ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

domenica 12 giugno 2011

Pinacoteca di Brera, restaurata «La Samaritana al pozzo» di Carracci

La Pinacoteca di Brera ritrova una delle gemme più preziose della sua sezione dedicata alla pittura emiliana del Cinquecento e del Seicento. E' da poco ritornata, nella sala XXVIII, «La Samaritana al pozzo» di Annibale Carracci, soggetta nei mesi passati a un delicato intervento conservativo, che ha visto in prima linea Credit Suisse. L'istituto di credito svizzero ha, infatti, deciso di finanziare il recupero dell'intero ciclo dei tre dipinti provenienti dalla collezione Sampieri di Bologna.
Dopo il restauro della tela «Cristo e la Cananea» di Ludovico Carracci, avvenuto qualche anno fa, la Pinacoteca di Brera potrà, dunque, veder tornare alla sua antica bellezza anche la tela «Cristo e l'adultera» di Agostino Carracci, il cui intervento conservativo dovrebbe essere terminato per la la fine dell'estate.
«Si concluderà così - afferma Sandrina Bandera, direttore della Pinacoteca di Brera e Soprintendente per i Beni storici, Roberta Grazioli, è stato diretto da Ede Palmieri, responsabile della Scuola emiliana della Pinacoteca di Brera, e conclude un suo interessantissimo lavoro di attenta direzione dell'intero ciclo, coronato da interessanti ricerche, approfondimenti e scoperte. Per l'importanza delle opere in questione, si è voluto affiancare al restauro una serie di analisi non invasive eseguite da Simone Cagli e Gianluca Poldi, fisici esperti in ricerche nel campo della storia dell'arte e ricercatori raffinati, condotte attraverso indagini fotografiche specialistiche, al fine di approfondire le conoscenze e costruire una banca dati dedicata a questo particolare settore della pittura dei Carracci. Sono state condotte anche limitati microprelievi al fine di effettuare le necessarie indagini chimiche, condotte da Silvia Bruni ed Eleonora De Luca».
«I risultati ottenuti, che evidenziano la differenza sostanziale nella tecnica pittorica dei tre Carracci, hanno per altro confermato quanto gli storici dell'arte avevano notato già a livello stilistico e queste due tele rappresentano una risposta personale e ricca di suggestioni poetiche (soprattutto in Annibale) alla grande tradizione classica, che a partire dal soggiorno romano avrebbe travolto i due artisti, destinati a diventare i grandi campioni del classicismo e considerati a tutti gli effetti continuatori di Raffaello», annota Sandrina Bandera.
«Per Brera si tratta di un recupero importante, su opere - afferma Ede Palmieri, che ne ha diretto il restauro - che hanno sempre goduto dell'ammirazione degli studiosi e dei visitatori, e un eccezionale momento di studio: il tempo del restauro costituisce sempre un'occasione importante per gli studi storico artistici, e non solo dal punto di vista della migliore conoscenza della tecnica pittorica e dell'iter creativo dell'artista. In questo caso è stato possibile ipotizzare una nuova lettura iconografica dei dipinti in relazione agli affreschi presenti in palazzo Sampieri, quale svolgimento di un complesso e coltissimo programma iconografico. Nella «Samaritana» incantano inoltre la dolcissima ambientazione pastorale della scena, derivata dal clima culturale suggerito dai poemi del Tasso, la sospesa solennità del momento, la calibratura dei gesti e degli affetti, la piacevolezza della armonia cromatica».
«Entrambi i dipinti - racconta ancora Ede Palmieri- erano già stato sottoposti ad un intervento di restauro più di mezzo secolo fa, nel 1956 in occasione dell'esposizione alla mostra dei Carracci a Bologna. Si è deciso di sottoporli ad una nuovo intervento, finanziato da Credit Suisse, perché le opere presentavano una vernice offuscata e ossidata, una crettatura a maglie larghe con pericolosi sollevamenti e numerosi fenomeni di deadesione e piccole cadute di colore. Oltre che sulla tela si è intervenuti anche sulla cornice in foglia d'oro intagliata, che si è scoperto essere di provenienza Sampieri».
«Una serie di indagini scientifiche a carattere non invasivo, in diverse lunghezze d'onda, sono state effettuate preliminarmente all'intervento conservativo sul dipinto. Hanno permesso - continua Ede Palmieri - sia di confortare e supportare con dati tecnici le scelte operative effettuate in sede di restauro, sia di meglio comprendere l'iter creativo e la tecnica pittorica di Annibale. Neanche con le analisi riflettografiche e le transilluminazioni in infrarosso, che permettono di leggere particolari celati al di sotto della pellicola pittorica, è stato possibile individuare un disegno preparatorio: la stesura di Annibale risulta fresca e sciolta; proprio per questo però molti, e ben visibili soprattutto in IR, sono stati i ripensamenti in corso d'opera, in particolare nella figura del Cristo. Le analisi in infrarosso falso colore (IRC) hanno evidenziato, tra l'altro, un particolare raffinato uso dei pigmenti azzurri minerali: ad esempio nel manto del Cristo l'azzurrite e il più prezioso blu di lapislazzuli sono usati fianco a fianco per arricchire l'effetto cromatico finale. I due pigmenti blu vengono usati in modo complementare anche nel paesaggio: il cielo appare in falso colore rosa in presenza di blu di lapislazzuli, e blu in presenza di azzurrite. E le analisi chimiche effettuate hanno confermato i risultati delle indagini fotoradiografiche».

