ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

mercoledì 6 gennaio 2010

Da Torino a Salerno, «Luci d’artista» per le feste

E' una notte dai mille colori quella che Torino sta vivendo in questo inizio 2010. Per il dodicesimo anno consecutivo, al tramonto del sole e fino all’una di notte, il capoluogo piemontese si trasforma, infatti, in un museo a cielo aperto. L'occasione è offerta dalla nuova edizione di Luci d'artista, iniziativa nata nel 1998 da un'idea dell'amministrazione comunale sabauda, di concerto con la Regione Piemonte, che trasforma le tradizionali luminarie natalizie in un evento artistico capace di rinnovare il volto della città, dal centro storico alla periferia. Ed è proprio all'entrata sud del capoluogo piemontese che si trova la prima delle quindici opere con cui grandi firme dell’arte contemporanea celebrano, quest'anno, la magia del Natale. Si tratta di Luce Fontana Ruota di Gilberto Zorio, una stella a cinque punte, fonte di energia e forma emblematica, che gira come un mulino sollevando, nelle acque del laghetto Italia '61, cascate e spruzzi illuminati da potenti fotocellule.
Il percorso espositivo, oltre a quest’opera, propone altri dodici lavori già noti al grande pubblico: dalla gioiosa e caleidoscopica Regno dei fiori: nido cosmico di tutte le anime, un giardino incantato, dalle cromie forti e intense, con cui Nicola De Maria ridisegna il volto di piazza san Carlo, alla spettacolare installazione Piccoli spiriti blu di Rebecca Horn, con cerchi di luce capaci di donare un aspetto surreale e onirico, quasi da astronave in volo, alla chiesa di santa Maria al Monte dei Cappuccini.
Quest’opera, formata da una serie di panelli trasparenti e di luce azzurra, allieta la vista anche di chi si ritrova ai Murazzi del Po, fulcro della movida torinese, dove l'artista americano Joseph Kosuth presenta le sue scritte luminose al neon per Doppio passaggio (Torino), un lavoro che –scrisse Franco Fanelli – propone «due citazioni di altrettanti genii loci, Italo Calvino e Friedrich Nietzsche, il filosofo che proprio a Torino avvertì i primi sintomi della pazzia».
Il punto di vista migliore per ammirare quest’installazione, le cui frasi sono montate in modo speculare, è il ponte verso la chiesa della Grande Madre di Dio, dalla cui scalinata si può vedere anche Il volo dei numeri del compianto Mario Merz, che mette sulla Mole Antonelliana, sede del Museo nazionale del cinema, un sottile filo di luce rossa, che corre lungo uno spigolo della cupola. Solo arrivando fin sotto l'edificio si scopre che quella strana insegna al neon è in realtà una sequenza di numeri: 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21, 34, 55, 89. È la cosiddetta serie di Fibonacci, un crescendo numerico in cui ogni cifra è la somma delle due precedenti.
Partendo da qui ci si può spostare in via Po, dove Giulio Paolini ha allestito Palomar, una successione di forme astronomiche e geometriche che termina con la sagoma di un acrobata. Quest’opera è una vera e propria meraviglia per gli occhi così come le Cosmometrie di Mario Airò a Palazzo Carignano e il coloratissimo Tappeto volante di Daniele Buren nell’antica piazza delle Erbe (oggi conosciuta come piazza Palazzo di Città). Da qui si intravede il suggestivo intervento di Luigi Stoisa per via Garibaldi, Noi, nel quale due figure contrapposte rosse, una femminile e l'altra maschile, sono sospese nel cielo, quasi a dire che «il Natale più bello siamo noi, uomini e donne, uniti in un solo e unico pensiero, mente e corpi illuminati da una luce penetrante».
Poco lontano, a Porta Palazzo, contesto urbano in cui maggiormente si concentrano e si incontrano diverse etnie e religioni, Michelangelo Pistoletto ha posto la sua installazione Love difference - Amare le differenze, dove questa frase di apertura all’altro, al diverso da noi, appare scritta in trentanove lingue differenti. A chiudere il percorso tra le “vecchie" meraviglie luminose che rendono ancora più magica l'atmosfera invernale di Torino, tutte visibili fino a domenica 10 gennaio, si trovano le creature sospese nel vuoto dell'opera Volo su di Francesco Casorati in via Roma, gli ideogrammi al neon di Qingyun Ma per Neongraphy alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, e le frasi di Domenico Luca Pannoli sull'amore nel quartiere della Crocetta (corso De Gasperi, via Colombo e via Piazzi).
Questa edizione della manifestazione torinese, realizzata grazie al contributo di Fondazione Crt, Gruppo Iride, Compagnia San Paolo, Camera di Commercio e Ferrovie dello Stato, rimarrà, però, impressa nella mente per le sue due novità: i giochi di luci blu, bianche e rosse dell’opera L'energia che unisce si espande nel blu del torinese Marco Gastini alla Galleria Subalpina, storico passaggio al coperto tra piazza Castello e piazza Carlo Alberto, e il progetto Mosaico di Enrica Borghi in via Lagrange, centocinquanta pannelli costituiti da una struttura in alluminio ai cui lati sono posizionati fondi di bottiglia forati ed uniti tra loro da fascette autobloccanti. L'opera vuole essere un omaggio agli antichi decori realizzati all'interno del Duomo di Salerno e intende sottolineare la bellezza e le luci del Mediterraneo, luogo di scambio di merci, di profumi e di brusio di gente. Ed è proprio nella città campana che, da quattro anni, si ha, grazie alla collaborazione con il Comune di Torino, una nuova Luci d’artista. Tema di questa edizione, in programma fino a domenica 10 gennaio, è Il giardino incantato e le figure del mito, grazie al quale viene ricreato nelle strade del centro storico e della periferia un mondo da favola, popolato da fate, draghi, unicorni, maghi, cavallucci marini, pesci e fenici, ma anche da cieli stellati, angeli, alberi, rami luminosi e una grande slitta di Babbo Natale, carica di doni.

