ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

mercoledì 30 maggio 2018

A Torino una ritrovata Madonna della Fabbrica di San Pietro

È stato da poco oggetto di un importante intervento di restauro e prima di tornare nella sua sede naturale, il Vaticano, è al centro di una mostra promossa dalla Fondazione Torino Musei. Stiamo parlando della «Madonna di Scossacavalli», esposto fino al prossimo 16 luglio a Palazzo Madama, nella Camera delle Guardie.
Il dipinto è un olio su tavola e fu commissionato nel gennaio del 1519 a un «Dipintore», del quale purtroppo non è tramandato il nome e per il quale non c’è al momento un’attribuzione sicura. Conosciamo, invece, il committente, la moglie di tal Pietro Pedreto, che fece realizzare il dipinto per la chiesa di San Giacomo Scossacavalli in Roma. L’edificio sorgeva nei pressi della basilica vaticana, ma fu demolito nel 1937, insieme a tutte le case circostanti della cosiddetta Spina di Borgo, per realizzare la monumentale Via della Conciliazione che dal Tevere conduce a Piazza San Pietro.
In seguito alla demolizione della chiesa di San Giacomo, il dipinto fu trasferito nei depositi della Fabbrica di San Pietro e abbiamo notizia di primi tentativi di restauro nel XVII e poi nel XVIII secolo. Solo nel 2016 venne avviato il non facile restauro, affidando l’incarico a due valenti professionisti romani: Lorenza D’Alessandro per la parte pittorica e Giorgio Capriotti per il supporto ligneo. L’intervento è stato lungo e impegnativo, perché il dipinto era fortemente danneggiato, soprattutto sul busto della Vergine e nella metà inferiore, con cadute irreversibili di colore dovute molto probabilmente all’immersione nell’acqua del Tevere che era straripato allagando tutta la chiesa all’antivigilia di Natale del 1598. Le cronache raccontano che l’acqua si arrestò improvvisamente sotto le labbra della Vergine, lasciando il segno della piena. Quella storica traccia si può ancora riconoscere in una scura linea orizzontale che attraversa il dipinto, e il danno è ancora più evidente nella parte inferiore, dove la pittura è andata totalmente perduta.
Nell’allestimento ideato per Palazzo Madama dall’architetto Roberto Pulitani, del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, oltre al dipinto vengono presentate riproduzioni di fotografie e documenti che descrivono non solo il complesso intervento di restauro in tutte le sue fasi, ma anche la storia della chiesa andata distrutta e del contesto urbanistico ove essa sorgeva. La chiesa di San Giacomo era, infatti, sede dell’Arciconfraternita del Santissimo Corpo di Cristo, che ebbe come confratelli più di venti cardinali - tra i quali i futuri papi Innocenzo IX e Paolo V - e numerose alte cariche della curia romana, con personaggi illustri come Domenico Fontana e Pierluigi da Palestrina.
Il restaurato dipinto della Madonna col bambino era allocato sopra l’altare della prima cappella a destra entrando. Qui certamente lo vide Raffaello, che abitava in un palazzetto di fronte a questa chiesa, e anche il pittore Perin del Vaga, che dimorò anch’egli in Borgo Nuovo in una casa vicino all’abitazione del maestro urbinate, del quale fu allievo e collaboratore. Nel 1521 un anonimo artista di Parma realizzò per la Madonna di Scossacavalli un tabernacolo, che serviva anche da «macchina processionale» quando la venerata immagine mariana veniva solennemente portata in processione, come nell’anno 1522 per scongiurare la peste che aveva colpito la popolazione di Roma. Nella cappella ad essa dedicata, detta anche Cappella della Beata Vergine delle donne, il dipinto fu oggetto d’intensa devozione, testimoniata sulla tavola dalla presenza di numerosi fori e abrasioni dovuti alla pratica devozionale di fissare con chiodi corone, collane, gioielli ed ex voto.

Informazioni utili
Una ritrovata Madonna della Fabbrica di San Pietro. Dalla chiesa di San Giacomo Scossacavalli alla basilica vaticana. Palazzo Madama - Museo civico d’arte antica, piazza Castello - Torino. Orari: lunedì-domenica, ore 10.00-18.00, chiuso il martedì; la biglietteria chiude un'ora prima. Ingresso: intero € 10,00, ridotto € 8,00. Informazioni: tel. 011.4433501. Sito web: www.palazzomadamatorino.it. Fino al 16 luglio 2018. 

Premio Bianca Maria Pirazzoli, quando il teatro è donna

Per molti anni protagonista e attiva animatrice delle attività teatrali del Gruppo Libero, Bianca Maria Pirazzoli è stata un'attrice di grande presenza e regista di ricerca culturale e artistica le cui intuizioni hanno precorso i tempi: dalla capacità di immaginazione progettuale al lavoro per innestare il teatro al di là degli spazi convenzionalmente teatrali, dalla costante vocazione per la formazione e la prosecuzione di linee culturali all'attenzione ai temi che oggi vengono chiamati interculturali, dalla scrittura teatrale alla contaminazione tra teatro, danza e arti figurative.
In occasione del ventennale della sua prematura scomparsa torna l'omonimo premio nazionale a lei dedicato, rivolto ad attrici, aspiranti attrici e scrittrici teatrali, finalizzato alla promozione dei percorsi professionali e di ricerca delle donne in ambito scenico e drammaturgica, la cui prima edizione si era svolta nel 2008.
La giuria del concorso, le cui iscrizioni saranno aperte fino al 7 luglio, sarà presieduta dall'attrice, vincitrice del Nastro d'argento nel 2000, Marina Massironi. La proclamazione delle vincitrici avverrà durante la serata finale del concorso, che si svolgerà il 24 novembre 2018, al teatro Eugenio Pazzini di Verucchio.
Ideato e coordinato da Claudia Palombi e indetto dalla nell’ambito delle sue iniziative e progetti speciali per il teatro Eugenio Pazzini di Verucchio (Rimini), il premio intende ricordare la figura di Bianca Maria Pirazzoli, attrice, regista, animatrice culturale bolognese che ha diretto per quasi vent'anni Il Gruppo Libero (nota realtà teatrale cittadina domiciliata presso il teatro S. Martino), attraverso un lungo e intenso percorso di ricerca e sperimentazione, che ha contribuito alla crescita culturale della città di Bologna. Con intuizioni che spesso precorrevano i tempi, Bianca Maria Pirazzoli ha intrecciato la ricerca sul contemporaneo, la pratica laboratoriale, l'indagine sulla scrittura scenica femminile, il teatro come inter-cultura, con un forte anelito verso la formazione e la prosecuzione di linee culturali.
L'intento del premio, suddiviso in tre sezioni (Premio miglio attrice, Premio miglior aspirante attrice e Premio per il miglior monologo teatrale al femminile inedito) è mantenere vivo lo spirito e il senso profondo del lavoro di Bianca Maria Pirazzoli, che sempre ha valorizzato i percorsi femminili nell'ambito della ricerca e della scrittura teatrale, e dare non solo visibilità, ma anche opportunità concrete alle donne che desiderino lavorare nel teatro.

Il concorso, infatti, per sua stessa natura si è rivolto ad attrici e scrittrici, affermate o agli esordi, che lavorano o aspirano a lavorare in un teatro, o meglio nei teatri, della ricerca, della sperimentazione, del possibile e del vivifico.
Il concorso è suddiviso in tre sezioni: la prima è rivota ad attrici già operanti in teatro con l’intento di dare alle partecipanti visibilità e riconoscimento del loro lavoro; la seconda a giovani attrici emergenti con l’intento di dare opportunità alla più meritevole di entrare nel vivo della pratica teatrale; la terza al miglior monologo teatrale al femminile inedito rivolto a scrittrici di teatro in lingua italiana con l’intento di incoraggiare e diffondere la produzione drammaturgica delle scrittrici.
Tutte le finaliste della terza sezione vedranno il proprio testo pubblicato in libro/copione appositamente edito a cura del premio. Il libro sarà presentato durante la serata di premiazione e ciascuna finalista ne riceverà una copia. Il testo vincitore –a discrezione dell’organizzazione del premio– verrà prodotto e programmato dalla Compagnia Fratelli di Taglia nel corso della stagione teatrale 2019 -2020, per la regia di Claudia Palombi e interpretato dalla vincitrice della sez. B. Un'occasione, dunque, importante per le donne che fanno teatro quella proposta dal premio Bianca Maria Pirazzoli.

