ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

giovedì 11 novembre 2021

È on-line il fondo canoviano della Biblioteca civica di Bassano del Grappa

Il 2022 sarà l’anno di Antonio Canova (Possagnano, 1757 – Venezia, 1822), uno dei più importanti esponenti del Neoclassicismo italiano, soprannominato «il nuovo Fidia» per le sue sculture dal gesto composto, dall’eleganza armoniosa delle forme e dall’estrema levigatezza del modellato.
In preparazione del duecentesimo anniversario della morte, che ricorrerà il prossimo 13 ottobre, la Biblioteca civica di Bassano del Grappa ha messo on-line, su archiviocanova.medialibrary.it, il fondo di manoscritti dello scultore veneto, visibile ora da qualsiasi parte del mondo ad alta definizione e nella perfetta cromia originale.
L’intera raccolta, donata tra il 1852 e il 1857 dal fratellastro Giovanni Battista Sartori Canova, consta di oltre quarantamila pagine e di seimilaseicentocinquantaotto documenti: lettere, innanzitutto, ma anche diari di viaggio, appunti, riconoscimenti, diplomi, sonetti e conversazioni come quella con Napoleone Bonaparte (per il quale, com’è risaputo, Antonio Canova lavorò). Nel fondo ci sono anche un prezzario delle opere e il quaderno su cui l’artista appuntò le sue lezioni di inglese, ma anche schizzi a penna, intuizioni, appunti visivi su quanto attraeva il suo interesse e disegni preparatori come quello per il monumento a Maria Cristina d’Austria.
«Omo senza lettere» come si definiva, in realtà lo scultore ha, paradossalmente, scritto molto e accumulato un epistolario immenso, mano a mano che la sua fama cresceva e che le relazioni con amici, estimatori, collezionisti e conoscenti lo hanno costretto a scrivere e a far scrivere, a ricevere, leggere e farsi leggere migliaia di missive sui più svariati argomenti: da quelli più strettamente legati agli affetti famigliari e all’attività professionale fino agli obblighi formali derivanti dai molteplici incarichi pubblici che l’artista ricoprì.
Soprattutto a partire dal trasferimento a Roma, la corrispondenza diventa per Antonio Canova indispensabile per intrattenere rapporti con i famigliari a Possagno, gli amici bassanesi, tra i quali Tiberio Roberti, e l’ambiente veneziano da cui si era staccato, ma con l’intenzione di tenere ben stretti i legami. A ciò si aggiungono i contatti epistolari con i committenti e con l’enorme numero di persone con cui l’artista venne in contatto: intellettuali, nobili, artisti italiani e stranieri, uomini di chiesa, scrittori, scienziati, militari, principi, imperatori, governanti.
Il fondo dei manoscritti è estremamente ricco anche grazie alla grande capacità di archiviazione dell’artista, attento sin dalla giovane età a non disperdere alcuna testimonianza della sua attività, in ciò aiutato dai segretari e dal fratello. Ci è giunto così, per esempio, il «Diario» in cui, appena ventiduenne, lo scultore registra il suo viaggio da Venezia a Roma. «Da questa mole di documenti - spiega il direttore della Biblioteca, Stefano Pagliantini - emerge la personalità di un uomo perfettamente conscio del proprio valore e giustamente dotato di una sicura autostima».
I manoscritti sono giunti al Bassano del Grappa insieme agli album dei disegni, alla racconta di incisioni in volume e a gran parte della biblioteca personale dell’artista per la parte di belle arti. Proprio questo patrimonio artistico sarà oggetto di un nuovo progetto di digitalizzazione.
A tal proposito, Barbara Guidi, direttore dei musei civici, ha affermato: «Ad essere stati digitalizzati – grazie anche al contributo di Banca Popolare di Marostica Volksbank – sono, in questo caso, gli scritti, ma il progetto si allargherà in futuro anche ai disegni e al resto del patrimonio artistico canoviano di proprietà dei Musei Biblioteca Archivio di Bassano del Grappa. Il Fondo vanta infatti ben 1756 disegni custoditi nel Gabinetto delle stampe e dei disegni del Museo civico. I Musei civici conservano inoltre i celebri monocromi, una delle più rare e singolari espressioni non solo dell’opera di Antonio Canova, ma più in generale dell’arte neoclassica, e una sessantina di sculture tra cui i preziosi bozzetti preparatori come quello per le Tre Grazie, celebri gessi quali la Venere Italica e Ebe, o, ancora, la serie dei ritratti e delle teste ideali».
L’omaggio allo scultore di Possagnano, in occasione del bicentenario, proseguirà il 4 dicembre con l’inaugurazione della mostra «Canova Ebe», ideata per celebrare il recente restauro del gesso bassanese ridotto in frammenti più di settant’anni fa, durante il bombardamento alleato sulla città del 24 aprile 1945. A ridare vita all’opera ha provveduto un innovativo intervento conservativo, interamente finanziato dal Rotary Bassano e dal Rotary Asolo Pedemontana del Grappa.
Citata da Omero e da Esiodo, Ebe, figlia di Zeus e di Era, è la coppiera degli dei; il misterioso nettare che mesce dona l’immortalità e l’eterna giovinezza.
In un momento di riscoperta dell’antico come la fine del Settecento, Antonio Canova non poteva non rimanere incantato da questo mito greco, che egli seppe condensare in un’immagine emblematica, quella della gioventù colta all’apice della sua fiorente bellezza, in quel fugace momento di perfezione che anticipa l’età adulta.
L’artista realizzò due differenti versioni: nella prima la dea, che si appresta a mescere l’ambrosia, atterra su una spumosa nuvola; nell’altra la giovane è colta mentre appoggia leggiadramente i piedi alla base di un tronco d’albero. Entrambe le versioni, trasposte in marmo, sono il vanto di quattro importanti collezioni pubbliche e private d’Europa: gli Staatlichen Museen di Berlino, l’Ermitage di San Pietroburgo, la Collezione Devonshire a Chatsworth e i Musei di San Domenico di Forlì, dove è conservata la copia scultorea del gesso bassanese, ora «restituita alla sua primitiva bellezza». Ebe risorge così dalle sue ceneri per tornare a essere icona di grazia e armoniosa compostezza.

Didascalie delle immagini
1.Libretto di appunti; 2. Lettera di Napoleone Bonaparte; 3. Diario di viaggio; 4. Libretto di esercizi in lingua inglese; 5. Antonio Canova, Ebe, 1817, gesso. Bassano del Grappa, Museo Civico. Foto: © Slowphoto St

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www.museibassano.it

mercoledì 10 novembre 2021

In Umbria due mostre sui «Longobardi in Italia»