venerdì 3 giugno 2011

54° Biennale d’arte di Venezia, Tintoretto illumina la contemporaneità

«Historia magistra vitae est». Il vecchio adagio ciceroniano sembra aver sedotto Bice Curiger, curatrice della 54. Esposizione internazionale d’arte di Venezia. Si apre, infatti, all’insegna dell’’antico’ e del già conosciuto la mostra «ILLUMInazioni», con la quale la studiosa svizzera, anima curatoriale della Kunsthaus di Zurigo e capo-redattrice della rivista «Parkett», lascia il suo segno nella storia, ormai più che centenaria, della Biennale, una delle poche (se non l’unica) manifestazione artistica di rilevanza internazionale che il nostro Paese è ancora in grado di produrre. Ad accogliere il visitatore sono, dunque, tre gigantesche e teatralissime tele del Tintoretto, uno degli artisti più sperimentali della nostra storia dell’arte. Si tratta della sconvolgente «Ultima Cena» (1592), del «Trafugamento del corpo di San Marco» (1562-1566) e della «Creazione degli animali» (1550-1553), opere di solito collocate tra la Basilica di San Giorgio Maggiore e le Gallerie dell’Accademia, caratterizzate da un singolare luminismo e da modernità compositiva rivoluzionaria per l’epoca, la cui violenta bellezza lascia senza fiato chiunque entri nelle sale del Padiglione centrale ai Giardini. Si sfata così il mito che l’arte contemporanea non abbia a che fare con quella del passato, anche se questo punta i riflettori sulla distanza abissale che esiste tra i suadenti bagliori del Tintoretto e la modesta luminosità di alcuni tra gli ottantatré artisti internazionali selezionati da Bice Curiger, dei quali trentadue sono under 35 e, per una strana coincidenza delle statistiche, trentadue sono donne.
Poco convincente (e, di sicuro, sgradita agli animalisti) è, per esempio, l’operazione di Maurizio Cattelan, che, auto-citando la sua partecipazione alla Biennale del 1997 (quella in cui si presentò con l’opera «Tourists») porta in Laguna «Others», un plotone di duemila piccioni imbalsamati e ne dissemina finti escrementi sui pavimenti del lungo percorso espositivo biennalesco, distribuito su ben dieci mila metri quadrati.
«Un commento all’incretinimento artistico o al crescente numero dei visitatori?», si domanda, seria, la guida breve di Marsilio editore, presentando l’opera. Ci piace pensare, piuttosto, che l’incontro-scontro tra gli asfissiaci uccelli catteliani e la «luce febbrile» del Tintoretto sia un invito a meditare sulla persistenza dell’antico e sulla volatilità, sulla transitorietà del contemporaneo. Un invito, questo, che ci viene rivolto anche da una delle opere più belle e chiacchierate di questa Biennale: la grande scultura in cera dello svizzero Urs Fischer, riproduzione 1:1 del noto «Ratto delle Sabine» (1583) del Giambologna. L’opera, esposta all’Arsenale, è destinata a consumarsi come una candela, trasformandosi in massa informe fino a sciogliersi del tutto, durante i cinque mesi di apertura della kermesse veneziana, in programma dal 4 giugno al 27 novembre, dopo i tre giorni di vernice per addetti ai lavori e stampa.
Poco distante, negli spazi delle Corderie, si trova un altro piccolo gioiello: il film «The clock» di Christian Marclay, un flusso di immagini, della durata di ventiquattro ore, che riunisce sequenze tratte da migliaia di pellicole, più o meno famose come «American gigolò» e «C’era una volta il west», nelle quali personaggi tra i più svariati, da Robert De Niro a Marcello Mastroianni, da Marilyn Monroe a Marlon Brando, si interrogano sul concetto di tempo. Quasi ogni inquadratura mostra un orologio, un campanile, una pendola o una sveglia, la cui ora segnalata coincide con quella reale, creando così una sincronicità incantatoria nel quale tutti siamo in attesa di veder scoccare il minuto successivo.