Didascalie delle immagini
[fig. 1] Mario Merz, Il volo dei numeri – Luci d’artista, Torino; [ fig. 2] Daniel Buren, Tappeto volante – Luci d’artista, Torino; [fig. 3] Rebecca Horn, Piccoli spiriti blu – Luci d’artista, Torino; [fig. 4] Marco Gastini, L'energia che unisce si espande nel blu– Luci d’artista, Torino; [fig. 5] Enrica Borghi, Mosaico – Luci d’artista, Torino; [fig. 6] Un’opera di Luci d’artista: Il giardino incantato e le figure del mito, Salerno 2009.

Per saperne di più
Luci d'artista 2009 su Contemporary Art Torino Piemonte
Luci d’artista 2009 su Scatto – Il fotoblog della città di Torino
Luci d’artista 2009 sul sito del Comune di Torino
La cartina di Luci d'artista 2009 a Torino
Luci d’artista 2009 sul sito del Comune di Salerno

Vedi anche

Enrica Borghi e i suoi lavori con materiali di scarto

mercoledì 21 ottobre 2009

«Sovrana eleganza»: la moda di Capucci in scena al Castello di Bracciano

«Uno storico potrebbe descriverli come “soffici corazze” del Medioevo. Un botanico potrebbe vederli come corolle giganti dalle quali si irradiano petali di seta in toni orientali. Un matematico commenterebbe indubbiamente sulle drammatiche forme geometriche impiegate nel disegno». Non ci sono parole migliori di quelle usate da Germano Celant, in un numero di Interview del 1991, per descrivere gli abiti di Roberto Capucci (Roma, 1930), uno dei più grandi maître couturier italiani, le cui creazioni sartoriali trascendono la funzione di mera copertura del corpo per diventare meraviglie degli occhi, curiose costruzioni in tessuto, che sembrano far proprio l'aneddoto di Oscar Wilde: «O si è un'opera d'arte o la si indossa».
Ne dà prova la mostra Sovrana eleganza, curata dallo stesso stilista e allestita, fino alla prossima domenica 13 dicembre, nell’area museale di uno dei manieri più maestosi d’Europa, il quattrocentesco Castello Odescalchi di Bracciano, i cui responsabili si sono occupati per l’occasione anche del restauro di un’opera della collezione: un prezioso dipinto raffigurante Cristina di Svezia in abiti regali, la cui azione conservativa ha restituito al pubblico la ricchezza e la magnificenza delle sete, dei gioielli, delle perle che incorniciano la sovrana.
Tra il secondo piano dell’ala nobile, il loggiato e l’antica sala del guardaroba, in un suggestivo dialogo con lo sfarzo dei velluti e broccati dei grandi ritratti e le armi lucenti in acciaio della raccolta del museo laziale, sessantasei abiti-sculture, che all'esuberanza delle forme coniugano la vivacità cromatica, raccontano la vicenda creativa del maestro romano, che ha fatto proprio il motto di Friedrich Schiller, lo stesso prescelto da Gustav Klimt a commento di un suo celebre dipinto, Nuda veritas: «se quello che fai o crei non piacerà alle folle, cerca di deliziare i pochi. È un errore voler piacere a tutti».
Sin dal 1951, anno della sua prima sfilata a Firenze per iniziativa del marchese Giovanni Battista Giorgini, Roberto Capucci ha, infatti, prodotto abiti sofisticati, magici che nulla hanno a che fare con la serialità e la riproducibilità, con i diktat dell'industria della moda. Le raffinate e pregevoli creazioni del sarto-artista che ha vestito, tra le tante, Silvana Mangano, Esther Williams, Valentina Cortese e il premio Nobel Rita Levi Montalcini sembrano anzi inespugnabili e inabitabili fortezze con le loro spirali vertiginose, i multiformi ventagli, gli ingombranti pannelli multicolori e le macchinazioni sartoriali di enfasi barocca. Eppure i vestiti dell'archivio Capucci, frutto di centinaia e centinaia di ore di lavoro, sono stati indossati almeno una volta; hanno fatto, anche solo per pochi istanti, sognare a una donna di essere la regina di una favola a lieto fine.
