ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

mercoledì 25 luglio 2012

Bergamo, tre Botticelli per una mostra

E’ costruita attorno all’intenso «Vir dolorum» («Cristo Dolente»), recentemente restituito alla mano di Sandro Botticelli, la piccola, ma preziosa mostra temporanea che l’Accademia Carrara di Bergamo propone per tutta l’estate e fino all’inverno. Solo tre le opere esposte, per la curatela di Maria Cristina Rodeschini, negli spazi di Palazzo della Ragione, dal 27 luglio al 4 novembre. Tre opere, queste, raccolte in mostra sotto il titolo di «Sandro Botticelli ‘persona sofistica’» (secondo la definizione di Giorgio Vasari nelle sue «Vite»), che rappresentano una sintesi ad alto livello del percorso professionale del maestro fiorentino, dal primo periodo, documentato dal noto «Ritratto di Giuliano de’ Medici» (1478 – 1480, tempera e olio su tavola, cm 60 x 41), sino ai due versanti tematici, sacro e profano, del «Cristo dolente» e della tavola raffigurante la «Storia di Virginia» (circa 1500 – 1510, tempera e oro in conchiglia su tavola, cm 83 x 165). Tutti questi lavori, sottoposti a restauro negli ultimi anni fanno parte della collezione dell’Accademia Carrara.
Opera dal forte impatto emotivo e dagli effetti luminosi e cromatici di grande raffinatezza, il «Cristo dolente» (1495–1500, tempera e oro su tavola, cm 47x32), a lungo trascurato dalla critica, è stato, in tempi recenti, definitivamente attribuito a Botticelli. L’opera, restaurata da Carlotta Beccaria nel 2010 per essere esposta nella mostra dedicata all’artista al Museo Poldi Pezzoli di Milano, rappresenta un chiaro esempio del tardo stile del maestro, in cui la ricerca di drammaticità ed espressività e il forte carattere mistico e pietistico costituisce un richiamo alla spiritualità savonaroliana della fine del XV secolo.
Le ricerche condotte da Andrea Di Lorenzo hanno ricostruito l’intricata vicenda che ha visto il Cristo separarsi dalla «Mater Dolorosa», con la quale costituiva un dittico destinato al culto privato, che nella mostra bergamasca è “virtualmente” riunito all’opera perduta, finora mai segnalata nel catalogo dell’artista.
Come le altre opere di Botticelli conservate nella Pinacoteca, il «Cristo dolente» giunse nelle raccolte della Carrara dalla donazione del grande storico dell'arte Giovanni Morelli, che lo aveva acquistato a Firenze. In seguito, la tavola raffigurante la Vergine entrò a far parte della collezione della granduchessa Maria di Russia, figlia dello zar Nicola I, ma se ne perderanno le tracce dal 1913, anno in cui è esposto all’Ermitage di San Pietroburgo. La riproduzione della «Mater dolorosa» pubblicata nel raro catalogo di questa mostra (dove si citano anche le misure, del tutto coincidenti con quelle del suo pendant conservato a Bergamo) costituisce l'ultima traccia dell'opera, oggi considerata perduta, ma ha consentito di riunire idealmente due opere destinate a completarsi.
La mostra prosegue con la presentazione del restauro del ritratto del giovane Giuliano de’ Medici, fratello minore di Lorenzo il Magnifico, morto nel 1478 nella Congiura dei Pazzi, che tentò di porre fine all’egemonia della famiglia medicea. L’intrigo segue il giovane -qui azzimato in camicia bianca, giornea e zuppone- oltre la morte e ancora oggi pone l’opera al centro del dibattito: tra le varie copie del suo ritratto realizzate da Botticelli, non si riesce a identificare il prototipo -la versione conservata a Washington, ricca di dettagli, o quella conservata a Berlino, dal modellato più morbido?- e la fonte di ispirazione. Quello che è certo è che si tratta di un ritratto commemorativo.
Il dipinto è stato oggetto di un delicato intervento conservativo, sostenuto da Italia Nostra (sezione di Bergamo) ed eseguito da Carlotta Beccaria, per la superficie pittorica, e da Roberto Buda, per il supporto ligneo, i quali, con la direzione di Amalia Pacia della Soprintendenza per i Beni storici e artistici di Milano, si sono occupati non solo del restauro pittorico, ma prima ancora nel recupero del supporto, con la rimozione della rigida ‘parchettatura’, applicata in precedenti interventi, che aveva causato sulla tavola pericolose fenditure, la maggiore delle quali attraversava l’occhio e il naso scendendo fino alla veste.
Il dipinto raffigurante la «Storia di Virginia», infine, che ha il suo pendant nella «Storia di Lucrezia», conservato all’Isabella Stewart Gardner Museum di Boston, era parte integrante di una spalliera, manufatto molto diffuso nell’ultimo quarto del Quattrocento. Riprendendo la vicenda narrata dallo storico Tito Livio, Botticelli rappresenta gli episodi cruciali della triste storia della giovane Virginia: il rapimento da parte del capo dei decemviri, Appio Claudio, e del suo legato Marco Claudio, la morte per mano del padre nel tentativo di salvarne l’onore, e la rivolta popolare che ne scaturì. Le vicissitudini di Virginia, come quelle di Lucrezia, divennero chiaro esempio di castità e fedeltà, spesso raffigurate nei forzieri nuziali, fino a diventare allegorie adottate dall’Umanesimo civile italiano. L’analisi stilistica dell’opera spinge a collocarla tra il 1496 e il 1500, quindi durante l’ultima attività di Botticelli, coadiuvato dai suoi collaboratori. In questa occasione si presenta anche il restauro dell’opera, eseguito nel 2000 da Rossella Lari, con la direzione di Emanuela Daffra della Soprintendenza per i Beni storici e artistici di Milano, nell’ambito del progetto «Restituzioni» della banca Intesa Sanpaolo. In occasione dell’esposizione, che è corredata da una videoguida italiano/inglese, è stato pubblicato il quarto numero della collana «I Quaderni sul Restauro» (Lubrina Editore), con introduzione di Maria Cristina Rodeschini e Serena Longaretti, testo critico e schede di Andrea Di Lorenzo, relazioni di restauro di Carlotta Beccaria, Roberto Buda e Rossella Lari.

