendo dalla più grave per giungere alla più acuta, le tre voci maschili sono basso, baritono e tenore; le tre femminili contralto, mezzosoprano e soprano.
Il basso di solito interpreta il ruolo di un anziano o di un saggio; mentre nelle opere buffe caratterizza un personaggio un po’ ridicolo, vittima degli scherzi degli altri. La voce del baritono è quella di un uomo adulto; mentre il tenore, al quale è affidato il ruolo del giovane innamorato o dell’eroe romantico, ha il registro vocale più acuto ed è capace di raggiungere il famoso Do di petto che fa tremare i vetri.
Tra le voci femminili quella del contralto è la più scura e profonda ed è legata a personaggi anziani, drammatici e misteriosi. Il mezzosoprano è la voce intermedia; mentre il soprano è generalmente la protagonista femminile dell’opera.
In scena si trovano anche gli orchestrali, tutti vestiti rigorosamente di scuro, con il loro direttore. L’orchestra d’opera è composta da quattro grandi famiglie di strumenti: gli archi (violino, viola, violoncello e contrabbasso), i legni (flauto, clarinetto, oboe, fagotto, corno), gli ottoni (tromba, trombone, corno e tuba) e le percussioni (timpani, grancassa, piatti); talvolta può, però, includere altri strumenti come l’arpa e il pianoforte. A dare il segnale che l’opera lirica sta per incominciare è l’orchestra, con il La d’intonazione del primo violino.
Ci sono, poi, tante altre persone ugualmente importanti per determinare il successo di un’opera lirica: il regista, che decide e coordina le azioni dei cantanti e del coro in palcoscenico; il coreografo, che decide i movimenti dei ballerini; lo scenografo e il costumista, che disegnano rispettivamente le scene e i costumi.
Maestri collaboratori come il direttore di coro, il direttore di palcoscenico e il suggeritore, truccatori, parrucchieri, sarte, datori luci, macchinisti (tecnici addetti al montaggio e smontaggio delle scene e al funzionamento dei dispositivi meccanici), attrezzisti (tecnici che procurano gli elementi di arredo e gli oggetti necessari alla messa in scena) sono le tante altre figure che lavorano «dietro le quinte» per rendere magico lo spettacolo.
Ad aprire un’opera lirica è l’ouverture (in italiano «apertura»), ovvero la sinfonia iniziale suonata dall’orchestra a sipario chiuso. Questa musica è il biglietto da visita dell’opera stessa: ne annuncia il carattere e l’argomento trattato.
Le arie sono, invece, i brani melodici che esprimono un sentimento e che commentano un episodio; sono di solito arricchite da virtuosismi che permettono al cantante di fare sfoggio delle proprie qualità canore. La più nota è la cavatina o aria di sortita, che viene cantata dal personaggio principale alla sua prima entrata in scena per presentare se stesso.
Accanto all’aria e ad altre forme solistiche affini come la cabaletta e la romanza (l’una dall’intonazione vivace, l’altra dallo stile più sentimentale), nell’opera lirica ci sono pezzi di insieme quali il duetto, il terzetto, il quartetto e il quintetto, così detti a seconda del numero di personaggi che cantano contemporaneamente.
Un’altra parte importante dell’opera lirica è il concertato, ovvero la parte di una scena o di un atto, caratterizzata dalla presenza di due o più personaggi che si trovano a cantare contemporaneamente, spesso anche con il coro, senza seguire la medesima linea melodica. Il concertato si usa per far capire che ogni personaggio si è smarrito nei propri pensieri.
Ad unire le varie parti di un’opera lirica è il recitativo, uno stile di canto che si avvicina alla lingua parlata, imitandone il ritmo e l’intonazione.
Per saperne di più
Cecilia Gobbi e Nunzia Nigro, «Alla scoperta del melodramma. Il teatro e le sue storie», Edizioni Curci, Milano 2009
Fiorella Colombo e Laura Di Biase, «Recitar cantando ovvero come accostare i bambini all’opera lirica attraverso il teatro», Erga edizioni, Genova 2006
Giorgio Paganone, «Insegnare il melodramma. Saperi essenziali, proposte didattiche», Pensa MultiMedia, Lecce –Iseo 2010
venerdì 10 marzo 2017
«Discovering Tiziano»: al Forte di Bard la storia di un'attribuzione
Come dipingeva Tiziano? Quale forza creativa ispirava il suo pennello? Perché l’artista tornava a distanza di tempo sullo stesso soggetto? Quale differenza c’è tra una replica e una copia? La mostra «Discovering Tiziano», allestita al Forte di Bard, nella Cappella della fortezza, tenta di rispondere a queste domande essenziali, presentando la «Deposizione di Gesù Cristo al Sepolcro» (olio su tela, 138 x 177 cm, collezione privata), oltre ai risultati dello studio iconografico e storico-artistico svolti sull’opera.
La rassegna, che sarà inaugurata nel pomeriggio di sabato 11 marzo da Antonio Paolucci, già Ministro per i beni e le attività culturali e direttore dei Musei Vaticani, include la proiezione del filmato «Scoprire Tiziano. Indagine sulla pittura», per la regia di Antonio Pintus (2016), la cui ideazione è firmata da Andrea Donati e che vede tra i collaboratori alla realizzazione il Seminario patriarcale di Venezia, la Pinacoteca Manfrediana e la Basilica di Santa Maria della Salute.
Il film, che illustra la vicenda attributiva della tela e le caratteristiche del grande olio tizianesco, contiene al suo interno interventi dello stesso Andrea Donati, a cui si deve la scoperta, oltre che di Ileana Chiappini di Sorio e Silvia Marchiori.
Tiziano dipinse almeno quattro dipinti della «Deposizione»: il primo e più antico (risalente al 1526-1527) è al Louvre, il secondo è andato perduto, il terzo e il quarto si trovano al Prado, il quinto alla Pinacoteca Ambrosiana.
Una sesta versione dell’opera, cronologicamente anteriore a quella dell’Ambrosiana e unanimemente considerata l’ultima e incompiuta, è stata riscoperta da Andrea Donati e viene ora esposta al Forte di Bard.
L’opera proviene dalla collezione italo-spagnola de la Riva-Agüero e Francesca Basso della Rovere. Dopo tre anni di indagini sulla pittura, si è potuto stabilire che il dipinto corrisponde verosimilmente a quello posseduto da Jeronimo Sanchez Coello, fratello del pittore di corte di Filippo II. Costui lo comprò nello studio di Tiziano nel 1576 e, in seguito, lo portò prima a Madrid, poi a Siviglia, dove è attestato la prima volta nel 1586, la seconda agli inizi del Seicento. Infine nel 1725 l’opera risulta essere nella collezione di Manuel de la Riva-Agüero e Francesca Basso della Rovere, discendenti di due illustri famiglie che si trasferirono a Lima, dando origine al ramo di famiglia del primo presidente del Perù.
La «Deposizione» de la Riva-Agüero, trasmessa in linea diretta fino agli ultimi eredi, è rimasta a lungo sconosciuta agli storici dell’arte finché non è stata oggetto di uno studio approfondito, curato da Andrea Donati. Hanno espresso parere favorevole all’attribuzione illustri storici dell’arte specialisti di Tiziano e di pittura veneziana del Cinquecento: Antonio Paolucci, Paul Joannides (Emerito dell’Università di Cambridge), Ileana Chiappini di Sorio (Università Ca’ Foscari), Giorgio Tagliaferro (Università di Warwick) e Fabrizio Biferali (Scuola Normale di Pisa).
Un’occasione, dunque, preziosa quella offerta da Forte di Bard per scoprire non solo una nuova opera tizianesca, ma anche le modalità con cui si procede all’attribuzione di una tela.
Informazioni utili
«Deposizione di Gesù Cristo al Sepolcro». Forte di Bard – Valle d’Aosta. Orari: martedì-domenica, ore 10.00-18.00; sabato, domenica e festivi, ore 10.00–19.00; chiuso il lunedì. Ingresso libero. Informazioni: Associazione Forte di Bard, tel. 0125.833811 | info@fortedibard.it. Sito web: www.fortedibard.it. Dall’11 marzo al 4 giugno 2017.
La rassegna, che sarà inaugurata nel pomeriggio di sabato 11 marzo da Antonio Paolucci, già Ministro per i beni e le attività culturali e direttore dei Musei Vaticani, include la proiezione del filmato «Scoprire Tiziano. Indagine sulla pittura», per la regia di Antonio Pintus (2016), la cui ideazione è firmata da Andrea Donati e che vede tra i collaboratori alla realizzazione il Seminario patriarcale di Venezia, la Pinacoteca Manfrediana e la Basilica di Santa Maria della Salute.
Il film, che illustra la vicenda attributiva della tela e le caratteristiche del grande olio tizianesco, contiene al suo interno interventi dello stesso Andrea Donati, a cui si deve la scoperta, oltre che di Ileana Chiappini di Sorio e Silvia Marchiori.
Tiziano dipinse almeno quattro dipinti della «Deposizione»: il primo e più antico (risalente al 1526-1527) è al Louvre, il secondo è andato perduto, il terzo e il quarto si trovano al Prado, il quinto alla Pinacoteca Ambrosiana.
Una sesta versione dell’opera, cronologicamente anteriore a quella dell’Ambrosiana e unanimemente considerata l’ultima e incompiuta, è stata riscoperta da Andrea Donati e viene ora esposta al Forte di Bard.
L’opera proviene dalla collezione italo-spagnola de la Riva-Agüero e Francesca Basso della Rovere. Dopo tre anni di indagini sulla pittura, si è potuto stabilire che il dipinto corrisponde verosimilmente a quello posseduto da Jeronimo Sanchez Coello, fratello del pittore di corte di Filippo II. Costui lo comprò nello studio di Tiziano nel 1576 e, in seguito, lo portò prima a Madrid, poi a Siviglia, dove è attestato la prima volta nel 1586, la seconda agli inizi del Seicento. Infine nel 1725 l’opera risulta essere nella collezione di Manuel de la Riva-Agüero e Francesca Basso della Rovere, discendenti di due illustri famiglie che si trasferirono a Lima, dando origine al ramo di famiglia del primo presidente del Perù.
La «Deposizione» de la Riva-Agüero, trasmessa in linea diretta fino agli ultimi eredi, è rimasta a lungo sconosciuta agli storici dell’arte finché non è stata oggetto di uno studio approfondito, curato da Andrea Donati. Hanno espresso parere favorevole all’attribuzione illustri storici dell’arte specialisti di Tiziano e di pittura veneziana del Cinquecento: Antonio Paolucci, Paul Joannides (Emerito dell’Università di Cambridge), Ileana Chiappini di Sorio (Università Ca’ Foscari), Giorgio Tagliaferro (Università di Warwick) e Fabrizio Biferali (Scuola Normale di Pisa).
Un’occasione, dunque, preziosa quella offerta da Forte di Bard per scoprire non solo una nuova opera tizianesca, ma anche le modalità con cui si procede all’attribuzione di una tela.
Informazioni utili
«Deposizione di Gesù Cristo al Sepolcro». Forte di Bard – Valle d’Aosta. Orari: martedì-domenica, ore 10.00-18.00; sabato, domenica e festivi, ore 10.00–19.00; chiuso il lunedì. Ingresso libero. Informazioni: Associazione Forte di Bard, tel. 0125.833811 | info@fortedibard.it. Sito web: www.fortedibard.it. Dall’11 marzo al 4 giugno 2017.
giovedì 9 marzo 2017
Trento, Matteo Boato racconta le sue piazze al Muse
Fondamento della socialità e spazio pubblico aperto al dialogo e al confronto, la piazza è protagonista di molti lavori pittorici Matteo Boato. Venezia, Trento, Mantova, Cremona, Siena, Roma, Padova, Pisa, Gubbio, Milano, Firenze, Feltre e Peschiera sono le città che l’artista trentino ha impresso nelle sue tele, grazie a un sapiente uso del colore. Una quarantina di questi lavori sono in mostra, fino al 26 marzo, al Muse – Museo delle scienze di Trento.
«La piazza – racconta Boato - è un luogo dove chiunque passi lascia un frammento di vita, uno sguardo, un pensiero, un'idea. La piazza è il luogo dove la città si incontra perché ne è il cuore. Benché le persone non si conoscano e non ci sia alcuna relazione tra di loro, esiste questo punto di comune contatto, di scambio. Infatti chi passa, chi vi accede, coglie un vissuto altrui e lascia a sua volta un pezzo di sé. La piazza simboleggia il mondo fisico, reale, la terra dove siamo ed esistiamo».
Le opere esposte rappresentano i momenti salienti di una ricerca iniziata nel 1999 sui nuclei antichi, che ha dato origine alle serie pittoriche «Le case danzanti» e «Cielo di tetti». L'intento del percorso espositivo è quello di portare il visitatore a riscoprire l'anima della città, indagata attraverso case, facciate, porte e finestre. Impregnati degli umani umori, questi edifici conservano impresse nella loro materia costruttiva le storie delle persone che le hanno abitate e il senso del loro agire. L'aggettivo «danzanti» relativo alla prima serie, non ha solo connotazione gioiosa, ma si può collegare al tema delle danze macabre, affascinanti affreschi gotici nei quali l'apparire della morte nei festini di donne e cavalieri richiama alla precarietà dell'umano.
I lavori, originariamente molto colorati, hanno, con gli anni, abbracciato la bi-tri cromia, intraprendendo un racconto pittorico più intimo, attraverso l’accostamento di grafite e colore a olio materico. Il racconto grafico/pittorico si avvale di schizzi e appunti presi dal vero, in piazza, appunto. La vera fase realizzativa, però, avviene in studio e si arricchisce di un punto di vista nuovo e non sperimentato, cioè a volo d'uccello.
Il punto di vista «non visto», fantastico, dal cielo, risulta quello dominante. In molti lavori, la matericità e la conseguente presenza di ombre suggerisce questo incontro tra realtà e sogno, come se ci si trovasse in una «terra di mezzo» non ben collocabile. Colature copiose, inoltre, che solcano la superficie pittorica suggeriscono la sovrapposizione di tempi diversi, passato e presente insieme, suggeriscono il fluire inevitabile della vita e della morte, il succedersi di generazioni che una sull’altra e, nello spazio pittorico, una accanto all’altra, dialogano.