Con i loro Ducati, che si estendevano da Cividale del Friuli a Benevento, dalla Pianura padana all’attuale Puglia, ebbero un ruolo determinante nella formazione della coscienza italiana. Dal loro arrivo nel nostro Paese, nel 568 d.C., alla caduta di Pavia, nel 774 d.C., per opera dei Franchi di Carlo Magno, i Longobardi furono fondamentali nel disegnare l’assetto politico, culturale e sociale non solo dell’Italia di allora, ma anche di quella attuale, dando vita a una nuova identità «proto-nazionale».
Definitivamente superato un vecchio topos che li considerava invasori rozzi e sanguinari - Alessandro Manzoni, nella tragedia «Adelchi» (1822), li definì, per esempio, «rea progenie» e scrisse che per loro «fu gloria il non aver pietà» -, oggi sappiamo di essere debitori nei confronti di questi guerrieri di stirpe germanica per alcune parole della nostra lingua e per parte del nostro patrimonio storico, artistico e architettonico, quello realizzato fra il VI e l’VIII secolo, sintesi esemplare tra tradizione romana, spiritualità cristiana, influenze bizantine e valori mutuati dal mondo germanico. La recente storiografia ha, infatti, messo fine a quei concetti di «decadenza» e «barbarie» che venivano generalmente associati all’età che va dalla caduta dell’Impero romano alla nascita di quello carolingio affermando invece l’idea di un continuum del processo storico caratterizzato dalla positiva compenetrazione di civiltà diverse.
Da dieci anni, dal 25 giugno 2011
, la cultura della gens dalle lunghe barbe - per usare un’espressione del monaco Paolo Diacono, autore dell’«Historia Longobardorum» (789 d.C.) – viene, inoltre, celebrata anche dall’Unesco che ha inserito il sito seriale «I Longobardi in Italia. I luoghi del potere (568-774 d.C.)» nella sua World Heritage List. Fanno parte di questa rete l’area della Gastaldaga e il complesso episcopale a Cividale del Friuli (Udine), l’area monumentale con il Monastero di San Salvatore e Santa Giulia a Brescia, il Castrum con la Torre di Torba e la chiesa di Santa Maria Foris Portas a Torba e a Castelseprio (Varese), la Basilica di San Salvatore a Spoleto (Perugia), il Tempietto del Clitunno a Campello sul Clitunno (Perugia), il Complesso di Santa Sofia a Benevento e il Santuario di San Michele a Monte Sant’Angelo (Foggia).
In occasione del decimo anniversario del prestigioso riconoscimento di Unesco, l’Umbria diventa una vetrina privilegiata per chi volesse avvicinarsi alla conoscenza della civiltà longobarda con due esposizioni, entrambe curate dall’associazione Italia Langobardorum. A Campello sul Clitunno, nelle sale di Palazzo Casagrande, è stata allestita la mostra «Trame longobarde. Tra architettura e tessuti», uno straordinario lavoro di ricostruzione, sulla base di dati archeologici e di fonti letterarie come il testo di Paolo Diacono, della vita quotidiana di questo popolo, che ha lasciato tracce del suo passaggio anche a Pavia (capitale del regno dai tempi di Alboino) e a Monza (dove è custodita la corona ferrea). Mentre a Spoleto, nelle sale della Rocca Albornoz, è ospitata la mostra «Toccar con mano i Longobardi», realizzata in collaborazione con il Museo tattile statale Omero di Ancona.
La prima rassegna, aperta fino al 20 febbraio, è curata da Glenda Giampaoli e Giorgio Flamini, con il confronto scientifico di Donatella Scortecci, ed è inserita nel progetto «Musei che hanno la stoffa» della Regione Umbria.
L’allestimento propone un’accurata lettura delle tecniche antiche di tessitura attraverso una ricostruzione di stoffe, abiti e telai verosimilmente in uso tra VI e VIII se-colo d. C., che ha visto all’opera i detenuti del corso di tessitura, presente nella Casa di reclusione di Spoleto.
«Tutti i vestiti esposti - raccontano gli organizzatori - sono stati realizzati per metà con tessuti fatti rigorosamente a mano su telai orizzontali a licci riproducendo esattamente il numero dei fili di ordito e trama nonché lo spessore degli stessi fili e le torsioni. L’altra metà degli abiti è stata, invece, realizzata impiegando una tela di cotone industria-le proprio per sottolineare che il modello dell’abito riproposto è il frutto di contaminazioni scientifiche e di elaborazioni dei curatori».
La mostra «Toccar con mano i Longobardi», visibile fino al 6 marzo, propone, invece, un percorso tattile tra i beni longobardi di Unesco riprodotti in sette modellini tridimensionali, ma anche in altrettanti modellini relativi alle aree in cui sono situati i monumenti, per permettere l'esplorazione dei loro contesti di provenienza.
A rendere il percorso ancor più accessibile sono le audio descrizioni (in italiano e inglese), registrate dagli attori della Compagnia #SIneNOmine della Casa di reclusione di Maiano a Spoleto, da ascoltare tramite Nfc e Qr code, nonché un catalogo in Braille e uno in large print in libera consultazione, infine, per consentire una fruizione dei modelli inclusiva, sono stati realizzati dei video con la tecnica del compositing nella Lis - Lingua dei segni italiana, insieme ad immagini e animazioni, sottotitoli e audio.
Le due mostre sono anche l’occasione giusta per visitare i due beni longobardi dell’Unesco presenti in Umbria. A Spoleto c’è la Basilica di San Salvatore, un edificio eccezionale per il linguaggio romano classico con cui è stata concepito che conserva la ricca trabeazione con fregio dorico, impostata su colonne doriche nella navata e corinzie nel presbiterio. A Campello sul Clitunno troviamo, invece, invece il Tempietto del Clitunno, un piccolo sacello in forma di tempio corinzio tetrastilo in antis con due portici laterali. La progettualità e la pe-rizia nell’impiego degli spolia antichi accomunano il Tempietto, al San Salvatore di Spoleto. All’interno si conservano dipinti murali di notevole qualità.

Didascalie delle immagini 
1. Tempietto del Clitunno a Campello sul Clitunno (Perugia); 2. Basilica di San Salvatore a Spoleto (Perugia); 3. Complesso episcopale a Cividale del Friuli (Udine); 4. Complesso di Santa Sofia a Benevento; 5. Torre di Torba a Torba (Varese)

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martedì 9 novembre 2021

«La grande arte al cinema», arriva sui grandi schermi «Pompei, eros e mito»

«Quando si parla di Pompei il confine tra verità e leggenda è sfocato. La sua è una storia di sesso, potere, trasgressione e tragedia. La città di Pompei ha dovuto morire per raggiungere l'immortalità». Sono queste parole, recitate da Isabella Rossellini, ad aprire il trailer di presentazione del docu-film «Pompei, eros e mito», in proiezione il 29 e il 30 novembre e il 1° dicembre nelle migliori sale italiane, nell'ambito del progetto «La grande arte al cinema» di NexoDigital.
Il film -diretto dal poliedrico Pappi Corsicato, che di recente ha firmato anche il documentario su Julian Schnabel- porta il pubblico all’interno del sito archeologico più famoso al mondo, visitato ogni anno da oltre quattro milioni di persone provenienti da tutti gli angoli del globo.
Scena dopo scena, lo spettatore viene guidato indietro nel tempo di duemila anni. Viene condotto all’epoca della drammatica eruzione vulcanica del 79 d.C. per scoprire miti e personaggi di una città perduta e ritrovata, animata nel corso dei secoli da passioni violente e dotata di un estro e una vitalità straordinari.
Dalla storia d'amore tra Bacco e Arianna, nella celebre Villa dei misteri, al rapporto ambiguo tra Leda e il cigno, dalle lotte gladiatorie alla disperata ricerca dell'immortalità di Poppea Sabina, la seconda moglie dell'imperatore Nerone, il docu-film porta gli spettatori tra lacerti di affreschi, rovine e reperti della cittadina campana, sopravvissuti alla furia del Vesuvio, facendo scoprire o riscoprire opere che hanno ammaliato e influenzato artisti come Pablo Picasso e Wolfgang Amadeus Mozart.
Questi miti sono rivisitati da Pappi Corsicato in chiave contemporanea; «indossano -si legge nella sinossi- abiti moderni e sono sospesi in un tempo che appartiene sia al passato che al presente, per mostrare quanto l’eredità di Pompei sia ancor oggi una continua fonte di ispirazione artistica».
Guida d’eccezione tra i ciottoli delle strade di Pompei, sito archeologico che oggi è patrimonio mondiale dell’umanità di Unesco, è Isabella Rossellini. 
Il film permette, poi, di ascoltare gli interventi, tra gli altri, di Massimo Osanna (direttore generale del Parco archeologico di Pompei), Andrew Wallace-Hadrill (professore emerito di studi classici all’università di Cambridge), Catharine Edwards, (professore di studi classici e storia antica alla Birkbeck di Londra), Darius Arya (direttore dell'American Institute for Roman Culture) ed Ellen O’Gorman (professore associato di studi classici all’università di Bristol).
La colonna sonora porta, invece, la firma del compositore e pianista Remo Anzovino, che ormai da anni si cimenta raccontando in musica l’arte mondiale, tanto da essere stato premiato ai Nastro d’argento 2019 con una menzione speciale per le colonne sonore originali dei film.
La riscoperta di Pompei porta la data del 1748, quando re Carlo III di Borbone promosse i primi scavi ufficiali a Pompei a seguito dei primi ritrovamenti della vicina Ercolano. Fu da quel momento che cominciarono a riemergere con sempre maggior chiarezza i dettagli della catastrofe del 79 d.C., che seppellì gran parte del territorio intorno al Vesuvio.
Nel corso degli scavi di Pompei sono stati rinvenuti tesori, statue, affreschi, mosaici, reperti di vita quotidiana, ma anche ville e abitazioni private che ancor oggi ci raccontano la vita di una città vivace, con giardini, fontane e imponenti apparati decorativi.
I giochi di potere, i legami amorosi, l’ambizione smodata e il genio creativo, che si percepivano allora per le strade e si respiravano nei templi, tornano così a vivere grazie a questo film, che mette sotto i riflettori -afferma Isabella Rossellini sul finale del trailer- «una civiltà mossa dal genio, avvolta da dissolutezze, trasgressione, erotismo e peccato». Una civiltà che affascinò anche Wolfgang von Goethe, per la sua «pittura eseguita alla perfezione», per i suoi «vivaci colori», per i «lievi e leggiadri arabeschi».