Didascalie delle immagini
[fig. 1] Sandro Botticelli,«Cristo Dolente in atto di benedire», 1495 – 1500, Tempera e oro su tavola, cm 47 x 32. Bergamo, Pinacoteca dell’Accademia Carrara; [fig. 2] Sandro Botticelli, «Mater dolorosa». Dal catalogo della mostra «L'eredità della granduchessa Maria Nikolaevna», a cura di N. N. Vranghel, San Pietroburgo, Museo dell'Ermitage, 1913;[fig. 3] Sandro Botticelli, «Storia di Virginia», circa 1500 – 1510, Tempera e oro in conchiglia su tavola, cm 83 x 165. Bergamo, Pinacoteca dell’Accademia Carrara; [fig. 4] Sandro Botticelli, «Ritratto di Giuliano de’ Medici», 1478 – 1480, Tempera e olio su tavola, cm 60 x 41. Bergamo, Pinacoteca dell’Accademia Carrara. 

Informazioni utili
Sandro Botticelli ‘persona sofistica’. Palazzo della Ragione, piazza Vecchia - Bergamo Alta. Orari: fino a settembre, martedì-domenica 10.00-21.00; sabato sino alle 23.00; da ottobre a novembre, martedì-venerdì 9.30-17.30; sabato e domenica 10.00-18.00. Ingresso: intero € 5,00; ridotto e gruppi € 3,00; scuole, giovani card e family card € 1,50.  Prenotazioni e visite guidate: tel. 035.218041 (lunedì-venerdì, ore 9.00-18.00). Informazioni: tel. 035.399677. Sito internet: www.accademiacarrara.bergamo.it. Dal 27 luglio al 4 novembre 2012. 

lunedì 23 luglio 2012

Montale e De Pisis: dalla poesia alla pittura, andata e ritorno

«Qualche anno fa, a Parigi, portai alcuni quadri e disegni a un vecchio artigiano perché facesse le cornici. Più che vecchio era antico, apparteneva a una razza civile che si sta estinguendo anche in Francia (più lentamente che in Italia), quella dell’artigiano colto. Guardò con indifferenza quadri e disegni che portavano firme note e si fermò su uno: ‘Questo è il più bello. Si capisce che non è di un pittore di professione, ma è pieno di talento. Deve essere di un poeta’». L’opera alla quale fa riferimento questo episodio raccontato da Guido Pioveve, in un numero de «L’Europa letteraria» del 1946, è di Eugenio Montale.
Dal 1938 alla fine degli anni Settanta, l’autore di «Meriggiare pallido e assorto» non si è, infatti, limitato a esprimere emozioni e sensazioni con le sole parole, ma ha anche disegnato e dipinto, cercando di dare forme e colori a luoghi e persone, che erano alle origini delle sue suggestioni poetiche.
Le prime prove dello scrittore e giornalista genovese riguardano disegni a matita e inchiostro, raffiguranti ritratti di amici o composizioni floreali. Il passaggio al colore avviene nel 1945, su sollecitazione di Raffaele De Grada, suo maestro insieme con Guido Peyron.
I temi sono quelli della pittura tradizionale, la natura morta e le vedute paesaggistiche, dipinti a olio su tavola di legno e, dopo il trasferimento a Milano del 1948, tracciati a pastello su carta, cartone o «materiali di fortuna». In questi lavori, in cui il soggetto viene reso attraverso segni rapidi e «lievi cipre di colore», il poeta presenta, a detta del critico Franco Russoli, «vere occasioni di incontro evocativo, di durata intimista, dove l’oggettivazione acquista toni visionari, un candore di tenera magia». I riferimenti più prossimi di questi suoi «paesaggi dell’anima» –è lo stesso artista a rivelarlo- sono Giorgio Morandi e Filippo De Pisis, dei quali possedeva più di un’opera nella sua collezione.
Nel 1955, Eugenio Montale scopre, poi, l’originalità di una pittura dall’evidente prossimità al linguaggio informale, fatta di materiali non tradizionali, che si possono trovare ovunque: caffè, cappuccino, vino bianco e rosso, olio, cenere, rossetto, dentifricio e mozziconi di sigaretta, senza contare l’osso di seppia sul quale, nel 1972, traccia il profilo di un’upupa, uccello al quale lo scrittore dedica addirittura una serie pittorica.
Uno spaccato di questa estrosa produzione rivive, fino a domenica 26 agosto, negli spazi del Museo d’arte Mendrisio, nel Canton Ticino, dove è allestita la mostra «De Pisis e Montale. Le occasioni tra poesia e pittura», a cura di Paolo Campiglio. Una quarantina di carte dipinte e incise del giornalista ligure, del quale sono esposti anche documenti e autografi provenienti dal Fondo Montale del Centro manoscritti dell’Università di Pavia, dialogano con una cinquantina di opere, in prevalenza oli su tela e chine acquerellate, del maestro ferrarese, focalizzando l’attenzione del visitatore su temi quali -precisano gli organizzatori- «il paesaggio mediterraneo e il rapporto con gli elementi naturali, la poetica dell’oggetto e la reificazione dell’io, il motivo degli uccelli impagliati o degli animali tragici, il ritratto come presenza evanescente, la città».
I due artisti, coetanei del 1896, si conobbero a Genova, nel 1919, grazie a un amico comune e, da allora, si frequentarono durante le ferie estive, tra Rapallo e Cortina, si dedicarono opere e si scrissero. Tra le carte di questa loro corrispondenza sono state scoperte anche due chicche: lo schizzo montaliano di un ritratto e il manoscritto originale, fino ad oggi sconosciuto, dell'epigramma «Alla maniera di Filippo De Pisis», inserito nella prima edizione delle «Occasioni», quella del '39, sul quale sono visibili varianti e cancellature per mano dello stesso autore. Un dono, questo, al quale il pittore ferrarese, che aveva iniziato la sua carriera come letterato, rispose, «per amichevole contraccambio», con un altro regalo: l’opera «Natura morta con beccaccino» (1932). Questo olio su tela è esposto, a Mendrisio, accanto ai fogli dell’«Erbario», realizzati dallo stesso artista nel 1917 e provenienti dal Museo botanico dell’Università di Padova, e a altre sue celebri nature morte, composizioni in cui grandi conchiglie, raffigurate in primo piano, dialogano con ampi orizzonti, o opere nelle quali sono rappresentati oggetti come una boccetta di inchiostro, un ventaglio o una scatola di fiammiferi. E’ il caso di «Natura morta marina con guanto» (1927), «Uccelli impagliati» (1947) o «Il ventaglio cinese» (1947) messe, qui, a confronto con alcuni lavori dell’ultimo periodo della vita, provenienti dalla collezione della Galleria d’arte moderna e contemporanea di Ferrara, come «La rosa nella bottiglia» (1950), dove i soggetti ricorrenti della produzione di Filippo De Pisis appaiono quasi ‘sbiancati’ da una luce abbacinante.
Non manca, poi, in mostra un esaustivo apparato documentario, arricchito da rare edizioni delle prime raccolte liriche del poeta, come la prima edizione delle «Occasioni» fitta di annotazioni di Filippo De Pisis, a fianco dei libri di poesie o con illustrazioni del pittore emiliano, come la ristampa del volume «Poesie», (Vallecchi, 1954), per la quale Eugenio Montale scrisse sul «Corriere della Sera»: «in linea di principio non siamo tra coloro che diffidano dei pittori che scrivono o dei letterati che dipingono». Una chiosa perfetta per questa suggestiva mostra che racconta di un’amicizia fatta di parole, colori, inchiostro e pennelli.