Per tutto il periodo di apertura, all’esposizione si affianca anche il progetto partecipativo «La voce della città». Come in un vero spazio cittadino, dove dal chiacchiericcio dei passanti emergono stralci di conversazioni, confronti e istantanee di vita, il Muse metterà a disposizione il proprio spazio non solo alle opere pittoriche, ma anche a quanti avranno voglia di condividere in pubblico un racconto, un messaggio, un ricordo, un tema a loro caro. Il risultato sarà una sorta di racconto corale, una miscela di esperienze ed emozioni che renderanno il museo un luogo ancora più inclusivo e coinvolgente. Al termine del progetto, tutte le narrazioni verranno registrate e pubblicate sul canale YouTube e sui social del Muse.
Informazioni utili
«Piazza» – personale di Matteo Boato. Muse – Museo delle scienze, corso del Lavoro e della Scienza, 3 – Trento. Orari: da martedì a venerdì, dalle ore 10.00 alle ore 18.00; sabato, domenica e festivi, dalle ore 10.00 alle ore 19.00; lunedì chiuso. Ingresso: intero € 10,00, ridotto € 8,00. Informazioni: tel. 0461.270311. Sito internet: www.muse.it. Fino al 26 marzo 2017.
«La piazza – racconta Boato - è un luogo dove chiunque passi lascia un frammento di vita, uno sguardo, un pensiero, un'idea. La piazza è il luogo dove la città si incontra perché ne è il cuore. Benché le persone non si conoscano e non ci sia alcuna relazione tra di loro, esiste questo punto di comune contatto, di scambio. Infatti chi passa, chi vi accede, coglie un vissuto altrui e lascia a sua volta un pezzo di sé. La piazza simboleggia il mondo fisico, reale, la terra dove siamo ed esistiamo».
Le opere esposte rappresentano i momenti salienti di una ricerca iniziata nel 1999 sui nuclei antichi, che ha dato origine alle serie pittoriche «Le case danzanti» e «Cielo di tetti». L'intento del percorso espositivo è quello di portare il visitatore a riscoprire l'anima della città, indagata attraverso case, facciate, porte e finestre. Impregnati degli umani umori, questi edifici conservano impresse nella loro materia costruttiva le storie delle persone che le hanno abitate e il senso del loro agire. L'aggettivo «danzanti» relativo alla prima serie, non ha solo connotazione gioiosa, ma si può collegare al tema delle danze macabre, affascinanti affreschi gotici nei quali l'apparire della morte nei festini di donne e cavalieri richiama alla precarietà dell'umano.
I lavori, originariamente molto colorati, hanno, con gli anni, abbracciato la bi-tri cromia, intraprendendo un racconto pittorico più intimo, attraverso l’accostamento di grafite e colore a olio materico. Il racconto grafico/pittorico si avvale di schizzi e appunti presi dal vero, in piazza, appunto. La vera fase realizzativa, però, avviene in studio e si arricchisce di un punto di vista nuovo e non sperimentato, cioè a volo d'uccello.
Il punto di vista «non visto», fantastico, dal cielo, risulta quello dominante. In molti lavori, la matericità e la conseguente presenza di ombre suggerisce questo incontro tra realtà e sogno, come se ci si trovasse in una «terra di mezzo» non ben collocabile. Colature copiose, inoltre, che solcano la superficie pittorica suggeriscono la sovrapposizione di tempi diversi, passato e presente insieme, suggeriscono il fluire inevitabile della vita e della morte, il succedersi di generazioni che una sull’altra e, nello spazio pittorico, una accanto all’altra, dialogano.
Per tutto il periodo di apertura, all’esposizione si affianca anche il progetto partecipativo «La voce della città». Come in un vero spazio cittadino, dove dal chiacchiericcio dei passanti emergono stralci di conversazioni, confronti e istantanee di vita, il Muse metterà a disposizione il proprio spazio non solo alle opere pittoriche, ma anche a quanti avranno voglia di condividere in pubblico un racconto, un messaggio, un ricordo, un tema a loro caro. Il risultato sarà una sorta di racconto corale, una miscela di esperienze ed emozioni che renderanno il museo un luogo ancora più inclusivo e coinvolgente. Al termine del progetto, tutte le narrazioni verranno registrate e pubblicate sul canale YouTube e sui social del Muse.
Informazioni utili
«Piazza» – personale di Matteo Boato. Muse – Museo delle scienze, corso del Lavoro e della Scienza, 3 – Trento. Orari: da martedì a venerdì, dalle ore 10.00 alle ore 18.00; sabato, domenica e festivi, dalle ore 10.00 alle ore 19.00; lunedì chiuso. Ingresso: intero € 10,00, ridotto € 8,00. Informazioni: tel. 0461.270311. Sito internet: www.muse.it. Fino al 26 marzo 2017.
mercoledì 8 marzo 2017
A Torino una mostra sulla calligrafia giapponese
È un viaggio alla scoperta di un’arte antica come la calligrafia quello che propone il Mao – Museo d’arte orientale di Torino con la mostra «Shodo – L’incanto del segno», realizzata con il patrocinio del Consolato generale del Giappone a Milano.
L’esposizione, allestita fino al 19 marzo, espone per la prima volta in Italia novantacinque opere di altrettanti artisti calligrafi giapponesi, oltre a sessantadue sho (calligrafie vere e proprie), a ventuno ventagli, undici opere intagliate su legno e un grande lavoro di sette metri raccolto a libro.
Il percorso di visita, realizzato in collaborazione con ViaggioinGiappone by J&W Travel, costituisce un’occasione rara per apprezzare diverse tipologie di lavori dei più autorevoli artisti giapponesi di calligrafia contemporanea.
Spicca tra i maestri in mostra Usuda Tosen insignito del premio più importante in questa forma d’arte, il «Mainichi Shodo Kensho», e considerato un luminare soprattutto per la tecnica dell’intaglio sul legno.
Accanto a lui, lungo il percorso espositivo si trovano Yanagisawa Kaishu, ideatore e disegnatore del logo del campionato mondiale di calcio Corea/Giappone del 2002, Nagai Oshu, maestro di calligrafia, di cerimonia del tè e di ikebana, e Inoue Kyoen, importante maestra di calligrafia e tra le poche donne ad aver avuto riconoscimenti a livello nazionale, nota soprattutto per la sua opera ispirata al Monte Fuji.
In Oriente come in Occidente, viviamo ormai in società dove le parole non si scrivono quasi più: si digitano. E se disgrafia o agrafia di ritorno sono in agguato per le poche lettere del nostro alfabeto, possiamo solo immaginare la dimensione del problema per lingue come il cinese e il giapponese, che richiedono di memorizzare migliaia di caratteri e di saperli scrivere tratto dopo tratto. Parlare di calligrafia nel XXI secolo assume, quindi, il valore inedito di una riscoperta, la riscoperta del piacere del segno scritto in un mondo che –se le tendenze degli ultimi decenni continueranno– rischia in un futuro non troppo distante di non saper più scrivere a mano.
In Oriente la calligrafia -shodō, via della scrittura- è considerata una forma d’arte vera e propria; anzi, è arte per eccellenza insieme a pittura e poesia, in quanto le tre forme espressive non possono essere completamente disgiunte l’una dalle altre. Tradizionalmente esse sono i mezzi attraverso cui l’artista (letterato, colto, elitario) dà voce al proprio sentire o –in maniera contraddittoria solo per le nostre menti occidentali– annulla il proprio io e lascia che la Natura trovi espressione sulla carta o sulla seta attraverso il suo cuore e la sua mano, il pennello e l’inchiostro. Il carattere dō viene usato in numerose occasioni per contraddistinguere la pratica di un’arte che richiede un impegno costante e che in diversi modi può assumere le caratteristiche di un percorso che conduce, tramite un perfezionamento tecnico, a un affinamento interiore dell’individuo.
Il Mao ha avviato da tempo un programma di mostre temporanee per approfondire tematiche che non sono presenti nelle esposizioni permanenti e per presentare al pubblico altri aspetti della straordinaria ricchezza e originalità delle culture orientali. In questo programma non poteva mancare un’esposizione sulla calligrafia giapponese, nella quale si dimostra come questa via della scrittura sia ancora viva e vitale in Giappone, rivisitando la tradizione in senso contemporaneo e quindi più accessibile anche a un pubblico occidentale.
Informazioni utili
«Shodo – L’incanto del segno». Mao - Museo d’arte orientale, via San Domenico, 11 – Torino. Orari: martedì-venerdì, ore 10.00-18.00; sabato-domenica, ore 11.00–19.00; chiuso lunedì | la biglietteria chiude un'ora prima. Ingresso: intero € 10,00, ridotto € 8,00. Informazioni: tel. 011.4436927, e-mail mao@fondazionetorinomusei.it. Sito internet: www.maotorino.it. Fino al 19 marzo 2017.
L’esposizione, allestita fino al 19 marzo, espone per la prima volta in Italia novantacinque opere di altrettanti artisti calligrafi giapponesi, oltre a sessantadue sho (calligrafie vere e proprie), a ventuno ventagli, undici opere intagliate su legno e un grande lavoro di sette metri raccolto a libro.
Il percorso di visita, realizzato in collaborazione con ViaggioinGiappone by J&W Travel, costituisce un’occasione rara per apprezzare diverse tipologie di lavori dei più autorevoli artisti giapponesi di calligrafia contemporanea.
Spicca tra i maestri in mostra Usuda Tosen insignito del premio più importante in questa forma d’arte, il «Mainichi Shodo Kensho», e considerato un luminare soprattutto per la tecnica dell’intaglio sul legno.
Accanto a lui, lungo il percorso espositivo si trovano Yanagisawa Kaishu, ideatore e disegnatore del logo del campionato mondiale di calcio Corea/Giappone del 2002, Nagai Oshu, maestro di calligrafia, di cerimonia del tè e di ikebana, e Inoue Kyoen, importante maestra di calligrafia e tra le poche donne ad aver avuto riconoscimenti a livello nazionale, nota soprattutto per la sua opera ispirata al Monte Fuji.
In Oriente come in Occidente, viviamo ormai in società dove le parole non si scrivono quasi più: si digitano. E se disgrafia o agrafia di ritorno sono in agguato per le poche lettere del nostro alfabeto, possiamo solo immaginare la dimensione del problema per lingue come il cinese e il giapponese, che richiedono di memorizzare migliaia di caratteri e di saperli scrivere tratto dopo tratto. Parlare di calligrafia nel XXI secolo assume, quindi, il valore inedito di una riscoperta, la riscoperta del piacere del segno scritto in un mondo che –se le tendenze degli ultimi decenni continueranno– rischia in un futuro non troppo distante di non saper più scrivere a mano.
In Oriente la calligrafia -shodō, via della scrittura- è considerata una forma d’arte vera e propria; anzi, è arte per eccellenza insieme a pittura e poesia, in quanto le tre forme espressive non possono essere completamente disgiunte l’una dalle altre. Tradizionalmente esse sono i mezzi attraverso cui l’artista (letterato, colto, elitario) dà voce al proprio sentire o –in maniera contraddittoria solo per le nostre menti occidentali– annulla il proprio io e lascia che la Natura trovi espressione sulla carta o sulla seta attraverso il suo cuore e la sua mano, il pennello e l’inchiostro. Il carattere dō viene usato in numerose occasioni per contraddistinguere la pratica di un’arte che richiede un impegno costante e che in diversi modi può assumere le caratteristiche di un percorso che conduce, tramite un perfezionamento tecnico, a un affinamento interiore dell’individuo.
Il Mao ha avviato da tempo un programma di mostre temporanee per approfondire tematiche che non sono presenti nelle esposizioni permanenti e per presentare al pubblico altri aspetti della straordinaria ricchezza e originalità delle culture orientali. In questo programma non poteva mancare un’esposizione sulla calligrafia giapponese, nella quale si dimostra come questa via della scrittura sia ancora viva e vitale in Giappone, rivisitando la tradizione in senso contemporaneo e quindi più accessibile anche a un pubblico occidentale.
Informazioni utili
«Shodo – L’incanto del segno». Mao - Museo d’arte orientale, via San Domenico, 11 – Torino. Orari: martedì-venerdì, ore 10.00-18.00; sabato-domenica, ore 11.00–19.00; chiuso lunedì | la biglietteria chiude un'ora prima. Ingresso: intero € 10,00, ridotto € 8,00. Informazioni: tel. 011.4436927, e-mail mao@fondazionetorinomusei.it. Sito internet: www.maotorino.it. Fino al 19 marzo 2017.
martedì 7 marzo 2017
Milano, cinque giorni alla scoperta della Street Art
Era l'8 marzo 2007 quando il Pac - Padiglione d'arte contemporanea di Milano inaugurava «Street Art, Sweet Art. Dalla cultura hip hop alla generazione ‘pop up’», la prima mostra in Italia a consacrare ufficialmente, all’interno di un’istituzione museale pubblica, i writers e gli street artist della scena milanese e bolognese, diventando punto d’arrivo o di partenza per molti di loro.
Considerato per anni un movimento spontaneo e outsider, un semplice prodotto della sottocultura di massa, il linguaggio del graffitismo e della street art, a distanza di dieci anni da quella mostra, è entrato prepotentemente nella scena artistica ufficiale, nei musei, nelle gallerie, nelle mostre, nelle fiere d’arte.
Cinque giorni di incontri e conferenze, in programma al Pac di Milano da mercoledì 8 a domenica 12 marzo, saranno l’occasione per ripensare la street art oggi, in rapporto alla storia delle sue origini e ai cambiamenti che si sono susseguiti in questi anni, e per verificare l’attualità di una forma espressiva che si contamina con la città, la società e le sue forme del vivere. Da movimento culturale e artistico dal basso, dalla forte carica dissacrante, l’esperienza estetica del muralismo è diventata strumento di coesione sociale, di partecipazione e di riqualificazione urbana sempre più di frequente utilizzata dalle amministrazioni pubbliche e dagli enti privati per esprimere messaggi encomiastici o celebrativi.
Il programma, a cura di Chiara Canali, prenderà avvio mercoledì 8 marzo con una serata introduttiva che affronterà lo Stato della street art oggi tra illegalità, istituzionalizzazione e mercato. Durante l’incontro si parlerà anche della controversa eredità lasciata a Milano dalla mostra del 2007: il gigantesco intervento sulla facciata del Pac, realizzato dagli artisti emiliani Blu ed Ericailcane, da anni al centro di accese discussioni tra chi desidera cancellarlo e chi invece vorrebbe restaurarlo per garantirgli una durata nel tempo.