Informazioni utili
http://www.fratelliditaglia.com/index.php/20-iniziative/44-premio-pirazzoli



martedì 29 maggio 2018

«Il rumore del silenzio», un viaggio fotografico tra le bellezze di Pantelleria

«Non credo esista nel mondo un posto più appropriato per pensare alla luna». Così ha scritto Gabriel Garcia Marquez, durante una sua vacanza a Pantelleria.
A quell’isola magica, dove la natura incontaminata si fa largo tra nere rocce vulcaniche, è dedicato il progetto fotografico «Il rumore del silenzio», che accoglie negli spazi della Fondazione Cominelli di San Felice del Benaco, in provincia di Brescia, una sessantina di fotografie.
Gli autori delle immagini esposte, visibili fino al prossimo 17 giugno, sono Anna Huerta, Grazia Cucci, Guido Santini e Adrian Hamilton (famoso per lo scatto dall’alto per la Pirelli del 1978, con centoquaranta automobili che formavano la lettera P), oltre ai curatori Dario Pace e Anna Ferrara.
Le opere esposte sono a colori o in bianco e nero e utilizzano tecniche di stampa ispirate al mondo dell’arte, come la sublimazione diretta con finitura lucida e matt, per poter trasmettere le intense emozioni dell’isola così da far sentire il visitatore avvolto dall’intensità dei suoi colori e della sua vita.
Pantelleria è un luogo fuori dal comune, che entra nell’anima e che s’insinua in profondità, nelle viscere più intime dell’essere con le sue atmosfere, i colori, i profumi ed i suoi silenzi.
La magnifica architettura ancestrale dei dammusi, contornata da muri a secco, fanno di questa terra, adibita nel tempo alla coltivazione dell’uva zibibbo, dei capperi e dell’ulivo, una fonte di continua ispirazione.
La sua straripante natura e la sua capacità di essere lontana dalla quotidianità ne fanno un rifugio magico per chi odia il traffico e i ritmi della città.
Le immagini esposte ci spingono nel profondo di questo paesaggio silente, incastonato nel suo meraviglioso mare blu verde e sembrano volerne fissare l’anima.
Il progetto espositivo riesce così a trasmettere al visitatore le emozioni di Pantelleria, a far assaporare in qualche modo i profumi, i silenzi e le sfumature dei colori isolani.
Ecco così immagini di mani che raccolgono uva, di uomini che si riposano dopo il pranzo, di onde del mare, di alberi che evocano il fruscio del vento, di conversazioni sospese nell’aria. E, di immagine in immagine, vengono in mente le parole di Ludwig van Beethoven: «Non rompere il silenzio, se non per migliorarlo».

Informazioni utili
«Il rumore del silenzio». Fondazione Cominelli, Via Padre Francesco Santabona, 5, 25010 San Felice del Benaco (Brescia). Orari: sabato e domenica, dalle ore 10.00 alle ore 13.00 e dalle ore 15.30 alle ore 19.30. Ingresso libero. Informazioni utili: facebook.com/pantelleria e www.instagram.com/pantelleriailrumoredelsilenzio/. Fino al 17 giugno 2018.

Donnafugata, le etichette di Stefano Vitale in mostra a Milano

È un dialogo tra arte ed enologia che guida il pubblico tra i colori, i profumi e i sapori della Sicilia, dalle pendici dell’Etna fino alle scogliere a picco di Pantelleria, quello che va in scena a Milano, negli spazi di Villa Necchi Campiglio, con la mostra «Inseguendo Donnafugata», promossa grazie alla preziosa collaborazione del Fai – Fondo per l’ambiente italiano.
L’esposizione, per la curatela di Lorenzo Damiani, allinea i bozzetti e le illustrazioni originali realizzati dall’artista Stefano Vitale per i vini Donnafugata; a questi materiali sono affiancati video, fotografie e documenti, che raccontano le fonti d’ispirazione, i protagonisti e i paesaggi all’origine delle vivacissime storie a colori con cui l’artista padovano ha vestito in questi ultimi vent’anni le bottiglie di uno dei brand vinicoli più amati del nostro Paese.
Il visitatore si ritrova così ad ammirare piccoli tesori coloratissimi, dal forte potere espressivo ed evocativo, che raccontano il vino e la Sicilia attraverso un linguaggio fantastico e femminile straordinariamente identitario.
Nell’ultima, ma fondamentale tappa della mostra, quella dell’assaggio del vino, il pubblico può, poi, cogliere la perfetta sintonia tra illustrazione e oggetto, tra contenitore e contenuto, tra artista e produttore, tanto che l’opera di Stefano Vitale per Donnafugata può dirsi uno dei più riusciti e fortunati casi di perfetta identificazione tra brand e prodotto.
Il progetto espositivo, visibile fino al prossimo 22 luglio, ha, dunque, la struttura di un racconto che, dal semplice segno e dal puro colore, ambisce a disvelare temi universali quali il coraggio, l’amicizia, l’innovazione, l’amore per la propria terra d’origine: il carattere e i valori che sono alla base di questa esperienza artistica e artigianale. Attraverso differenti capitoli e tappe, la mostra svela aneddoti, protagonisti e piccole grandi storie di vita e di lavoro. Quella che va in scena è la storia di una famiglia che, con capacità e passione, ha saputo valorizzare la coltivazione della vite nel rispetto dell’ambiente e del territorio, nobilitando la produzione del vino. Come in un film corale, i protagonisti si alternano nelle foto di Guido Taroni e nelle video interviste di Virginia Taroni che integrano il percorso espositivo. Si parte da Gabriella e Giacomo Rallo, fondatori di Donnafugata e di questo nome, che deriva dal più siciliano dei romanzi, «Il Gattopardo», e che evoca la fuga e il rifugio della regina Maria Carolina di Borbone nelle terre dove oggi sorgono i vigneti: un sogno, tradotto in un progetto d’impresa. Fin da subito si lega al progetto Stefano Vitale che, ispirato dall’amicizia con Giacomo e Gabriella, diventa interprete appassionato dell’iconico universo simbolico di questa donna- in-fuga, e dei suoi tanti volti. Arrivano poi José e Antonio - quinta generazione di questa famiglia -, con José che, attraverso la musica jazz, sperimenta modi nuovi per comunicare il vino, e Antonio, winemaker, custode di un fare sartoriale che, con la viticoltura eroica di Pantelleria, raggiunge vette di eccellenza riconosciute in tutto il mondo: sono loro che guidano i nuovi progetti di una vicenda in moto perpetuo e, per questo, sempre da inseguire.
A chiudere la mostra è un tributo al legame che unisce il FAI e Donnafugata: l’ultima illustrazione realizzata da Vitale raffigurante il Giardino Pantesco che nel 2008 Giacomo Rallo ha donato alla fondazione, simbolo del comune impegno per l’educazione alla bellezza e all’armonia tra l’uomo e la natura.
La mostra rappresenta anche l’occasione per conoscere il vino attraverso un’esperienza fatta di musica – alcuni brani del «Donnafugata Music&Wine», come una colonna sonora, accompagnano il visitatore lungo il percorso della mostra – e di vino, che si potrà degustare nel giardino di Villa Necchi Campiglio.
La mostra sarà, infine, accompagnata da un catalogo edito dal FAI, il racconto di un viaggio inseguendo questa donna-fugata ora «innamorata», ora «innovatrice», ora «in musica», ora «isolana», ora «in moto perpetuo».

Informazioni utili 
 «Inseguendo Donnafugata». Villa Necchi Campiglio, Via Mozart, 14 – Milano. Orari: da mercoledì a domenica, dalle ore 10.00 alle ore 18.00. Ingresso con visita alla villa: Intero: € 12,00; ridotto (ragazzi 4-14 anni): € 4,00; Iscritti Fai gratis. Informazioni: tel. 02.76340121. Note: chiusura dal 13 al 17 giugno 2018. Fino al 22 luglio 2018.