Didascalie delle immagini
[fig. 1] Eugenio Montale, «Roccolo», 1971. Tecnica mista su carta, cm9 x 13.8; [fig. 2] Filippo De Pisis, «Venezia Marina», 1930. Olio su cartone, 50x70 cm. Collezione Piero Zanetti; [fig. 3] Eugenio Montale, «Pseudo-Pound», 1964. Pastelli su carta. cm 13x13; [fig. 4] Filippo De Pisis, «Natura morta», 1930 ca.. Olio su tela, cm 60x73; [fig. 5] Filippo De Pisis, «Natura morta con beccaccino», 1932. Olio su tela, cm73x92; [fig. 6] Eugenio Montale,«Upupa», 1966. Acqueforte colorata

Informazioni utili
De Pisis e Montale. «Le occasioni» tra poesia e pittura. Museo d'arte Mendrisio, piazza San Giovanni, casella postale 142 - Mendrisio (Svizzera, Canton Ticino). Orari:martedì-veneredì, ore 10.00–12.00/14.00–17.00; sabato-domenica, ore 10.00–18.00;; chiuso i lunedì non festivi.Ingresso: intero ChFr 10,00; ridotto ChFr 8,00. Informazioni: tel. +41(0)91.6403350 o museo@mendrisio.ch. Sito internet: www.mendrisio.ch/museo. Fino a domenica 26 agosto 2012.

venerdì 20 luglio 2012

«L’Altro Monferrato», quando il palcoscenico è un prato verde

«Il palcoscenico? Un parco di alberi centenari o l’antico giardino di un castello. Le quinte? I contrafforti di una fortezza medioevale o la vista verdeggiante sulla valle dell’Orba». Ritorna «L’Altro Monferrato», rassegna di spettacoli, incontri e passeggiate che porta il «teatro fuori dal teatro».
A proporre l’iniziativa, in cartellone da sabato 21 luglio a giovedì 16 agosto, è «AgriTeatro», il cantiere d’arte fondato da Tonino Conte, che da tre anni allestisce, tra sentieri e cascine, uno dei festival più verdi e naturali d’Italia.
A segnare il debutto sarà una vera e propria festa teatrale della durata di un week-end, in programma tra il borgo e il castello di Rocca Grimalda e la villa Schella di Ovada.
Si inizierà sabato 21 luglio, alle 17.30, con lo spettacolo «Magic Van», nato da un'idea di Luca Regina e Marco Neri: un furgone d’epoca e dentro un cafè teatro di inizio Novecento, dove lasciarsi stupire da tante piccole magie comiche e degustare deliziosi dolcetti. Ed ecco così dodici minuti di performance, per solo otto spettatori alla volta, che lasceranno a tutti il sorriso sulle labbra.
Si proseguirà, quindi, alle cantine del castello di Rocca Grimalda, dove, alle 19, andrà in scena «Versi a sorsi» di Tonino Conte e Gianni Masella, un percorso, spassoso e sorprendente, tra poesie di Guillaume Apollinaire, Vittorio Alfieri, Stefano Benni, Dino Campana, Aldo Palazzeschi, Trilussa e Paul Verlaine, che permetterà di riscoprire il gusto della lettura, insieme a quello del vino e del cibo.
Si entrerà, poi (alle 21), nel giardino del castello per ridere con Paolo Nani e il suo spettacolo «La lettera», liberamente ispirato al libro «Esercizi di stile» di Raymond Queneau: quindici micro-storie, tutte contenenti la medesima trama, ma interpretate ogni volta da una persona diversa. Uno spettacolo, questo, rappresentato ai quattro angoli del globo, dalla Groenlandia al Giappone, dall’Argentina alla Norvegia, che vanta oltre novecento repliche e che continua a stupire il pubblico con una raffica di sorprese dal ritmo sfrenato.
A concludere la serata (alle 23) sarà, nelle suggestive cantine del castello di Rocca Grimalda, «Amarsi a Versi»: alla luce di fioche candele, Paola Bigatto, Lisa Galantini e Gianni Masella sedurranno gli astanti a colpi di rima ‘baciata’, scegliendo fra le composizione più ardite e sensuali di Giorgio Baffo, Stefano Benni, Catullo, Nicolò Macchiavelli, Ovidio e Paul Verlaine.
Chi vorrà passare il week-end nel Monferrato o chi vorrà tornarci il giorno dopo, troverà ad attenderlo una domenica ricca di eventi. Ad Ovada, nel paradiso botanico di villa Schella, è prevista un’intera giornata dedicata ai bambini e alle famiglie.
Dal tardo pomeriggio, l’artista e attore Antonio Catalano proporrà la sua installazione-spettacolo «Mondi fragili», realizzata con materiali naturali trovati sul posto: foglie, rami, terra, piume, pane, che creano un vero e proprio villaggio da percorrere attraverso visite libere o momenti di narrazione.
Nella stessa giornata, alle 18.30, sarà possibile partecipare allo spettacolo «Gli Incredibili viaggi di Mister Gulliver» del Teatro della Tosse, «un invito –dichiarano gli organizzatori-  a sviluppare la curiosità, motore della conoscenza e del buon senso per futuri adulti illuminati». Mentre, alle 17.00, si terrà la dimostrazione finale degli allievi del corso di «AgriTeatro» per bambini, dedicata a Huckleberry Finn, uno dei più sfortunati e discoli personaggi nati dalla penna di Mark Twain.
A concludere la due giorni di eventi sarà, nel prato del parco, «Ikbal, una storia vera», racconto teatrale recitato da giovanissimi interpreti e diretto dall’attrice Enrica Origo, che porta in scena la vicenda, vera, di un coraggioso bambino pakistano ucciso per aver denunciato al mondo il lavoro schiavizzato di centinaia di migliaia di altri bambini.
Tra l’inaugurazione e la conclusione del 16 agosto, che porterà nel borgo medioevale di Tagliolo Monferrato lo spettacolo «Recitarcucinando», di e con Gianni Masella e Boris Vecchio, sono molti gli appuntamenti nei quali la natura, il paesaggio e la convivialità giocheranno un ruolo da protagonisti. Venerdì 27 luglio, per esempio, Casinelle ospiterà, negli spazi del suo Museo del Territorio, i Freak Clown con il loro spiritoso «Le Sommelier», degustazione ad alto tasso di ironia, tra calici e bottiglie volanti, bicchieri musicali e bottiglie sonore. Mentre sabato 28 luglio si andrà alla scoperta del Castello di Prasco attraverso tre appuntamenti. Alle 16.30, verrà messo in scena lo spettacolo «In Viaggio, Storie in Valigia», di e con Elisabetta Salvatori, accompagnata dal violinista Matteo Ceramelli. Alle 18, si terrà «The Diary Project» di Cuocolo/Bosetti, compagnia italo-australiana che salirà sul palco anche, alle 21, con il suo nuovo spettacolo, «Roberta torna a casa», una performance per non più di venti spettatori, estratti a sorte tra i partecipanti alla giornata. Sempre alle 21, si terrà «Lettori in carrozza!», appuntamento durante il quale il gruppo di lettura Feltrinelli-Teatro della Tosse, dopo un viaggio in treno che partirà da Genova, offrirà il racconto delle avventure dei giovani Carmelo Bene e Tonino Conte, dal libro «L’amato Bene».
Domenica 29 luglio ci si sposterà ad Aqui Terme per «Storie a gettoni», spettacolo a cura di Gianni Masella e nell’interpretazione di Vlad Scolari dall’interno di una cabina-juke box letterario.La rassegna farà, quindi, tappa al Castello di Casaleggio, il più antico del Monferrato (aperto al pubblico per l'occasione), dove, sabato 4 agosto, ci si ritroverà per seguire le avventure di Don Chisciotte e Sancho Panza, con gli allievi del corso di recitazione per adulti condotto da Enrico Campanati (è prevista una replica nella giornata di domenica 5 agosto, nel borgo di Grognardo).
La notte di San Lorenzo, venerdì 10 agosto, sarà, inevitabilmente, dedicata al cielo stellato. Nel bosco della Cascina San Biagio, a Cremolino, verrà rappresentato lo spettacolo «Il giardino segreto», interpretato dall’attrice-giardiniera Lorenza Zambon e con le musiche suonate da Gianpiero Malfatti. Non mancherà, poi, un’osservazione del cielo stellato fra scienza e poesia.
Altro appuntamento da non pendere è quello di sabato 11 agosto: il teatro-picnic, durante il quale attori e spettatori attraverseranno insieme e a piedi boschi e prati, dal Santuario del Sacro Monte di Crea, per arrivare a una radura tra le montagne, dove si rappresenterà «In equilibrio/spettacolo nella natura», a cura di associazione culturale Sarabanda e per la regia di Boris Vecchio.
Il programma di spettacoli promosso da AgriTeatro per l’estate 2012 è stato preceduto ed è intercalato da saggi e seminari dedicati ai bambini, agli appassionati di scrittura (con Laura Curino e Renato Cuocolo) e di recitazione (con Enrico Campanati). Da Rocca Grimalda ad Acqui Terme, da Ovada a Prasco: saranno dieci i comuni e undici le località coinvolte nel filo verde che mette in rete i luoghi più suggestivi, e a volte meno conosciuti, dell’Alto Monferrato. Turismo e teatro si incontrano, dunque, su palcoscenici inusuali, verdi come un prato o illuminati dalla luce delle stelle.