In agenda c’è, poi, nella giornata di giovedì 9 marzo un focus sul tema del restauro e della conservazione delle opere murali pubbliche, con interventi di Alessandra Collina e Antonio Rava, tra i massimi esperti di restauro della street art e del muralismo, che presenteranno analisi diagnostiche della facciata stessa del Pac ed esempi di restauri conservativi già realizzati sulle opere di Keith Haring.
La manifestazione proseguirà, quindi, nella giornata di venerdì 10 marzo con un dibattito pubblico durante il quale esperti d’arte valuteranno qual è oggi il valore simbolico, artistico e storico del murales realizzato da Blu ed Ericailcane.
Il giorno successivo è, invece, in programma una giornata di studi finalizzata a fare chiarezza su forme ed espressioni che ancora oggi vengono denominate «Street Art», documentando movimenti, stili, tendenze in rapporto con l’istituzione pubblica, il territorio, il mondo dell’impresa e il sistema dell’arte contemporanea. Verranno, inoltre, presentate le esperienze di writers e street artist protagonisti della mostra «Street Art, Sweet Art», in dialogo con curatori, critici, direttori di musei, giornalisti, committenti pubblici e privati.
Dal 9 al 10 marzo il Pac farà da scenario anche a una serie di workshop formativi diretti alle scuole superiori di Milano a cura degli artisti Airone, Orticanoodles e Pao per studiare e sperimentare il linguaggio del writing e della street art. Domenica 12 marzo, infine, sono previsti due appuntamenti: un tour a piedi per le vie di Milano e la proiezione in anteprima europea del documentario «Saving Banksy», diretto da Colin M. Day. Il film narra dei goffi tentativi di un collezionista di preservare un dipinto di Banksy dalla distruzione e dalla vendita all’asta, riflettendo così sulla legittimità, la pratica e l’etica di rimuovere la Street Art dalla strada e sulla sua mercificazione.
In contemporanea al programma ufficiale del Pac, si svolgeranno numerose a Milano altre iniziative sempre dedicate all’arte di strada. L’8 marzo, in occasione della Giornata mondiale della donna, il poeta e artista Ivan darà, per esempio, avvio, in piazza Duomo, alla performance «La grande pagina bianca e la poesia nascosta», prodotta da Artkademy: un ampio spazio di libera espressione in grado di un far dialogare differenti realtà e culture.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Blu e Ericailcane. Vista della mostra «Street Art, Sweet Art». Photo di Mario Tedeschi, 2007; [fig. 2] Ozmo. Vinyl on glass. Vista della mostra «Street Art, Sweet Art». Photo di Mario Tedeschi, 2007; [fig. 3] Blu ed Ericailcane al Pac di Milano
Informazioni utili
Street Art, Sweet Art - 10 anni dopo. Pac - Padiglione d’arte contemporanea, via Palestro, 14 - Milano. Eventi a ingresso gratuito. Sito internet: www.pacmilano.it. Dall'8 al 12 marzo 2017.
Considerato per anni un movimento spontaneo e outsider, un semplice prodotto della sottocultura di massa, il linguaggio del graffitismo e della street art, a distanza di dieci anni da quella mostra, è entrato prepotentemente nella scena artistica ufficiale, nei musei, nelle gallerie, nelle mostre, nelle fiere d’arte.
Cinque giorni di incontri e conferenze, in programma al Pac di Milano da mercoledì 8 a domenica 12 marzo, saranno l’occasione per ripensare la street art oggi, in rapporto alla storia delle sue origini e ai cambiamenti che si sono susseguiti in questi anni, e per verificare l’attualità di una forma espressiva che si contamina con la città, la società e le sue forme del vivere. Da movimento culturale e artistico dal basso, dalla forte carica dissacrante, l’esperienza estetica del muralismo è diventata strumento di coesione sociale, di partecipazione e di riqualificazione urbana sempre più di frequente utilizzata dalle amministrazioni pubbliche e dagli enti privati per esprimere messaggi encomiastici o celebrativi.
Il programma, a cura di Chiara Canali, prenderà avvio mercoledì 8 marzo con una serata introduttiva che affronterà lo Stato della street art oggi tra illegalità, istituzionalizzazione e mercato. Durante l’incontro si parlerà anche della controversa eredità lasciata a Milano dalla mostra del 2007: il gigantesco intervento sulla facciata del Pac, realizzato dagli artisti emiliani Blu ed Ericailcane, da anni al centro di accese discussioni tra chi desidera cancellarlo e chi invece vorrebbe restaurarlo per garantirgli una durata nel tempo.
In agenda c’è, poi, nella giornata di giovedì 9 marzo un focus sul tema del restauro e della conservazione delle opere murali pubbliche, con interventi di Alessandra Collina e Antonio Rava, tra i massimi esperti di restauro della street art e del muralismo, che presenteranno analisi diagnostiche della facciata stessa del Pac ed esempi di restauri conservativi già realizzati sulle opere di Keith Haring.
La manifestazione proseguirà, quindi, nella giornata di venerdì 10 marzo con un dibattito pubblico durante il quale esperti d’arte valuteranno qual è oggi il valore simbolico, artistico e storico del murales realizzato da Blu ed Ericailcane.
Il giorno successivo è, invece, in programma una giornata di studi finalizzata a fare chiarezza su forme ed espressioni che ancora oggi vengono denominate «Street Art», documentando movimenti, stili, tendenze in rapporto con l’istituzione pubblica, il territorio, il mondo dell’impresa e il sistema dell’arte contemporanea. Verranno, inoltre, presentate le esperienze di writers e street artist protagonisti della mostra «Street Art, Sweet Art», in dialogo con curatori, critici, direttori di musei, giornalisti, committenti pubblici e privati.
Dal 9 al 10 marzo il Pac farà da scenario anche a una serie di workshop formativi diretti alle scuole superiori di Milano a cura degli artisti Airone, Orticanoodles e Pao per studiare e sperimentare il linguaggio del writing e della street art. Domenica 12 marzo, infine, sono previsti due appuntamenti: un tour a piedi per le vie di Milano e la proiezione in anteprima europea del documentario «Saving Banksy», diretto da Colin M. Day. Il film narra dei goffi tentativi di un collezionista di preservare un dipinto di Banksy dalla distruzione e dalla vendita all’asta, riflettendo così sulla legittimità, la pratica e l’etica di rimuovere la Street Art dalla strada e sulla sua mercificazione.
In contemporanea al programma ufficiale del Pac, si svolgeranno numerose a Milano altre iniziative sempre dedicate all’arte di strada. L’8 marzo, in occasione della Giornata mondiale della donna, il poeta e artista Ivan darà, per esempio, avvio, in piazza Duomo, alla performance «La grande pagina bianca e la poesia nascosta», prodotta da Artkademy: un ampio spazio di libera espressione in grado di un far dialogare differenti realtà e culture.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Blu e Ericailcane. Vista della mostra «Street Art, Sweet Art». Photo di Mario Tedeschi, 2007; [fig. 2] Ozmo. Vinyl on glass. Vista della mostra «Street Art, Sweet Art». Photo di Mario Tedeschi, 2007; [fig. 3] Blu ed Ericailcane al Pac di Milano
Informazioni utili
Street Art, Sweet Art - 10 anni dopo. Pac - Padiglione d’arte contemporanea, via Palestro, 14 - Milano. Eventi a ingresso gratuito. Sito internet: www.pacmilano.it. Dall'8 al 12 marzo 2017.
lunedì 6 marzo 2017
Da Steve McCurry a Uliano Lucas, alla scoperta del Brescia Photo Festival
Venti fotografi e il loro «momento magico», ovvero quel particolare attimo della vita professionale nel quale hanno preso le distanze dai propri maestri e hanno inventato la loro personalissima grammatica artistica: ecco quanto racconta la mostra «Magnum. La première fois – La prima volta», allestita a Brescia, negli spazi del Museo di Santa Giulia, in occasione della prima edizione del Brescia Photo Festival.
La rassegna, visibile dal 7 marzo al 3 settembre, raccoglie i reportage di venti selezionati fotografi dell’agenzia Magnum: un insieme di centotrentuno fotografie e undici video-proiezioni, di cui rimarrà documentazione in un catalogo di Silvana editoriale, attraverso i quali è possibile scoprire il momento che li ha «singolarizzati» e che ha segnato un vero e proprio giro di boa nei loro percorsi artistici.
Naturalmente non si tratta di una «parata» casuale. Ciascun artista in mostra racconta attraverso le immagini esposte, ma anche con le parole, la sua «Première fois», rivelando le ragioni che lo hanno portato a individuare esattamente quelle immagini o non altre.
C’è così chi motiva la scelta di determinate foto perché quelle hanno determinato il superamento di particolari difficoltà tecniche o logistiche o la sensazione di aver trovato la perfetta congiunzione che trasforma un’immagine di cronaca in un documento della Storia.
Il Brescia Photo Festival rende omaggio all’agenzia fondata da Robert Capa anche con la mostra «Magnum’s First».
La storia che sta dietro a questa rassegna, della quale rimarrà documentazione in un catalogo di Silvana editoriale, ha dell’incredibile. Nel 2006, in una cantina di Innsbruck a qualcuno viene la voglia di capire cosa ci sia in un paio di casse ricoperte da polvere, lì abbandonate «da sempre».
Viene così alla luce un autentico tesoro.
In quelle casse, a metà degli anni Cinquanta, era state infilate le immagini di quella che fu la prima mostra del gruppo Magnum: «Gesicht der Zeit» («La faccia del tempo»), proposta in cinque città austriache tra il giugno 1955 e il febbraio 1956.
L’eccezionalità del ritrovamento riguarda innanzitutto il patrimonio di immagini originali ritornate alla luce, ma anche la possibilità, grazie alle didascalie e ai supporti anch’essi inseriti nelle casse, di rivedere la mostra esattamente così come l’hanno pensata gli stessi fotografi che di essa erano i protagonisti e come l’hanno ammirata gli austriaci all’epoca oltre sessanta anni fa.
«Magnum’s First», aperta dal 7 marzo al 3 settembre al Museo di Santa Giulia, si compone di oltre ottanta stampe vintage in bianco e nero accompagnate da otto testi di fotografia firmati da Henri Cartier-Bresson, Marc Riboud, Inge Morath, Jean Marquis, Werner Bischof, Ernst Haas, Robert Capa ed Erich Lessing. Ci sono immagini che sono entrate nella storia della fotografia, dal reportage di Robert Capa al Festival delle province basche agli scatti della Dalmazia fatti di Marc Riboud, senza dimenticare le diciassette immagini scelte da Henri Cartier-Bresson per ricordare il funerale del Mahatma Gandhi.
Tra le altre mostre molto attese del Brescia Photo Festival si segnala quella su Uliano Lucas, per la curatela di Tatiana Agliani e Renato Corsini: «Archeologia del mio vissuto», in programma dal 7 marzo al 3 settembre al Centro italiano di fotografia
Centocinquanta immagini raccontano la Milano dell'immigrazione e del boom economico, il mondo degli «altri» visto attraverso gli occhi di chi vive nelle carceri e negli ospedali psichiatrici, le contestazioni del ‘68 vissute in presa diretta. Ma non mancano in mostra nemmeno i reportage realizzati in Cina e a Sarajevo.
La prima edizione del festival fotografico bresciano presenta, poi,una imperdibile prima mondiale: «Steve McCurry. Leggere»Biba Giacchetti e, per i contributi letterari, da Roberto Cotroneo, che presenta uno scenografico allestimento di Peter Bottazzi.
La rassegna, allestita dal 7 marzo al 3 settembre negli spazi del Complesso di Santa Giulia, presenta circa settanta fotografie che ritraggono persone da tutto il mondo assorbite nell’atto intimo e universale del leggere. Dai luoghi di preghiera in Turchia alle strade dei mercati in Italia, dai rumori dell’India ai silenzi dell’Asia orientale, dall’Afghanistan all’Italia, dall’Africa agli Stati Uniti: sono svariati i Paesi che hanno toccato la più che trentennale ricerca di Steve McCurry tra i momenti di quiete durante i quale le persone si immergono nei libri, nei giornali, nelle riviste. Giovani o anziani, ricchi o poveri, religiosi o laici: per chiunque e dovunque c’è un momento per la lettura.
Per saperne di più
Brescia Photo Festival celebra i settant'anni di Magnum
Italia, settant'anni di Magnum in cinque mostre
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Steve McCurry: Sana'a, Yemen, 1997. © 2012-2017 Steve McCurry ; [fig. 2] Steve McCurry: Afghanistan, 2002. © 2012-2017 Steve McCurry Steve McCurry: Afghanistan, 2002. © 2012-2017M; [fig. 3] Steve McCurry Erich Lessing: German Border Patrol at maneuvers, Coburg, Germany, 1953 copy: © Erich Lessing / Magnum Photos
Informazioni utili
«Brescia Photo Festival». Sito internet: www.bresciaphotofestival.it. Dal 7 al 12 aprile 2017.
La rassegna, visibile dal 7 marzo al 3 settembre, raccoglie i reportage di venti selezionati fotografi dell’agenzia Magnum: un insieme di centotrentuno fotografie e undici video-proiezioni, di cui rimarrà documentazione in un catalogo di Silvana editoriale, attraverso i quali è possibile scoprire il momento che li ha «singolarizzati» e che ha segnato un vero e proprio giro di boa nei loro percorsi artistici.
Naturalmente non si tratta di una «parata» casuale. Ciascun artista in mostra racconta attraverso le immagini esposte, ma anche con le parole, la sua «Première fois», rivelando le ragioni che lo hanno portato a individuare esattamente quelle immagini o non altre.
C’è così chi motiva la scelta di determinate foto perché quelle hanno determinato il superamento di particolari difficoltà tecniche o logistiche o la sensazione di aver trovato la perfetta congiunzione che trasforma un’immagine di cronaca in un documento della Storia.
Il Brescia Photo Festival rende omaggio all’agenzia fondata da Robert Capa anche con la mostra «Magnum’s First».
La storia che sta dietro a questa rassegna, della quale rimarrà documentazione in un catalogo di Silvana editoriale, ha dell’incredibile. Nel 2006, in una cantina di Innsbruck a qualcuno viene la voglia di capire cosa ci sia in un paio di casse ricoperte da polvere, lì abbandonate «da sempre».
Viene così alla luce un autentico tesoro.