lunedì 28 maggio 2018

Toscana, la Tavola Doria in mostra al Castello di Poppi

«Prendete uno dei borghi più belli d’Italia, il tocco del genio, la storia rocambolesca di un’opera ancora sotto tanti aspetti avvolta nel mistero e il gioco è fatto»: inizia così il comunicato stampa della mostra «Nel segno di Leonardo. La tavola Doria dagli Uffizi al Castello di Poppi», in programma dal 7 luglio al 30 settembre negli spazi delle scuderie del Castello di Poppi in Casentino, prima valle dell’Arno.
Al centro dell’esposizione, che prevede un allestimento multimediale ad alta tecnologia con proiezioni in HD di disegni leonardiani e l’ologramma del genio di Vinci a fare da cicerone, c’è uno dei dipinti più celebri e contesi dell’arte italiana del Cinquecento: la tavola Doria.
L’opera, illegalmente esportata dall’Italia, dopo una lunga peregrinazione fra Germania, Stati Uniti, Giappone e Svizzera, è rientrata miracolosamente nel nostro Paese nel 2012 ed è stata al centro, negli anni passati, di due mostre, una al Palazzo del Quirinale (27 novembre del 2012 – 13 gennaio 2013), l’altra agli Uffizi di Firenze (24 marzo – 29 giugno 2014).
Contesa in passato fra il sultano del Brunei e il fondatore della Microsoft, Bill Gates, la Tavola Doria è un dipinto a olio su tavola, di forte impatto e suggestione, che misura 86x110 centimetri. Raffigura la Lotta per lo stendardo, la scena centrale della Battaglia di Anghiari, il leggendario affresco di Leonardo (andato perduto) nella parete destra del Salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio, che secondo il programma originale della decorazione avrebbe dovuto illustrare il sanguinoso scontro che il 29 giugno del 1440 ad Anghiari mise di fronte l’esercito dei Visconti, duchi di Milano ed una coalizione composta da truppe fiorentine, pontificie e veneziane.
L’opera, proveniente dalla collezione Doria D’Angri di Napoli, passò nel 1940 nelle mani del nobile genovese Giovanni Nicolò De Ferrari. Da allora se ne persero le tracce fino a quando nel 2009, dopo trent’anni di indagini e due di caccia serrata, il Comando dei carabinieri - Tutela patrimonio culturale la ritrovarono in un caveau al Porto Franco di Ginevra.
Nel 1992 la tavola venne acquistata dal Tokyo Fuji Art Museum; nel 2012 è stata restituita all’Italia che ha concesso all’istituzione giapponese per venticinque anni (fino al 2037), di poterla avere in prestito, con l’alternanza di due anni in Italia e di quattro in Giappone.
Al centro della scena, partendo da destra sono raffigurati i due combattenti della coalizione, Pietro Giampaolo Orsini e Ludovico Scarampo Mezzarota, mentre lottano per strappare lo stendardo visconteo ai nemici. Sul lato opposto Francesco e Niccolò Piccinino tentano a colpi di spada di difendere il possesso del vessillo. Lo scontro è violento, furioso, amplificato acusticamente dai cavalli che cozzano i musi l’un contro l’altro, tanto che Giorgio Vasari parla di un «groppo di cavalli!», cioè un viluppo di animali e cavalieri. La lotta si fa serrata anche fra i cavalieri a terra, come documenta a destra l’uomo raffigurato sotto le zampe del cavallo, detto «bozzolo».
Si tratta della più importante per quanto martoriata testimonianza pittorica di quella che il Cellini definì la «scuola del mondo», il celebre dipinto murale affidato a Leonardo nel maggio del 1504 per il cui cartone preparatorio egli ricevette un compenso ragguardevole di 35 fiorini e altri 15 al mese per terminare in fretta l’opera – era ben noto come l’artista, impegnato in quegli anni su più fronti, fosse refrattario alle scadenze la chiusura dei suoi lavori.
La Tavola Doria, la cui paternità in passato è stata a lungo contesa fra Leonardo e un pittore fiorentino della prima metà del Cinquecento, viene esposta al Castello di Poppi con l’attribuzione a Francesco Morandini, detto il Poppi, avanzata da Louis A. Waldman del Dipartimento di arte e storia dell’Università di Austin (Texas).
Nato a Poppi nel 1544 e morto a Firenze nel 1597, il Morandini fu uno degli artisti attivi nella decorazione del celebre Studiolo di Francesco I in Palazzo Vecchio. Fu altresì autore di altre importanti opere a Firenze, Prato, Roma ed a Poppi, dove è documentato fra il 1575 e il 1576 e dopo il 1584 con importanti commesse come la chiesa dell’Annunziata delle monache camaldolesi (che accoglieva due sorelle del pittore, Dianora e Margherita) e per altri centri del Casentino.
La mostra proseguirà lungo il borgo di Poppi nei luoghi dove sono custodite tavole del Morandini come l’Abbazia di San Fedele, la Propositura dei Santi Marco e Lorenzo, il Monastero delle Camaldolesi.
L’occasione è ghiotta per gli appassionati del turismo slow che quest’estate avranno un’occasione in più per venire in quest’angolo di Toscana, terra di monasteri (La Verna e Camaldoli) e di castelli feudali (Castello di Poppi, Porciano, Romena e Castel San Niccolò), di emozionanti itinerari nel verde e di buon cibo.

Informazioni utili 
«Nel segno di Leonardo. La tavola Doria dagli Uffizi al Castello di Poppi». Castello dei conti Guidi, piazza della Repubblica, 1 – Poppi (Arezzo). Orari: tutti i giorni, dalle ore 10.00 alle ore 19.30. Ingresso: intero € 7,00, ridotto € 4,00. Informazioni: tel. 0575 520516 / info@castellodipoppi.it. Dal 7 luglio al 30 settembre 2018.

domenica 13 maggio 2018

«(S)canovacci», gli «Attori in erba» raccontano la Commedia dell'arte al Manzoni di Busto

Un gruppo di attori girovaghi, un carrozzone con un teatro smontabile e tanti fantasiosi scenari, bauli pieni di stoffe colorate, cuffie, cappelli e abiti di scena, vettovaglie, generi alimentari di ogni tipo e le maschere più famose della tradizione italiana: da Arlecchino a Pulcinella, da Colombina a Pantalone, da Capitan Spaventa al dottor Balanzone, senza dimenticare Tartaglia, Brighella, i giovani innamorati, la furba Smeraldina e le tante giovani attrici che, nell’Italia del Seicento e Settecento, portarono il buon nome del teatro italiano in tutta Europa. Il magico mondo della Commedia dell’arte, con i suoi frizzi e lazzi, è al centro della favola musicale «(S)canovacci», in agenda venerdì 18 maggio, alle ore 20.45 (con inizio reale della rappresentazione alle ore 21), al cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio.

«Attori in erba», trentacinque bambini sul palco 
Lo spettacolo vedrà salire sul palco trentacinque bambini e ragazzi di età compresa tra i sei e i sedici anni iscritti ai corsi «I piccoli attori» e «Attori in erba», due laboratori di animazione e di educazione alla teatralità e allo spettacolo per studenti delle scuole primarie e secondarie di primo grado, nonché dei primi due anni delle superiori, promosso dall'associazione «Culturando» nell’ambito della scuola multidisciplinare di teatro «Il cantiere delle arti».
Firma la regia l’attore bergamasco Gerry Franceschini, che si è avvalso dell’aiuto per il montaggio delle varie scene di Davide De Mercato. Luci e fonica vedranno all'opera Maurizio «Billo» Aspes.
Il testo dello spettacolo, elaborato da Annamaria Sigalotti, è stato redatto a partire dagli esercizi di scrittura creativa con gli «Attori in erba» e dalle improvvisazioni teatrali tenutesi durante l’anno su vari libri scritti per avvicinare i più piccoli al mondo della Commedia dell’arte e delle maschere della tradizione italiana: «Maschere – Un libro per leggere, per fare teatro, per divertirsi» (Editrice Piccoli, Torino 1997), «Storie di maschere» (Nuove edizioni romane, Roma 1980) di Gina Bellot e Viviana Benini, «Comandi, sior paròn. Storie e storielle del Carnevale di Venezia» (Nuove edizioni romane, Roma 2007), «Le maschere. Caratteri, storia e costumi» (Capitol, Bologna 1990) di Vito Montemagno e «Le maschere italiane» (Edizioni Primavera, Firenze 1992) di Carla Poesio, oltre al prezioso volume «Ti conosco, mascherina» (edizioni corsare, Spello 2011) di Francesca Rossi, dal quale è stata tratta l’immagine guida dello spettacolo.