Sensazione da fiaba sarà anche quella provata da chi entrerà nei prossimi mesi al Castello di Bracciano, trasformato per l’occasione in una coloratissima e magica «wunderkammer», stanza delle meraviglie, in cui organze satinate, rasi, lamè e sete -«studi di forme e di colore», come afferma lo stesso stilista- discorrono silenziosamente tra loro per raccontare mezzo secolo di couture.
Tra l’altro, sfilano in mostra sette abiti da sposa, uno rosso donato dal museo Fortuny di Venezia, il vestito Fuoco con il volume del plissé verso l’alto, gli abiti-scultura «a scatola» della fine degli anni Cinquanta e quelli ispirati ai capitelli corinzi. Tratto distintivo di questa esposizione è, però, lo studio dei rapporti di Roberto Capucci con le altre arti, in primis la musica e il teatro. Ecco così che in un’ala del castello, nella sezione conclusiva del percorso espositivo della mostra, si ritrovano a sorpresa le note di Armando Trovajoli per la commedia musicale Vacanze Romane, andata in scena nel 2004 al teatro Sistina di Roma e tratta dal celebre film di William Wyler che aveva come indimenticabile protagonista l’icona della moda sofisticata e dello stile, Audrey Hepburn. Mentre nella sala della Loggia fanno mostra di sé venticinque disegni di costumi teatrali, fino ad ora inediti e presentati in catalogo da Luca Ronconi. Bozzetti, questi, pensati non per una specifica produzione, ma nati da un esercizio creativo e tesi a illustrare il desiderio del sarto-artista di misurare il proprio caleidoscopico immaginario con le potenzialità espressive e comunicative dell’abito, che diviene costume quando usa la propria forma e la propria materia per descrivere un carattere e costruire un personaggio.
Il tutto concorre a dimostrare come Roberto Capucci abbia guardato ai grandi maestri del Rinascimento, Beato Angelico e Benozzo Gozzoli, Carpaccio e Tiziano, meditandone il senso del colore, i volumi delle stoffe e le architetture degli abiti. Ne emerge, dunque, il ritratto di uno stilista anticonformista, capace di dar luogo a una meravigliosa sinfonia di colori, a un grande affresco dall'opulenza rinascimentale, a uno stile inconfondibile che «come un verso di Dante o Shakespeare -scriveva Francesco Alberoni, nel 1990- si riconosce in mezzo a tutti gli altri».

Didascalie delle immagini
[fig. 1] 1984, Parigi Ambasciata d’Italia. Abito-scultura in crepe seta rosso, maniche in gazaar multicolori effetto petali. Loggia Corte d’Onore Castello Odescalchi di bracciano. Foto: Claudia Primangeli; [fig. 2] 1992, Berlino Teatro Schauspielhaus. Abito scultura taffetas verde scuro vari colori nel motivo a farfalla. Giardino del granaio Castello Odescalchi di Bracciano. Foto: Claudia Primangeli; [fig. 3] 1984, Parigi Ambasciata d’Italia. Abito-scultura in crepe seta rosso, maniche in gazaar multicolori effetto petali. Loggia Corte d’Onore Castello Odescalchi di Bracciano – Foto: Claudia Primangeli; [fig. 4] 1992, Berlino Teatro Schauspielhaus. Abito scultura taffetas nero e bianco sovrapposizioni multicolori – Saloni del Piano Nobile Castello Odescalchi di Bracciano – Foto: Claudia Primangeli; [fig. 5] Abito scultura con corpino in stile capitello corinzio:Foto: Claudia Primangeli.