In quelle casse, a metà degli anni Cinquanta, era state infilate le immagini di quella che fu la prima mostra del gruppo Magnum: «Gesicht der Zeit» («La faccia del tempo»), proposta in cinque città austriache tra il giugno 1955 e il febbraio 1956.
L’eccezionalità del ritrovamento riguarda innanzitutto il patrimonio di immagini originali ritornate alla luce, ma anche la possibilità, grazie alle didascalie e ai supporti anch’essi inseriti nelle casse, di rivedere la mostra esattamente così come l’hanno pensata gli stessi fotografi che di essa erano i protagonisti e come l’hanno ammirata gli austriaci all’epoca oltre sessanta anni fa.
«Magnum’s First», aperta dal 7 marzo al 3 settembre al Museo di Santa Giulia, si compone di oltre ottanta stampe vintage in bianco e nero accompagnate da otto testi di fotografia firmati da Henri Cartier-Bresson, Marc Riboud, Inge Morath, Jean Marquis, Werner Bischof, Ernst Haas, Robert Capa ed Erich Lessing. Ci sono immagini che sono entrate nella storia della fotografia, dal reportage di Robert Capa al Festival delle province basche agli scatti della Dalmazia fatti di Marc Riboud, senza dimenticare le diciassette immagini scelte da Henri Cartier-Bresson per ricordare il funerale del Mahatma Gandhi.
Tra le altre mostre molto attese del Brescia Photo Festival si segnala quella su Uliano Lucas, per la curatela di Tatiana Agliani e Renato Corsini: «Archeologia del mio vissuto», in programma dal 7 marzo al 3 settembre al Centro italiano di fotografia
Centocinquanta immagini raccontano la Milano dell'immigrazione e del boom economico, il mondo degli «altri» visto attraverso gli occhi di chi vive nelle carceri e negli ospedali psichiatrici, le contestazioni del ‘68 vissute in presa diretta. Ma non mancano in mostra nemmeno i reportage realizzati in Cina e a Sarajevo.
La prima edizione del festival fotografico bresciano presenta, poi,una imperdibile prima mondiale: «Steve McCurry. Leggere»Biba Giacchetti e, per i contributi letterari, da Roberto Cotroneo, che presenta uno scenografico allestimento di Peter Bottazzi.
La rassegna, allestita dal 7 marzo al 3 settembre negli spazi del Complesso di Santa Giulia, presenta circa settanta fotografie che ritraggono persone da tutto il mondo assorbite nell’atto intimo e universale del leggere. Dai luoghi di preghiera in Turchia alle strade dei mercati in Italia, dai rumori dell’India ai silenzi dell’Asia orientale, dall’Afghanistan all’Italia, dall’Africa agli Stati Uniti: sono svariati i Paesi che hanno toccato la più che trentennale ricerca di Steve McCurry tra i momenti di quiete durante i quale le persone si immergono nei libri, nei giornali, nelle riviste. Giovani o anziani, ricchi o poveri, religiosi o laici: per chiunque e dovunque c’è un momento per la lettura.
Per saperne di più
Brescia Photo Festival celebra i settant'anni di Magnum
Italia, settant'anni di Magnum in cinque mostre
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Steve McCurry: Sana'a, Yemen, 1997. © 2012-2017 Steve McCurry ; [fig. 2] Steve McCurry: Afghanistan, 2002. © 2012-2017 Steve McCurry Steve McCurry: Afghanistan, 2002. © 2012-2017M; [fig. 3] Steve McCurry Erich Lessing: German Border Patrol at maneuvers, Coburg, Germany, 1953 copy: © Erich Lessing / Magnum Photos
Informazioni utili
«Brescia Photo Festival». Sito internet: www.bresciaphotofestival.it. Dal 7 al 12 aprile 2017.
venerdì 3 marzo 2017
Città di Castello, un museo per la grafica di Burri
Si chiude con l’inaugurazione di una sezione permanente dedicata all’opera grafica di Alberto Burri, negli spazi degli ex Seccatoi del tabacco a Città di Castello, il lungo anno nel quale si è festeggiato il centenario della sua nascita.
Il nuovo museo, la cui inaugurazione è prevista per la giornata di domenica 12 marzo (con un open day in programma dalle ore 12 alle ore 18), occupa oltre quattromila metri quadri, tutti ottenuti da un recente intervento di riqualificazione di parte degli spazi sottostanti all’ex complesso industriale sorto sul finire degli anni Cinquanta.
La superficie espositiva dedicata ad Alberto Burri raggiunge così gli undicimila e cinquecento metri quadri e, insieme con le sculture all’aperto, ne fa il più esteso museo d’artista al mondo e anche uno dei più importanti luoghi del contemporaneo in Europa.
La nuova sezione accoglie e propone l'intero repertorio grafico e di multipli dell'artista, consistente in oltre duecento opere, realizzate tra il 1950 e il 1994. Si tratta di un importante aspetto della produzione artistica di Alberto Burri, che a volte precorre, a volte segue e in altri casi è coeva con le sue opere maggiori e pone in evidenza anche la sua straordinaria manualità e attitudine alla sperimentazione costante.
L'esecuzione di queste opere, realizzate in collaborazione con grandi stampatori, ha visto l'artista stesso cimentarsi in differenti cicli produttivi che hanno distinto la sua attitudine alla sperimentazione rispetto a quella di altri artisti della sua generazione, tanto in Italia che all'estero.
«Nel caso di Burri, parlare di grafica non significa parlare di una produzione minore rispetto ai dipinti, ma soltanto di una modalità artistica diversa e parallela, nella concezione e nell'esecuzione, tale insomma da potersi annoverare con assoluto rilievo nella produzione del grande pittore, a fianco di tutti gli altri suoi rivoluzionari pronunciamenti innovativi. Anche nella grafica, Burri ha cercato di superare sfide tecniche e di spingere i confini sia degli strumenti che dei materiali utilizzati. Con esiti di interesse straordinario, come le opere esposte confermano», sottolinea Bruno Corà, presidente della Fondazione Burri.
Non è un caso che, nel 1973, l’artista abbia ricevuto dall'Accademia nazionale dei Lincei il Premio Feltrinelli per la grafica con la motivazione che questa sua parte di produzione «[...] si integra perfettamente alla pittura dell'artista, di cui costituisce [...] una vivificazione che accompagna il rigore estremo a una purezza espressiva incomparabile». Il Museo Burri della grafica si aggiunge, come atto conclusivo, alle numerose iniziative del centenario che ha avuto molte tappe importanti: dalla nuova edizione del catalogo generale al compimento del Grande cretto di Gibellina e alla ricostruzione del teatro Continuo a Milano, solo per citare gli eventi più importanti.
L'impegno della fondazione è stato profuso anche in ambito espositivo con mostre dedicate ad approfondire il ruolo dell’artista in vari contesti nazionali e internazionali, nonché riportando la fondazione Burri al centro dell'attenzione internazionale, con convegni che hanno visto confluire nella sua città natale dell’artista artisti, studiosi, direttori di musei e critici da tutto il mondo per parlare dello stato dell'arte.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Alberto Burri, Sestante 14, 1989; Serigrafia; carta Fabriano Rosaspina cm. 49,5x63,5; [fig. 2] Alberto Burri, Saffo (Litografia 10) 1973/76; Litografia; Carta Umbria cm. 26x17,7
Informazioni utili
www.fondazioneburri.org
Il nuovo museo, la cui inaugurazione è prevista per la giornata di domenica 12 marzo (con un open day in programma dalle ore 12 alle ore 18), occupa oltre quattromila metri quadri, tutti ottenuti da un recente intervento di riqualificazione di parte degli spazi sottostanti all’ex complesso industriale sorto sul finire degli anni Cinquanta.
La superficie espositiva dedicata ad Alberto Burri raggiunge così gli undicimila e cinquecento metri quadri e, insieme con le sculture all’aperto, ne fa il più esteso museo d’artista al mondo e anche uno dei più importanti luoghi del contemporaneo in Europa.
La nuova sezione accoglie e propone l'intero repertorio grafico e di multipli dell'artista, consistente in oltre duecento opere, realizzate tra il 1950 e il 1994. Si tratta di un importante aspetto della produzione artistica di Alberto Burri, che a volte precorre, a volte segue e in altri casi è coeva con le sue opere maggiori e pone in evidenza anche la sua straordinaria manualità e attitudine alla sperimentazione costante.
L'esecuzione di queste opere, realizzate in collaborazione con grandi stampatori, ha visto l'artista stesso cimentarsi in differenti cicli produttivi che hanno distinto la sua attitudine alla sperimentazione rispetto a quella di altri artisti della sua generazione, tanto in Italia che all'estero.
«Nel caso di Burri, parlare di grafica non significa parlare di una produzione minore rispetto ai dipinti, ma soltanto di una modalità artistica diversa e parallela, nella concezione e nell'esecuzione, tale insomma da potersi annoverare con assoluto rilievo nella produzione del grande pittore, a fianco di tutti gli altri suoi rivoluzionari pronunciamenti innovativi. Anche nella grafica, Burri ha cercato di superare sfide tecniche e di spingere i confini sia degli strumenti che dei materiali utilizzati. Con esiti di interesse straordinario, come le opere esposte confermano», sottolinea Bruno Corà, presidente della Fondazione Burri.
Non è un caso che, nel 1973, l’artista abbia ricevuto dall'Accademia nazionale dei Lincei il Premio Feltrinelli per la grafica con la motivazione che questa sua parte di produzione «[...] si integra perfettamente alla pittura dell'artista, di cui costituisce [...] una vivificazione che accompagna il rigore estremo a una purezza espressiva incomparabile». Il Museo Burri della grafica si aggiunge, come atto conclusivo, alle numerose iniziative del centenario che ha avuto molte tappe importanti: dalla nuova edizione del catalogo generale al compimento del Grande cretto di Gibellina e alla ricostruzione del teatro Continuo a Milano, solo per citare gli eventi più importanti.
L'impegno della fondazione è stato profuso anche in ambito espositivo con mostre dedicate ad approfondire il ruolo dell’artista in vari contesti nazionali e internazionali, nonché riportando la fondazione Burri al centro dell'attenzione internazionale, con convegni che hanno visto confluire nella sua città natale dell’artista artisti, studiosi, direttori di musei e critici da tutto il mondo per parlare dello stato dell'arte.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Alberto Burri, Sestante 14, 1989; Serigrafia; carta Fabriano Rosaspina cm. 49,5x63,5; [fig. 2] Alberto Burri, Saffo (Litografia 10) 1973/76; Litografia; Carta Umbria cm. 26x17,7
Informazioni utili
www.fondazioneburri.org
giovedì 2 marzo 2017
«Kids Creative Lab V», alla scoperta dell’ecosistema marino con Lucy + Jorge Orta
Oltre 1.400.000 bambini, 50.000 classi e 6.000 scuole uniti per un progetto all’insegna della salvaguardia dell’ecosistema marino: sono questi i numeri della quinta edizione di Kids Creative Lab, iniziative per le scuole primarie italiane promossa dalla collezione Peggy Guggenheim e da Ovs, con il patrocinio del Comune di Venezia.
Dopo aver trattato, nel corso degli anni, tematiche quali il rapporto tra arte e moda, ecologia, natura, agricoltura, alimentazione e biodiversità, il laboratorio creativo dell’istituzione lagunare guarda a un progetto multidisciplinare incentrato sull’attuale e urgente tema della sostenibilità, delle sue implicazioni legate da un lato all’ecologia e al rispetto dell’ambiente, dall’altro all’educazione e allo sviluppo delle generazioni future in relazione a queste tematiche.
Da qui parte la prestigiosa collaborazione con Lucy + Jorge Orta, artisti noti internazionalmente per il loro impegno in progetti che sensibilizzano l’opinione pubblica verso lo sviluppo sostenibile del pianeta e che hanno fatto della modalità partecipativa i fondamenti della propria produzione artistica. La celebre coppia creativa, insieme con il dipartimento di educazione della collezione Peggy Guggenheim, ha ideato e sviluppato un laboratorio creativo, da condurre in classe, incentrato sul tema dell’acqua e dell’equilibrio, sempre più vulnerabile, dell’ecosistema marino.
Ne è nato il Kit d’artista «SostenART», una riflessione attorno al riutilizzo sostenibile, oltre che artistico, della plastica, e, al contempo, un invito a inviare un SOS per la salvaguardia della vita degli oceani tramite un metaforico messaggio in bottiglia.
Il laboratorio invita i partecipanti a scrivere un testo a più mani grazie alla tecnica del «Cadavre exquis», gioco amato da André Breton, teorico del Surrealismo, e dagli artisti surrealisti stessi, che consiste nel comporre un messaggio grazie al contributo di più persone, ignare dell’intervento degli altri. Il testo scritto con questa tecnica viene, poi, tradotto secondo un codice colore e inserito in una bottiglia di plastica. Tutte le bottiglie contenenti i coloratissimi messaggi criptati composti dai bambini daranno vita a un’unica grande installazione, un suggestivo paesaggio marino, curata proprio da Lucy + Jorge Orta ed esposta in occasione della mostra che avrà luogo dal 30 marzo al 17 aprile alla collezione Peggy Guggenheim.
«Speriamo che la prassi artistica, attraverso questo laboratorio e tramite la sperimentazione con il materiale plastico, possa mettere in evidenza il messaggio relativo all’utilizzo della plastica, in particolare il rifiuto plastico e la bottiglia d’acqua», sostengono gli artisti Lucy + Jorge Orta. «In qualche modo, si tratta di creare consapevolezza tra la persone. Se, lavorando a Kids Creative Lab, oltre un milione di bambini, maneggiando una bottiglia, penserà alla sua provenienza, alla sua destinazione e a come possiamo essere maggiormente consapevoli del riciclo e dell’ambiente, allora sarà davvero fantastico».
Tutti i materiali didattici e il video tutorial per realizzare il laboratorio sono disponibili sul sito kidscreativelab.ovs.it, nella sezione Kit d’Artista. Per caricare le immagini degli elaborati e i contenuti realizzati all’interno della Gallery è necessario accedere all’area riservata, dove sarà possibile scoprire i lavori creati dagli altri partecipanti.
La scuola che parteciperà alla mostra conclusiva con il maggior numero di alunni e classi si aggiudicherà un percorso formativo per alunni e docenti a cura di EF Education First: due International week per gli studenti, formazione online per i docenti e materiali didattici. La scuola riceverà inoltre cinquecento borracce riutilizzabili di Dopper, per incentivare un consumo sostenibile dell'acqua e sensibilizzare i bambini sull'impatto dei rifiuti di plastica monouso.