Didascalie delle immagini
[figg. 1 e 2] Una scena dello spettacolo «La lettera», con Paolo Nani, in scena a «L’Altro Monferrato» nella serata di sabato 21 luglio 2012; [fig. 3] Antonio Catalano sarà tra i protagonisti della rassegna  «L’Altro Monferrato», nella giornata di domenica 22 luglio 2012 con la sua installazione-spettacolo «Mondi fragili»; [fig. 4] Una scena dello spettacolo  «In equilibrio/spettacolo nella natura», a cura di associazione culturale Sarabanda, in scena sabato 11 agosto 2012.

Informazioni utili
«L’Altro Monferrato - percorsi d'arte e teatro fra borghi e castelli». Acqui Terme, Casaleggio, Cassinelle, Cremolino, Ovada, Ponzano, Prasco, Serralunga, Rocca Grimalda, Tagliolo Monferrato - sedi varie. Ingresso singolo spettacolo: intero € 10,00, ridotto per bambini € 5,00.  il programma: www.agriteatro.it/public/eventi/53.pdf. Informazioni: associazione culturale Agriteatro, via Caramagna, 36 – Alessandria , tel. 010.2471153 o 346.8724732, e-mail : info@agriteatro.it. Sito web: www.agriteatro.it. Dal 21 luglio al 16 agosto 2012.