«Del teatro viaggiante è la mia» E «Arlecchino, Pulcinella e Rodari»: due spettacoli in uno
«Maschere strambe non vengono da Marte, ma dall’antica Commedia dell’arte […] Saltano, ruotano, fanno dei lazzi, son divertenti, allegre e un po’ pazze. Mettono in giro pettegolezzi, parlano tanti dialetti diversi» canteranno, sulle vivaci note di Paola Fontana, «I piccoli attori» in apertura della prima parte di «(S)canovacci», intitolata «Arlecchino, Pulcinella e Gianni Rodari». In scena ci saranno sedici bambini dai 6 ai 10 anni, che racconteranno, sotto la guida di un simpatico e buffo nonno attore, interpretato da Gerry Franceschini, che cosa hanno imparato quest’anno durante il corso «Ti conosco, mascherina!».
Grande spazio in questa prima parte della favola musicale, che si chiuderà con la canzone «La ballata di Pulcinella» di Gabriella Marolda, verrà data al racconto fatto da Gianni Rodari della Commedia dell’arte. Si inizierà con una libera lettura scenica della storia «Gli esami di Arlecchino», nella quale il dottor Balanzone promuoverà tutti intenerito dalle note di «Bèla Bùlagna», proposta nell’arrangiamento di Massimo Tagliata per i sessant’anni dello Zecchino d’oro in una coreografia firmata dalle «attrici in erba» Sara Mascheroni e Anna Giulia Pittarello. Seguirà, quindi, un’inedita interpretazione del racconto «La fuga di Pulcinella», dove la celebre maschera napoletana sceglierà la primavera per volare via libera da tutti i vincoli, rimanendo viva nel ricordo delle sue amiche marionette come il «re della bella Napoli».
La seconda parte dello spettacolo, intitolata «Del teatro viaggiante è la magia», si aprirà, invece, sulle note di un vivace «Saltarello», base musicale di una colorata coreografia che coinvolgerà il pubblico in sala, trasportandolo nell’Italia del 1639 per raccontargli, a suon di dialetti e di musiche del tempo, le avventure di una sconosciuta compagnia di comici della Commedia dell’arte, «I chiacchieroni», in giro per l’Italia con il loro carrozzone.
Diciannove ragazzi dagli 11 ai 16 anni, che hanno preso parte al corso «Tra maschere, lazzi e canovacci», proporranno al pubblico un divertente viaggio in compagnia delle smargiassate di Capitan Spaventa, delle tiritere del dottor Balanzone, dei discorsi a doppio senso di Tartaglia (al centro di una divertente scena scritta dall’«attore in erba» Leonardo Campari), di storie di fame e di amore, di bugie e di tirannia del forte sul debole, che si chiuderà a Venezia, la città per antonomasia delle maschere, del romanticismo e del Carnevale, con un omaggio all’astuzia femminile di Colombina e alla musica classico-pop dei Rondò veneziano.

Culturando, …e il corso di teatro è multidisciplinare 
 Lo spettacolo «(S)canovacci», inserito nelle attività della scuola multidisciplinare di teatro «Il cantiere delle arti» di «Culturando», chiude il progetto «Commedia dell’arte: Arlecchino, Pulcinella e…», riservato ai ragazzi dai 6 ai 16 anni e articolato in due corsi di recitazione, danza, musica, scrittura creativa e arte, che hanno visto quest’anno alternarsi nel ruolo di insegnanti -oltre a Gerry Franceschini, Davide De Mercato e Annamaria Sigalotti- Anna De Bernardi per il canto, Serena Biagi per la danza e Stefano Montani per la recitazione. Quasi una quarantina i moduli didattici di due ore e trenta ciascuno, tenutisi dal 22 settembre 2017 al 18 maggio 2018, ai quali hanno preso parte complessivamente cinquantadue bambini e ragazzi, alcuni dei quali avevano già affrontato lo scorso anno il tema della Commedia dell’arte con lo spettacolo «C’era una volta…Gioachino Rossini».
Il costo del biglietto è fissato ad euro 10,00 per l’intero ed euro 7,00 per il ridotto, riservato ai bambini fino ai 12 anni. I biglietti sono in vendita on-line sul sito www.cinemateatomanzoni.it e, nei giorni antecedenti spettacolo, anche al botteghino della sala di via Calatafimi. Per informazioni e prenotazioni è possibile contattare l’associazione «Culturando» al numero 347.5776656 o all’indirizzo info@associazioneculturando.com e il cinema teatro Manzoni al numero 0331.677961 o all’indirizzo e-mail info@cinemateatromanzoni.it.

venerdì 4 maggio 2018

L’ «Allegoria del Sonno» di Alessandro Algardi è a Bologna

È frutto di un rapporto di scambio e collaborazione con la Galleria Borghese di Roma la mostra, a cura di Alessandra Mampieri, che il Museo civico di Bologna dedica ad Alessandro Algardi (Bologna, 27 novembre 1598 – Roma, 10 giugno 1654) e alla sua scultura «Allegoria del Sonno». L’opera, esposta per la prima volta nella città natale dell’artista, arriva in Emilia Romagna in seguito al prestito fatto nei mesi scorsi dai Musei civici felsinei del «Busto di papa Gregorio XV», recentemente esposto nella grande mostra capitolina dedicata al genio del barocco.
Alessandro Algardi, massimo rappresentante della corrente classicista nel periodo di piena fioritura della cultura figurativa barocca, inizia il suo cammino artistico a Bologna, dove frequenta l'Accademia degli Incamminati, allora guidata da Ludovico Carracci, e al contempo acquista dimestichezza con la scultura al fianco di Giulio Cesare Conventi. Nel 1619 circa si trasferisce alla corte dei Gonzaga, a Mantova, e, dopo un breve soggiorno a Venezia, nel 1625 giunge definitivamente a Roma, dove entra al servizio del cardinale bolognese Ludovisi in qualità di restauratore. Membro dell'Accademia di San Luca dal 1630, ne diviene Principe nel 1639. Intorno alla metà degli anni Trenta si afferma sulla scena capitolina, ricevendo prestigiose commissioni sia per statue dalle dimensioni contenute destinate a collezioni private.
Esemplare in tal senso è la scultura «Allegoria del Sonno», realizzato tra il 1635 e il 1636 su commissione del principe Marcantonio Borghese. Si tratta di un prezioso marmo nero raffigurante un putto con leggere ali di farfalla placidamente addormentato; le capsule e le foglie di papavero da oppio che ne incoronano i capelli ricciuti, al pari del piccolo ghiro acciambellato sulla roccia, sono soggetti allegorici che alludono simbolicamente al sonno.
Il trattamento del marmo in questa opera di grande compostezza compositiva appare magistrale, sia nel contrasto tra la superficie liscia del corpo levigato, quasi lucente, e il terreno su cui poggia il dormiente, scabro e opaco, sia nella resa della morbida pelliccia del piccolo animale accanto al putto, sia nella grazia spontanea del volto, colto con le labbra dischiuse e le palpebre appena abbassate.
Destinata alla Villa Pinciana della famiglia Borghese, l’opera venne collocata in un ambiente situato al primo piano, che da essa prese il nome di «Stanza del Sonno». Fortemente ispirata alla scultura antica, la statua divenne in breve tempo celebre, anche grazie a un aneddoto narrato dal biografo di Algardi, Giovanni Battista Passeri.
Secondo questa versione, lo scultore avrebbe realizzato l’«Allegoria del Sonno» per confondere i detrattori che sostenevano non fosse capace di scolpire il marmo, e avrebbe scelto di utilizzare una pietra famosa per la sua durezza, il marmo del Belgio, noto anche come «pietra di paragone», per esprimere ancora di più il suo virtuosismo. In realtà, la scelta di questo pregiato materiale si deve probabilmente alla volontà del committente e appare legata al motivo iconografico rappresentato, che potrebbe essere interpretato come un’allegoria del sonno, o piuttosto della morte. Inoltre, va ricordato che, al momento in cui realizzava questa composizione, Algardi era impegnato nell’esecuzione di tre grandi gruppi in marmo («La Decollazione di San Paolo» per la chiesa bolognese dei Padri Barnabiti, il «Monumento funerario di Leone XI» per la basilica vaticana e il «San Filippo Neri e l'Angelo» per la chiesa romana di Santa Maria in Vallicella), a dimostrazione di quanto la sua rapida ascesa all’interno della scena artistica romana si fosse affermata dal 1625, anno del suo arrivo.
In occasione della mostra, viene eccezionalmente allestita, nella sala dei bronzi del Museo civico medievale, anche la scultura «San Michele Arcangelo che atterra il demonio», realizzata nel 1647 dallo stesso scultore bolognese per la biblioteca del monastero di San Michele in Bosco. L’accostamento ravvicinato di questo lavoro con l'«Allegoria del Sonno» permette in questo modo al pubblico di ammirare l’abilità tecnica dimostrata dall’artista nella lavorazione di materiali profondamente diversi, come il marmo e il bronzo.
L’opera -racconta Jennifer Montagu, nell’introduzione al catalogo- «è una delle poche sculture in metallo opera di Algardi, che ci siano rimaste, fuse nella sua bottega, sotto la sua diretta supervisione. Tuttavia non rientra perfettamente in una categoria univoca. Con i suoi 74 cm di altezza è troppo grande per poter essere considerata un bronzetto e comunque non è una scultura in bronzo in scala reale. Eppure possiede tutta la accuratezza di movimento di un bronzetto e allo stesso tempo ha la monumentalità di una statua in bronzo; si muove libero nello spazio, invitando l’osservatore ad esaminarlo da tre lati (anche se perfettamente lavorato sul retro, chiaramente non era inteso per essere visto da quella angolazione), e pur nel suo evidente rapporto con il dipinto di Guido Reni in Santa Maria della Concezione a Roma, dove l’arcangelo è rappresentato in posa rigidamente frontale, è una deliberata dichiarazione di Algardi di superiorità della Scultura nell'antico Paragone tra le arti».
Dal museo, il percorso di visita si apre verso la città alla scoperta delle importanti testimonianze della produzione di Alessandro Algardi ancora oggi visibili: le sculture giovanili «San Procolo» e «San Petronio» nell'Oratorio di Santa Maria della Vita, che rivelano l'influenza di Guido Reni, la «Testa di San Filippo Neri» in cera conservata al Museo Davia Bargellini, fino al trionfo del marmo monumentale della «Decollazione di San Paolo», tutt'oggi collocato sull'altare maggiore della chiesa di San Paolo Maggiore.
Per l’occasione i Musei civici bolognesi hanno predisposto così anche un cartellone di passeggiate (22 marzo, 19 aprile e 17 maggio) e visite guidate (11 e 18 marzo, 22 aprile, 13 maggio, 26 maggio e 10 giugno) e di conferenze a tema (29 marzo, 12 aprile e 2 maggio) per approfondire la figura di questo grande scultore, che fu degno concorrente e rivale di Gian Lorenzo Bernini. 