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Marte e Venere © Museo archeologico nazionale di Napoli; [fig. 2] Isabella Rossellini in Pompei Eros e Mito. Foto di Daniele Cruciani; [fig. 2] Il Mito di Arianna, Teseo e Bacco in Pompei Eros e Mito. Foto di Federica Belli; [fig. 4] Leda e Cigno © Museo archeologico nazionale di Napoli

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lunedì 8 novembre 2021

«Forever Green», quattro secoli di pittura all’insegna del verde

È la tinta del mantello di Beatrice nella «Divina Commedia» e quello della speranza sul fondo del vaso di Pandora. È il colore del movimento ambientalista, sinonimo di ciò che non inquina ed è biologico. È la luce rassicurante della batteria carica e il segnale di via libera sulle strade. Per gli occidentali, simboleggia la primavera, la rinascita e la calma. Per l’Islam, vuol dire gioia e leggerezza. Stiamo parlando del verde, il colore secondario creato dalla combinazione tra il giallo primario e il cyano (il blu), che nella storia dell’arte ha conosciuto fortune alterne, venendo addirittura associato, nei secoli bui del Medioevo, alle streghe, al male e al diavolo.
La tossicità dell'arsenico contenuto nel suo pigmento, che lo rendeva un vero e proprio veleno, non ha di certo contribuito alla fama positiva del verde. Solo l’Ottocento, il secolo della pittura di paesaggio, della scuola di Barbizon e degli impressionisti, ha visto l’affermazione di questo colore, al quale Ersel, società di Torino che si occupa di servizi di consulenza sugli investimenti, servizi fiduciari, di asset protection e di corporate advisory, dedica la sua nuova mostra.
Dopo «White Not» e «Red», l’ottocentesco Palazzo Ceriana in piazza Solferino, opera dell’architetto Carlo Ceppi, ospita così, fino al prossimo 26 novembre, «Forever Green», una panoramica sul colore verde, dalla pittura antica all’astrazione, a cura di Chiara Massimello, realizzata in collaborazione con la galleria Robilant+Voena di Torino e con alcuni collezionisti privati.
L’obiettivo dell’esposizione, che propone anche sguardo attento sugli artisti torinesi o su quelli che hanno gravitato nell’ambiente fecondo della città, «è di mostrare – raccontano gli organizzatori - come un quadro seicentesco possa essere felicemente accostato a un’opera di Schifano, oppure come un paesaggio ottocentesco dialoghi perfettamente con un’opera di Lucio Fontana».
Tra i pezzi storici è possibile ammirare un quadro di un’artista poco conosciuta come Giulia Crespi «Cerana», sorella del più noto Giovan Battista Crespi detto il Cerano, documentata a Milano dal 1610 al 1628, della quale viene esposto un ritratto di Sant’Isidoro (olio su tela, cm 87.5 x 66,5), il patrono dei raccolti e dei contadini, molto amato in vita per la sua generosità.
Rimanendo nell’ambito dell’arte più antica, in mostra si trovano anche un «Paesaggio classico» (olio su tela, 80 x 100 cm) del pittore fiammingo Hendrik Frans van Lint (Anversa 1684 – Roma 1763), che si specializzò a Roma nel genere della veduta, e la tela «Viaggio di Rebecca a Canaan» (olio su tela, 34x 59 cm) di Francesco Zuccarelli (Pitignano, 1702 – Firenze, 1788), esponente del rococò italiano. L’Ottocento è, invece, rappresentato da Giuseppe Pellizza da Volpedo (1868 - Volpedo - 1907), con la tela «Fanciulla in campo» (olio su tela, firmata - 52 x 82 cm) del 1821, e da una serie di quattro «Allegorie» (Olio su tavola - 46 x 33 cm) di Scuola francese.
Grande protagonista dell’esposizione è, poi, il Novecento, che, attraverso autori come Gerardo Dottori, Bertozzi & Casoni, Maurizio Cattelan, Aldo MondinoHsiao Chin, Mario Merz, e Roberto Crippa, solo per fare qualche nome, propone un viaggio pittorico tra generi differenti, dal futurismo all’astrattismo, dall’informale al concettuale, dallo spazialismo alla pop art.
Tra i pezzi più interessanti esposti a Palazzo Ceriana c’è un paesaggio del torinese Giulio Boetto (Torino, 1894 – 1967), «Verso il pascolo» del 1927 (olio su tavola, 93 x 73cm), la cui pittura pastosa riesce a rendere perfettamente l’idea della luce estiva in montagna, l’aria tersa e il tempo lento. Mario Schifano (Homs, 1934 - Roma, 1998) è, invece, presente in mostra con un suo monocromo, «Piazzale solo» del 1970 (smalti su carta intelata, 120 x 120 cm); Lucio Fontana con un suo «Concetto spaziale» del 1966 (81 x 100 cm, pittura ad acqua su tela), una sequenza di buchi su fondo verde. Mentre di Salvo (Leonforte, 1947 – Torino, 2015) è esposto «25 Siciliani» del 1976 (olio su tavola, 23 x 30 cm), una piccola mappa della Sicilia, sua terra natale, su fondo e toni di verde.
A chiudere la carrellata, o meglio ad aprirla, è un lavoro di Mark Rothko (Latvia, 1903- New York, 1970): «Untitled» del 1964 (olio su carta intelata, 64,7 x 50,1 cm). L’artista crea, qui, un legame intimo e intenso con lo spettatore. Guardare la sua opera è come aprire una finestra sull’infinito e sull’incomprensibile. Non ci sono forme né figure, la superficie è divisa in rettangoli orizzontali, il colore verde domina con una forza ipnotica e totale. Si apre così a Torino un viaggio nel colore, che è anche un’esperienza contemplativa, dove grande protagonista è il mondo delle emozioni.

Didascalie delle immagini
1.Mark Rothko (Latvia, 1903- New York, 1970), Untitled, 1964. Olio su carta intelata, 64,7 x 50,1 cm. Collezione privata, Torino; 2. Giulio Boetto (Torino, 1894 – 1967), Verso il pascolo, 1927. Olio su tavola, 93 x 73cm. Collezione privata, Torino; 3. Lucio Fontana (Rosario di Santa Fé 1899 - 1968 Varese), Concetto Spaziale, 1964-1965. Acquerello su carta - 60 x 50 cm. Courtesy Collezione privata, Torino; 4. Giulia Crespi “Cerana” (documentata a Milano dal 1610 al 1628), Sant’Isidoro. Olio su tela, cm 87.5 x 66.5. Courtesy Robilant+Voena    

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Forever Green. Ersel – Palazzo Ceriana, piazza Solferino, 11 - 10121 Torino. Orari: dal lunedì al venerdì, dalle ore 9 alle ore 18. Ingresso libero. Fino al 26 novembre 2021

sabato 6 novembre 2021

#notizieinpillole, le cronache di teatro della settimana dal 1° al 7 novembre 2021

 ARTURO BRACHETTI TORNA SUL PALCO. AD ASTI VA IN SCENA «SOLO, THE LEGEND OF QUICK CHANGE»