«Tempus fugit» sembra dirci Christian Marclay, ma qualche volta «perdere tempo», magari per una fila, regala un’emozione indescrivibile: è il caso di «Ganzfeld Piece», un’installazione di James Turrell, all’Arsenale, che inonda gradualmente due camere vuote di luce colorata, creando un’esperienza sensoriale e spirituale che lo stesso autore definisce «vedere nel sentire» e nella quale, per usare le parole di Bice Curiger, «i concetti spaziali di vicinanza e di lontananza si dileguano». Ci sono, poi, opere che è proprio impossibile non vedere e non ricordare per la loro dimensione o per la LORO stranezza, come il grande pipistrello del sudafricano Nicholas Hlobo per l’installazione «Iimpundulu Zonke Ziyandilandela», riflessione sul mito dell’uccello vampiro limpundulu descritto nei canti xhosa, i bidoni dell’immondizia di Klara Lidén, i soggetti religiosi e coloratissimi della scultura «Stilleben» di Katharina Fritsch o, ancora, la magnifica balena spiaggiata (diciassette metri di lunghezza, tre di altezza e due di larghezza) dell’opera «The Geppetto Experience» Loris Gréaud.
Alla Biennale si respira voglia di impegno sociale, ma anche di memoria, di sentimenti e di famiglia. Lo documentano bene, nell’ordine e in un percorso per exempla, le fotografie di David Goldblatt sul sistema di valori morali e sociali che hanno guidato la politica del Sudafrica durante gli anni dell’apartheid, l’omaggio a Gianni Colombo, con il ritorno in Biennale del suo splendido «Spazio elastico» (1967, )e i parapadiglioni, quattro nuove strutture scultoree realizzate ai Giardini e all’Arsenale per ospitare il lavoro di altri artisti e favorire nuove forme di collaborazione, a partire dai temi dell’identità e dell’appartenenza. In queste strutture, nate da un’intuizione felice di Bice Curiger per rendere più dinamico il percorso espositivo, la cinese Song Dong ricrea consunti luoghi abitati e stanze foderate da logori armadi, al cui interno è, tra l’altro, possibile vedere il lavoro di Yto Barrada, composto da assemblaggi di taccuini e di libri di ricette della nonna analfabeta, che si inventò un commovente codice di segni per comunicare. Franz West porta, invece, alla Biennale la ricostruzione del suo studio-cucina nella casa di Vienna.
Accanto alla mostra centrale, i Giardini e l’Arsenale offrono una selezione delle proposte espositive presentate dagli ottantanove Stati (nell’ultima Biennale erano settantasette) che hanno deciso di partecipare a questa edizione della kermesse veneziana, alcuni dei quali al loro debutto: Andorra, Arabia Saudita, Repubblica popolare del Bangladesh e Haiti.
Gli Usa sono rappresentati da Jennifer Allora e Guillermo Calzadilla, autori, tra l’altro, dell’opera «Track and Field», un carro-armato a grandezza naturale, rovesciato e posto di fronte al loro padiglione nazionale, i cui cingoli si trasformano in un tapis roulant per far allenare la squadra nazionale d’atletica. La Francia punta, invece, sul consolidato Christian Boltanski, che mette in mostra «Change», una riflessione su quanto la vita sia dominata dal caso e dal fato. Nel padiglione della Gran Bretagna va in scena uno spettacolare caravanserraglio di Mike Nelson, minuziosa ricostruzione di un mercato medio-orientale dalle atmosfere thriller. Mentre nel vicino padiglione della Germania si ricorda la figura di Christoph Schlingensief, morto nell’agosto del 2010, con una chiesa della paura, nella quale è raccontata la sua lotta, persa, contro il cancro, ma dove si è invitati anche a riflettere anche su temi quali la xenofobia, il senso di colpa, la paura dell’ignoto e «dello sconosciuto in me». Stanchi della ressa e stressati dal continuo bombardamento di immagini, non resta che immergersi nelle atmosfere silenziose e incantate dell’ateniese Diohandi, che per il padiglione della sua patria, la Grecia, ha pensato ad un’opera site specific abitata da acqua e luce. Una vera poesia!