Didascalie delle immagini
[Fig.2 e 4] Alessandro Algardi, L’Allegoria del Sonno, 1635-36. Marmo nero del Belgio, cm 48 x 90. Galleria Borghese, Roma. Credito fotografico: Ufficio iconografico Galleria Borghese, Roma; [fig. 1 e 3] Alessandro Algardi, San Michele Arcangelo che atterra il demonio. Bronzo, altezza cm 74. Museo Civico Medievale, Bologna 

Informazioni utili 
L’Allegoria del Sonno di Alessandro Algardi dalla Galleria Borghese. Museo civico Medievale, via Manzoni, 4 - Bologna. Orari di apertura: dal martedì alla domenica e festivi, ore 10.00 – 18.30; chiuso i lunedì feriali e il 1° maggio Ingresso: intero € 5,00, ridotto € 3,00, gratuito Card Musei Metropolitani Bologna e la prima domenica del mese. Informazioni: tel. 051.2193916 / 2193930 e museiarteantica@comune.bologna.it. Sito web: www.museibologna.it/arteantica. Fino al 10 giugno 2018. 

mercoledì 2 maggio 2018

«Freddy Aggiustatutto», una commedia da premio al Manzoni di Busto

Luccicante, artefatto e perennemente in bilico tra essere e non essere: strizza l’occhio al mondo della televisione lo spettacolo «Freddy Aggiustatutto» di Lorenzo Riopi e Tobia Rossi, testo vincitore della quinta edizione del concorso nazionale «Una commedia in cerca di autori», che venerdì 4 maggio, alle ore 21, sarà in scena al cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio.
La commedia, inserita nel cartellone cittadino «BA Teatro», è l’ottavo e ultimo appuntamento della stagione «Mettiamo in circolo la cultura – 2017/2018», ideata da Maria Ricucci dell’agenzia «InTeatro» di Opera (Milano) con l’intento di offrire al pubblico occasioni di riflessione, ma anche di divertimento leggero, attraverso otto spettacoli di prosa con noti personaggi della scena contemporanea, tra cui Lorella Cuccarini, Giampiero Ingrassia, Geppi Cucciari, Sergio Assisi, Vanessa Gravina, Valentina Lodovini, Ivano Marescotti e Max Pisu.
Si chiude, dunque, ancora una volta all’insegna delle risate e della collaborazione virtuosa con «La Bilancia Produzioni», società che gestisce i teatri Martinitt di Milano e de’ Servi di Roma, la stagione del cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio.
Dopo aver divertito lo scorso anno il pubblico con «Bedda Maki – Come reSUSHItare il ristorante e vivere felici» la sala di via Calatafami accende, quindi, nuovamente i riflettori sui vincitori del contest «Una commedia in cerca di autori», la cui finalità principale è la ricerca di talentuosi drammaturghi under 40 che diano nuovo vigore a un genere, quale quello del teatro brillante, che fa parte della nostra storia.
Sul palco, sotto la regia di Roberto Marafante, saliranno cinque talentuosi attori professionisti: Giuseppe Cantore, Giulia Carpaneto, Alessia Punzo e Alessandra Schiavoni.
«Freddy Aggiustatutto» offre una fotografia spietata e cinica del mondo televisivo, emblema della superficialità e della manipolazione, raccontando la storia di un ragazzo ipocondriaco e ingenuo, che, sul piccolo schermo dell’emittente satellitare Life TV, si trasforma in un macho palestrato disponibile ad aiutare casalinghe disperate. «Quando Freddy -si legge nella sinossi dello spettacolo- presenta candidamente ai suoi colleghi la nuova fidanzata, Anna, una ragazza decisamente sovrappeso e dalla risata imbarazzante, si scatena la gelosia della produttrice del programma, Cora, che farà di tutto per sabotare la relazione tra i due. Di mezzo ci si metteranno anche Giorgio, proprietario dell’emittente, bonario e donnaiolo, e Nadia, attrice che lavora a ritmi massacranti per Life TV, costretta a impersonare ruoli da donnina fragile, quando in realtà è un vero maschiaccio». Tutto, dunque, in questa piccola televisione non è come appare, anzi è proprio l’opposto.
«Freddy Aggiustatutto» è, dunque, « una commedia che gioca col mondo delle real TV, un tipo di spettacolo che vuole raccontare la vita reale ma finisce per creare maschere ‘più finte del finto’», commentano Lorenzo Riopi e Tobia Rossi. «Su questo paradosso abbiamo costruito la storia che fotografa un’Italia dominata dalle ossessioni: il denaro, la popolarità, l’aspetto fisico. Il tutto, giocando col genere dinamitardo della commedia».
«La televisione -prosegue il regista Roberto Marafante- la fa ancora da padrona: condiziona le nostre scelte, i nostri gusti, le nostre diete e persino la nostra visione della realtà. Fortunatamente in teatro è possibile aggiungere un elemento nuovo e corrosivo, che incrinerà quella visione patinata del mondo a cui ci siamo purtroppo assuefatti».
Il costo del biglietto per la commedia «Freddy Aggiustatutto» è fissato ad € 33,00 per la poltronissima, € 30,00 (intero) o € 27,00 (ridotto) per la poltrona, € 28,00 (intero) o € 25,00 (ridotto) per la galleria. Le riduzioni sono previste per studenti, over 65 e per gruppi (Cral, scuole, biblioteche e associazioni) composti da minimo dieci persone. Il diritto di prevendita è di euro 1,00.
Il botteghino del cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio è aperto per la prevendita con i seguenti orari: dal lunedì al sabato, dalle ore 17 alle ore 19. I biglietti sono comodamente acquistabili anche on-line, tramite il circuito Crea Informatica, sui siti www.cinemateatromanzoni.it e www.webtic.it.
Per maggiori informazioni sulla programmazione della sala è possibile contattare il numero 339.7559644 o lo 0331.677961 (negli orari di apertura del botteghino e in orario serale, dalle ore 20.30 alle ore 21.30, tranne il martedì) o scrivere all’indirizzo info@cinemateatromanzoni.it.

Informazioni utili 
www.cinemateatromanzoni.it 

lunedì 23 aprile 2018

«Ricordi di guerra, Sguardi di pace», una mostra a Trento per i cent’anni del primo conflitto bellico

Che cosa è rimasto della memoria della Prima guerra mondiale nei luoghi che hanno fatto da scenario a scontri e battaglie? A cent’anni dal termine di quel conflitto bellico, Fujifilm Italia ha chiamato a raccolta, in collaborazione con Trentino Marketing e con il supporto di Montura, cinque professionisti dell’immagine, quattro fotografi e un video-maker, per realizzare un progetto articolato ed eterogeneo che celebra l’eroismo di chi è stato protagonista di quella guerra e che invita, giovani e meno giovani, a comprendere il significato del termine pace.
Giulia Bianchi, Gianluca Colla, Luciano Gaudenzio, Daniele Lira, Pierluigi Orler, questi i cinque artisti coinvolti, hanno lavorato per più mesi in un territorio tra le montagne e le valli del Trentino, che si estende dal Passo del Tonale sino alla Marmolada per cinquecento chilometri, ovvero in quell’area che è stata confine conteso tra l’esercito italiano e austro-ungarico.
È nata così la mostra «Cent’anni dopo – Ricordi di guerra, Sguardi di Pace», in agenda dal 28 aprile al 2 settembre al Palazzo delle Albere di Trento.
La curatela è stata affidata a Giovanna Calvenzi, che, con il suo apporto, ha saputo far dialogare assieme oltre centosessanta fotografie di autori con stili e approcci differenti, creando, col filo conduttore rappresentato dalla memoria, un ricco racconto che si articola in quattro chiavi di lettura: quella del paesaggio dei luoghi interessati, quella dell’esperienza legata ai sentieri e ai rifugi, quella di documentazione dei reperti del conflitto (forti, trincee, camminamenti, etc.) e infine una globale, fortemente emozionale, affidata a immagini video.
«Gli autori -racconta la curatrice- hanno deciso di misurarsi con un mondo che conoscevano perfettamente o che non avevano mai visto. L’obiettivo era suggerito dal titolo dell’evento: ricordi di guerra, sguardi di pace, il passato e il presente, appunto, e una speranza per progettare il futuro. In modo inevitabile, quindi, indipendentemente dalle storie personali, professionali e artistiche, ogni autore non ha potuto non misurarsi con la storia e con la memoria. La fotografia e il video sono stati strumenti di indagine prima ancora che di creazione, troppo forti le memorie, troppa la sofferenza della quale i luoghi attraversati dal Sentiero sono stati testimoni. Poi lentamente ognuno ha definito il proprio itinerario, in sintonia con la propria storia, con la propria capacità di declinare la visione, in sintonia anche e soprattutto con la forte carica emotiva che i paesaggi attraversati dal Sentiero della pace suscitava in loro».
Lo spettatore si troverà così ad alternare diversi stati d’animo, scoprendosi a dialogare con immagini che immortalano i segni indelebili della guerra, altre che magnificano il paesaggio, altre ancora che mostrano il soggetto ritratto, il territorio osservato, vissuto da persone del luogo o turisti: una presenza umana che contestualizza e mitiga l’orrore di ciò che fu.
Il lavoro risulta articolato, ma chiaro nel suo significato, e culmina in una mostra-racconto che promette emozioni alla ricerca di quei segni più o meno tangibili che rendono onore al sacrificio di chi ha combattuto per la libertà e la Patria. Un omaggio al valore della Pace.