mercoledì 18 luglio 2012

Genova, tutti a bordo di una galea del Seicento

Vi piacerebbe scoprire tutti i segreti di una galea genovese del Seicento? Non vi resta che recarvi a Genova, al Galata Museo del mare, che, ad otto anni dalla sua riapertura, si rinnova e propone un inedito allestimento delle sale al primo piano, quelle dedicate all’età del remo nella città della Lanterna, negli anni tra il Cinquecento e il Settecento, tra la figura di Andrea Doria e il governo dei Dogi, che accompagnarono gli ultimi, faticosi, secoli della Repubblica.
Il nuovo percorso espositivo esprime bene la filosofia museale del Galata: una forte impostazione storica tesa alla divulgazione, un patrimonio di opere di grande pregio e un approccio scenografico, multimediale e interattivo per imparare toccando, muovendosi e interagendo con le installazioni. Il visitatore del Galata diventa così «visit-attore»: dopo aver esplorato l’arsenale, può salire a bordo della galea, fin sul ponte di voga, per esplorarne l’interno e scoprire la vita di bordo, vestendo i panni di un membro dell’equipaggio, scegliendo di essere uno schiavo, un forzato o un buonavoglia. Può interagire con personaggi tipici dell’epoca quali «aguzzini» e «papassi»; assistere all’animata discussione tra il senatore, il capitano e il maestro d’ascia e approfondire, nella «Ludoteca della Galea», alcuni aspetti della vita di bordo.
Prima di poter accedere alla galea, il visitatore come in una macchina del tempo, viene riportato indietro nello stesso luogo dove oggi sorge il Galata, nell’arsenale di Genova, nella prima metà del Seicento. Tre straordinarie opere originali -un modello di galea, un dipinto con il porto di Genova nel Seicento e l’opera raffigurante una battaglia tra galee imperiali e galee turche di De Wael- precedono l’ingresso nell’armeria della darsena. Qui, tra strutture di rovere e cancellate di ferro, sono esposte corazze, elmi, armi e cannoni originali.
Si entra, quindi, nell’area operativa dell’arsenale: lo scalo della galea in riparazione. Sovrastati dal suo grande sperone rosso, si viene avvolti dai suoni di un tempo: le grida dei maestri d’ascia e quelle dei calafati, il rumore degli attrezzi da lavoro.
Avvicinandosi sul lato sinistro della nave, si viene, dunque, richiamati da una delle persone a bordo che, prendendo il visitatore per uno dei tanti membri della ciurma, lo invita a salire e a chiarire la propria identità: «schiavo, forzato o buonavoglia?», visto che ognuno riceveva un trattamento diverso nonostante il comune compito di vogatori. Il visitatore può scegliere la propria categoria di appartenenza, attivando un dialogo con il maestro d’ascia, che introduce alla vita e al lavoro sulla galea.
Nello stesso tempo si può osservare l’interno della nave, percepirne gli spazi angusti e pieni di materiali: dalla camera delle vele alla «santabarbara», con i barilotti di polvere da sparo e le palle di pietra dei cannoni, dai barili dell’acqua ai sacchi di juta del «biscotto», la galletta, il principale alimento dei vogatori.
Da qui si sale al ponte di voga, attraverso una scaletta: come da un boccaporto, il visitatore vede i banchi di voga, la corsia, dove corrono gli «agozili» (aguzzini), che riempiono di bastonate i vogatori che non tengono il tempo, la «rembata» (da cui il verbo «arrembare»), dove stanno i soldati e le artiglierie. In particolare si può vedere una coppia di remi di galea e percepirne la grandezza e il peso (9 metri di lunghezza per oltre 100 kg l’uno). I remi, che rappresentano il vero motore della nave, sono stati realizzati dal maestro d’ascia Roberto Guzzardi, che li ha ricostruiti secondo documenti seicenteschi e con la consulenza del Corpo forestale dello Stato-Foreste casentinesi.
A questo punto del percorso, grazie a una postazione multimediale che rispecchia lo stile interattivo del museo, si può assistere all’animata discussione tra il senatore, il capitano e il maestro d’ascia. Il tema è antico, ma sempre attuale: la nave deve essere pronta eppure mancano i soldi per gli approvvigionamenti, e i fornitori si rifiutano di anticipare i materiali. Scene di una pubblica amministrazione in crisi, quale era quella genovese del XVII secolo, presa tra la volontà politica di potenza e le ristrettezze dei bilanci, situazione che partoriva trucchi ed escamotage per sopravvivere alla giornata.
Si scende, quindi, dal ponte alla camera poppiera. Qui il visitatore-galeotto incontra due figure molto importanti: l’«agozile» e il «papasso». Il primo, uno dei capi della ciurma, era una figura complessa: senza scrupoli nel tempestare di bastonate i rematori, viveva con loro, ne condivideva il destino e ne organizzava la giornata. L’altro era il capo della ciurma musulmana, poteva essere un imam, un cadì o comunque un esponente islamico di condizione, autorevole sui suoi compagni e in grado di opporsi e contrastare aguzzini, comiti e magistrati dell’arsenale.
Nella ludoteca (progetto curato da Costa edutainment), si può, invece, trovare risposta a tante domande: Come funzionava un cannone dell’epoca? Cosa si mangiava? Cosa si provava ad essere incatenati ai banchi di voga? Come funzionavano gli strumenti di navigazione dell’epoca?
Si sale, quindi, al primo piano, in un’area particolarmente ricca di fascino perché costruita intorno ai grandi pilastri dell’arsenale Nella galleria che si affaccia sulla galea, sono stati disposti i principali tesori del Galata relativi a quell’epoca: quadri di Agostino Tassi, di Lazzaro Calvi e dei fratelli De Wael, intervallati da rari reperti sopravvissuti come la cariatide poppiera, un’opera policroma settecentesca, e lo straordinario fanale che guidava le galee.
Le opere esposte al primo piano aiutano a percorrere un viaggio lungo alcuni secoli, tra gli inizi del ‘500 fino al secondo decennio del XIX secolo. È, infatti, nell’epoca post-napoleonica che, per l’ultima volta, compaiono le galee nell’arsenale di Genova, che dopo il Concilio di Vienna viene assegnato con i territori della vecchia repubblica al Regno di Sardegna. In quello che diviene l’arsenale della regia marina, i corpi delle galeotte e delle mezze galere, sono i resti anacronistici di un passato sempre più lontano. Le rivoluzioni hanno spazzato schiavi, forzati e buonavoglia; i musulmani sono tornati a casa, con le coccarde tricolore della rivoluzione, ma ai loro posti da vogatori sono andati i forzati, i renitenti alla leva, gli indisciplinati: la galea si è trasformata, definitivamente, in galera.


Didascalie delle immagini
[figg.1,2, 3 e 4] Immagini relative all'allestimento di una galea genovese seicentesca al Galata Museo del mare di Genova. Foto messe a disposizione dall'ufficio stampa di Costa edutainment. 