Didascalie delle immagini
[fig. 1] Jacopo Robusti detto Tintoretto, «La creazione degli animali» (The Creation of the Animals), 1550-1553. Gallerie dell'Accademia, Venezia. Courtesy: Ministero per i beni e le attività culturali [fig. 2] Maurizio Cattelan, «Turisti», 1997. Courtesy: Maurizio Cattelan Archive; [fig. 3]James Turrell, «Skyspace Zuoz», 2005. Courtesy:James Turrell. Foto:Florian Holzherr; [fig. 4] Gianni Colombo, «Spazio elastico», 1967-68. Courtesy: Archivio Gianni Colombo, Milano; fig. 5]Song Dong, «S«ong Dong’s Parapavilion – Sketch of the Main Space», 2011. © Song Dong. Courtesy:  The Pace Gallery, Beijing

Informazioni utili
«ILLUMInazioni». 54. Esposizione internazionale d'Arte. Giardini  e  Arsenale - Venezia.Orari: 10.00-18.00; chiuso il  lunedì, escluso il 6 giugno, 15 agosto, 31 ottobre e il 21 novembre. Ingresso: intero € 20,00, ridotto € 16,00, studenti/under 26 € 12,00, family formula € 40,00 (2 adulti + 2 under 14), gruppo adulti € 13,00 (minimo 10 persone), gruppo studenti scuole secondarie € 8,00, gruppi studenti universitari € 10,00, permanent pass € 70,00, permanente pass per studenti under 26 € 45,00.  Catalogo ufficiale, catalogo breve e guida: Marsilio editore, Mestre. Informazioni: tel. 041.5218828. Sito internet: www.labiennale.org 2.Fino al 27 novembre 2012. 