Informazioni utili
 Cent’anni dopo – Ricordi di guerra, Sguardi di pace. Palazzo delle Albere, via Roberto Da Sanseverino, 45 – Trento. Orari: martedì – venerdì, ore 10:00 – 18:00, sabato e domenica, ore 10:00 – 19:00. Informazioni: tel. 0461.234860 . Sito web: http://centannidopo.fujifilm.it/. Dal 28 aprile al 2 settembre 2018.  

sabato 21 aprile 2018

A Venezia i «Ritratti in miniatura» di Napoleone e della sua epoca

È a partire dal Cinquecento che l’arte dei ritratti in miniatura, ovvero quel genere di pittura in piccolo dove s’impiegano, soprattutto sull’avorio, colori diluiti nell’acqua di gomma arabica e si punteggiano unicamente gli incarnati dei volti sul supporto, cammeo o medaglia, si diffonde sia tra artisti insigni che tra dilettanti.
Se prese grande vigore a partire dalla fine del Seicento fu l’Ottocento a riservare a questo genere una stagione intensa, ma breve. Intensa per qualità e quantità, e per le innovazioni tecniche, breve perché offuscata nel 1839 dall’invenzione del dagherrotipo, ovvero della fotografia, che ne segnerà prima il declino e poi la fine.
A una selezione di opere realizzate in questi ultimi due secoli è dedicata la mostra attualmente in corso al Museo Correr, nell’ambito delle attività di valorizzazione delle collezioni permanenti della Fondazione Musei civici di Venezia. Le opere esposte sono giunte recentemente al museo lagunare grazie alla generosa donazione di Paola Sancassani, veronese di nascita ma veneziana d’elezione, grande appassionata di storia.
Si tratta di opere di fattura principalmente italiana, ma anche di scuola francese e inglese, nelle quali sono effigiati i volti di uomini e donne vissuti durante l’epoca napoleonica. Molti di questi sono per noi oggi anonimi, altri invece appartengono a personaggi noti o protagonisti di quei tempi pur travagliati, ma determinanti per il futuro, a iniziare dallo stesso imperatore Napoleone Bonaparte.
In Europa e non solo, durante l’Impero e dopo la sua fine, l’epopea e il mito del grande còrso hanno motivato la creazione degli oggetti più svariati. L’idea di ritrovare e conservare anche solo alcuni frammenti evocativi di quel momento cruciale ha ispirato la collezione ora esposta in museo, sotto la direzione scientifica di Gabriella Belli, direttore della Fondazione Muve, e la curatela di Andrea Bellieni, responsabile del museo, in collaborazione con Valeria Cafà, Massimo Favilla e Ruggero Rugolo.
Al Museo Correr si potranno dunque scoprire affascinanti miniature-ritratto di Napoleone, dei suoi familiari e generali, oltre che di anonimi contemporanei: tra queste si segnalano, per l’elevata qualità esecutiva, il ritratto del celebre attore di teatro François-Joseph Talma (1763-1826) e quello di Charlotte Stuart duchessa d’Albany (1753-1789).
Fra le memorie si distingue poi il delizioso porta-profumo in oro e smalti che fu pegno d’amore di Orazio Nelson a Lady Hamilton. Completano la raccolta dipinti e stampe di battaglie, medaglie commemorative e monete, che ci parleranno di un’età breve e contraddittoria la quale, tuttavia, ha segnato una svolta decisiva nella storia moderna.
In occasione della mostra il Museo Correr procederà, inoltre, alla pubblicazione di un catalogo dedicato alla raccolta di miniature della donazione di Paola Sancassani, a cura di Massimo Favilla e Ruggero Rugolo: un’occasione in più per poter ammirare opere come il «Ritratto di Napoleone I imperatore e re d’Italia» attribuito all’Appiani o il bel «Ritratto di Elisabetta Hannover principessa di Gran Bretagna e Irlanda poi landgravina di Hessen-Homburg», eseguito nel 1810 da Giovanni Trossarelli.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Manifattura italiana (?), Portaprofumo - dono dell'ammiraglio Horatio Nelson a Lady Hamilton, 1800. Smalto guilloché su oro; 5 x 2 x1 cm. Collezione Paola Sancassani, Verona; [fig. 2] Pittore francese o italiano (da Andrea Appiani), Ritratto di Napoleone I imperatore e re d’Italia, 1805 circa. Acquerello e gouache su avorio; 12,3 x 12,1 cm. Collezione Paola Sancassani, Verona; [fig. 3] Giovanni Trossarelli (Torino, 1760 – Londra, 1825), Ritratto di Elisabetta Hannover principessa di Gran Bretagna e Irlanda poi landgravina di Hessen-Homburg, 1810. Acquerello e gouache su avorio; 9,9 x 7,4 cm. Collezione Paola Sancassani, Verona

Informazioni utili
Ritratti in miniatura e altre memorie al tempo di Napoleone. La donazione Paola Sancassani. Museo Correr, piazza San Marco - Venezia. Orari: dal 1° aprile al 31 ottobre, ore 10.00–19.00;  dal 1° novembre al 31 marzo, ore 10.00–17.00 (la biglietteria chiude un’ora prima). Ingresso: intero € 20,00, ridotto € 13,00, gratuito per residenti e nati nel Comune di Venezia, bambini dagli 0 ai 5 anni e altre categorie come riportato dal sito www.correr.visitmuve.it. Informazioni: info@fmcvenezia.it; call center 848082000 (dall’Italia);  +3904142730892 (dall’estero). Dal 12 aprile 2018.   

giovedì 19 aprile 2018

«Medioevo svelato»: la storia dell’Emilia-Romagna attraverso l’archeologia in mostra a Bologna

