ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

venerdì 20 novembre 2020

I musei? «Servizi pubblici essenziali», ma chiusi al pubblico. E l’arte va on-line e in piazza

I musei e i siti archeologici hanno qualcosa in comune con gli ospedali e i trasporti. Sono servizi pubblici essenziali.
A stabilirlo è stato il «Decreto Colosseo» del 20 settembre 2015, convertito in una legge dello Stato italiano, la n. 182 del 12 novembre dello stesso anno. Quel provvedimento sulla fruizione del nostro patrimonio storico-artistico, legiferato in attuazione dell’articolo 9 della nostra Costituzione, fu la risposta ferma del Governo di allora, guidato da Matteo Renzi, alle proteste sindacali dei lavoratori del Parco archeologico del Colosseo che, in un momento incredibilmente positivo per il turismo italiano -nei giorni del Giubileo straordinario della misericordia a Roma e dell’Expo a Milano- avevano deciso, senza preavviso, di tenere chiusi i cancelli del complesso monumentale romano tra lo sbigottimento dei tanti visitatori stranieri in fila e l’interesse dei media internazionali.

I MUSEI? SERVIZI ESSENZIALI, CHE FANNO BENE ALLA SALUTE 
In occasione del Question Time che portò all’approvazione del «Decreto Colosseo» in Parlamento, l’allora ministro dei Beni culturali Dario Franceschini definì «una conquista di civiltà» la scelta di inserire i musei e i siti archeologici tra i servizi pubblici essenziali.
Cinque anni dopo, in questo 2020 che è stato definito l’annus horribilis del Coronavirus, anche queste realtà, come altre forme di attività produttiva, sono state sacrificate in virtù del «diritto alla salute», sancito dall’articolo 32 della Costituzione. 
Musei e siti archeologici sono stati così chiusi per ben due volte nell’arco di otto mesi, prima in ottemperanza al Dpcm del 9 marzo e ora, dopo la riapertura dello scorso 18 maggio, in virtù del Dpcm del 3 novembre, che avrà efficacia per un intero mese (salvo proroghe).
Ma se è vero che l’arte fa bene alla salute (soprattutto a quella mentale), come ha di recente confermato l’Organizzazione mondiale della sanità con lo studio «What is the evidence of the role of the arts in improving health and well-being?» (disponibile anche in italiano grazie alla versione redatta dal Cultural Welfare Center), i musei, attenti da subito a tutti i protocolli di sicurezza e oggettivamente poco frequentati negli ultimi mesi, avrebbero meritato una chance in più.
Saltato il sistema di tracciamento nelle Ats, è certamente difficile da confutare la tesi di Dario Franceschini -ancora ministro dei Beni culturali, ora nella formazione di governo capitanata dal premier Giuseppe Conte- che in televisione, intervistato su RaiTre da Fabio Fazio, ha definito i musei «luoghi di possibile contagio». Ma in un momento storico nel quale anche le nostre case non sono posti sicuri, anzi sembrano essere tra i maggiori diffusori del virus, la visita a una mostra o alla collezione di una pinacoteca è davvero meno prudente per la salvaguardia della salute -nostra e degli altri- di una piega dal parrucchiere o di un viaggio in treno? È lecito avere qualche dubbio e motivare la chiusura dei musei con la necessità di diminuire gli spostamenti e i contatti tra le persone rende la decisione del Governo ancora più dolorosa, soprattutto dopo le scene folli viste, all’inizio di questa settimana, nei supermercati Lidl di tutta Italia per acquistare sneakers e ciabatte griffate con il logo della nota catena low cost