Informazioni utili
http://kidscreativelab.ovs.it/
Dopo aver trattato, nel corso degli anni, tematiche quali il rapporto tra arte e moda, ecologia, natura, agricoltura, alimentazione e biodiversità, il laboratorio creativo dell’istituzione lagunare guarda a un progetto multidisciplinare incentrato sull’attuale e urgente tema della sostenibilità, delle sue implicazioni legate da un lato all’ecologia e al rispetto dell’ambiente, dall’altro all’educazione e allo sviluppo delle generazioni future in relazione a queste tematiche.
Da qui parte la prestigiosa collaborazione con Lucy + Jorge Orta, artisti noti internazionalmente per il loro impegno in progetti che sensibilizzano l’opinione pubblica verso lo sviluppo sostenibile del pianeta e che hanno fatto della modalità partecipativa i fondamenti della propria produzione artistica. La celebre coppia creativa, insieme con il dipartimento di educazione della collezione Peggy Guggenheim, ha ideato e sviluppato un laboratorio creativo, da condurre in classe, incentrato sul tema dell’acqua e dell’equilibrio, sempre più vulnerabile, dell’ecosistema marino.
Ne è nato il Kit d’artista «SostenART», una riflessione attorno al riutilizzo sostenibile, oltre che artistico, della plastica, e, al contempo, un invito a inviare un SOS per la salvaguardia della vita degli oceani tramite un metaforico messaggio in bottiglia.
Il laboratorio invita i partecipanti a scrivere un testo a più mani grazie alla tecnica del «Cadavre exquis», gioco amato da André Breton, teorico del Surrealismo, e dagli artisti surrealisti stessi, che consiste nel comporre un messaggio grazie al contributo di più persone, ignare dell’intervento degli altri. Il testo scritto con questa tecnica viene, poi, tradotto secondo un codice colore e inserito in una bottiglia di plastica. Tutte le bottiglie contenenti i coloratissimi messaggi criptati composti dai bambini daranno vita a un’unica grande installazione, un suggestivo paesaggio marino, curata proprio da Lucy + Jorge Orta ed esposta in occasione della mostra che avrà luogo dal 30 marzo al 17 aprile alla collezione Peggy Guggenheim.
«Speriamo che la prassi artistica, attraverso questo laboratorio e tramite la sperimentazione con il materiale plastico, possa mettere in evidenza il messaggio relativo all’utilizzo della plastica, in particolare il rifiuto plastico e la bottiglia d’acqua», sostengono gli artisti Lucy + Jorge Orta. «In qualche modo, si tratta di creare consapevolezza tra la persone. Se, lavorando a Kids Creative Lab, oltre un milione di bambini, maneggiando una bottiglia, penserà alla sua provenienza, alla sua destinazione e a come possiamo essere maggiormente consapevoli del riciclo e dell’ambiente, allora sarà davvero fantastico».
Tutti i materiali didattici e il video tutorial per realizzare il laboratorio sono disponibili sul sito kidscreativelab.ovs.it, nella sezione Kit d’Artista. Per caricare le immagini degli elaborati e i contenuti realizzati all’interno della Gallery è necessario accedere all’area riservata, dove sarà possibile scoprire i lavori creati dagli altri partecipanti.
La scuola che parteciperà alla mostra conclusiva con il maggior numero di alunni e classi si aggiudicherà un percorso formativo per alunni e docenti a cura di EF Education First: due International week per gli studenti, formazione online per i docenti e materiali didattici. La scuola riceverà inoltre cinquecento borracce riutilizzabili di Dopper, per incentivare un consumo sostenibile dell'acqua e sensibilizzare i bambini sull'impatto dei rifiuti di plastica monouso.
Informazioni utili
http://kidscreativelab.ovs.it/
mercoledì 1 marzo 2017
Al via le iniziative per i duecento anni dalla morte di Giacomo Quarenghi, architetto alla Corte degli Zar
Prende il via giovedì 2 marzo il lungo programma di iniziative ideate per celebrare il secondo centenario dalla morte dell’architetto e disegnatore Giacomo Quarenghi (Rota d’Imagna/Bergamo 1744 - San Pietroburgo1817), tra i massimi protagonisti della cultura artistica del Settecento europeo.
Una messa in sua memoria nella chiesa dell’Arciconfraternita dei bergamaschi a Roma e il posizionamento di due lapidi a Bergamo -una al Famedio del cimitero, l’altra nella casa natale di via Donizetti- aprono le celebrazioni di quello che è stato definito l’Anno Q.
Nella stessa giornata la Biblioteca civica Angelo Mai di Bergamo, che conserva la più vasta raccolta al mondo di opere quarenghiane, inaugurerà un’esposizione storica; mentre il Gabinetto dei disegni del Castello Sforzesco a Milano renderà fruibile integralmente, sul sito Graficheincomune.it, il proprio fondo di lavori quarenghiani.
Le celebrazioni interesseranno anche diverse città europee: al Museo dell’Ermitage di San Pietroburgo verrà inaugurata una mostra di Pavel Demidov che rilegge con sguardo contemporaneo gli edifici realizzati da Quarenghi; a Mosca di terrà una conferenza di Letizia Tedeschi, mentre a Varsavia lo studioso Piotr Kibort darà il via al progetto di studio e pubblicazione in formato digitale del fondo di disegni quarenghiani conservati al museo nazionale.
Ma le iniziative per celebrare il maestro non terminano qui. A Bergamo, la sua città natale, la Biblioteca Civica Angelo Mai proporrà la pubblicazione in digitale del fondo di documenti di Francesco Maria Quarenghi, fratello dell’architetto, e la pubblicazione di un nuovo epistolario quarenghiano.La Fondazione Accademia Carrara provvederà, invece, al restauro, alla studio e alla pubblicazione del suo fondo quarenghiano, mentre la Fondazione Donizetti dedicherà all’artista un progetto speciale, compresa la messa in scena dell’opera donizettiana «Il borgomastro di Saardam», che vede protagonista proprio lo zar Pietro I.
A Venezia, è previsto lo studio e la pubblicazione del fondo dei disegni quarenghiani presenti alle Gallerie dell’Accademia, oltre alla pubblicazione in formato digitale dei disegni presenti nelle raccolte Fiocco e Pozzi alla Fondazione Giorgio Cini e alla valorizzazione dei materiali quarenghiani del Museo Correr. Milano, Vicenza e Bassano del Grappa dedicheranno mostre all’artista, mentre Roma ospiterà il convegno «Giacomo Quarenghi e la cultura architettonica britannica», organizzato dall’Accademia nazionale di San Luca.
Tra le iniziative all’estero si segnala quella dell’Archivio del Moderno e Pinacoteca cantonale Giovanni Züst di Rancate di Mendrisio che proporrà un’esposizione tesa a indagare la presenza di Quarenghi nelle raccolte grafiche degli architetti ticinesi.
Ma il programma dell’anno Q, che verrà ricordato anche con un francobollo commemorativo, è molto più articolato ed in continua evoluzione. Ancora molte le iniziative da segnalare dedicate all’architetto che partecipò all’elaborazione del primo linguaggio moderno internazionale.
Un’ottima occasione, dunque, questo anno Q per conoscere un artista italiano che venne chiamato dall’imperatrice Caterina II come architetto di Corte degli Zar e che contribuì in modo decisivo a ridisegnare il volto di Pietroburgo. La carriera di Quarenghi, proseguita con i successori al trono Paolo I e Alessandro I, lo condusse, infatti, a diventare un vero arbitro del gusto dell’età neoclassica.
Il numero e la varietà dei suoi progetti, in gran parte realizzati, è senza pari. Suoi sono veri e propri landmarks della città di San Pietroburgo, come la Banca di Stato, l’Accademia delle scienze, l'Istituto Smol´nyj e numerosi interventi nel complesso del Palazzo imperiale come la Sala del trono e il teatro dell’Ermitage. Oggi l’esplorazione dei disegni di Quarenghi ci restituisce una cifra artistica caratterizzata da un fecondo travaso tra l’invenzione dell’architettura e il fascino rappresentativo del pittore. I prospetti dei suoi progetti, ambientati in seducenti paesaggi di ascendente italiano, evocano il mito mediterraneo proprio della sua epoca.
Informazioni utili
www.osservatorioquarenghi.org
Una messa in sua memoria nella chiesa dell’Arciconfraternita dei bergamaschi a Roma e il posizionamento di due lapidi a Bergamo -una al Famedio del cimitero, l’altra nella casa natale di via Donizetti- aprono le celebrazioni di quello che è stato definito l’Anno Q.
Nella stessa giornata la Biblioteca civica Angelo Mai di Bergamo, che conserva la più vasta raccolta al mondo di opere quarenghiane, inaugurerà un’esposizione storica; mentre il Gabinetto dei disegni del Castello Sforzesco a Milano renderà fruibile integralmente, sul sito Graficheincomune.it, il proprio fondo di lavori quarenghiani.
Le celebrazioni interesseranno anche diverse città europee: al Museo dell’Ermitage di San Pietroburgo verrà inaugurata una mostra di Pavel Demidov che rilegge con sguardo contemporaneo gli edifici realizzati da Quarenghi; a Mosca di terrà una conferenza di Letizia Tedeschi, mentre a Varsavia lo studioso Piotr Kibort darà il via al progetto di studio e pubblicazione in formato digitale del fondo di disegni quarenghiani conservati al museo nazionale.
Ma le iniziative per celebrare il maestro non terminano qui. A Bergamo, la sua città natale, la Biblioteca Civica Angelo Mai proporrà la pubblicazione in digitale del fondo di documenti di Francesco Maria Quarenghi, fratello dell’architetto, e la pubblicazione di un nuovo epistolario quarenghiano.La Fondazione Accademia Carrara provvederà, invece, al restauro, alla studio e alla pubblicazione del suo fondo quarenghiano, mentre la Fondazione Donizetti dedicherà all’artista un progetto speciale, compresa la messa in scena dell’opera donizettiana «Il borgomastro di Saardam», che vede protagonista proprio lo zar Pietro I.
A Venezia, è previsto lo studio e la pubblicazione del fondo dei disegni quarenghiani presenti alle Gallerie dell’Accademia, oltre alla pubblicazione in formato digitale dei disegni presenti nelle raccolte Fiocco e Pozzi alla Fondazione Giorgio Cini e alla valorizzazione dei materiali quarenghiani del Museo Correr. Milano, Vicenza e Bassano del Grappa dedicheranno mostre all’artista, mentre Roma ospiterà il convegno «Giacomo Quarenghi e la cultura architettonica britannica», organizzato dall’Accademia nazionale di San Luca.
Tra le iniziative all’estero si segnala quella dell’Archivio del Moderno e Pinacoteca cantonale Giovanni Züst di Rancate di Mendrisio che proporrà un’esposizione tesa a indagare la presenza di Quarenghi nelle raccolte grafiche degli architetti ticinesi.
Ma il programma dell’anno Q, che verrà ricordato anche con un francobollo commemorativo, è molto più articolato ed in continua evoluzione. Ancora molte le iniziative da segnalare dedicate all’architetto che partecipò all’elaborazione del primo linguaggio moderno internazionale.
Un’ottima occasione, dunque, questo anno Q per conoscere un artista italiano che venne chiamato dall’imperatrice Caterina II come architetto di Corte degli Zar e che contribuì in modo decisivo a ridisegnare il volto di Pietroburgo. La carriera di Quarenghi, proseguita con i successori al trono Paolo I e Alessandro I, lo condusse, infatti, a diventare un vero arbitro del gusto dell’età neoclassica.
Il numero e la varietà dei suoi progetti, in gran parte realizzati, è senza pari. Suoi sono veri e propri landmarks della città di San Pietroburgo, come la Banca di Stato, l’Accademia delle scienze, l'Istituto Smol´nyj e numerosi interventi nel complesso del Palazzo imperiale come la Sala del trono e il teatro dell’Ermitage. Oggi l’esplorazione dei disegni di Quarenghi ci restituisce una cifra artistica caratterizzata da un fecondo travaso tra l’invenzione dell’architettura e il fascino rappresentativo del pittore. I prospetti dei suoi progetti, ambientati in seducenti paesaggi di ascendente italiano, evocano il mito mediterraneo proprio della sua epoca.
Informazioni utili
www.osservatorioquarenghi.org
martedì 28 febbraio 2017
A marzo impegno civile e comicità sotto i riflettori del Manzoni di Busto Arsizio
Dalla comicità di Renato Pozzetto a quella di Antonio Cornacchione, passando per due appuntamenti promossi in occasione della Giornata internazionale della donna, a una raccolta fondi in favore del «progetto Guatemala» dell’oratorio «San Filippo Neri» e ai consueti appuntamenti cinematografici della rassegna «Mercoledì d’essai»: è ricco di proposte il cartellone del cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio per il mese di marzo.
Ad aprire la programmazione sarà, nella giornata di mercoledì 1° marzo, la proiezione del film «Lettere da Berlino», tratto dal romanzo «Ognuno muore solo» di Hans Fallada, «il libro più importante -secondo Primo Levi- che sia mai stato scritto sulla resistenza tedesca al nazismo». Al centro della storia realmente accaduta, che si avvale della regia dello spagnolo Vincent Perez, vi sono due «antieroici eroi», interpretati con straordinaria intensità e misura da Emma Thompson e Brendan Gleeson: i coniugi Otto e Anna Hampel (ribattezzati nella finzione cinematografica Quangel), giustiziati dalla Gestapo nel 1943 per aver inondato Berlino di cartoline contro il Führer. Il film, inserito nella rassegna «Mercoledì d’essai», verrà proposto in doppia proiezione: alle ore 16 e alle ore 21; all’appuntamento pomeridiano, pensato specificatamente per il pubblico della terza età, seguirà un momento conviviale con tè e dolci.
Renato Pozzetto tra cinema e cabaret
Riflettori puntati, quindi, su Renato Pozzetto che venerdì 3 marzo, alle ore 21, porterà in scena sul palco di via Calatafimi l’attesissmo one man show «Siccome l’altro è impegnato» (ancora disponibili posti in galleria al costo di € 25,00 per l’intero ed € 23,00 per la galleria). Si tratta di un nuovo e originale esperimento teatrale, il cine-cabaret, con il quale il comico lombardo proporrà «un viaggio dentro tutte le sue più celebri risate con videoproiezioni e commenti, inediti e stralci dei suoi più famosi successi cinematografici, in un percorso artistico che attraversa dieci anni di cabaret, quindici anni di teatro e trent’anni di cinema».