Informazioni utili
Sovrana eleganza. Castello Odescalchi, piazza Mazzini, 14 - Bracciano (Roma). Orari: da martedì a domenica, dalle 10 alle 12 e dalle 15 alle 17. Biglietti: intero € 7.00, riduzione per gruppi € 5.00. Catalogo: Allemandi, Torino. Infoline: tel. 06.99802379. Web Site: www.odescalchi.it. Fino al 13 dicembre 2009.

martedì 20 ottobre 2009

Federica Galli, una vita per l’incisione

«Per me questo lavoro è il paradiso terrestre». Così Federica Galli (Soresina - Cremona, 1932 - Milano, 2009) raccontava, nel 1998, alla critica Gina Lagorio la propria passione per la professione di acquafortista, un'attività praticata per oltre mezzo secolo in modo esclusivo, fatta eccezione per qualche sporadico intervento di carattere pittorico, come i pastelli egizi del 1966.
L'artista, cremonese di nascita e milanese d'adozione, iniziò a interessarsi alla tecnica dell'incisione negli anni Cinquanta, subito dopo aver terminato gli studi a Milano, presso il liceo artistico e l'Accademia di Brera. Da allora, la sua opera grafica è stata oggetto di più di duecento mostre personali in importanti spazi espositivi italiani e stranieri; ed ha interessato qualificati critici internazionali e prestigiose firme della narrativa mondiale, tra cui Gian Alberto dell'Acqua, David Landau, Daniel Bergen, Marco Valsecchi, Giovanni Testori, Franco Russoli, Dino Buzzati e Carlo Bo.
Protagonisti del lavoro di Federica Galli sono la natura e il paesaggio, anche quello modificato dall’uomo, come ben documenta la mostra omaggio allestita fino al prossimo giovedì 24 dicembre a Milano, presso gli spazi della Compagnia del disegno. I soggetti privilegiati di queste incisioni sono, infatti, gli scorci più suggestivi della vecchia Milano, le cascine, i corsi d'acqua e i boschi della pianura padana, le bellezze della laguna veneta e dei tanti luoghi visitati, ma soprattutto i millenari e monumentali alberi d'Italia, che l’artista inizia a raffigurare a partire dalla seconda metà degli anni Ottanta.
L'acquafortista, come notò il critico Luciano Caprile, «ci racconta il mondo vegetale come se parlasse di persone con cui è entrata in confidenza, (…) come se indagasse la storia privata di ciascuno, attraverso un'accurata analisi anatomica». Il suo bulino a punta di grammofono, una sorta di bisturi affilato usato per scalfire i segreti della natura, ritrae vedute evocative e nostalgiche, magiche e dolcemente incantate. Ma alla poesia si unisce sempre la fedeltà analitica al reale, un'esigenza dell'artista che è comprovata dalla sua paziente e preziosa tecnica disegnativa, fatta di «delicate righe, punti e linee filigrane», come scrive Erich Steingräber nel saggio L'arte dell'acquaforte di Federica Galli, posto in apertura del catalogo generale dell’opera dell’artista, pubblicato nel 2003 dalle edizioni Bellinzona, in occasione della sua ultima antologica a Palazzo Leone da Perego di Legnano.
Si ravvisa, dunque, in questi lavori un insieme di valori artistici consolidati che si rifanno alla miglior tradizione incisoria, soprattutto a quella dell’arte nordica, del Gotico internazionale. I referenti più prossimi delle opere dell'«inciditrice» cremonese (termine, questo, coniato appositamente per l'artista da Giovanni Testori nel 1980) sono, infatti, Grunewald, Holbein, Rembrandt, Van Eych e Dürer, ma anche paesaggisti lombardi come Borgognone, Tanzio da Varallo e Ceruti. E un'aria di «lombardità» è quella che si respira in tutta l'arte della Galli, dove, ha scritto Marco Fragonara nel Catalogo generale dell’opera dell’artista, i luoghi diventano «teatro di esperienze», «palcoscenico del quotidiano», in cui l'uomo sempre assente, è in realtà presenza costante, anima del mondo. Vedere questa mostra dell'artista cremonese, nota anche come la «Signora degli alberi» è, dunque, un po' come guardare un diario privato fatto di memorie, di sogni, di speranze e di malinconie che diventa Storia di tutti noi.

Didascalie delle immagini
[fig. 1] Uno dei tanti alberi monumentali incisi da Federica Galli; [fig. 2] Federica Galli, Rio dei Mendicanti, 1984-1986, acquaforte; [fig 3] Federica Galli, Il canneto, 1981, acquaforte su zinco [fig. 4] Federica Galli, Rio San Lorenzo, 1987, acquaforte su zinco.

Informazioni utili
Omaggio a Federica Galli. Compagnia del Disegno Via S. Maria Valle, 5 – Milano. Orari: martedi -Venerdi 10.00-12.30 e 16.00-19.30; sabato su appuntamento. Ingresso libero. Informazioni: tel. 02.86463510, fax 02.8053374, e-maIl: info@compagniadeldisegno.com. Sito Web: www.compagniadeldisegno.com. Fino al 24 dicembre 2009.

Per saperne di più
Il sito di Federica Galli
L’opera di Federica Galli su Critica minore