Informazioni utili 
Galata Museo del mare -Calata De Mari, 1  (Darsena, via Gramsci) – Genova. Orari: da novembre a febbraio: martedì–venerdì, ore 10.00–18.00 (ultimo ingresso, ore 16.30); sabato, domenica e festivi, ore 10.00–19.30 (ultimo ingresso 18.00); da marzo a ottobre: lunedì–domenica, ore 10.00 – 19.30 (ultimo ingresso 18.00). Ingresso: intero €   12,00, gruppi  € 9,00: militari, senior (sopra i 65 anni), disabili € 10,00; ragazzi 4–12 anni € 7,00; scuole € 5,50; bambini 0-3 anni, gratuito.  Sito web: www.galatamuseodelmare.it. 

martedì 17 luglio 2012

Varese, «Tre civette sul comò»...e i «nonni» vanno a teatro

«Ambarabà ciccì coccò / tre civette sul comò / che facevano l'amore / con la figlia del dottore»: inizia così una delle filastrocche per bambini più conosciute del nostro Paese. Questa cantilena, gioiosa e senza senso, ha colpito l'attenzione di diversi protagonisti del mondo della cultura italiana, da Umberto Eco, che ne ha tracciato l'analisi del testo in uno spassoso e paradossale saggio di semiotica, pubblicato nel volume «Il secondo diario minimo», a Nilla Pizzi, che, in coppia con Maria Teresa Ruta, ha cantato la canzone trash «Ambarabà», passando per Giuseppe Culicchia, Lucio Dalla e Vasco Rossi. Nemmeno il teatro è rimasto indifferente al fascino delle «tre civette sul comò». Questa vecchia conta, che secondo il linguista italiano Vermondo Brugnatelli ha origini latine e deriverebbe dall'espressione «hanc para ab hac quidquid quodquod» (traducibile in «ripara questa mano da quest'altra che fa la conta»), ha, infatti, suggestionato anche la fantasia dello scrittore e drammaturgo romano Romeo De Baggis, attuale direttore artistico dell'Atelier Carbonnel di Avignone. E' nato così il testo teatrale «Tre civette sul comò», portato in scena per la prima volta nel 1982 da Paola Borboni, Diana Dei e Rita Livesi, con la regia di Fabio Battistini, e rimasto in cartellone per ben tre anni.
La commedia brillante, sapiente mix tra comicità e nonsense, ritorna a calcare le assi del palcoscenico per iniziativa dell'associazione culturale «Educarte». Lo spettacolo sarà, infatti, al centro del progetto itinerante «Nonni a teatro», promosso dalla stessa associazione culturale «Educarte», con il patrocinio e il sostegno economico della Fondazione comunitaria del Varesotto onlus, che ha stanziato un contributo di 20mila euro nell’ambito del bando «Arte e Cultura 2012».
Cinque gli appuntamenti in cartellone nel mese di luglio, in occasione della prima fase di questa rassegna teatrale per gli anziani e le loro famiglie, che coinvolgerà, fino al prossimo ottobre, luoghi di interesse storico-artistico e case di riposo della provincia di Varese.
La tournèe prenderà il via venerdì 13 luglio, alle 21.15, dal teatro Sociale di Busto Arsizio. Farà, quindi, tappa a Samarate, al Giardino delle balaustre di Villa Montevecchio (venerdì 20 luglio, ore 21.30), a Besozzo, alla casa di riposo Villa Ronzoni della «Fondazione Giuseppe e Giulia Ronzoni» onlus (sabato 21 luglio, ore 21.15), a Busto Arsizio,  all'istituto «La Provvidenza» onlus (via San Giovanni, 3), e a Castellanza, nel cortile del Palazzo municipale (venerdì 27 luglio, ore 21.15).
Sotto i riflettori e sui “palchi” scelti dalle amministrazioni comunali che hanno deciso di aderire al progetto saliranno, per la regia di Delia Cajelli, gli attori Ambra Greta Cajelli, Gerry Franceschini e Anita Romano, con la stessa Delia Cajelli.
«Il progetto «Nonni a teatro» -raccontano dall'associazione culturale «Educarte»- intende utilizzare il linguaggio drammaturgico come strumento di comunicazione per contrastare l'isolamento della cosiddetta «terza e quarta età», soprattutto di quegli anziani che vivono lontano dalla propria famiglia o in casa di riposo. Lo spettacolo proposto ha, infatti, come scopo quello di creare, soprattutto per chi è avanti con gli anni, nuovi momenti di socialità, da condividere magari con figli e nipoti, ma vuole anche ‘regalare’ un momento di svago e di divertimento».
«Tre civette sul comò» è, in effetti, una commedia divertente. Non presenta azioni, ma solo dialoghi stralunati, al limite del demenziale. Protagoniste sono tre anziane sorelle, economicamente povere: l'eccentrica Agnese (Delia Cajelli), la cui follia è degna di uno dei migliori personaggi del cabaret; la premurosa e dolcemente svagata Virginia (Anita Romano), che -pur essendo cieca- riesce a sbrigare tutte le faccende domestiche; e la «futurista» Matilde (Gerry Franceschini), sempre alla ricerca di una eleganza nell'abbigliamento, che ormai non può più permettersi.
«Per evidenziare la dimensione "assurda" di questo personaggio, -spiega Delia Cajelli- la parte sarà attribuita a un uomo». Tale scelta rientra in quel filone di «teatro en travesti», molto in voga negli ultimi anni. Basti pensare alla compagnia de «I Legnanesi» o alle sorelle Marinetti. Ma si rifà anche a una nobile tradizione di teatro sperimentale, che ha i propri antecedenti in Sarah Bernhardt, attrice che più volte ha interpretato parti maschili, dall'«Amleto» di William Shakespeare all'«Aiglon» di Edmond Rostand. Una tradizione, questa, che, in tempi più recenti, ha portato sui palcoscenici italiani uno spettacolo come «Romeo e Giulietta - Nati sotto contraria stella» di Leo Muscato, interamente recitato da uomini, secondo il più autentico spirito elisabettiano, e nel quale la parte della giovane innamorata è stata affidata a un anziano attore comico, che «ha il tutù come una ballerina di Degas e le "alucce" come le bambine alle recite scolastiche, ma veste la maglietta della salute ed esibisce la barba bianca».
Le novità della rivisitazione proposta dalla regista Delia Cajelli non si, però, limitano all'omaggio al «teatro en travesti». Il testo di Romeo de Baggis è, infatti, stato arricchito da citazioni, musicali e non, della filastrocca «Ambarabà ciccì coccò», ma anche di un nuovo personaggio: la «gatta Achiropita della Magna Grecia» (Ambra Greta Cajelli), una micia calabrese, con la passione per le melanzane ripiene, che balla e canta sopra i tetti, aiuta l'anziana Matilde nelle sue cure di bellezza e sogna di raccontare le mirabolanti avventure che vive di notte con l'amico Moz in un libro. A ben guardare, con le «Tre civette sul comò» ce n’è proprio per tutti i gusti!