ARTE A PORTATA DI CLIC PER IL SECONDO LOCKDOWN DELLA CULTURA
La seconda ondata del virus non ha, però, trovato impreparati i musei italiani, che -come abbiamo già raccontato- hanno reagito al nuovo «lockdown della cultura» (sono chiusi al pubblico anche i teatri, i cinema e le biblioteche) tornando immediatamente fruibili on-line, sul sito istituzionale e sui profili social, ma anche su piattaforme come Zoom, Google Meet, WhatsApp.
La Rete si è trasformata così in una piazza virtuale, nella quale condividere esperienze e conoscenze, dove continuare a sperimentare l’arte grazie un ricco programma (fin troppo ricco) di visite guidate virtuali, talk con artisti e curatori, podcast, approfondimenti sulle collezioni permanenti, laboratori per bambini, contenuti multimediali di approfondimento sulle mostre allestite (e purtroppo non visitabili in presenza), recital artistico-teatrali, presentazioni di libri, visione di cinema d’artista e molto altro ancora.
Di giorno in giorno, l’agenda si infittisce di appuntamenti; nessuno vuole mancare all’appello. È, per esempio, fresco di presentazione il progetto «DuaFoto», spazio espositivo virtuale dedicato alla fotografia contemporanea, nato a Siena da un’idea del giovane programmatore Juljan Kaci, che racconta la bellezza del nostro Paese proponendo un viaggio virtuale, di regione in regione, attraverso luoghi, persone, tradizioni, stili di vita ed espressioni del meglio del made in Italy.
L’associazione MuseoCity, in collaborazione con Milanoguida, presenta, invece, «Connessioni culturali», un ciclo di quattro appuntamenti su Zoom - in programma dal 24 novembre al 15 dicembre, ogni martedì alle ore 21 – grazie ai quali si potrà conoscere meglio il capoluogo lombardo e il suo patrimonio museale, ma anche scambiare idee e commenti con i propri compagni di viaggio o rivolgere domande alla guida turistica. 
Si inizierà con un incontro su «Il Quarto Stato» di Giuseppe Pellizza da Volpedo, il grande quadro che apre il percorso di visita al Museo del Novecento. Si proseguirà con un approfondimento sulla Sala dell’Asse al Castello sforzesco, all’interno della quale è stata riscoperta, grazie a un accurato restauro, un’opera di Leonardo da Vinci, tra i vertici della sua pittura. Gli intrecci di rami, nastri, frutti e radici svelano, infatti, tutta la sapienza di pittore scientifico, di studioso di ottica e di grande botanico del maestro toscano. Si passeggerà, poi, tra le strade della Milano ottocentesca, accompagnati da foto d'epoca e da suggestivi dipinti realizzati da artisti che, nel XIX secolo, trovarono il successo immortalando scorci, angoli e panorami cittadini oggi non più visibili. Mentre a chiudere il programma sarà un incontro dal titolo «Dialoghi tra arte e architettura milanese 1930 -1960»
I partecipanti potranno ritrovare tutti i luoghi visitati virtualmente, a titolo gratuito e previa prenotazione sul sito istituzionale della rassegna, sulla App di MuseoCity.  


«MISSING MASTERPIECES», UNA MOSTRA DIGITALE PER SAMSUNG 
Mentre Samsung ha da poco lanciato la mostra digitale «Missing Masterpieces», una raccolta di opere iconiche non più accessibili al pubblico, perché rubate o perse per sempre, disponibile gratuitamente, tramite App Store, su tutti i TV Samsung The Frame, televisori dal design unico in grado di fondersi armoniosamente con l’arredamento di casa quando non sono in uso. 
Questa collezione, che sarà live per i prossimi tre mesi e che può essere visionata anche sul sito istituzionale dell’azienda, include dodici opere selezionate da Noah Charney, esperto di crimini d'arte e fondatore della Association for Research into Crimes Against.
Nella selezione sono inclusi lavori di valore inestimabile come «Anatra bianca» di Jean Baptiste Oudry e «Ritratto del dottor Gachet» di Vincent Van Gogh, entrambi visti per l'ultima volta quasi trent’anni fa. In questa pinacoteca virtuale è possibile ammirare anche «Vista di Auvers-sur-Oise» di Paul Cézanne, un quadro rubato come in un film con i ladri che, approfittando dei festeggiamenti per il Capodanno 1999, si sono arrampicati su un’impalcatura, hanno sfondato un lucernario, calato una scala di corda e schermato le telecamere con una bomba fumogena. Altre due opere dalla storia sorprendente inserite nella galleria di Samsung sono «Il ponte di Waterloo» e «Il ponte di Charing Cross», tele entrambe di Claude Monet, rubate nell'ottobre 2012 dal Kunsthal di Rotterdam e probabilmente bruciate dalla madre del ladro poco prima del recupero.
Mentre ad aprire simbolicamente la mostra virtuale di «Missing Masterpieces» è la tela «Giardino di primavera» di Vincent Van Gogh, scomparsa il 30 marzo di quest’anno, nel giorno della nascita dell’artista, in un furto a sorpresa. L’opera non è stata ancora trovata, ma si spera possa esserci presto un lieto fine e per aiutare chi è attivamente coinvolto nella ricerca di questa tela (e degli altri pezzi perduti) Samsung invita gli amanti dell'arte e gli aspiranti detective a condividere qualsiasi suggerimento, teoria o indizio su Instagram, taggando @samsungitalia e usando l’hashtag #MissingMasterpieces. L'interazione con l'utente è, infatti, uno dei punti di forza dell'esperienza digitale. 