L’appuntamento, inserito nella stagione cittadina «BA Teatro», vedrà in scena anche un’orchestra di quattro elementi, grazie alla quale sarà possibile riascoltare brani evengreen del cabarettista come «Bella bionda», «Nebbia in Val Padana» e «La vita l’è bela».
Teatro e film d'essai per la festa della donna
Seguirà, quindi, nella giornata di martedì 7 marzo, alle ore 9 e alle ore 21, un appuntamento promosso dalla Coop Lombardia – Comitato di Busto Arsizio, con la collaborazione della rete territoriale del Centro di promozione permanente della legalità e dell’associazione culturale «NaveArgo» di Catania: la rappresentazione dello spettacolo «Di Concetta e le sue donne», per la drammaturgia e la regia di Nicoleugenia Prezzavento, con Rita Solonia e Nicoletta Fiorina, autrice anche delle musiche e degli interventi sonori.
La piéce, tratta dall’omonimo romanzo di Maria Attanasio (Sellerio editore, 1999), racconta la storia di Concetta La Ferla, indomita e appassionata militante comunista che ha lottato per l’emancipazione delle donne siciliane e per la costituzione della prima sezione femminile del Pci in Italia, e che ha orgogliosamente consegnato, al presente e al futuro, il proprio perentorio «no» all’ingiustizia sociale, al sessismo e alla politica dell’apparenza e dei salotti televisivi e non.
Dopo la replica mattutina per le scuole -fanno sapere gli organizzatori- «si terrà un incontro con la compagnia, accompagnato da interventi di Ettore Terribili, Dario Ferrari e Gianfranco Gilardi, che dialogheranno con gli studenti sulla storia e la scelta coraggiosa di Rita Atria e Lea Garofalo». Il costo dei biglietti -in vendita nei supermercati Coop di Busto Arsizio (viale Repubblica, 26), Cassano Magnago (via Verdi, 38) e Legnano (via Toselli, 56)- è fissato ad € 5,00; per informazioni è possibile contattare lo 0331.380923.
Guarda al mondo femminile anche l’appuntamento di mercoledì 8 marzo, quando sul grande schermo della sala di via Calatafimi verrà proiettato, nell’ambito della rassegna «Mercoledì d’essai», il film «7 minuti». Si tratta di una riflessione sulla precarietà del mondo lavorativo raccontata attraverso gli occhi di undici donne, che si avvale della regia di Michele Placido e che vede nel cast importanti artiste italiane come Ottavia Piccolo, Ambra Angiolini, Cristiana Capotondi, Violante Placido e Fiorella Mannoia. L’appuntamento cinematografico, in agenda alle ore 16 e alle ore 21, è promosso in collaborazione con il Patronato Acli di Busto Arsizio, che animerà il successivo dibattito con il pubblico su tematiche inerenti il mondo del lavoro.
A fine marzo in cartellone due commedie brillanti
La rassegna «Mercoledì d’essai», con la sua usuale programmazione alle ore 16 e alle ore 21, proseguirà nella giornata di mercoledì 15 marzo con «Sing Street» di John Carney, «il film dell’anno», stando alla definizione di Beppe Severgnini, che racconta la nascita di una band musicale giovanile nella Dublino degli anni Ottanta. Mentre mercoledì 29 marzo è in agenda il film «Free State of Jones» di Gary Ross, con Matthew McConaughey, che racconta la storia vera del coraggioso contadino Newt Knight e della sua ribellione contro l'esercito confederato ai tempi della guerra di secessione americana.
La programmazione teatrale, inserita nel cartellone cittadino «BA Teatro», continuerà, invece, nella serata di giovedì 23 marzo con due campioni della comicità italiana, Gianluca Ramazzotti e Antonio Cornacchione, che porteranno in scena, insieme con l’avvenente Milena Miconi, lo spettacolo «Ieri è un altro giorno» (biglietti da € 30,00 a € 23,00, in vendita al botteghino da giovedì 16 marzo), versione italiana a firma di Luca Bercellona e David Conati di una divertente commedia francese scritta da Silvain Meyniac e Jean Francois Cros, vincitrice del Premio Molière nel 2014, che vede alla regia Eric Civanyac.
A chiudere la programmazione del mese di marzo sarà, nella serata di venerdì 31, la commedia brillante «Mistero a Villa Gaia» (biglietti da € 10,00 a € 5,00, in vendita al botteghino dal 6 marzo), con la compagnia amatoriale «I ragazzi dell’altro ieri». I proventi dello spettacolo, che racconta di strani furti in una casa di riposo, saranno devoluti in beneficenza al progetto «Borsa di studio Guatemala» del Gruppo missionario dell’oratorio «San Filippo Neri».
Al botteghino
Il botteghino del cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio sarà aperto per tutto il mese di marzo con i seguenti orari: dal lunedì al venerdì, dalle ore 17 alle ore 19. I biglietti per la rassegna «Mercoledì d’essai» e per gli spettacoli della stagione «BA Teatro» sono acquistabili anche on-line sul sito www.cinemateatromanzoni.it. Per maggiori informazioni sulla programmazione della sala è possibile contattare il numero 339.7559644 o lo 0331.677961 (negli orari di apertura del botteghino e in orario serale, dalle ore 20.30 alle ore 21.30, tranne il martedì) o scrivere all’indirizzo info@cinemateatromanzoni.it.
Didascalie delle immagini
[Figg. 1 e 2] Una scena dello spettacolo «Di Concetta e le sue donne», per la drammaturgia e la regia di Nicoleugenia Prezzavento, con Rita Solonia e Nicoletta Fiorina; [figg. 3 e 4] Una scena dello spettacolo «Ieri è un altro giorno», con Gianluca Ramazzotti e Antonio Cornacchione; [fig. 5] Renato Pozzetto sarà in scena venerdì 3 marzo 2017 al cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio
Informazioni utili
www.cinemateatromanzoni.it
Ad aprire la programmazione sarà, nella giornata di mercoledì 1° marzo, la proiezione del film «Lettere da Berlino», tratto dal romanzo «Ognuno muore solo» di Hans Fallada, «il libro più importante -secondo Primo Levi- che sia mai stato scritto sulla resistenza tedesca al nazismo». Al centro della storia realmente accaduta, che si avvale della regia dello spagnolo Vincent Perez, vi sono due «antieroici eroi», interpretati con straordinaria intensità e misura da Emma Thompson e Brendan Gleeson: i coniugi Otto e Anna Hampel (ribattezzati nella finzione cinematografica Quangel), giustiziati dalla Gestapo nel 1943 per aver inondato Berlino di cartoline contro il Führer. Il film, inserito nella rassegna «Mercoledì d’essai», verrà proposto in doppia proiezione: alle ore 16 e alle ore 21; all’appuntamento pomeridiano, pensato specificatamente per il pubblico della terza età, seguirà un momento conviviale con tè e dolci.
Renato Pozzetto tra cinema e cabaret
Riflettori puntati, quindi, su Renato Pozzetto che venerdì 3 marzo, alle ore 21, porterà in scena sul palco di via Calatafimi l’attesissmo one man show «Siccome l’altro è impegnato» (ancora disponibili posti in galleria al costo di € 25,00 per l’intero ed € 23,00 per la galleria). Si tratta di un nuovo e originale esperimento teatrale, il cine-cabaret, con il quale il comico lombardo proporrà «un viaggio dentro tutte le sue più celebri risate con videoproiezioni e commenti, inediti e stralci dei suoi più famosi successi cinematografici, in un percorso artistico che attraversa dieci anni di cabaret, quindici anni di teatro e trent’anni di cinema».
L’appuntamento, inserito nella stagione cittadina «BA Teatro», vedrà in scena anche un’orchestra di quattro elementi, grazie alla quale sarà possibile riascoltare brani evengreen del cabarettista come «Bella bionda», «Nebbia in Val Padana» e «La vita l’è bela».
Teatro e film d'essai per la festa della donna
Seguirà, quindi, nella giornata di martedì 7 marzo, alle ore 9 e alle ore 21, un appuntamento promosso dalla Coop Lombardia – Comitato di Busto Arsizio, con la collaborazione della rete territoriale del Centro di promozione permanente della legalità e dell’associazione culturale «NaveArgo» di Catania: la rappresentazione dello spettacolo «Di Concetta e le sue donne», per la drammaturgia e la regia di Nicoleugenia Prezzavento, con Rita Solonia e Nicoletta Fiorina, autrice anche delle musiche e degli interventi sonori.
La piéce, tratta dall’omonimo romanzo di Maria Attanasio (Sellerio editore, 1999), racconta la storia di Concetta La Ferla, indomita e appassionata militante comunista che ha lottato per l’emancipazione delle donne siciliane e per la costituzione della prima sezione femminile del Pci in Italia, e che ha orgogliosamente consegnato, al presente e al futuro, il proprio perentorio «no» all’ingiustizia sociale, al sessismo e alla politica dell’apparenza e dei salotti televisivi e non.
Dopo la replica mattutina per le scuole -fanno sapere gli organizzatori- «si terrà un incontro con la compagnia, accompagnato da interventi di Ettore Terribili, Dario Ferrari e Gianfranco Gilardi, che dialogheranno con gli studenti sulla storia e la scelta coraggiosa di Rita Atria e Lea Garofalo». Il costo dei biglietti -in vendita nei supermercati Coop di Busto Arsizio (viale Repubblica, 26), Cassano Magnago (via Verdi, 38) e Legnano (via Toselli, 56)- è fissato ad € 5,00; per informazioni è possibile contattare lo 0331.380923.
Guarda al mondo femminile anche l’appuntamento di mercoledì 8 marzo, quando sul grande schermo della sala di via Calatafimi verrà proiettato, nell’ambito della rassegna «Mercoledì d’essai», il film «7 minuti». Si tratta di una riflessione sulla precarietà del mondo lavorativo raccontata attraverso gli occhi di undici donne, che si avvale della regia di Michele Placido e che vede nel cast importanti artiste italiane come Ottavia Piccolo, Ambra Angiolini, Cristiana Capotondi, Violante Placido e Fiorella Mannoia. L’appuntamento cinematografico, in agenda alle ore 16 e alle ore 21, è promosso in collaborazione con il Patronato Acli di Busto Arsizio, che animerà il successivo dibattito con il pubblico su tematiche inerenti il mondo del lavoro.
A fine marzo in cartellone due commedie brillanti
La rassegna «Mercoledì d’essai», con la sua usuale programmazione alle ore 16 e alle ore 21, proseguirà nella giornata di mercoledì 15 marzo con «Sing Street» di John Carney, «il film dell’anno», stando alla definizione di Beppe Severgnini, che racconta la nascita di una band musicale giovanile nella Dublino degli anni Ottanta. Mentre mercoledì 29 marzo è in agenda il film «Free State of Jones» di Gary Ross, con Matthew McConaughey, che racconta la storia vera del coraggioso contadino Newt Knight e della sua ribellione contro l'esercito confederato ai tempi della guerra di secessione americana.
La programmazione teatrale, inserita nel cartellone cittadino «BA Teatro», continuerà, invece, nella serata di giovedì 23 marzo con due campioni della comicità italiana, Gianluca Ramazzotti e Antonio Cornacchione, che porteranno in scena, insieme con l’avvenente Milena Miconi, lo spettacolo «Ieri è un altro giorno» (biglietti da € 30,00 a € 23,00, in vendita al botteghino da giovedì 16 marzo), versione italiana a firma di Luca Bercellona e David Conati di una divertente commedia francese scritta da Silvain Meyniac e Jean Francois Cros, vincitrice del Premio Molière nel 2014, che vede alla regia Eric Civanyac.
A chiudere la programmazione del mese di marzo sarà, nella serata di venerdì 31, la commedia brillante «Mistero a Villa Gaia» (biglietti da € 10,00 a € 5,00, in vendita al botteghino dal 6 marzo), con la compagnia amatoriale «I ragazzi dell’altro ieri». I proventi dello spettacolo, che racconta di strani furti in una casa di riposo, saranno devoluti in beneficenza al progetto «Borsa di studio Guatemala» del Gruppo missionario dell’oratorio «San Filippo Neri».
Al botteghino
Il botteghino del cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio sarà aperto per tutto il mese di marzo con i seguenti orari: dal lunedì al venerdì, dalle ore 17 alle ore 19. I biglietti per la rassegna «Mercoledì d’essai» e per gli spettacoli della stagione «BA Teatro» sono acquistabili anche on-line sul sito www.cinemateatromanzoni.it. Per maggiori informazioni sulla programmazione della sala è possibile contattare il numero 339.7559644 o lo 0331.677961 (negli orari di apertura del botteghino e in orario serale, dalle ore 20.30 alle ore 21.30, tranne il martedì) o scrivere all’indirizzo info@cinemateatromanzoni.it.
Didascalie delle immagini
[Figg. 1 e 2] Una scena dello spettacolo «Di Concetta e le sue donne», per la drammaturgia e la regia di Nicoleugenia Prezzavento, con Rita Solonia e Nicoletta Fiorina; [figg. 3 e 4] Una scena dello spettacolo «Ieri è un altro giorno», con Gianluca Ramazzotti e Antonio Cornacchione; [fig. 5] Renato Pozzetto sarà in scena venerdì 3 marzo 2017 al cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio
Informazioni utili
www.cinemateatromanzoni.it
lunedì 27 febbraio 2017
«Comin’ Jazz», una settimana di musica a Como
Sarà Gavino Murgia, sassofonista che ama sperimentare linguaggi diversi, ad aprire la prima edizione «Comin’ Jazz», festival musicale in cartellone da giovedì 9 a mercoledì 15 marzo a Como, per iniziative dell’assessorato comunale alla Cultura e di varie realtà associative del territorio, dall’AsLiCo alla scuola di musica «Nota su Nota». Il musicista sardo sarà protagonista, al teatro Sociale, di un concerto che mescola e sintetizza con originalità il jazz di tradizione, la musica etnica e i ritmi del Mediterraneo. Con lui sul palco ci saranno altri tre mostri sacri della musica internazionale come il fisarmonicista Luciano Biondini, il batterista Patrice Heral e Michel Godard al basso tuba.