Didascalie delle immagini
[figg.1, 2, 3 e 4] Una scena dello spettacolo «Tre civette sul comò» di di Romeo de Baggis e Delia Cajelli, per la regia di Delia Cajelli e con gli attori del teatro Sociale di Busto Arsizio. Foto: Danilo Menato

Informazioni utili
«Nonni a teatro» - rassegna teatrale promossa dall’associazione culturale «Educarte», con il patrocinio e il sostegno economico della Fondazione comunitaria del Varesotto onlus. Spettacolo rappresentato: «Tre civette sul comò», resto di Romeo de Baggis e Delia Cajelli. Regia di Delia Cajelli con gli attori del teatro Sociale. Cast: Ambra Greta Cajelli (la gatta Achiropita), Delia Cajelli (Agnese), Gerry Franceschini (Matilde) e Anita Romano (Virginia). produzione associazione culturale «Educarte» - teatro Sociale di Busto Arsizio. 
Calendario appuntamenti di luglio
· venerdì 13 luglio 2012, ore 21.15 - Busto Arsizio, teatro Sociale - ingresso libero e gratuito – informazioni: Comune di Busto Arsizio - Ufficio Grandi Eventi, tel. 0331.390310 e tel. 0331.390266, grandieventi@comune.bustoarsizio.va.it [Lo spettacolo è promosso con la collaborazione dell'Amministrazione comunale di Busto Arsizio, nell'ambito di «BA Estate 2012»]
· venerdì 20 luglio 2012, ore 21.30 - Samarate, Giardino delle balaustre di Villa Montevecchio (via Lazzaretto) – ingresso libero e gratuito – informazioni: Assessorato alla Cultura, Comune di Samarate, tel. 0331.720526 [Lo spettacolo è promosso con la collaborazione dell'Amministrazione comunale di Samarate, nell'ambito della rassegna «Sipario d’Estate»]
· mercoledì 25 luglio 2012, ore 15.00 - Busto Arsizio, Istituto «La Provvidenza» onlus, via San Giovanni, 3 – ingresso libero e gratuito [Lo spettacolo è promosso in collaborazione con l’Istituto «La Provvidenza» onlus di Busto Arsizio]
• sabato 21 luglio 2012, ore 21.15 - Besozzo, Villa Ronzoni – Casa di riposo (via degli Orti, 14) – ingresso libero e gratuito – informazioni: Fondazione «Giuseppe e Giulia Ronzoni» onlus, tel. 0332.770216 [Lo spettacolo è promosso in collaborazione con la Casa di riposo - Fondazione Giuseppe e Giulia Ronzoni onlus]
venerdì 27 luglio 2012, ore 21.15 - Castellanza, cortile del Palazzo municipale (via Rimembranze, 4) - ingresso libero e gratuito – informazioni: Ufficio cultura – Comune di Castellanza, tel. 0331.526263, cultura@comune.castellanza.va.it [Lo spettacolo è promosso con la collaborazione dell'Amministrazione comunale di Castellanza, nell'ambito della rassegna «Incontri per le strade 2012»]

lunedì 16 luglio 2012

Perugia: da Canova a Thorvaldsen, tra le sale del «nuovo» Museo dell’Accademia di Belle arti

E’ una delle Accademia di Belle arti più antiche d’Italia. Fondata dal pittore Orazio Alfani e dall'architetto e matematico Raffaello Sozi nel 1573, come Accademia di Disegno, è seconda solo a quella fiorentina, nata una decina d’anni prima, nel 1562. Stiamo parlando della «Pietro Vannucci» di Perugia, ubicata, dal 1901, presso l'antico convento di San Francesco al Prato (accanto al celebre Oratorio di San Bernardino, opera dello scultore Agostino di Duccio). In questi spazi, a cominciare dal 1974, ha preso corpo e forma una ricca e preziosa collezione d’arte, oggi ordinata in tre sezioni: Gipsoteca (galleria dei gessi), Galleria dei dipinti e Gabinetto dei disegni e delle stampe.
Nel 1997, il forte sisma che colpi Umbria e Marche, lo stesso che danneggiò la volta di Cimabue nella Basilica superiore di Assisi, costrinse alla chiusura forzata del Museo dell’Accademia di Belle arti e allo sfollamento del suo prezioso patrimonio, che conta seicento gessi, quattrocento dipinti, dodici mila disegni e sei mila e trecento incisioni.
Dopo tre lustri di silenzio e di polvere, interrotti solo da qualche esposizione temporanea in altre sedi, le raccolte sono, da qualche giorno, tornate visibili al pubblico, grazie alla lungimiranza generosa della Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia, che ha interamente finanziato l'oneroso e complesso insieme dei costi.
Per l’occasione, il museo ha un nuovo e moderno allestimento, firmato dall’architetto Fabio Mongelli, con la collaborazione di Bardia Azizi e Alessandro Gori. Un allestimento, questo, che si avvale di colori e materiali di assoluta originalità, di un’esaustiva «premessa-promessa» all’ingresso, di «passeggiate tematiche» che mettono in relazione le opere selezionate e di un raffinato studio illuminotecnico, con sorgenti di led, a basso risparmio energetico, per una miglior visione possibile di quadri e sculture.
E’, così, un vero piacere poter passeggiare tra le sale del museo perugino, il cui ricco patrimonio artistico, con la sua incalzante sequenza di epoche e di stili, è il risultato non solo di donazioni di enti e di privati, ma soprattutto di lavori prodotti dagli accademici che, in qualità di studenti, docenti o collezionisti hanno voluto lasciare un segno tangibile del proprio attaccamento ai ‘colori’ della scuola.
Il primo nucleo della collezione è, infatti, nato contestualmente alla formazione dell'Accademia del Disegno, con la donazione dei calchi in gesso, eseguiti dal perugino Vincenzo Danti, nel 1573, delle sculture michelangiolesche che sottolineano i sarcofagi delle tombe medicee della Sacrestia nuova di San Lorenzo di Firenze: «Aurora», «Giorno», «Crepuscolo», «Notte».
Qualitativamente rilevanti sono le acquisizioni che si hanno tra Sette e Ottocento, sotto la direzione di Baldassarre Orsini, con il lascito del romano Carlo Labruzzi, che invia a Perugia il suo «Torso di Belvedere», e con l’arrivo, nel 1818, dell'imponente «Ercole Farnese», dono del Municipio di Perugia.
Il verbo classico continua a imporsi con la donazione del cardinale Ercole Consalvi, segretario di Stato della Santa Sede, che nel 1822, in segno di ringraziamento per la nomina ad Accademico di onore, dona il «Discobolo», la «Cerere», «Giove», «Urania» e il «Busto del Nilo».
Nel 1836, Francesco Guardabassi cede al museo il suo «Laocoonte». Datano, invece, agli anni Settanta dell’Ottocento l'acquisto dei calchi della cornice esterna per la porta del Paradiso nel Battistero di San Giovanni a Firenze, opera dello scultore Lorenzo Ghiberti, e quello dei calchi robbiani dell'«Assunzione», del «Presepio» e della «Madonna col Bambino», eredità del cavalier Silvestro Friggeri Boldrini. E’, infine, del 1895 l’acquisizione del calco di una porzione del fregio nord della cella del Partenone, conservato al British Museum di Londra.
Capolavoro e simbolo indiscusso della gipsoteca è il gruppo «Le Tre Grazie» di Antonio Canova (replica dell'opera eseguita per il duca di Bedford nel 1815), pervenuta per dono dell’autore nel 1822; dell’artista neoclassico sono anche altre opere donate, nel 1829, da monsignor Sartori e dal cavalier Stecchini: «Il Pugilatore Demosseno», «La danza dei figli di Alcinoo», «L'uccisione di Priamo», «La testa di cavallo per il monumento equestre di Carlo III di Borbone, re di Spagna», ideata nel 1807 e collocata a Napoli, in piazza del Plebiscito.
Nel 1823, la collezione della gipsoteca si arricchisce di un altro capolavoro: il «Pastorello» di Bertel Thorvaldsen, filologico e rigoroso esempio di imitazione dell'antico. Fra i dipinti spiccano, invece, l’«Autoritratto con pappagallo» di Mariano Guardabassi e quadri di Annibale Brugnoli, Domenico Bruschi, Armando Spadini, Mario Mafai, Alberto Burri e Gerardo Dottori: tante piccole perle di un museo che ritorna a far parlare di sé.