UNA VIRTUAL EXHIBITION PER IL CENTENARIO DELLA MORTE DI MODIGLIANI
Un’altra virtual exhibition da non perdere è quella promossa, sotto la direzione artistica di Roberto Pantè e con il contributo della Regione Lazio, per ricordare i cento anni dalla morte di Amedeo Modigliani (1920-2020), pittore geniale e trasgressivo, «senza maestri e senza allievi», soffocato dalla malattia che l’ha costretto a un’esistenza breve, ma intensa, drammatica e memorabile.
Sul sito www.nelsegnodimodigliani.it è possibile conoscere la vita e le opere dell'artista attraverso un percorso, guidato da voci narranti, che si articola in otto stanze con sessanta opere, decine di fotografie storiche, alcuni video e oggetti d’uso quotidiano, dall’ultima tavolozza al taccuino con gli appunti.
Ad accogliere il visitatore in mostra è lo stesso Amedeo Modigliani che presenta il suo atelier, allestito nella casa paterna a Grugua, in Sardegna. Kiki di Montparnasse svela, poi, i nudi. L’amata Jeanne Hébuterne introduce alla visione delle tele a lei dedicate. L’amico pittore Moïse Kisling guida i visitatori virtuali nella stanza dei ritratti. La poetessa e giornalista Beatrice Hasting fa conoscere più da vicino i mentori dell’artista livornese, dal mercante Paul Alexandre all’amica Lunia Czechowska, dal poeta e gallerista Leopold Zborowski ad Hanka Zborowska.
Durante la visita virtuale, offerta a titolo gratuito, l'utente può avvicinarsi ai quadri, interagire con essi, ingrandirli per coglierne la qualità pittorica, leggerne le didascalie, i commenti tecnici e storici esattamente come all’interno di un'esposizione fisica.
Ad arricchire il percorso, al quale fa da sottofondo la musica del compositore e pianista francese Éric Alfred Leslie Satie, sono la stanza dei ricordi, con all’interno alcune foto degli affetti più cari, e una sala del cinema con tre video, tra i quali si segnala il docufilm sulla storia d’amore tra l’artista e Jeanne Hébuterne, realizzato da Sky Arte e presentato dall'attrice Samantha Morton per il ciclo «Artists in Love».
Non manca, poi, il bookshop (modigliani.joyd.it), dove il visitatore potrà acquistare i prodotti di merchandising della mostra, tenendo con sé un ricordo dell’esperienza, come fosse davvero avvenuta in presenza. 

DA MILANO A NAPOLI, ARTE ALL'ARIA APERTA 
 Ma c’è anche chi, in questi giorni difficili della seconda ondata del virus, ha deciso di esporre all’aperto e di dialogare con un mondo in costante trasformazione, anche se «stranamente congelato» per via delle restrizioni imposte dall’ultimo Dpcm. È il caso di Base a Milano che lo scorso 12 novembre ha inaugurato il progetto pluriennale «In-Beetween» con un'inedita installazione site specific dell’artista e poeta scozzese Robert Montgomery. Sulla soglia dell’ex Ansaldo è stata collocata la scritta luminosa «The future is an invisible playground», una light poem che parla del domani e delle sfide che ci attendono.
Luci e parole sono al centro anche dell’installazione artistica «Nessuno escluso», che il duo Bianco e Valente ha ideato per Napoli, nell’ambito del progetto di riqualificazione di via Marina, porta orientale del capoluogo campano. L’opera, collocata nella notte tra il 10 e l’11 novembre, all’altezza della rotatoria tra via Vespucci e corso Lucci, racconta lo spirito di una città che ha fatto dell’accoglienza e della tolleranza il suo punto di forza.
Mentre, con l’avvicinarsi del Natale, Torino non rinuncia alle sue «Luci d’artista»: ventisei installazioni, quattordici collocate nel centro storico e dodici nelle circoscrizioni, firmate da importanti artisti internazionali come Daniel Buren, Michelangelo Pistoletto, Mario Airò, Giulio Paolini e molti altri ancora.
Infine, a Roma, in cento luoghi all’aperto, è allestita fino al prossimo 6 dicembre la mostra «Volontà di ferro», a cura di Werner Bortolotti, nella quale i fratelli Cristiano e Patrizio Alviti espongono, grazie all'inconsueto utilizzo degli spazi dedicati alla cartellonistica pubblicitaria, una vasta selezione di incisioni monotipo, prove d'autore e lastre, opere tutte scaturite nel periodo di isolamento forzato. 