Riparte da Asti il cammino di «Solo, the Legend of quick change»one man show di Arturo Brachetti, il più grande trasformista al mondo, che ha scelto di festeggiare il ritorno dello spettacolo dal vivo nei teatri con un grande tour che farà tappa, tra novembre e aprile, in ventiquattro città italiane.
Dopo 450mila spettatori in quattro stagioni e quasi quattrocento repliche, molte da sold out e da standing ovation, «il ciuffo più famoso d’Italia» riprende il suo viaggio, il 6 e il 7 novembre, dal Piemonte, per poi fare tappa al teatro Galli di Rimini (dal 7 al 12 dicembre), al Politeama di Genova (11 e 12 gennaio), al Verdi di Brindisi (14 gennaio), al Team di Bari (15 gennaio), agli Arcimboldi di Milano (dal 21 al 30 gennaio) e, poi, ancora a Torino (dal 3 al 6 febbraio), Varese (10 febbraio), Roma (dal 17 al 20 febbraio), Bologna (22 febbraio), Firenze (26 e 27 marzo), Cesena (dal 29 al 30 marzo), Pescara (31 marzo e 1° aprile), Senigallia (2 e 3 aprile), Carpi (7 e 8 aprile), Padova (9 aprile), Brescia (10 dicembre), Udine (dal 13 al 15 aprile) e Palermo (dal 21 al 24 aprile).
Protagonista dello show è il trasformismo, quell’arte che ha reso Arturo Brachetti celebre in tutto il mondo e che qui la fa da padrone con oltre sessanta personaggi, che appariranno davanti agli spettatori in un ritmo incalzante e coinvolgente. Dai personaggi dei telefilm celebri a Magritte e alle grandi icone della musica pop, senza dimenticare le favole della nostra tradizione e la lotta con i raggi laser in stile Matrix: in novanta minuti l’artista darà vita a un varietà surrealista e funambolico, dove verità e finzione, magia e realtà si incontreranno.
Lo show proporrà anche un viaggio nella storia artistica di Brachetti, attraverso altre discipline come le ombre cinesi, il mimo, la chapeaugraphie o la poetica sand painting. Il mix tra scenografia tradizionale e videomapping permetterà, inoltre, di enfatizzare i particolari e di coinvolgere gli spettatori, regalando loro un viaggio nel mondo della fantasia da non perdere.
Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito www.brachetti.com.

Le fotografie sono di Paolo Ranzani

«FONTANA PROJECT», LO SPAZIALISMO A PASSO DI DANZA
La danza incontra il mondo dell’arte. Succede al teatro Menotti di Milano, dove la compagnia «No Gravity» torna in scena con un progetto dedicato a Lucio Fontana (Rosario, Santa Fé, 1899 - Comabbio, 1968), il padre dello Spazialismo, che con i suoi tagli e buchi sulla tela ha cercato di penetrare la superficie pittorica e di andare oltre il quadro, al di là della materia e della realtà.
Venerdì 5 novembre, alle ore 20, ha debuttato in prima nazionale «Fontana Project», nuova creazione di Emiliano Pellisari, maestro di danza acrobatica e vero e proprio «architetto del corpo umano», per usare una felice definizione di Vittoria Ottolenghi, già protagonista nella sala milanese, in questo scorcio di fine anno, con «Inferno 2021 (Dante’s Hell)».
Lo spettacolo, che sarà in cartellone anche sabato 6 (alle ore 20) e domenica 7 novembre (alle ore 16:30), vedrà in scena anche la ballerina Mariana Porceddu. Mentre luci e suoni sono a cura di Marco Visone.
«Opera grammaticale n°1 (grammatica sulla superficie)» e «Opera grammaticale n°2 (grammatica sul corpo)» sono i titoli dei due momenti che compongono la performance, nella quale l’armonia della danza, i giochi di luci, i corpi che emergono dallo squarcio, i generi che si uniscono portano il pubblico nell’incanto di un sogno, offrendo emozioni e stupore.
A proposito del nuovo spettacolo, Emiliano Pellisari racconta: «Fontana ha capito che solo sul confine si può trovare lo sguardo verso il tutto, i suoi tagli rappresentano delle possibili aperture verso l’altrove, verso una terza dimensione oltre i limiti imposti dalla piattezza del quadro. Il mio lavoro è riaprire il taglio, rimettere in moto le cose seguendo un tempo, quel ritmo sonoro che ci incanta da sempre attraverso il movimento che diventa necessario per percepire il senso del tempo. L’ emozione di uno spazio in movimento ci conduce verso ciò che noi chiamiamo arte-nel-tempo, ovvero la nuova arte di Fontana».
Per maggiori informazioni è possibile consultare la pagina www.teatromenotti.org.

«TAVOLA TAVOLA, CHIODO CHIODO...», LINO MUSELLA OMAGGIA EDUARDO DE FILIPPO
È nato nei giorni dalla pandemia, dagli studi di Lino Musella intorno a Eduardo De Filippo e da riflessioni sul mondo del teatro e sulle sue sorti, lo spettacolo «Tavola tavola, chiodo chiodo», una produzione di Elledieffe e di Teatro di Napoli – Teatro nazionale, in replica dal 3 al 7 novembre al Piccolo Teatro Grassi di Milano.
«In questo tempo mi è capitato – scrive l’autore, nelle sue note – di rifugiarmi nelle parole dei grandi: poeti, scrittori, filosofi, drammaturghi, e su tutti Eduardo De Filippo, per cercare conforto, ispirazione o addirittura per trovare, in quelle stesse parole scritte in passato, risposte a un presente che oggi possiamo definire senza dubbio più presente che mai; è nato così in me il desiderio di riscoprire l’Eduardo capocomico e, a mano a mano, ne è venuto fuori un ritratto d’artista non solo legato al talento e alla bellezza delle sue opere, ma piuttosto alle sue battaglie, potremmo dire ‘donchisciottesche’, condotte instancabilmente tra vittorie e fallimenti».
Il risultato è un «assolo con musica», realizzato anche grazie al il sostegno di Tommaso De Filippo, impegnato nella cura dell’eredità culturale della sua famiglia, e di Maria Procino, che ha collaborato alla ricerca storica, nel quale Lina Musella, premio Ubu 2019, è in scena con il musicista Marco Vidino.
Al centro del testo ci sono le parole dello stesso Edoardo De Filippo: dagli scritti indirizzati nell’ottobre del 1959 al ministro del Turismo e Spettacolo (Umberto Tupini) alle parole che nel 1982 rivolge ai suoi colleghi senatori, oltre che note private ed estratti di articoli di giornali, a sua firma o a lui riferiti. Lo stesso titolo dello spettacolo è tratto dalle parole dell’artista. «Tavola tavola, chiodo chiodo …» è, infatti, l’espressione con cui termina la dedica a Peppino Mercurio, storico macchinista, che il drammaturgo fece incidere su una lapide tuttora posizionata sul palcoscenico del San Ferdinando, teatro che lo stesso aveva contribuito a ricostruire dopo i bombardamenti del 1943.
Di parola in parola, di suggestione in suggestione, il pubblico potrà così scoprire il ritratto di un artista «impegnato a ‘fare muro’ per smuovere la politica e le istituzioni». Da quelle battaglie, l’attore «esce spesso perdente, in parte proprio come noi in questo tempo - conclude Lino Musella -, ma anche da lontano non smette mai di alzare la sua flebile, roboante voce e mi piace pensare che lo faccia proprio per noi».
Il costo del biglietto varia dai 33 ai 26 euro. Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito www.piccoloteatro.org.

 
«GIRL IN THE MACHINE», SUL PALCO LA DIPENDENZA TECNOLOGICA DEL NOSTRO TEMPO
«Connessi col mondo ma disconnessi dalla vita»: appaiono così i protagonisti dello spettacolo «Girl in the Machine», su testo di Stef Smith e per la regia di Maurizio Mario Pepe, che debutta martedì 9 novembre al teatro Belli di Roma, nell’ambito della rassegna teatrale «Trend - Nuove frontiere della scena britannica», a cura di Rodolfo Di Giammarco.
A interpretare il male di vivere dei tempi moderni, con l’ossessione del successo e la difficoltà di proteggere la propria sfera intima, saranno Liliana Fiorelli e Edoardo Purgatori. Sulle scene curate da Nicola Civinini, con il sound design di Lorenzo Benassi e la supervisione al movimento di Jacqueline Bulnes, i due attori saranno accompagnati dalla voce di Patrizia Salmoiraghi, nei panni del dispositivo Black Box, un gioco per il wellness che monitora i livelli di stress, e vestiranno i panni di Polly e Owen, giovane coppia di sposi - avvocato lei, infermiere lui - che vive la propria esistenza immersa nella virtualità.
La produzione, in cartellone a Roma fino al 14 novembre, è firmata da Khora Teatro e La Forma dell’Acqua, che hanno voluto trasporre in italiano questo testo che va in scena dal 2017 e che parla di tematiche più che mai attuali, figlie dell’epoca moderna e dei nostri tempi, in cui l’uomo è costantemente connesso ai suoi dispositivi e, sempre più spesso, disconnesso dalla vita reale. «L’esempio concreto lo danno – si legge nella presentazione - due esseri umani che vivono da vicino i disagi di questa modernità, tra cui si riconoscono l’abuso di controllo della società sull’individuo, il contagio confuso tra lavoro e tempo libero, la difficoltà di proteggere la nostra vita privata, l’eterna tracciabilità contrapposta alla perdita di contatto con la realtà, l’ossessione del successo e la fatica di un corpo spesso ignorato nei suoi desideri e bisogni».
In «Girl in the Machine» il pubblico osserva tutto questo come dalla finestra del palazzo accanto, rivivendo spaccati di realtà quotidiana e, magari, riconoscendo la propria ossessione, «devozione servile», verso il proprio smartphone.
Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito www.teatrobelli.it