lunedì 30 maggio 2011

Italia 150, completato a Firenze il restauro della statua di Dante

Firenze ritrova il suo Dante. Ritorna in piazza Santa Croce la statua del «sommo poeta», sottoposta, nei mesi scorsi, a un completo intervento di restauro, integralmente sostenuto dall'Unità tecnica di missione della Presidenza del Consiglio dei ministri, in occasione dei centocinquanta anni dell'Unità d'Italia.
L’opera, uno dei cento monumenti italiani che ha subito un restyling nell’ambito del progetto «I luoghi della memoria», è stata realizzata da Enrico Pazzi (1819 -1899), scultore già allievo del Sarti a Bologna e molto attivo a Firenze attorno al 1860 dove, nello studio di Duprè, si accosterà al Romanticismo del maestro.
Nel 1851, l’artista aveva eseguito un piccolo modello della statua di Dante Alighieri con il proposito di farne una copia colossale in marmo da offrire al Municipio di Ravenna, sua città natale. L’offerta era stata, però, rifiutata a causa dell'enorme spesa che la città avrebbe dovuto sostenere anche se, successivamente, data l'ammirazione suscitata dal modello, era stato deciso di costituire un Comitato per aprire una pubblica sottoscrizione, al fine di realizzare l'opera ed offrirla al Comune di Firenze, affinché fosse collocata in una pubblica piazza come «espiazione dell'esilio dato al grande poeta dai suoi cittadini».
Raccolta la somma non rimaneva che eseguire l'opera e, a tal fine, venne utilizzato un blocco di marmo di Carrara di grandi dimensioni, che giunse a Firenze nell'estate del 1863.
Nell'aprile del 1865 la statua fu collocata sulla base dove fu, finalmente, completata.
Il Consiglio comunale aveva deliberato, con atto del marzo 1864, che, date le proporzioni (l'effige è alta quasi 10 metri e il manufatto ha una base quadrata di 4 metri e mezzo di lato), la scultura fosse collocata al centro di piazza santa Croce, anziché in piazza vecchia di santa Maria Novella, come in precedenza ipotizzato.
L'inaugurazione fu fissata per il 14 maggio 1865, in occasione del sesto centenario della nascita del poeta. Successivamente, con delibera del 15 giugno 1967, la Giunta municipale approvò i lavori per lo spostamento del monumento a Dante dal centro della piazza di Santa Croce, in modo da restituire a quello spazio il suo originario valore e consentire, così, lo svolgimento del calcio storico.
Per la sistemazione definitiva fu proposta, tra le altre, la collocazione su un'apposita piazzola realizzata sulla gradinata della basilica di santa Croce, nell'angolo con via san Giuseppe, ma questa soluzione suscitò numerose polemiche oltre all'opposizione dei frati francescani. Alla fine, comunque, tale sistemazione fu confermata e il progetto esecutivo, approntato dalla Belle arti, fu approvato dalla Soprintendenza nel febbraio 1969.
La crisi dell'Amministrazione comunale comportò un ritardo nella esecuzione dei lavori il cui inizio ebbe luogo il 19 maggio 1971, protraendosi fino al settembre quando la statua venne definitivamente ricollocata. L'inaugurazione della nuova collocazione avvenne il 7 ottobre 1971.
Da allora nessun intervento è stato più realizzato e lo stato del monumento, nelle sue componenti in marmo bianco di Carrara, rosso di Verona, marmo bardiglio e arenaria, mostrava non piccole problematiche. Per effetto dell'inquinamento atmosferico, dei turisti ma anche delle passate vicende del monumento.
Ad esempio, i silicati, quasi certamente impiegati nel restauro a fine anni Sessanta, interagendo negativamente con gli effetti delle escursioni termiche provocate dal clima sul monumento completamente esposto agli agenti atmosferici, potrebbero aver favorito il formarsi di fenomeni esfoliativi consistenti, evidenti in alcune porzioni più esposte, anche in concorso con l'azione acida dei depositi inquinanti presenti nell'atmosfera. Nelle porzioni dilavate dalle precipitazioni atmosferiche il modellato evidenziava una superficie opaca fortemente erosa e di consistenza zuccherina mentre, in tutte le porzioni in cui il particellato inquinante può accumularsi, erano evidenti croste nere di spessore anche consistente. Molte parti delle superfici scultoree del basamento, in particolare le teste dei marzocchi, apparivano soggette ad attacchi biologici e presentavano integrazioni anche estese e tassellature. La presenza di volatili andava aggiungendo agli strati inquinanti ulteriori depositi organici altamente corrosivi. A tutto ciò si andava ad aggiungere il degrado meccanico prodotto da un consistente flusso turistico verso la basilica di santa Croce, quindi tutt'intorno al basamento, spesso utilizzato come appoggio e talvolta addirittura oggetto di arrampicate.
Il piede in arenaria risultava consunto e soggetto alla classica rottura con esfoliazione della matrice in pietra. Inoltre già durante lo smontaggio del monumento, nel 1968, si era constato che la testa della statua presentava una grossa lesione all'attaccatura del collo con il busto, tanto da richiedere un consolidamento tramite l'inserimento di perni metallici.
Gli interventi di restauro, pur nella specificità dei diversi materiali impiegati nella realizzazione del monumento, hanno seguito una metodologia sostanzialmente omogenea. Alla fase di analisi, è seguito un intervento di eliminazione dei depositi e delle incrostazioni, seguito dal lavaggio con acqua deionizzata e dalla applicazione temporanea di un trattamento biocida, trattamento che dopo i tempi necessari di azione è stato eliminato. Alla nuova pulitura con bicarbonato d'ammonio in soluzione acquosa supportato da polpa di carta e sepiolite, è seguito un ulteriore lavaggio, per passare quindi ad una integrazione e alla stuccatura delle fessure, per completare il tutto con il consolidamento delle zone di distacco. Conclusa la fase di pulitura e consolidamento, là ove necessario, si è proceduto all'applicazione di un prodotto idrorepellente e di un secondo antiscritta, entrambi studiati ed applicati in modo da non alterare nel tempo le pietre sottostanti.