CONTENUTI PLUS E A PAGAMENTO: IL FUTURO DA SPERIMENTARE 
Non c’è, dunque, che l’imbarazzo della scelta per godere dell’arte in questi nuovi giorni di chiusura dei musei e delle mostre. Ma se nel primo lockdown il moltiplicarsi delle iniziative serviva soprattutto a mantenere un legame di fiducia con il proprio pubblico e a offrire occasioni di conoscenza e sollievo in un momento di sospensione della quotidianità, ora l’uso del digitale andrebbe ridefinito. 
Qualità dei contenuti e sostenibilità dell’offerta, in un’ottica legata non alla semplice contingenza del momento, dovrebbero diventare le parole chiave della futura programmazione Web e social dei luoghi della cultura (il discorso vale anche per i teatri). Se è, infatti, certo che sul fronte museale, le varie iniziative digitali e i virtual tour servono a incuriosire gli utenti nella speranza che l’esperienza in streaming o on demand si trasformi in una visita in presenza, è anche vero che è arrivato il tempo di far pagare quell’offerta culturale quando dietro c’è un lavoro di ricerca. 
In quest’ottica si muove, per esempio, BreraPlus, un abbonamento sperimentale - totalmente gratuito fino alla fine del 2020 e in seguito a pagamento - che consente l'accesso fisico alla Pinacoteca (quando riaprirà) e, parallelamente, propone contenuti multimediali esclusivi, a partire dal documentario «Performing Raffaello», in agenda il prossimo 23 novembre.
Quello della Pinacoteca di Brera è un primo passo, ma è la direzione da seguire. Perché anche se è piacevole vedere che a fronte di un lockdown delle strutture museali (e di quelle teatrali) non c’è stato un lockdown dell’offerta culturale, una domanda aleggia nella mente: la gratuità dei tanti eventi digitali in programma non finirà, alla fine, per penalizzare il settore, facendo credere ancora una volta che la cultura è un hobby e non un lavoro?