Da una parte l’Emilia, tributo alla strada romana costruita nel 187 a.C. dal console Marco Emilio Lepido, dall’altra la Romagna, dove Ravenna assurge al rango di ultima capitale dell’Impero romano d’Occidente (402-476 d.C.): nell’alto Medioevo, questa due territori, che oggi formano un’unica regione, segnano un limes geografico tra la zona soggetta alla conquista longobarda e quella di dominazione bizantina. Questa storia è al centro della mostra che Sauro Gelichi e Luigi Malnati hanno curato per conto della Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio per la città metropolitana di Bologna e le province di Modena, Reggio Emilia e Ferrara nell’ambito del programma culturale «2200 anni lungo la Via Emilia».
«Medioevo svelato. Storie dell’Emilia-Romagna attraverso l’archeologia», questo il titolo della rassegna allestita fino al 17 giugno al Museo civico medievale di Bologna, indaga attraverso oltre trecento reperti, recuperati nell’ambito delle intense ricerche archeologiche condotte in regione negli ultimi quaranta anni, la fase di passaggio dalla tarda antichità (IV-V secolo) al pieno Medioevo (inizi del Trecento). È questo un importante momento di passaggio che si riverbera in ogni aspetto della vita politica, economica, sociale e culturale, rappresentando un momento decisivo nella costruzione di nuovi assetti di potere e nuove identità.
Il percorso espositivo, articolato in sei sezioni tematiche, parte da un’istantanea sulle città nell’alto Medioevo, profondamente ridimensionate rispetto alla vitalità dei secoli precedenti e contrapposte al dinamismo del nuovo emporio commerciale di Comacchio, nel Ferrarese, per allargare lo sguardo alla riorganizzazione delle campagne, dove fioriscono castelli, villaggi, borghi franchi, pievi e monasteri, e terminare la narrazione con la ciclica rinascita delle città in età comunale.
La prima sezione è incentrata sul tema «Un mondo in trasformazione: le città», ossia sull’evoluzione dei centri di antica fondazione in rapporto ai cambiamenti socio-economici e all’organizzazione delle nuove sedi del potere, sia laico che ecclesiastico, fino al VI secolo.
In questa sezione sono esposti oggetti della vita quotidiana come lucerne in vetro e ceramica provenienti da Parma e Rimini, manufatti legati alla cultura funeraria delle élite con un sarcofago ravennate e piccoli tesori che erano conservati nelle residenze di lusso di Casse e Cesena, come un missorium d’argento cesenate (piatto di uso simbolico-celebrativo), che testimonia la vita agiata di un possidente terriero nella tardantichità.
La seconda sezione, imperniata sulla «Fine delle ville romane», prende in esame l’insediamento rurale di tipo sparso, già tipico delle fattorie di età romana, fino all’evoluzione databile al VI-VII secolo.
L’archeologia è stata in grado di cogliere e descrivere questi processi di trasformazione, documentando la riconversione degli spazi abitativi e le diverse modalità di sfruttamento della proprietà fondiaria.
Un caso eccezionale è costituito dal sito di Galeata, nei pressi del quale tradizionalmente si identifica un palazzo di campagna del re ostrogoto Teodorico, da cui provengono fibule, monete e ceramiche scoperte in scavi recenti.
I cambiamenti riguardano anche l’ambito funerario: piccoli nuclei cimiteriali vanno ad occupare spazi dismessi all’interno delle antiche unità abitative. Questo fenomeno è illustrato da una serie di corredi funerari provenienti da Baggiovara o da materiali della vita quotidiana, spesso integri, rinvenuti all’interno di pozzi d’acqua dismessi coma villa di Russi.
L’ideologia funeraria di VI-VII secolo caratterizza la terza sezione dedicata a «Nuove genti, nuove culture, nuovi paesaggi»: in questo periodo l’Emilia-Romagna mostra una sostanziale continuità tra età romana e gota mentre appare fortemente marcata la differenza fra i territori soggetti ai Longobardi (Emilia) e quelli sottoposti ai Bizantini (Romagna).
Allo sfarzo di alcuni manufatti afferenti alle sepolture fanno riscontro i pochi materiali recuperati nei contesti urbani regionali della quarta sezione dedicata a «Città ed empori nell’alto Medioevo»: qui spicca per vitalità e capacità economica il più grande emporio del nord Italia nel secolo VIII, Comacchio, strategico centro lagunare aperto, vocato allo smistamento e trasporto di beni e merci mediterranei destinati alle terre del Regno longobardo.
Le ricerche archeologiche condotte negli ultimi anni in Comacchio hanno rivelato consistenti e chiare tracce della sua storia: dai contenitori anforici di provenienza orientale per il trasporto delle merci (forse vino e olio) alla presenza di botteghe artigiane per la produzione di oggetti suntuari. In una di queste botteghe si dovevano produrre anche cammei in vetro policromo, come testimonia una matrice che trova un pendant in un originale ancora incastonato in una capsella di Cividale, anch’essa esposta nella mostra.
Con la quinta sezione, «Villaggi, castelli, chiese e monasteri: la riorganizzazione del tessuto insediativo», vengono evidenziate le nuove forme d’insediamento (VIII-XIII secolo), quali i castelli, i villaggi di pianura, talvolta fortificati, i borghi franchi, le chiese rurali, perfettamente integrate nella rete itineraria e il ruolo dei monasteri, incaricati del perpetuarsi della memoria dei defunti e della trasmissione della cultura.
La storia dei monasteri è raccontata attraverso l’abbazia di Nonantola, fondata nella pianura tra Modena e Bologna durante il regno del re longobardo Astolfo, intorno alla metà del secolo VIII. Famosa per il suo archivio, ci è nota anche per gli scavi degli ultimi quindici anni, attraverso i quali è stato possibile riconoscere e ricostruire l’evoluzione del monastero tra l’alto-medioevo e l’età moderna.
Il cerchio si chiude con la sesta sezione, «Dopo il Mille: la rinascita delle città», che ripropone il tema dell’evoluzione dei centri urbani, questa volta esaminati nella nuova fase di età comunale.
Tra i pezzi più prestigiosi della mostra, di cui rimarrà documentazione in un catalogo edito da Ante Quem, si segnalano fibule di età gota rinvenute a Imola, reperti longobardi recuperati nella necropoli di Ponte del Rio di Spilamberto, un servizio di vasellame in argento di età bizantina proveniente da Classe, bicchieri in legno rinvenuti a Parma e un bacino in maiolica recuperato dalla facciata della chiesa di San Giacomo Maggiore a Bologna.
Molteplici sono gli strumenti di mediazione e approfondimento a disposizione del pubblico. Le visite guidate raccontano il percorso espositivo evidenziando i temi trasversali che ricorrono nelle diverse sezioni e i fatti salienti che hanno scandito le vicende storiche delle società vissute sul territorio regionale attraverso il racconto della vita quotidiana delle comunità offerto dai reperti recuperati. Un ciclo di conferenze gratuite illustra le prospettive di ricerca offerte dalla disciplina dell’archeologia medievale e la sua utilità per la tutela e la salvaguardia del patrimonio mentre una rassegna di film curata dalla Fondazione Cineteca di Bologna presenta un focus sulla produzione cinematografica ispirata all’età medievale.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Baggiovara (MO), corredo della tomba 21 (sepolcreto tardoantico presso villa rustica). Attuale collocazione: Museo Civico Archeologico Etnologico di Modena; [fig. 2] Carpineti (RE), Pieve di San Vitale. Capitello a piramide tronca rovesciata di lesena o pilastro. La superficie modanata è decorata a palmette alternate a fiori di loto (XI-XII secolo). Rinvenuto durante gli interventi di riqualificazione della Pieve di San Vitale condotti negli anni '70 del secolo scorso (largh. magg. cm 25; larg. min. 20; alt. cm 18). Attuale collocazione: deposito Carpineti (RE), Pieve di San Vitale; [fig. 3] Cesena (FC), particolare di missorium (piatto di uso simbolico-celebrativo) in argento (diametro cm 62 peso kg 6,6) con decorazione eseguita a niello nel tondo centrale, in cui sono raffigurate scene di banchetto e della vita agiata di un possidente terriero nella tardantichità. Il prezioso reperto, attribuibile al IV sec. d.C., è stato recuperato a Cesena nel 1948 presso via G. Bono in un deposito databile entro la metà del VI secolo (fenomeno della tesaurizzazione, occultamento di riserve di valore in momenti di instabilità politica). Attuale collocazione: Museo Civico Archeologico di Cesena; [fig. 4] Bologna, bacino architettonico in maiolica recuperato dalla facciata della chiesa di S. Giacomo Maggiore, con raffigurazione di Frater Simon, identificabile molto probabilmente con l'omonimo sindaco del complesso conventuale (inizi XIV secolo). Attuale collocazione: deposito Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Bologna e le Province di Modena, Reggio Emilia e Ferrara; [fig. 5] Imola (BO), loc. Villa Clelia, tomba femminile 185. Coppia di fibule a disco con teste di rapace disposte “a vortice” (diametro cm 3,5). Tecnica cloisonné (cellette in oro con inserimento di granati). Età gota (V secolo). Attuale collocazione: deposito Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Bologna e le Province di Modena, Reggio Emilia e Ferrara
Informazioni utili

«Medioevo svelato. Storie dell’Emilia-Romagna attraverso l’archeologia». Museo civico medievale, via Manzoni, 4 – Bologna. Orari: dal martedì alla domenica, ore 10.00 – 18.30; chiuso i lunedì feriali e il 1° maggio. Ingresso: intero € 5,00, ridotto 3,00, gratuito Card Musei Metropolitani Bologna e la prima domenica del mese. Informazioni: tel. 051.2193916 / 2193930, museiarteantica@comune.bologna.it. Sito internet: www.museibologna.it/arteantica. Fino al 17 giugno 2018. 