«NEVER AGAIN KABARETT», LE LUCI DEL VARIETÀ ILLUMINANO L’ELLINGTON CLUB DI ROMA
C’è un luogo a Roma, nel quartiere Pigneto, che sembra essersi fermato ai primi anni del Novecento. Si tratta dell’Ellington Club, un vero e proprio tempio per gli appassionati dello stile retrò, nel quale ogni sera l’avanspettacolo torna in scena con live performance che ricordano il meglio dei varietà di Totò, Aldo Fabrizi ed Erminio Macario.
Lo spazio, fondato da Vera Dragone e Alessandro Casella, riprende la sua attività con «Never Again Kabarett», in cartellone dal 5 novembre al 28 gennaio, tutti i venerdì, alle ore 21:30. Chansons, cabaret berlinese alla Kurt Weill e sonorità pop contemporanee si mixano e si mischiano con il teatro e la danza contemporanea.
Nato da un’idea di Vera DragoneCamilla Nigro e Miriam Gaudio, lo spettacolo vedrà in scena Attilio FontanaCamilla NigroMiriam Gaudio e Vera Dragone. Insieme a loro, saliranno sul palco le ballerine Lorena Noce e Chiara Albi, dirette dai coreografi Paolo Di Caprio e Marco Rea, che danzeranno sulle note suonate dal vivo da Riccardo Balsamo al pianoforte, Lorenzo Remia alla chitarra, Hector Faustini al basso, Alberto Damieto alla batteria e Gianmarco Iaselli al sassofono, per gli arrangiamenti firmati da Riccardo Balsamo e la regia di Vera Dragone.
Il club del Pigneto ha in programma molti altri appuntamenti. Ogni mercoledì lo spazio si riempirà delle battute irriverenti della stand up comedy, con una girandola di nomi specializzati nell’arte della parola che commenta la realtà. Nelle serate del giovedì, invece, si faranno largo spettacoli musicali di jazzblues e soul, ma anche colorati drag & queer show. Mentre il sabato sarà tempo di burlesque o di swing. Infine, la domenica si partirà dalla tarda mattinata con il brunch a cura dello chef Massimiliano Sbardella, impreziosito, una volta al mese, dal Pigneto Vinyl Fest, con djset in vinile a cura di Marco Buscema e Misterstereo8. Non mancherà, inoltre, l’intrattenimento notturno con buona musica da ballare, tra soulbeatsurfdoo wop e tutti i generi più irresistibili delle epoche più indimenticabili della storia della musica.
Per maggiori informazioni sullo spettacolo e sulla programmazione dell’Ellington Club, è possibile consultare la pagina www.ellingtonclubroma.com.

Le foto sono di Cosimo Sinforini 

venerdì 5 novembre 2021

#notizieinpillole, le cronache d'arte della settimana dal 1° al 7 novembre 2021

«ARTISSIMA» & CO., L’ARTE CONTEMPORANEA INVADE TORINO
È tutto pronto a Torino per la ventottesima edizione di «Artissima», l’unica fiera in Italia esclusivamente dedicata all’arte contemporanea. Diretta per il quinto anno consecutivo da Ilaria Bonacossa, la manifestazione avrà una formula ibrida che combina eventi in presenza e appuntamenti in digitale.
Da venerdì 5 a domenica 7 novembre, gli ampi e luminosi spazi dell’Oval di Torino accoglieranno le quattro sezioni storiche della fiera: «Main Section», «New Entries», «Dialogue/Monologue» e «Art Spaces & Editions». Mentre dal giovedì 4 a mercoledì 9 novembre, sulla piattaforma Artissima XYZ, sarà possibile vedere le mostre collettive «Present Future», «Back to the Future» e «Disegni»: una trentina di progetti che avranno anche una presenza fisica all’Oval.
A fare da filo rosso tra le varie proposte espositive sarà il concetto di «Controtempo», termine mutuato dall’ambito musicale, qui eletto a «metafora della capacità dell’arte di battere sugli accenti deboli trasformandoli in punti di forza» e creando così nuovi e imprevedibili modi di leggere la realtà.
L’importanza della fiera piemontese si legge anche attraverso i suoi numeri. A Torino saranno presenti, su una superficie di 20mila metri quadrati, 154 gallerie provenienti da 37 Paesi, con il 56% di espositori stranieri. Verranno assegnati 9 premi con oltre 50 curatori e direttori di musei nelle giurie, tra cui l’ormai istituzionalizzato «Premio illy Present Future» e il nuovissimo «a occhi chiusi…» della Fondazione Merz. Ci saranno svariati progetti speciali come «JaguArt – The Italian Talent Road Show» o «Alfabeto Treccani», e un focus tematico, «Hub India - Maximum Minimum», curato da Myna Mukherjee e Davide Quadrio, che proporrà anche una mostra tripartita a Palazzo Madama – Museo civico d’arte antica, al Mao - Museo d’arte orientale e all’Accademia Albertina.
L’intera città si mobiliterà per la fiera con il progetto «Contemporary Art Torino + Piemonte – Speciale autunno», un articolato programma di mostre, performance, eventi di arte urbana, spettacoli di teatro e di danza, incontri e fiere come «Flashback», «The Others» e «Paratissima», che coinvolgerà musei pubblici e privati, gallerie d’arte e vari spazi dedicati alla cultura. Il tutto culminerà con la Notte bianca di sabato 6 novembre, quando sarà possibile tornare ad ammirare anche le «Luci d’artista», le tradizionali luminarie natalizie ideate nel 1998 che vestiranno di nuovi colori le piazze e le vie del centro città e delle circoscrizioni con opere, tra gli altri, di Rebecca Horn, Daniel Buren, Alfredo Jaar, Mario Merz, Tobias Rehberger e Nicola De Maria.
Per maggiori informazioni è possibile consultare i siti https://www.artissima.art/ e http://www.contemporarytorinopiemonte.it.
   
ALLA GALLERIA COMUNALE DI FAENZA LE NATURE MORTE DI GIULIO RUFFINI
La Romagna festeggia uno dei suoi figli. A cento anni dalla nascita, la Galleria comunale d’arte di Faenza (Voltone della Molinella 2) presenta, fino al prossimo 21 novembre, una mostra di Giulio Ruffini (Bagnocavallo 1921- Ravenna, 2011), artista che ha conosciuto varie fasi creative, spaziando dalle poetiche informali a quelle espressioniste, per giungere alla stagione surrealista, raccontando in pittura lo stile di vita cittadino, le nuove ansie dell’uomo, la mutazione del paesaggio da rurale a metropolitano.
L’esposizione, a cura di Franco Bertoni, è il secondo appuntamento di un progetto espositivo iniziato a Bagnocavallo con la retrospettiva «L’epica popolare e l’inganno della modernità.1950-1967» (dal 18 febbraio al 2 maggio 2021) e che continuerà a Bologna, nella sale di Palazzo Accurso, con l’antologica «Audacia e prudenza» (dal 6 al 27 novembre 2021), a cura di Beatrice Buscaroli, per terminare a Rimini e Ravenna.
«Dalla meraviglia del vero al rimpianto del passato» (tutti i giorni, tranne il lunedì dalle ore 17 alle 19: martedì, giovedì e sabato anche dalle ore 10:30 alle ore 12:30; ingresso libero), questo il titolo della mostra faentina, concentra la propria attenzione sulle nature morte dell’artista, a partire dalla prima, datata 19 novembre 1942. «Nei decenni successivi - scrive Franco Bertoni, nell’introduzione al catalogo - nonostante le pressioni del presente che lo hanno portato a realizzare cicli identificativi del suo percorso artistico e anche del suo impegno civile e morale, è tornato, quasi fosse posseduto da una ossessione del primo amore, a dipingere nature morte, molte delle quali proprio su tavola e, spesso, con un liberatorio abbandono alle più intime sensazioni, alla bella pagina e alle infinite possibilità di un colore che ammalia per sottili metamorfismi e potere epifanico».
Il progetto per il centenario è finalizzato a preservare e a divulgare le opere e la memoria di Giulio Ruffini. Avviato nel 2019 con la ricerca e la raccolta dei dipinti e dei disegni autografi dell’artista, con l’individuazione di quei lavori ancora sconosciuti alla critica e attualmente conservati in raccolte d’arte private, il lavoro ha portato così alla ricostruzione e al completamento della biografia.
Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito www.ruffinicentenario.art.