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giovedì 19 novembre 2020

La bellezza di Parma in un libro di Franco Maria Ricci

«Alla mia Parma, come a una donna amata, dedico oggi un’opera di quelle che so fare bene. Se avessi avuto la ventura di nascere floricoltore, le farei dono della più bella delle mie violette, ma faccio l’editore, e mi accontento di offrirle un libro». Viene presentato con queste parole di Franco Maria Ricci, raffinato collezionista d’arte che ha dato vita al Labirinto del Masone (tra i più grandi dedali al mondo) e che è stato l’ideatore di una delle più belle riviste d’arte italiane, «FMR», definita da Federico Fellini «la perla nera», il volume «Parma».
Il libro, realizzato in collaborazione con Crédit Agricole Italia, è un omaggio non solo alla città emiliana, che in un periodo tanto difficile come quello della pandemia da Coronavirus si trova a vestire i panni di Capitale italiana della Cultura. Ma è anche un tributo a Franco Maria Ricci, editore, bibliofilo, graphic designer e cultore del bello, scomparso a ottantadue anni lo scorso settembre nella sua dimora di Fontanellato, antico borgo della provincia parmense con la splendida Rocca affrescata dal Parmigianino.
Più volte Franco Maria Ricci ha incrociato la sua storia di editore con quella di Parma e dei suoi monumenti (si pensi, per esempio, al bel volume sulla Cattedrale, edito nel 2015, o a quello sul Battistero, stampato nel 1993). E più volte l’ha raccontata con il suo stile, caratterizzato dall’assoluta devozione al carattere Bodoni, inno all’armonia e alla proporzione, tappa primigenia di una lunga avventura nel mondo dell’editoria all’insegna della cura del dettaglio e della qualità estetica e contenutistica. 
Il primo volume pubblicato da Franco Maria Ricci, non ancora trentenne, fu, infatti, la ristampa, in novecento copie e in tre tomi di raffinato nero in pelle, di un’opera allora introvabile anche sul mercato antiquario: il «Manuale tipografico» di Giambattista Bodoni, direttore della Stamperia ducale di Parma negli ultimi decenni del Settecento. 
Da allora -era il 1963- dalla casa editrice parmense sono uscite collane di culto come «I segni dell’uomo», «Morgana», «Quadreria», «Luxe, calme et volupté», «Curiosa», «La Biblioteca di Babele», «Iconographia», «La biblioteca blu», «Guide impossibili», «Italia/Antichi Stati», «Grand Tour», un insieme di libri preziosi che è sempre stato un piacere sfogliare, guardare, leggere, mettere in bella mostra nella propria libreria.
Eleganza e bellezza, le due parole che meglio raccontano la storia di FMR, tessono il racconto anche del nuovo libro dedicato a Parma, un ritratto della città con immagini spettacolari e schede, una per ogni monumento importante o angolo curioso e poco conosciuto.
Lo splendore medievale del Battistero, la grande pittura manierista del Parmigianino, gli affreschi pieni di movimento e di grazia soffusa del Correggio, i palazzi e le chiese del centro storico, la magnificenza della dinastia Farnese, che ha la sua massima espressione visiva nel Palazzo della Pilotta con l’annesso teatro, la grandeur che pervade i monumenti dell’epoca della duchessa Maria Luigia d’Austria, a partire dal bel teatro Regio (allora Nuovo Ducale Teatro), si offrono, pagina dopo pagina, agli occhi del lettore. Non manca, poi, un focus sui nuovi linguaggi del Novecento di Carlo Mattioli e di Amedeo Bocchi.
La forma del volume ricalca quella della città, con la divisione tra le due sponde dell’acqua, ma l’itinerario viene arricchito da una sortita fuori città, alla scoperta dei luoghi più affascinanti del territorio circostante, dai castelli della Bassa parmense al Labirinto della Masone, dalla sorprendente collezione custodita negli spazi di villa Magnani Rocca a Mamiano di Traversetolo agli oggetti della civiltà contadina del Museo Guatelli a Ozzano Taro.
Il volume si apre con un’introduzione a firma di Michele Guerra, assessore alla cultura del Comune di Parma. Ad accompagnare il lettore in questo viaggio per immagini alla scoperta di uno dei più suggestivi angoli d’Italia -patria di Benedetto Antelami, Giuseppe Verdi, Arturo Toscanini e Bernardo Bertolucci- sono, poi, le puntuali schede curate da Maria Cristina Chiusa e i due saggi introduttivi, dedicati uno al tempo e uno allo spazio: il primo, di Gianni Guadalupi, narra col piglio del racconto le alterne vicende storiche della nostra città, il secondo, di Marzio Dall’Acqua, ne descrive la forma.
Parma, città di aristocratiche tradizioni locali e di opere d’arte da sindrome di Stendhal, si mostra così agli occhi del lettore curioso e dell’amante del bello in tutto il suo fascino. Un fascino che aveva colpito anche Maria Luigia, come si legge in un passaggio di una lettera alla duchessa di Montebello del maggio 1816: «il paese nel quale vivo è un vero giardino; ho nelle mani il modo di rendere quattrocentomila anime felici; di proteggere le scienze e le arti; non sono ambiziosa ed ho la speranza di passare qui un grande numero d'anni, che si rassomiglieranno tutti ma che tutti saranno dolci e tranquilli». 

Informazioni utili
«Parma». FMR, Fontanellato (Parma) – Milano 2020. Testi di Marzio Dall’Acqua, Gianni Guadalupi; schede dei luoghi a cura di Maria Cristina Chiusa, Francesca Grignaffni, Elisa Rizzardi, Pietro Mercogliano. 258 pagine. Formato: 28,5 x30 cm. Prezzo: 80 euro. Data di uscita: 1° novembre 2020. Informazioni: Masone Srl, tel. 0521.827081 o tel. 02.41299934. Sito: www.francomariaricci.com