Seguirà, quindi, una settimana ricca di eventi, aperitivi in musica, concerti e marching band, rivolti ad appassionati del genere e a neofiti, oltre a iniziative dedicate alle scuole. Il tutto contribuirà a riscoprire la vocazione jazzistica di Como che, negli anni Ottanta e Novanta, ha visto numerosi interpreti del genere esibirsi nelle piazze e nei teatri cittadini.
La prima edizione del festival vuole, inoltre, celebrare il centenario della pubblicazione del primo disco jazz, «Livery Stable Blues» dell'«Original Dixieland Jass Band», gruppo guidato da Nick La Rocca, figlio di un immigrato italiano in Louisiana. Questa data simboleggia la nascita ufficiale del jazz, genere musicale che già si poteva sentire qualche anno prima nei quartieri neri di New Orleans.
Dopo il debutto al teatro Sociale (giovedì 9 marzo, alle ore 20.30), il cartellone proseguirà con i ritmi coinvolgenti e dinamici dello Tsunami Trio (venerdì 10 marzo, alle ore 21.30, al Nerolidio Music Factory), nato su iniziativa del pianista Carlo Uboldi, soprannominato nell'ambiente jazzistico Oscar per lo stile e la bravura che spesso si ispirano al grande Oscar Peterson.
Sarà, poi, la volta della parata All Stars Dixieland Marching Band (sabato 11 marzo, alle ore 16), che porterà le vivaci sonorità del jazz per le vie della città, alla quale seguirà l’originale progetto Disney Jazz song (sabato 11 marzo, alle ore 18, al Chiostrino di Sant’Eufemia), presentato da Alceste Ayroldi e con i Bebe Vibe, che offrirà al pubblico un repertorio personalizzato delle colonne sonore dei cartoni animati di Walt Disney con rimandi ai capolavori della musica afroamericana.
Spazio, quindi, all’evento «Il canto del ritmo» (domenica 12 marzo, alle ore 20.30, al teatro Sociale), con tre artisti che affascinano per la loro versatilità e creatività: Enzo Zirilli alla batteria e ale percussioni, Jason Rebello al pianoforte e Marco Micheli al contrabbasso. Ma prima ci sarà «La rivoluzione di un incontro» (domenica 12 marzo, alle ore 17.30, al Chiostrino di Sant’Eufemia), una reinterpretazione improvvisata e libera di pezzi del trombettista Miles Davis e del pianista Bill Evans, il cui incontro storico risale a poco più di sessant’anni fa, che vedrà in scena Luca Garro e Roberto Quadroni.
Nel festival è anche incluso un appuntamento della rassegna «I lunedì del cinema – Il cinema va a teatro», durante il quale verrà proiettato il film «Yo-Yo Ma e i musicisti della via della seta» (lunedì 13 marzo, alle ore 20.30, al teatro Sociale), che mostra attraverso le vicende vissute dai cinquanta componenti del gruppo internazionale «Silk Road Ensemble» -strumentisti e cantanti, compositori e arrangiatori- come la musica abbia la capacità di oltrepassare i confini geografici e di unire diversi continenti e culture.
Il programma prevede, poi, un appuntamento con i Percussion Staff (martedì 14 marzo, alle ore 21.30, al Nerolidio Music Factory), band che con i suoni di pelli, legni, metalli e strumenti consueti e inconsueti crea uno spettacolo che si avvicina all’happening, nel quale anche i corpi in movimento diventano un elemento imprescindibile.
A chiudere il programma sarà, invece, il Marco Bianchi Lemon Quartett (mercoledì 15 marzo, alle ore 21.30, al Nerolidio Music Factory) con la presentazione del nuovo album «Pixel», caratterizzato da influenze rock, jazz e fusion.
Importante, infine, è la proposta didattica dal titolo «La storia del jazz» (lunedì 13 marzo, alle ore 9.30, che ripercorre le tappe salienti del jazz, dalle lotte dei neri d’America per l’emancipazione agli anni indimenticabili legati alle città di New Orleans, Chicago, New York, fino al free jazz, al jazz rock e alla fusion.
Informazioni utili
Comin’ Jazz 2017. Como – sedi varie. Informazioni: Ufficio Cultura del Comune di Como, tel. 031.252451/472 o cultura@comune.como.it. Programma completo suwww.visitcomo.eu. Dal 9 al 15 marzo 2017.
Seguirà, quindi, una settimana ricca di eventi, aperitivi in musica, concerti e marching band, rivolti ad appassionati del genere e a neofiti, oltre a iniziative dedicate alle scuole. Il tutto contribuirà a riscoprire la vocazione jazzistica di Como che, negli anni Ottanta e Novanta, ha visto numerosi interpreti del genere esibirsi nelle piazze e nei teatri cittadini.
La prima edizione del festival vuole, inoltre, celebrare il centenario della pubblicazione del primo disco jazz, «Livery Stable Blues» dell'«Original Dixieland Jass Band», gruppo guidato da Nick La Rocca, figlio di un immigrato italiano in Louisiana. Questa data simboleggia la nascita ufficiale del jazz, genere musicale che già si poteva sentire qualche anno prima nei quartieri neri di New Orleans.
Dopo il debutto al teatro Sociale (giovedì 9 marzo, alle ore 20.30), il cartellone proseguirà con i ritmi coinvolgenti e dinamici dello Tsunami Trio (venerdì 10 marzo, alle ore 21.30, al Nerolidio Music Factory), nato su iniziativa del pianista Carlo Uboldi, soprannominato nell'ambiente jazzistico Oscar per lo stile e la bravura che spesso si ispirano al grande Oscar Peterson.
Sarà, poi, la volta della parata All Stars Dixieland Marching Band (sabato 11 marzo, alle ore 16), che porterà le vivaci sonorità del jazz per le vie della città, alla quale seguirà l’originale progetto Disney Jazz song (sabato 11 marzo, alle ore 18, al Chiostrino di Sant’Eufemia), presentato da Alceste Ayroldi e con i Bebe Vibe, che offrirà al pubblico un repertorio personalizzato delle colonne sonore dei cartoni animati di Walt Disney con rimandi ai capolavori della musica afroamericana.
Spazio, quindi, all’evento «Il canto del ritmo» (domenica 12 marzo, alle ore 20.30, al teatro Sociale), con tre artisti che affascinano per la loro versatilità e creatività: Enzo Zirilli alla batteria e ale percussioni, Jason Rebello al pianoforte e Marco Micheli al contrabbasso. Ma prima ci sarà «La rivoluzione di un incontro» (domenica 12 marzo, alle ore 17.30, al Chiostrino di Sant’Eufemia), una reinterpretazione improvvisata e libera di pezzi del trombettista Miles Davis e del pianista Bill Evans, il cui incontro storico risale a poco più di sessant’anni fa, che vedrà in scena Luca Garro e Roberto Quadroni.
Nel festival è anche incluso un appuntamento della rassegna «I lunedì del cinema – Il cinema va a teatro», durante il quale verrà proiettato il film «Yo-Yo Ma e i musicisti della via della seta» (lunedì 13 marzo, alle ore 20.30, al teatro Sociale), che mostra attraverso le vicende vissute dai cinquanta componenti del gruppo internazionale «Silk Road Ensemble» -strumentisti e cantanti, compositori e arrangiatori- come la musica abbia la capacità di oltrepassare i confini geografici e di unire diversi continenti e culture.
Il programma prevede, poi, un appuntamento con i Percussion Staff (martedì 14 marzo, alle ore 21.30, al Nerolidio Music Factory), band che con i suoni di pelli, legni, metalli e strumenti consueti e inconsueti crea uno spettacolo che si avvicina all’happening, nel quale anche i corpi in movimento diventano un elemento imprescindibile.
A chiudere il programma sarà, invece, il Marco Bianchi Lemon Quartett (mercoledì 15 marzo, alle ore 21.30, al Nerolidio Music Factory) con la presentazione del nuovo album «Pixel», caratterizzato da influenze rock, jazz e fusion.
Importante, infine, è la proposta didattica dal titolo «La storia del jazz» (lunedì 13 marzo, alle ore 9.30, che ripercorre le tappe salienti del jazz, dalle lotte dei neri d’America per l’emancipazione agli anni indimenticabili legati alle città di New Orleans, Chicago, New York, fino al free jazz, al jazz rock e alla fusion.
Informazioni utili
Comin’ Jazz 2017. Como – sedi varie. Informazioni: Ufficio Cultura del Comune di Como, tel. 031.252451/472 o cultura@comune.como.it. Programma completo suwww.visitcomo.eu. Dal 9 al 15 marzo 2017.
venerdì 24 febbraio 2017
Dante secondo Dalì. In mostra in Puglia le xilografie della «Divina Commedia»
Hanno «l'aspetto variopinto d'ali di farfalla», come amava dire Luis Buñuel, le cento xilografie a colori che Salvador Dalì realizzò tra il 1951 e il 1960 per illustrare la «Divina Commedia» di Dante Alighieri.
Il viaggio iconografico dell’estroso artista spagnolo tra i tre regni ultraterreni nati dalla penna dello scrittore toscano -Inferno, Purgatorio e Paradiso- rivive, in questi giorni, in Puglia. Fino al 5 marzo tre comuni appartenenti dall’Ecomuseo di Peucetia omaggiano, infatti, questo prezioso corpus di illustrazioni, nel quale si ritrovano, per usare le parole di Maurizio Vanni, tutte le caratteristiche dello stile Dalì: «le allucinazioni degli anni Trenta, la mistica del cubismo gotico, del nucleare e dell'arte atomica, il metodo paranoico-critico e l'estetica del molle unita a riferimenti classici».
Le tre sedi pugliesi al centro della rassegna, proposta nell’ambito del progetto «Opere fuori contesto», sono Palazzo de’ Mari ad Acquaviva delle Fonti, il Castello Caracciolo a Sammichele di Bari, e la Chiesa di Sant’Oronzo a Turi.
Composta da cento opere a colori, firmate, numerate e pubblicate da «Les Heures Claires» a Parigi nel 1960, «La Divina Commedia» di Salvador Dalì riunisce trentatré trittici, ognuno dei quali è composto di tre tavole riferite rispettivamente al Paradiso, al Purgatorio e all'Inferno danteschi.
L’opera fonde simboli, allusioni, magia e allegorie in un connubio perfetto, diventando una delle maggiori espressioni del metodo pittorico «paranoico-critico» caratteristico dell’artista surrealista.
Dalì creò questi capolavori nel suo periodo illustrativo migliore e lavorò per quasi nove anni alla realizzazione dei cento acquerelli. In seguito all’esposizione al Musée Galliera di Parigi nel 1960, questi lavori furono trasposti in altrettante xilografie, dopo quattro anni di assiduo lavoro con il maestro stampatore Raymond Jacquet.
Il risultato è eccellente, sia dal punto di vista tecnico che artistico. Il soggetto de «La Divina Commedia», illustrato in precedenza da Botticelli, Blake, Bocklin e Doré, diventa per Dalì un viaggio nella memoria della sua poliedrica sperimentazione e rappresenta una summa della propria arte. Il maestro spagnolo ha raggruppato in questo corpus vari aspetti della sua ricerca stilistica, dalla cosiddetta «estetica del molle» alla curiosità verso i miti classici, dall'interesse per la costruzione michelangiolesca delle figure al gusto per l'incisione circolare che dona loro una forma dinamica. Nell'uso del colore ci si trova davanti ad una vera e propria antologia di modi, dal tratto fragile e guizzante all’uso plastico, come nei panneggi pesanti e materici. Come ne «La Divina Commedia» anche nell’opera di Dalì si respira così un’atmosfera di grandezza, di ostentazione consapevole del sublime.
Affiancano la mostra numerose attività collaterali, tra cui visite guidate e laboratori didattici rivolti ai più piccoli con l’obiettivo di far conoscere il linguaggio espressivo di Dalì. I bambini tra i 7 e i 14 anni potranno, per esempio, sperimentare di persona la metamorfosi degli oggetti e dei corpi partendo dalle immagini bidimensionali delle xilografie, fino ad arrivare alle immagini create da loro stessi. Per la fascia d'età tra i 10 ed i 14 anni il momento pratico sarà, invece, dedicato anche alla lettura delle opere di Dalì tramite il «Gioco dei cadaveri squisiti» inventato dai Surrealisti.
Informazioni utili
«Salvador Dalì- La Divina Commedia» Inferno > Acquaviva delle Fonti, Palazzo de’ Mari | Purgatorio > Sammichele di Bari, Castello Caracciolo | Paradiso > Turi, Chiesa di Sant’Oronzo. Orari: venerdì e sabato, ore 16.00 - 20.30; domenica e festivi, ore10.30 - 13.00 e ore 16.00 - 20.30. Ingresso: intero € 7,00, ridotto € 3,00 (da 6 a 18 anni, gruppi superiori alle 15 unità); gratuito per diversamente abile ed accompagnatore, bambini fino a 5 anni, giornalisti accreditati con tesserino, insegnante accompagnatore di scolaresche. Informazioni: Call center 199.151.123; callcenter@sistemamuseo.it. Sito internet: www.sistemamuseo.it. Fino al 5 marzo 2017.
Il viaggio iconografico dell’estroso artista spagnolo tra i tre regni ultraterreni nati dalla penna dello scrittore toscano -Inferno, Purgatorio e Paradiso- rivive, in questi giorni, in Puglia. Fino al 5 marzo tre comuni appartenenti dall’Ecomuseo di Peucetia omaggiano, infatti, questo prezioso corpus di illustrazioni, nel quale si ritrovano, per usare le parole di Maurizio Vanni, tutte le caratteristiche dello stile Dalì: «le allucinazioni degli anni Trenta, la mistica del cubismo gotico, del nucleare e dell'arte atomica, il metodo paranoico-critico e l'estetica del molle unita a riferimenti classici».
Le tre sedi pugliesi al centro della rassegna, proposta nell’ambito del progetto «Opere fuori contesto», sono Palazzo de’ Mari ad Acquaviva delle Fonti, il Castello Caracciolo a Sammichele di Bari, e la Chiesa di Sant’Oronzo a Turi.
Composta da cento opere a colori, firmate, numerate e pubblicate da «Les Heures Claires» a Parigi nel 1960, «La Divina Commedia» di Salvador Dalì riunisce trentatré trittici, ognuno dei quali è composto di tre tavole riferite rispettivamente al Paradiso, al Purgatorio e all'Inferno danteschi.