Nelle foto: 1. Il mio primo dipinto, 1942. Olio su tavola, cm 19x38; 2. Le prugne blu, anni ‘90. Olio su tavola, cm 30x45

DA MSC CROCIERE UN CONTEST INTERNAZIONALE PER DISEGNARE LO SCAFO DI UNA NAVE

Msc Crociere
lancia un contest internazionale per la nuova Msc Euribia, invitando artisti e designer di tutto il mondo a trasformare lo scafo della sua nuova nave in una gigantesca tela galleggiante per comunicare l'importanza del rispetto dell'ambiente.
Dedicata all'antica dea Eurybia che imbrigliava i venti, il tempo e le costellazioni per dominare i mari, l’ultima imbarcazione della flotta Msc, che entrerà in servizio nel 2013, sarà alimentata a Gnl, con carburanti biologici e sintetici, e utilizzerà anche un metodo avanzato di trattamento delle acque reflue di nuova generazione e un sistema di gestione del rumore irradiato sott'acqua per ridurre al minimo gli effetti delle vibrazioni sull’ecosistema marino. La filosofia con la quale è stata costruita la nuova Msc Euribia è la punta di diamante di un progetto della compagnia di navigazione con sede a Ginevra per raggiungere zero emissioni nette di gas serra entro il 2050.
Il contest artistico, al quale si potrà partecipare fino al prossimo dicembre, vedrà il fortunato vincitore esporre sullo scafo della nave, come in una galleria all'aperto. Altri cinque finalisti avranno i loro disegni esposti in una mostra direttamente a bordo di Msc Euribia, dove la loro arte e il suo importante messaggio saranno un esempio per gli anni a venire.
Le candidature saranno sottoposte al giudizio di una giuria internazionale che comprende il famoso artista Jben, noto per i suoi affreschi di sabbia che vengono poi cancellati dalla marea, l'architetto Martin Francis e Pierfrancesco Vago, Executive chairman della divisione Crociere di Msc.
Jben ha viaggiato in tutto il mondo scolpendo la Beach Art negli Stati Uniti, in Francia, in Marocco, in Olanda e in Portogallo, soffermandosi sui problemi ambientali legati al mare, incoraggiando la protezione e la conservazione marina. Ed è proprio lui, che recentemente ha creato un immenso affresco di 45 metri x 45 metri sulla spiaggia francese della Côte Sauvage, a presentare il concorso con un video. Una chiamata, questa, per tutti gli artisti e i designer che vogliono agire non solo in nome del bello, ma anche per il bene del pianeta.
Per maggiori informazioni sul concorso: www.msccruises.com/en-gl/MSC-Euribia-contest.aspx; per maggiori informazioni su come partecipare: http://msceuribia.talenthouse.com/

«BELLEZZA. APPARTENENZA. IDENTITÀ»: LA FONDAZIONE CASSA DI RISPARMIO DI LUCCA PRESENTA I SUOI GIOIELLI
È stata prorogata fino al 5 dicembre 2021 la mostra «Bellezza. Appartenenza. Identità», promossa dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca, negli inediti e rinnovati spazi della Sala dell’affresco al Complesso di San Micheletto, per presentare alcune opere della sua collezione privata.
La rassegna, che si è da poco arricchita di una tela importante come il «Sant’Agostino allo scrittoio» del caravaggesco Pietro Paolini, dedica una sezione espositiva a due pale quattrocentesche di Vincenzo di Bertone Civitali, raffiguranti San Vincenzo e Santo Stefano (nelle fotografie), commissionate dai frati agostiniani per decorare un altare pensile della Chiesa di San Frediano a Lucca.
Perse intorno alla fine del Settecento, le due opere sono state recentemente intercettate e acquistate a un’asta di Sotheby’s New York e ora impreziosiscono il percorso espositivo ricco di lavori di soggetto religioso come la «Maria Maddalena che rinuncia alle vanità» di Antonio Franchi, la «Madonna del Rosario tra san Domenico da Guzman e santa Caterina da Siena» del pittore lucchese Giovan Domenico Lombardi, la «Giuditta e Oloferne con l’ancella Abra» dell’artista barocco Girolamo Scaglia, «La Vergine presenta il Bambino a sant’Anna» di Stefano Tofanelli e l’iconica «Madonna del Latte», in terracotta policroma, di Matteo Civitali, uno dei maggiori protagonisti del Quattrocento lucchese.
In mostra si possono ammirare anche un «Ritratto di gentiluomo», in cui è riconoscibile la mano di Pompeo Girolamo Batoni, un «Autoritratto» del pittore e decoratore lucchese Luigi De Servi, e, infine, il «Ritratto di Matteo Civitali» di Girolamo Scaglia, da poco identificato in quell’unico e prezioso ritratto dello scultore lucchese ritenuto da molto tempo disperso.
Due «Cupidi» del seicentesco Pietro Paolini, anch’essi recentemente acquisiti, costituiscono il nucleo di opere di soggetto mitologico esposte. Il «Cupido dormiente», languido e sorridente, è un’allusione al potere di Eros di soggiogare la volontà del mondo, rappresentato nella tela dal globo. Il «Cupido che forgia le frecce» è, invece, in contrasto con la serenità della versione dormiente e raffigura Eros intento a sostituirsi al dio Efesto nella creazione delle temutissime frecce d’amore.
Infine, tra le opere esposte, c’è anche un soggetto storico di Luigi De Servi, risalente al 1918: una tela raffigurante il presidente americano Woodrow Wilson che firma i «Quattordici punti» in vista del trattato di pace della Prima guerra mondiale.
La mostra, a ingresso gratuito, è aperta il sabato e la domenica, dalle ore 10 alle ore 13 e dalle ore 14 alle ore 19. Per informazioni: www.fondazionecarilucca.it

MANIFATTURA TABACCHI SELEZIONATA CON FIRENZE TRA LE DIECI DESTINAZIONI LONELY PLANET «BEST IN TRAVEL 2022»
È un importante riconoscimento quello che ha appena ottenuto Manifattura Tabacchi, cittadella della cultura contemporanea, dell’arte e della moda, protagonista in questi ultimi anni di un importante progetto di rigenerazione urbana all’insegna della sostenibilità. «Lonely Planet» ha, infatti, inserito il nuovo polo toscano nella guida «Best in Travel 2022» come realtà interessante da visitare a Firenze, unica destinazione italiana tra le dieci presenti nell’edizione annuale appena uscita.
Nell’ambito di un intenso programma di attività temporanee, iniziato nel 2018, su oltre dodicimila metri di aree interne ed esterne appositamente recuperate, si confronta e lavora una comunità stabile di creativi e maker che valorizzano l’arte del fare e innovano la tradizione. Si tratta di Baba Ceramics, Bulli&Balene, Canificio, Duccio Maria Gambi, Mani del Sud, Mòno, Stefano Mancuso – Pnat, SuperDuper, Todo Modo, Switch Skate Shop, Casbia, Nop – Noponlyplants, Sedicente Moradi, associazione Arte Continua, Whispr.
In linea con il principio di rigenerazione sostenibile, nell’edificio 9, uno dei primi temporaneamente recuperati e aperti al pubblico, è stato realizzato il primo prototipo della Fabbrica dell’aria , una scenografica installazione di verde studiata dal neuroscienziato Stefano Mancuso per depurare, rinfrescare e umidificare l’aria all’interno di case e uffici.
Mentre dalla sinergia e dal confronto interdisciplinare tra le arti è nato, nel 2019, «Nam – Not A Museum», programma di arte contemporanea che ha dato vita, tra l’altro, alla open call internazionale «Superblast». Sono nate così installazioni come «4–20 Airmarks» di Oliviero Fiorenzi e «Micromegàsuoni» di Iper-Collettivo, in piazza dell’Orologio, e «Arno - Imaginary Topograph» di Andreco nel Cortile della Ciminiera.
Il progetto di rigenerazione di Manifattura Tabacchi vede attualmente in corso i lavori per l’apertura a settembre 2022 della Factory, quasi 30.000 metri quadrati che ospiteranno concept store, atelier e botteghe, ma anche bar, ristoranti, spazi di lavoro, co-working e uffici open space destinati a professionisti, start up e aziende all’avanguardia.
Sul tetto dell’edificio centrale, casa permanente per «Not A Museum», sorgerà l’Officina Botanica, uno spettacolare giardino pensile sospeso con 250 metri quadrati di alberi e piante tappezzanti, che richiedono un ridotto apporto idrico e poca manutenzione e che sono stati selezionati per la loro capacità di filtrare e ridurre gli agenti inquinanti dell’aria.
Tra i primi a scommettere sul successo dell’operazione di riqualificazione immobiliare di Manifattura Tabacchi ci sono la scuola Polimoda, l’Accademia di Belle Arti di Firenze, la start-up di animazione DogHead Animation e l’Istituto dei mestieri d’eccellenza Lvhm, un programma di formazione professionale nei mestieri dell’artigianato.
Per maggiori informazioni è possibile consultare la pagina https://www.manifatturatabacchi.com/.