martedì 17 aprile 2018

Milano Design Week, alla Gold Black Style una mostra sul gioiello contemporaneo

Dal cemento alla resina, dai materiali sintetici a quelli naturali, dall’ardesia al sughero: è svariata la gamma di materiali utilizzati dalle quattrodici artisti in mostra a Milano, negli spazi della Gold Black Style, atelier situato nel pulsante Distretto delle 5VIE a pochi passi da Sant’Ambrogio e dal Duomo, in occasione della rassegna «No Matter Matters», un omaggio al gioiello contemporaneo promosso in occasione della Milano Design Week.
Il materiale privilegiato di sperimentazione di Myriam Bottazzi, sostanza duttile nelle mani dell’artista, è la paillette. Traghettate dagli anni ’70, reinventate in chiave contemporanea, e private della loro espressività abbagliante e del connaturato carattere seriale, le paillettes divengono il mezzo per giungere a un più profondo stadio di bellezza dalle ricercate imperfezioni.
Il carattere giocoso e provocatorio di Cedric Chevalley si esprime nelle estetiche dei suoi gioielli come nelle scelte creative: il riuso e il dare nuova vita a un materiale come quello dello skateboard. Un linguaggio a tratti irriverente, pop, e al contempo impegnato, come se il senso del concepire la vita con leggerezza fosse un messaggio assoluto.
I gioielli di Lodovica Fusco sono caratterizzati da un’estetica ruvida e morbida insieme, esprimono, nella porosità del materiale, le intemperie dei territori selvaggi che caratterizzano la sua storia e intimità. Lodovica s’ispira a pietre ed elementi naturali che ricrea attraverso l’uso di stampi e resine naturali. Li lavora poi combinandoli in un design inedito e personale.
Anne Goy ha una formazione mista, si dedica, infatti, anche all’editoria di nicchia e alla creazione di libri d’artista. Possiede una dote innata nell’inventare originali e inediti metodi di rilegatura, caratteristica poi rintracciabile anche in alcuni suoi gioielli, dove il gioco di incastri è ritmico ed armonico. Le geometrie, come le forme e le texture, sono l’aspetto centrale dei suoi gioielli realizzati con materiali sintetici, ardesia, sughero e pelli associati a metalli.
Il non conformismo di Jill Herlands si esprime concretamente nel suo modo di lavorare i metalli, controcorrente. Predilige la manipolazione e la lavorazione di materia cruda e grezza, si ispira alle architetture di New York e ama sperimentare con cemento e calcestruzzo. Dall’unione di preziosità trattate con naturalezza, emerge un’estetica industriale di struggente bellezza.
La collezione di Elina Honkanen è quasi interamente realizzata con oggetti ready-made. Azione provocatoria e solo apparentemente casuale, frutto di sperimentazioni sui colori materiali e le forme, ha lo scopo di stimolare una più ampia riflessione sull’identità dell’oggetto, del gioiello e dell’opera d’arte.
Una futuristica estetica e l’uso di materiali misti, resine e legni, finalizzata alla giustapposizione di forme, colori geometrie, caratterizza i pezzi di Monica Iacovenco. Nella collezione GeoMatrix esprime gli elementi originali costruiti con attenzione, definizione e perfezione formale finale.
Affascinata da materiali come vetro e porcellana, Beru Inou affronta la creazione con una sorta di ingenuità e semplicità. Ama giocare con gli effetti della lavorazione dei due materiali, per contrasto o armonizzazione: la lucentezza e trasparenza del vetro insieme all’opacità e il calore della porcellana, e scoprirne gli effetti imprevisti e dirompenti.
La collezione Ephemeral di Amira Jalet nasce dalla volontà di realizzare un’operazione impossibile, creare un gioiello dal ghiaccio, attraverso l’uso dell’acqua. Nasce quindi da un’azione artistica il cui senso risiede proprio nella non permanenza. Il gioiello creato, ne riproduce quindi l’apparenza attraverso la resina e iniezioni di ossigeno.
Hyun Jiyoon è una giovane artista e designer proveniente dal Sud della Corea. Traboccanti geometrie e illusione ottica sono le sue cifre stilistiche. Una sorta di realismo magico in cui la rappresentazione delle geometrie si somma all’uso di materiali non preziosi. L’uso del sale nei suoi lavori assunse un senso simbolico ed estetico profondo.
Il materiale prediletto da Orsolya Losonczy è la muscovite. La sfaldatura perfetta di questo minerale consente di ottenerne lamine molto sottili, trasparenti e flessibili, possiede una lucentezza vitrea perlacea. Il nome ha origine dalla città di Mosca, dove veniva usato al posto del vetro in elevata quantità. Da sempre affascinata dall’estetica dei minerali, Orsolya li combina con l’uso dell’argento, resine e pittura.
Nell’evoluzione della precedente iconica collezione le «5 nobili verità», Letizia Maggio inserisce e introduce nei suoi pezzi alcuni elementi nuovi volti a sperimentare ed esplorare ulteriormente i territori della sua artistica espressività. Il vinile e l’ecoglass sdrammatizzano e dialogano coerentemente con l’argento e l’ottone, stimolando il pensiero verso territori inediti e soggettivi del gusto.
L’uso della resina epossodica conferisce ai gioielli di Daniella Saraya l’aspetto e la poetica che la rendono unica e riconoscibile internazionalmente. Devota all’esplorazione dei limiti della sperimentazione tecnica, si spinge sempre più in là, ottenendo risultati audaci e contribuendo globalmente all’avanzamento della ricerca per tutto il settore.
Asami Watanabe trasforma un elemento in icona, semplicemente utilizzando la paglia. Il fiore, nella sua semplicità e immediatezza, è cosi trasformato in oggetto iconico e rappresentativo. Lavora la materia traverso la mescolanza di tecniche tradizionali e sperimentali, senza rinunciare a infondere quel senso di vitalità che la caratterizza.

Informazioni utili
No Matter Matters - Milano Design Week 2018. Gold Black Style, Via San Maurilio 4 – Milano. Orari: lunedì – martedì, dalle 12.00 alle 18.00; mercoledì – domenica, dalle 12.00 alle 19.00. Ingresso libero. Informazioni: tel. +39.3479396300 o info@adornment-jewelry.com. Sito internet: www.adornment-jewelry.com. Dal 16 al 22 aprile 2018.  

venerdì 13 aprile 2018

Un omaggio a Dario Fo per l'associazione «Cuffie colorate»

Solidarietà e comicità a braccetto sul palco del teatro Sant’Anna di Busto Arsizio. Sabato 14 aprile, alle ore 21, la compagnia amatoriale «I Divin Attori» propone «Non tutti rubano per nuocere», commedia brillante che Patrizia Cuvello ha tratto da un celebre testo di Dario Fo.
Spunti comici e riflessioni di carattere sociale punteggiano la trama di questa divertente pièce teatrale, che verrà proposta a sostegno delle attività promosse dall’asd «Cuffie colorate» di Busto Arsizio, nata nel 1998 con l’intento di avviare allo sport, principalmente al nuoto e al calcio, i ragazzi disabili.
Affiliata al Cip - Comitato paraolimpico italiano e alla Fisdir - Federazione italiana sport disabili intellettivi e relazionali, l’associazione bustese, che attualmente segue una trentina di ragazzi disabili, festeggia, dunque, quest’anno il trentennale dalla fondazione.
Lo spettacolo «Non tutti rubano per nuocere» è il primo di una serie di appuntamenti in cartellone, che prevede anche una gara multiregionale di nuoto alla piscina Manara per il 29 aprile e una giornata a tema al Museo del tessile in giugno.
Sul palco per questo bell’omaggio a Dario Fo saliranno, sotto la regia di Patrizia Cuvello, gli attori Gabriele Ambrosetti, Roberto Cavigioli, Emma Daniela De Zotti, Alfina Petralia, Igino Portatadino, Laura Surbone e Alessandro Testa.
La storia, ambientata negli anni Sessanta, trae spunto dalla vicenda di un ladro, entrato di soppiatto in una casa signorile per svaligiarla, che si ritrova sotto il costante e impertinente controllo telefonico della moglie, gelosa e un po’ invadente. Improvvisamente il padrone di casa rientra in compagnia dalla sua amante, lanciandosi in un esilarante tentativo di conquista, ignaro di quanto stia accadendo proprio sotto il suo naso. Tutto filerebbe liscio se la presenza del ladro, nascosto in una pendola, non venisse scoperta e se la moglie del padrone di casa, che a sua volta ha una tresca amorosa, non rientrasse proprio nel momento meno opportuno.
In questo poco edificante quadretto di tradimenti, sotterfugi e bugie, la figura meno negativa e meno ipocrita presente sul palco finisce così per essere quella del ladro, l’unico a non tradire la moglie e a svolgere, paradossalmente, «con onestà» il proprio mestiere.
«Non tutti rubano per nuocere» si configura, dunque, come una farsa gialla dal sapore poliziesco, ma vuole anche essere una critica alla borghesia ricca e amorale degli anni del boom economico, ai cui vizi il ladro guarda con occhi sorpresi e divertiti.
Il costo del biglietto è ad offerta libera, con un contributo minimo di euro 10,00. Per ulteriori informazioni è possibile consultare il sito www.cuffiecolorate.it e la pagina Facebook @idivinattori.

Informazioni utili
www.cuffiecolorate.it