L’opera fonde simboli, allusioni, magia e allegorie in un connubio perfetto, diventando una delle maggiori espressioni del metodo pittorico «paranoico-critico» caratteristico dell’artista surrealista.
Dalì creò questi capolavori nel suo periodo illustrativo migliore e lavorò per quasi nove anni alla realizzazione dei cento acquerelli. In seguito all’esposizione al Musée Galliera di Parigi nel 1960, questi lavori furono trasposti in altrettante xilografie, dopo quattro anni di assiduo lavoro con il maestro stampatore Raymond Jacquet.
Il risultato è eccellente, sia dal punto di vista tecnico che artistico. Il soggetto de «La Divina Commedia», illustrato in precedenza da Botticelli, Blake, Bocklin e Doré, diventa per Dalì un viaggio nella memoria della sua poliedrica sperimentazione e rappresenta una summa della propria arte. Il maestro spagnolo ha raggruppato in questo corpus vari aspetti della sua ricerca stilistica, dalla cosiddetta «estetica del molle» alla curiosità verso i miti classici, dall'interesse per la costruzione michelangiolesca delle figure al gusto per l'incisione circolare che dona loro una forma dinamica. Nell'uso del colore ci si trova davanti ad una vera e propria antologia di modi, dal tratto fragile e guizzante all’uso plastico, come nei panneggi pesanti e materici. Come ne «La Divina Commedia» anche nell’opera di Dalì si respira così un’atmosfera di grandezza, di ostentazione consapevole del sublime.
Affiancano la mostra numerose attività collaterali, tra cui visite guidate e laboratori didattici rivolti ai più piccoli con l’obiettivo di far conoscere il linguaggio espressivo di Dalì. I bambini tra i 7 e i 14 anni potranno, per esempio, sperimentare di persona la metamorfosi degli oggetti e dei corpi partendo dalle immagini bidimensionali delle xilografie, fino ad arrivare alle immagini create da loro stessi. Per la fascia d'età tra i 10 ed i 14 anni il momento pratico sarà, invece, dedicato anche alla lettura delle opere di Dalì tramite il «Gioco dei cadaveri squisiti» inventato dai Surrealisti.
Informazioni utili
«Salvador Dalì- La Divina Commedia» Inferno > Acquaviva delle Fonti, Palazzo de’ Mari | Purgatorio > Sammichele di Bari, Castello Caracciolo | Paradiso > Turi, Chiesa di Sant’Oronzo. Orari: venerdì e sabato, ore 16.00 - 20.30; domenica e festivi, ore10.30 - 13.00 e ore 16.00 - 20.30. Ingresso: intero € 7,00, ridotto € 3,00 (da 6 a 18 anni, gruppi superiori alle 15 unità); gratuito per diversamente abile ed accompagnatore, bambini fino a 5 anni, giornalisti accreditati con tesserino, insegnante accompagnatore di scolaresche. Informazioni: Call center 199.151.123; callcenter@sistemamuseo.it. Sito internet: www.sistemamuseo.it. Fino al 5 marzo 2017.
giovedì 23 febbraio 2017
Nanda Vigo e la sua «Exoteric gate» in mostra all'Università di Milano
Rende omaggio a Nanda Vigo, architetto e designer milanese di respiro internazionale, la seconda edizione del progetto «La Statale Arte», che invita artisti italiani e stranieri a dialogare, attraverso lavori e installazioni site-specific, con la suggestiva struttura architettonica degli spazi seicenteschi della sede di via Festa del Perdono.
«Exoteric gate» è il titolo del lavoro esposto fino a sabato 11 marzo al centro del Cortile della Ca’ Granda, per la curatela di Donatella Volontè. Si tratta di un’installazione –la prima realizzata dalla Vigo per uno spazio esterno– che si pone come sintesi di una lunga ricerca avviata con i cronotopi negli anni Sessanta, ambienti o oggetti in cui la luce indiretta filtrata da materiali riflettenti e rifrangenti – vetri stampati, acciai, specchi – genera impressioni incerte che dilatano i concetti di spazio e tempo.
Il ritmo di «Exoteric gate» è quello scandito dalla luce prodotta dai 400 metri di led, mentre il movimento non programmabile è quello dato dalle superfici riflettenti che rendono lo spazio fluido stimolando imprevedibili percezioni.
Le forme dell’installazione creata per il cortile del Richini sono quadrati, cerchi e triangoli, forme primordiali e transculturali che Nanda Vigo considera il vocabolario di base per la costruzione di un linguaggio in cui il codice dei segni muta nell’interazione con la luce e le superfici specchianti.
Le otto piramidi di altezze diverse sono riconducibili sia ai lavori degli anni Settanta, definiti «Stimolatori di spazio», sia ai più recenti «Deep Space»: i primi sono piramidi-specchio in grado di attrarre lo spazio, le architetture circostanti e lo spettatore per restituire una visione multipla e smaterializzata della realtà; quelle del secondo tipo sono invece strutture dalle triangolazioni acute e direzionali, che suggeriscono uno spostamento ascensionale.
Il cilindro centrale si inserisce nella serie dei «Totem» creati dal 2005, e fa riferimento in particolare a quella dei «Neverending Light», strutture verticali che, dalla terra, si prolungano in alto verso lo spazio.
Il titolo «Exoteric Gate», già utilizzato in lavori diversi dal ’76, traduce quel passaggio esoterico e quel viaggio filosofico che Nanda Vigo ha intrapreso già negli anni Sessanta alla ricerca di una sapienza umana. Si tratta dunque di un esoterismo umanista, che sta a fondamento dei diversi piani in cui la sua indagine si è sempre mossa: i piani del reale, dell’irreale e della trascendenza, tradotti in materia luminosa.
Informazioni utili
Exoteric Gate. Cortile della Ca’ Granda - Università Statale di Milano, via Festa del Perdono, 7 – Milano. Orari: lunedì – venerdì, ore 9.00-20.00 e sabato, ore 9-17.30. Ingresso libero. Sito web: www.lastatalearte.it . Fino all’11 marzo 2017
«Exoteric gate» è il titolo del lavoro esposto fino a sabato 11 marzo al centro del Cortile della Ca’ Granda, per la curatela di Donatella Volontè. Si tratta di un’installazione –la prima realizzata dalla Vigo per uno spazio esterno– che si pone come sintesi di una lunga ricerca avviata con i cronotopi negli anni Sessanta, ambienti o oggetti in cui la luce indiretta filtrata da materiali riflettenti e rifrangenti – vetri stampati, acciai, specchi – genera impressioni incerte che dilatano i concetti di spazio e tempo.
Il ritmo di «Exoteric gate» è quello scandito dalla luce prodotta dai 400 metri di led, mentre il movimento non programmabile è quello dato dalle superfici riflettenti che rendono lo spazio fluido stimolando imprevedibili percezioni.
Le forme dell’installazione creata per il cortile del Richini sono quadrati, cerchi e triangoli, forme primordiali e transculturali che Nanda Vigo considera il vocabolario di base per la costruzione di un linguaggio in cui il codice dei segni muta nell’interazione con la luce e le superfici specchianti.
Le otto piramidi di altezze diverse sono riconducibili sia ai lavori degli anni Settanta, definiti «Stimolatori di spazio», sia ai più recenti «Deep Space»: i primi sono piramidi-specchio in grado di attrarre lo spazio, le architetture circostanti e lo spettatore per restituire una visione multipla e smaterializzata della realtà; quelle del secondo tipo sono invece strutture dalle triangolazioni acute e direzionali, che suggeriscono uno spostamento ascensionale.
Il cilindro centrale si inserisce nella serie dei «Totem» creati dal 2005, e fa riferimento in particolare a quella dei «Neverending Light», strutture verticali che, dalla terra, si prolungano in alto verso lo spazio.
Il titolo «Exoteric Gate», già utilizzato in lavori diversi dal ’76, traduce quel passaggio esoterico e quel viaggio filosofico che Nanda Vigo ha intrapreso già negli anni Sessanta alla ricerca di una sapienza umana. Si tratta dunque di un esoterismo umanista, che sta a fondamento dei diversi piani in cui la sua indagine si è sempre mossa: i piani del reale, dell’irreale e della trascendenza, tradotti in materia luminosa.
Informazioni utili
Exoteric Gate. Cortile della Ca’ Granda - Università Statale di Milano, via Festa del Perdono, 7 – Milano. Orari: lunedì – venerdì, ore 9.00-20.00 e sabato, ore 9-17.30. Ingresso libero. Sito web: www.lastatalearte.it . Fino all’11 marzo 2017
mercoledì 22 febbraio 2017
Maurizio Scaparro dona il suo archivio alla Fondazione Giorgio Cini
Si arricchisce di un nuovo tesoro la Fondazione Giorgio Cini di Venezia. Dal 23 febbraio l’Istituto per il teatro e il melodramma, naturale evoluzione del Centro studi per la ricerca documentale sul teatro e il melodramma europeo, acquisirà l’Archivio personale di Maurizio Scaparro, preziosa raccolta documentale relativa alla carriera dell’artista che spazia dagli anni Sessanta ai giorni nostri.
All’atto formale di donazione, previsto per le ore 11, saranno presenti lo stesso Maurizio Scaparro, con Maria Ida Biggi e i critici teatrali Anna Bandettini («La Repubblica») e Maria Grazia Gregori (curatrice del volume «Scaparro. L'illusione teatrale»).
L’archivio Scaparro, del quale per l’occasione verrà esposta una selezione di materiali all’interna della Biblioteca del Longhena, è prevalentemente composto da faldoni contenenti note di regia, copioni, programmi di sala, inviti, locandine, manifesti, foto di scena, rassegne stampa, interviste, bozzetti di scena, figurini per costumi, lettere, pubblicazioni, riprese video e audio.
La documentazione relativa alle regie teatrali, di prosa e lirica, include titoli fondamentali per la carriera del maestro, divenuti storici; tra questi «La Venexiana» (1965), «Don Chisciotte» (1983), «Memorie di Adriano» (1989), «La Bohème» (2007) ed «Eleonora, ultima notte a Pittsburgh» (2011).
Oltre ai materiali riguardanti le regie teatrali, molti sono quelli afferenti alle regie cinematografiche e televisive, insieme a quelli relativi alle mostre curate, agli eventi e ai periodi di direzione artistica dei teatri in Italia e in Europa. Una vasta sezione testimonia, inoltre, il lavoro svolto da Scaparro negli anni di direzione della Biennale Teatro, segnati dallo storico rilancio del Carnevale di Venezia.
A questi materiali documentali si affianca una collezione di manifesti, locandine e programmi di sala, insieme a una preziosa e puntuale rassegna stampa.
A completamento dell’archivio si colloca un ricco fondo fotografico che, oltre a essere un elemento fondamentale per la ricostruzione e lo studio degli eventi scenici e delle manifestazioni curate dal maestro, offre un inedito spaccato del teatro e dello spettacolo italiano della seconda metà del Novecento.
L’Archivio di Maurizio Scaparro è un corpus in continua evoluzione: nel corso degli anni, infatti, verrà incrementato con l’aggiunta di materiali relativi alle regie attuali e a quelle future del maestro. La donazione segna, inoltre, l’inizio di una fruttuosa collaborazione fra l’Istituto per il teatro e il melodramma e Maurizio Scaparro che ha affidato alla Fondazione Giorgio Cini la custodia attiva della memoria della sua opera. In coordinamento con il maestro, L’istituto si impegna a realizzare e promuovere una serie di attività scientifiche e culturali intorno al vasto archivio documentale.
Informazioni utili
Istituto per il Teatro e il Melodramma, Fondazione Giorgio Cini – Isola di San Giorgio Maggiore (Venezia), tel. 041.2710306, email: teatromelodramma@cini.it. Sito internet: www.cini.it.
All’atto formale di donazione, previsto per le ore 11, saranno presenti lo stesso Maurizio Scaparro, con Maria Ida Biggi e i critici teatrali Anna Bandettini («La Repubblica») e Maria Grazia Gregori (curatrice del volume «Scaparro. L'illusione teatrale»).
L’archivio Scaparro, del quale per l’occasione verrà esposta una selezione di materiali all’interna della Biblioteca del Longhena, è prevalentemente composto da faldoni contenenti note di regia, copioni, programmi di sala, inviti, locandine, manifesti, foto di scena, rassegne stampa, interviste, bozzetti di scena, figurini per costumi, lettere, pubblicazioni, riprese video e audio.
La documentazione relativa alle regie teatrali, di prosa e lirica, include titoli fondamentali per la carriera del maestro, divenuti storici; tra questi «La Venexiana» (1965), «Don Chisciotte» (1983), «Memorie di Adriano» (1989), «La Bohème» (2007) ed «Eleonora, ultima notte a Pittsburgh» (2011).
Oltre ai materiali riguardanti le regie teatrali, molti sono quelli afferenti alle regie cinematografiche e televisive, insieme a quelli relativi alle mostre curate, agli eventi e ai periodi di direzione artistica dei teatri in Italia e in Europa. Una vasta sezione testimonia, inoltre, il lavoro svolto da Scaparro negli anni di direzione della Biennale Teatro, segnati dallo storico rilancio del Carnevale di Venezia.
A questi materiali documentali si affianca una collezione di manifesti, locandine e programmi di sala, insieme a una preziosa e puntuale rassegna stampa.
A completamento dell’archivio si colloca un ricco fondo fotografico che, oltre a essere un elemento fondamentale per la ricostruzione e lo studio degli eventi scenici e delle manifestazioni curate dal maestro, offre un inedito spaccato del teatro e dello spettacolo italiano della seconda metà del Novecento.
L’Archivio di Maurizio Scaparro è un corpus in continua evoluzione: nel corso degli anni, infatti, verrà incrementato con l’aggiunta di materiali relativi alle regie attuali e a quelle future del maestro. La donazione segna, inoltre, l’inizio di una fruttuosa collaborazione fra l’Istituto per il teatro e il melodramma e Maurizio Scaparro che ha affidato alla Fondazione Giorgio Cini la custodia attiva della memoria della sua opera. In coordinamento con il maestro, L’istituto si impegna a realizzare e promuovere una serie di attività scientifiche e culturali intorno al vasto archivio documentale.
Informazioni utili
Istituto per il Teatro e il Melodramma, Fondazione Giorgio Cini – Isola di San Giorgio Maggiore (Venezia), tel. 041.2710306, email: teatromelodramma@cini.it. Sito internet: www.cini.it.
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