Nelle fotografie: 1. Arno, Imaginary Topography di Andreco. Foto di Giovanni Andrea Rocchi; 2. Foto di Andrea Martiradonna; 3. Giardino della Ciminiera. Foto di Giovanni Andrea Rocchi

GALLERIA CAMPARI, QUATTORDICI GIORNI DI VISITE GUIDATE PER LA SETTIMANA DELLA CULTURA D’IMPRESA
È un ricco calendario di visite guidate quello che la Galleria Campari di Sesto San Giovanni, nel Milanese, ha ideato per la Settimana della cultura d’impresa, il ricco palinsesto di iniziative ed eventi sul patrimonio dei musei e degli archivi delle imprese italiane organizzato da Museimpresa con Confindustria. Il tema che fa da filo conduttore a questa nuova edizione è «Vent’anni di cultura di impresa. Il Grand Tour tra i valori dell’Italia intraprendente».
Per l’occasione, Galleria Campari offrirà visite guidate sia in presenza che virtuali alla sua ricca collezione, all’interno della quale ci sono capolavori della comunicazione e dell’arte del Novecento, con opere, tra gli altri, di Leonetto Cappiello, Fortunato Depero, Guido Crepax e Bruno Munari. La raccolta ospita anche manifesti della Belle Époque oltre a progetti cinematografici e una selezione di strumenti del bar, merchandising vintage e oggetti di design.
La visita in presenza includerà, inoltre, la mostra celebrativa allestita in occasione dei cento anni dalla realizzazione del manifesto più iconico della storia del brand: «Lo Spiritello» di Leonetto Cappiello. Saranno in esposizione manifesti originali, fotografie d’epoca, bozzetti e vignette ispirati all’iconico personaggio.
Le visite in presenza si terranno: sabato 6 e sabato 20 novembre, alle ore 10:00, 11:30, 14:00, 15:30, 17:15; martedì 9, mercoledì 10, martedì 16 novembre, alle ore 16:00; giovedì 11 e giovedì 18 novembre, alle ore 14:00. Le visite virtuali sono organizzate per lunedì 8 e lunedì 15 novembre, alle ore 17:30. Per maggiori informazioni è possibile consultare le pagine https://www.campari.com/it/inside-campari/campari-gallery e https://www.campari.com/it/inside-campari/campari-gallery.

ESPOSTO A VERONA L’«AUTORITRATTO» DI CELLINI, L’UNICA SUA OPERA PITTORICA CONOSCIUTA
Il 2021 è l’anno di Benvenuto Cellini (Firenze, 1500 – ivi, 1571), uno dei più importanti esponenti del Manierismo italiano.
Orafo, scultore, argentiere e scrittore d’arte, dal carattere inquieto e dalla vita avventurosa, l’artista fiorentino ci ha lasciato opere come la celebre Saliera di Francesco I di Francia, il «Perseo con la testa di Medusa» in bronzo e l’autobiografia «La Vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze», uno dei saggi più perspicaci sulla vita quotidiana nel Rinascimento.
In occasione dei quattrocentocinquanta anni dalla sua scomparsa, la città di Verona ha organizzato, con il patrocinio della Regione Veneto, una conferenza Internazionale a cura di Annalisa Di Maria e Andrea da Montefeltro, membri della Commissione di esperti di arte e letteratura del Centro Unesco di Firenze.
L’appuntamento, tenutosi nel pomeriggio di mercoledì 3 novembre (alle ore 17) nella Sala convegni del Palazzo della Gran Guardia, ha offerto anche l’occasione per vedere per la prima volta in Italia l’«Autoritratto» di Benvenuto Cellini, un olio su carta di centimetri 61x48, datato intorno alla seconda metà del Cinquecento.
Riapparsa nel mercato antiquariale parigino nel 2005, in questi anni l’opera è rimasta in collezione privata ed è stato oggetto di studi che ne hanno attribuito con certezza la paternità all’artista toscano, le cui poche opere autografe sono oggi nei musei più importanti del mondo, dal Kunsthistorisches Museum di Vienna agli Uffizi di Firenze e alla Biblioteca Reale di Torino. Le analisi scientifiche sono state condotte da Silvain Brams nel laboratorio dell’Istituto d’arte di conservazione e del colore di Parigi (Iacc); mentre gli studi critici hanno visto all’opera Annalisa di Maria e Andrea da Montefeltro.
L’«Autoritratto», dipinto di grande valore storico artistico e autobiografico, rappresenta attualmente l'unica opera d'arte pittorica sopravvissuta dell’artista, la cui fisionomia, ben nota attraverso l’affresco che Giorgio Vasari fece nel 1563 per il Palazzo Vecchio di Firenze, è di fondamentale importanza per l’identificazione del volto stesso del Cellini in alcune delle sue opere d’arte più note, dal «Busto di Cosimo I dei Medici» al «Perseo».

giovedì 4 novembre 2021

«Messa in scena», in mostra a Padova i vetri e i gioielli di Paolo Marcolongo

All’inizio del 2021, in occasione della Giornata della memoria, Paolo Marcolongo (Padova, 1956) donava al Museo Antoniano di Padova un «Reliquiario-Testimonianza» in memoria di padre Placido Cortese, il frate francescano, «martire della carità e del silenzio», morto sotto tortura in una cella della Gestapo di Trieste e probabilmente cremato nella Risiera di San Sabba. L’opera, che contiene al suo interno alcune schegge del muro della cella triestina e un frammento di carta dove il sacerdote scrisse di suo pugno la parola «santo», riprende in chiave contemporanea la figura del putto donatelliano. La piccola scultura offre sulla mano sinistra un bianco uovo, simbolo della creazione e della perfezione compiuta, mentre sorregge con la testa un’ampolla di vetro rosso soffiato, «una sorta di novello Graal – racconta l’autore - protetto da un involucro spinoso».
Circa dieci mesi dopo, Paolo Marcolongo, che nel 2015 ha vinto il Bayerischer Staatspreis a Monaco, ritorna al Museo Antoniano di Padova con una mostra dal titolo «Messa in scena», che espone per la prima volta al pubblico un caleidoscopio di nuove creazioni originali, frutto di un lavoro di ricerca che unisce la tradizione vetraria e l’arte orafa.
L’avvicinamento alla grande tradizione veneziana del vetro soffiato, avvenuta con la collaborazione di Paolo Cenedese, alla guida dal 1978 dello studio «La Corte del Fabbro» a Murano, ha dato vita a opere dalle forme sinuose, che fanno convivere fragilità e vigore, ingegno e poesia.
Nei suoi vasi, l’artista ha impresso al procedimento una serie di alterazioni rivoluzionarie quali l’intrusione, prima del raffreddamento, di filamenti ferrosi che, incorporati al materiale, conferiscono ai manufatti un’insospettata qualità organica capace di articolarsi in versatili inflorescenze vegetali che si mantengono però effimere, poiché comunque imprigionate nelle trasparenti alchimie del vetro. 
Affini ai vasi, sono i gioielli, da sempre al centro del lavoro di Paolo Marcolongo, tra i maestri della Scuola orafa di Padova con Gianpaolo Babetto, Mario Pinton, Alberto Zorzi e Maria Zanella. In occasione della mostra questi oggetti, concepiti dall’artista come minimali operazioni scultoree, vengono esposti al Museo Antoniano nel soppalco che ospita le teche dove sono conservati i capolavori dell’oreficeria storica, mostrando così come le più moderne creazioni possano abitare, con delicata magnificenza, gli spazi adibiti per ospitare i più antichi manufatti rinnovando la percezione di quei luoghi senza però tradirne lo spirito.
L’arte del vetro di Murano agisce in stretta simbiosi con la pratica dell’artista anche nella realizzazione degli «Astri Terrestri», pietre lunari in cui l’arte della sabbiatura e un massiccio ispessimento dell’involucro hanno conferito opaca e porosa gravezza. Simili a una colata lavica ormai fossile, questi manufatti rimandano a un enigmatico universo minerale di forme e segni. 
La sperimentazione sui materiali ha portato l’artista a confrontarsi anche con le mille potenzialità della carta. Il risultato sono i cicli «Geografie di carta» e «Arature», dove il materiale perde la sua caratteristica di bidimensionale tabula rasa per acquisire una prospera vitalità formale. La punta che la intarsia, come un vomere, riversa ai bordi eleganti rimasugli di cellulosa da riporto che, a sbalzo, tramutano il foglio in una minuta geografia di crinali e avvallamenti.
Sempre intarsiando la carta, regolando un incisore meccanico in concomitanza ad accuratissime modificazioni di spessori, Paolo Marcolongo ha ultimamente perfezionato una tecnica di lavorazione che permette la produzione di piccoli riquadri a geometria variabile, ampiamente rappresentati nelle sale della mostra, e raggruppati in sequenza, permettendo così ai visitatori non solo di apprezzare il singolo «pezzo», ma di vedere il progetto nel suo insieme.
«Nelle carte graffiate si ripropone quella antica e significativa connessione tra manufatto e cornice. - racconta Baldissin Molli -. Quest’ultima nei documenti tardomedievali è definita, come è noto, ornamentum, come quel principio di compiutezza e definizione che rende pienamente ricca di significato l’opera, che, senza di essa, rimarrebbe di percezione scempia. È dunque un’esposizione dove il linguaggio dell’oggi può richiamare molteplici suggestioni all’indietro e, crediamo, anche in avanti, per quello che verrà dopo».