mercoledì 18 novembre 2020

La rivista «Ferrania» rivive in digitale grazie alla Fondazione 3M

Era il gennaio del 1947 quando faceva la sua comparsa - in occasione della commercializzazione di Ferraniacolor, la prima pellicola a colori prodotta in Europa - il mensile «Ferrania», nato dall’acquisizione della rivista «Notiziario fotografico», fondata a Ivrea nel 1940 sotto la guida di Aristide Bosio.
Diffusa in un momento storico come quello del secondo Dopoguerra, dove la fotografia trovava sempre più spazio sui rotocalchi patinati -da «L'Espresso» a «L'Europeo», da «Epoca» a «Il Mondo»- ma anche in testate di carattere culturale, a partire dalla raffinata rivista «Il Politecnico», diretta da Elio Vittorini e impaginata da Albe Steiner, «Ferrania» si distinse subito per non essere un mero bollettino aziendale, ma un «veicolo di pubbliche relazioni», un prodotto di alto profilo culturale anche grazie all’illuminata direzione di Guido Bezzola, cattedratico di letteratura italiana, e di Alfredo Ornano, fotografo e grande esperto di chimica.
Su quelle pagine, che lo storico della fotografia Italo Zannier definì «una specie di Camera Work italiana», scrissero autori del calibro di Giuseppe Turroni, Ugo Casiraghi, Morando Morandini, Folco Quilici, Dino Formaggio, solo per citarne qualcuno.
L'impaginazione e la direzione artistica potevano, invece, contare sull'esperienza di Luigi Veronesi, fotografo e pittore astrattista, che diede alla rivista -come a tutte le pubblicità dell’azienda Ferrania- un’impronta di straordinaria modernità.
Sin dai primi numeri, il periodico dedicò ampio spazio alla fotografia in bianconero (la prima copertina a colori è del 1955 in contemporanea con la comparsa del sottotitolo «Rivista mensile di fotografia e cinematografia») pubblicando sia portfolio di grandi autori internazionali come Édouard Boubat, Brassaï, Izis e Otto Steinr sia opere di bravi fotoamatori, alcuni dei quali, come Mario De Biasi, Cesare Colombo, Gianni Berengo Gardin, Fulvio Roiter, si sarebbero poi imposti come professionisti.
La scoperta di nuovi talenti era strettamente legata al lancio di bandi fotografici, base per la creazione del prestigioso archivio dell’azienda Ferrania, un patrimonio di centodieci mila immagini (tra lastre, cartoline fotografiche, negativi, stampe vintage e riproduzioni), acquisito negli anni Sessanta da 3M.
Tirata in tremila e cinquecento copie per fascicolo nell’invariato formato A4 (24 x 30 centimetri) di quaranta pagine su carta patinata, «Ferrania» si caratterizzò, nel corso degli anni, per una struttura organizzata in una successione di articoli di natura critica, tra saggi, recensioni e profili degli autori. Le ultime pagine del periodico erano, invece, dedicate a schede monografiche relative a personalità artistiche del passato. Non mancavano, poi, consigli tecnici e suggerimenti sugli obiettivi, ovvero articoli che permettevano ai fotoamatori di conoscere i nuovi prodotti dell’azienda milanese.
Vicina all’estetica crociana, cara a una delle firme più attive della rivista - quella di Giuseppe Cavalli, sperimentatore della cosiddetta tecnica high-key e firmatario del celebre «Manifesto della Bussola» -, la rivista era attenta anche al mondo del cinema, che raccontava da un punto privilegiato visto che l'azienda Ferrania forniva le pellicole ai più grandi registi italiani, da Federico Fellini a Pier Paolo Pasolini.
Questa ossatura editoriale venne mantenuta fino all’ultimo numero, uscito nel dicembre 1967. Con il consueto annuario del meglio della fotografia dell’anno, pubblicato a partire dal 1957, «Ferrania» chiudeva i battenti, ma il suo stile – ricorda Roberto Mutti- «lasciava un’importante eredità con cui ancora oggi si fanno i conti».
È, dunque, prezioso il lavoro fatto dalla Fondazione 3M, istituzione culturale permanente, snodo di divulgazione e formazione, dove scienza e ricerca, arte e cultura, discipline economiche e sociali, vengono approfondite, tutelate, promosse e valorizzate, nella consapevolezza dei valori d'impresa e della cultura dell'innovazione. 
Si deve, infatti, a questo prestigioso ente italiano, con sedi a Roma e Milano, la digitalizzazione di tutti i numeri della rivista «Ferrania». Il progetto, che è stato realizzato in collaborazione con la Scuola normale superiore di Pisa, permette così, con un semplice clic, di sfogliare e di consultare la rivista comodamente da casa. Un’ottima occasione, questa, per gli studiosi (ma anche per i semplici appassionati di fotografia) nei giorni del secondo lockdown della cultura, con le biblioteche chiuse e la necessità di affidarsi solo a Internet (e alla propria biblioteca personale) per le ricerche e gli studi.

Informazioni utili 
Tutti i numeri della rivista sono disponibili al sito: https://www.fondazione3m.it/page_rivistaferrania.php