Didascalie delle immagini
[Fig. 1]Datura 2015, Anello, Ag 925 e vetro di Murano; [fig.2] In Finitum 2019, Vaso, Vetro di Murano e ferro; [fig.3] Collana 2012, Ag925 e vetro di Murano; [fig. 4] Forma, Ombra, Segno, 2015, Vetro di Murano e ferro 

Informazioni utili
«Messa in scena». Personale di Paolo Marcolongo. Basilica del Santo – Museo Antoniano, piazza del Santo, 11 – Padova. Orari di apertura: martedì – domenica, ore 9:00 – 13:00 e ore 14:00 – 18:00. Sito internet: www.arcadelsanto.org. Dal 5 novembre al 27 marzo 2022.

mercoledì 3 novembre 2021

Tra fede e bellezza, nuova luce per le opere della Basilica di Sant’Antonio a Padova

Il 24 luglio 2021 Padova entrava per la seconda volta nella World Heritage List dell’Unesco. La prima volta era avvenuta nel 1997 con l’Orto botanico, considerato patrimonio mondiale dell’umanità quale «rappresentazione della culla della scienza, degli scambi scientifici e della comprensione delle relazioni tra natura e cultura». L’anno scorso il celebre riconoscimento è stato, invece, assegnato all’urbs picta, ovvero ai cicli di affreschi trecenteschi che impreziosiscono la città, a partire da quello della Cappella degli Scrovegni compiuto da Giotto.
Tra gli otto luoghi che costituiscono il nuovo museo diffuso di Padova - «3.694 metri quadrati di pareti affrescate per mano di 6 artisti lungo 95 anni di storia» - c’è l’Oratorio di San Giorgio, edificio che si affaccia sul sagrato della basilica di Sant’Antonio, commissionato come cappella sepolcrale di famiglia da Raimondino Lupi di Soragna, guerriero e diplomatico al servizio della Signoria dei Carraresi. I suoi affreschi, realizzati tra il nel 1377 e il 1384 da Altichiero da Zevio, sono recentemente stati sottoposti a un importante intervento di «restauro percettivo». Sono cioè stati dotati di un sistema di illuminazione innovativo, realizzato sotto la direzione dell’architetto Antonio Susani, che ha permesso ha permesso di cogliere con pienezza la qualità della pittura.
Forte del risultato ottenuto da questo restauro, la Veneranda Arca di S. Antonio ha deciso di proseguire ulteriormente nella valorizzazione del patrimonio artistico che dal 1396 è chiamata a tutelare, avvalendosi ancora una volta del sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo e di iGuzzini illuminazione spa, azienda leader nel settore dell'illuminazione architetturale. È nata così l’idea - dichiara l’avvocato Emanuele Tessari, presidente capo della Veneranda Arca - «di rivalutare nella sua interezza il modo di vedere l’interno della basilica, di percorrerla, di sostare per fede e per amore della bellezza davanti ai suoi tanti capolavori».
Verranno, dunque, dotati dello stesso tipo di tecnologia avanzata la cinquecentesca cappella dell’Arca, scrigno in bianco e oro che conserva l’urna del Santo, la cappella del Beato Luca Belludi, con i dipinti di Giusto de’ Menabuoi, la cappella di San Giacomo, i cui affreschi di Altichiero e Jacopo Avanzi sono appena stati riconosciuti patrimonio Unesco, e il presbiterio, con i bronzi di Donatello, Bartolomeo Bellano e Andrea Riccio realizzati nel Quattrocento.
L'innovativo sistema di illuminazione sarà realizzato con apparecchi iGuzzini ad altissima resa cromatica e minimo ingombro visivo, in grado di rispondere alle molte sfide illuminotecniche presenti ed esaltare la ricchezza cromatica e materica del ricchissimo apparato decorativo della Basilica.
Il visitatore della basilica, ponendosi in un’ideale posizione al centro della chiesa, sotto la cupola dell’Angelo e davanti all’ingresso del presbiterio, potrà, quindi, «guardare, come mai fino a ora è stato possibile, -assicurano da Padova - i bronzi di Donatello sull’altare maggiore, come una specie di Sacra Conversazione che prenderà nuova vita grazie alla luce».
Quella posizione, al centro della chiesa, ha un valore particolare, perché lì, nel 1263, fu posta la tomba di Sant’Antonio, prima di essere spostata, definitivamente, nell’attuale cappella dell’Arca (1350). In essa lavorarono decine di artisti lungo il Cinquecento ed è stupefacente questo senso di grande coerenza, di colto classicismo, di misura equilibrata tra bellezza all’antica e fede cristiana, che si respira dai suoi nove grandi rilievi che raccontano episodi e miracoli di Antonio. La Basilica permette, infatti, ai suoi visitatori un viaggio nel meglio della pittura e della scultura transitata in città tra Trecento e Cinquecento, facendo confrontare il fedele e il turista con artisti quali Andriolo de’ Santi, Altichiero, Jacopo Avanzi, Donatello, Bartolomeo Bellano, Andrea Riccio, Tullio e Antonio Lombardo, Sansovino, Danese Cattaneo, Falconetto.
Insieme ai restauri, proseguirà l’inventariazione dei documenti dell’Archivio storico della Veneranda Arca, il punto d’inizio da cui partire per comprendere la storia della basilica. Il precedente collegio di presidenza aveva curato l’inventariazione dei documenti dalla data di fondazione della Veneranda Arca, nel 1396, fino al 1950. Grazie al sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, l’attuale collegio di presidenza ha proseguito e portato a compimento le ultime fasi del progetto, mandando in stampa l’inventario dell’archivio e attuando la messa on-line dello stesso, con la creazione di un sito dedicato (www.archivioarcadelsanto.org). L’obiettivo ora è estendere l’inventariazione fino al 1973, una data importante per l’Arca, quando assetti finanziari ed economici dell’ente mutano profondamente per la vendita della gastaldia di Anguillara, già donata da Francesco Novello da Carrara all’Arca nel 1405. Si prevede, per l’occasione, l’assunzione, per un anno, di un giovane, formato in ambito umanistico, che lavorerà a stretto contatto con la responsabile dell’archivio, la dottoressa Chiara Dal Porto.
Al termine del lavoro la Basilica del Santo brillerà di più, non solo per la nuova illuminazione delle sue opere, ma anche per il riordino delle carte che svelano la sua lunga storia. 

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Crediti delle immagini 
La galleria fotografica è a cura di Giovanni Pinton 

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