Didascalie delle immagini
[figg. 1, 2 e 3] Nuovo allestimento del Museo dell'Accademia di Belle arti di Perugia. © foto di Daniele Paparelli; [fig. 4] Antonio Canova (Possagno 1757 - Venezia 1821), «Le tre grazie»  (part.), 1815 - 1817. 76x100x60 cm; [fig. 5] Mariano Guardabassi (Perugia 1823 - 1880), «Autoritratto con pappagallo», 1855 c..Olio su tela, 88x72 cm.

Informazioni utili
Museo dell'Accademia di Belle arti, piazza San Francesco al Prato, 5 - Perugia. Orari: giovedì-domenica, ore 10.00-13.00 e ore 15.30-18.00. Ingresso: intero € 5,00, ridotto € 3,00. Informazioni: tel. 075.5730631. Sito web:www.museoabaperugia.com.

venerdì 13 luglio 2012

A Roma Joan Mirò e il suo grande atelier tra «poesia e luce»

«Perché i frutti crescano si devono tagliare le foglie, e in un determinato momento bisogna anche potare. […] Le cose seguono il loro corso. Diventano grandi, maturano. Si deve fare degli innesti e anche irrigare, come è il caso della lattuga». Più che da uno dei grandi maestri dell'arte del Novecento, queste parole sembrano essere state dette da un esperto di botanica. Eppure era così che ideava Joan Mirò (Barcellona, 1893 – Palma di Maiorca, 1983), coltivando la propria creatività in più «orti» -pittura, incisione, litografia, scultura e ceramica -, come si legge nel volumetto «Lavoro come un giardiniere», apparso in Italia, nel 1964, per i tipi delle celebri e prestigiose Edizioni del Cavallino di Venezia.
Il risultato è un alfabeto espressivo, magico ed evocativo, fatto di segni ritmici e fantastici, di grafismi stilizzati e fanciulleschi, di macchie pure e squillanti, di impronte e abrasioni, che -a dispetto della propria apparente elementarità e spensieratezza- sa parlare di qualcosa che attiene al segreto della vita, sa essere una vera e propria «mappa dello spirito».
Astri, soli, lune, stelle filanti, code d’aquilone, strani personaggi dalle fattezze umane e animalesche, ma anche occhi, teste ed elementi di origine sessuale sono le immagini che, più di sovente, ricorrono in questa, affascinante e incantatrice, narrazione pittorica di uno dei più abili cantori di sogni del secolo scorso, di un’anima dall’evidente «audacia visionaria», per usare le parole di Maurizio Calvesi. Un’anima che regala al suo ‘spettatore’ un universo immaginifico, apparentemente ingenuo e giocoso, privo di riferimenti nel mondo dell’arte contemporanea, cioè estraneo a movimenti pittorici, seppure inserito nell’ambito del Surrealismo e con un occhio rivolto, negli ultimi anni, all’esperienza dell’Action painting e dell’Espressionismo astratto americano.
«L'incontro di fantasia e di controllo, di oculatezza e di generosità, che forse si può considerare una caratteristica della mentalità catalana, può spiegare, in parte almeno, la base fondamentale dell'arte e della personalità» dell’autore del «Muro del Sole» e del «Muro della Luna» per il palazzo dell’Unesco a Parigi, scrive, sagacemente, Gillo Dorfles, per dare ragione di un lavoro unico nel suo genere, di un lavoro costantemente in bilico tra divertissement e metafisica del cuore.
All’insaziabile sperimentalismo dell’artista spagnolo guarda la mostra «Mirò! Poesia e luce», a cura di María Luisa Lax Cacho, che riunisce a Roma, nella cornice rinascimentale del Chiostro del Bramante, un’ottantina di lavori, per lo più inediti, tra cui cinquanta oli di grande formato, realizzati prevalentemente tra il 1956 e il 1983, anni vissuti dall’artista nella casa di campagna sull’isola di Maiorca. Qui, nel paese natale della madre Dolores e della moglie Pilar, Joan Mirò realizza un sogno a lungo agognato: un «grandissimo studio», fatto costruire dall'amico architetto Josep Lluis Sert, dove -per usare le sue stesse parole- «disporre di spazio sufficiente per molte tele», «cimentarsi nella scultura, nella ceramica, nella stampa», e «per quanto possibile, andare oltre la pittura da cavalletto».
Sono anni, questi, in cui l'artista, dopo una pausa di riflessione sul suo lavoro o, come egli stesso la definisce, «una pulizia del cervello», distrugge molti suoi vecchi dipinti e schizzi e, talvolta, vi ridisegna sopra. E’ il caso di una delle tele esposte: un paesaggio del 1908, occultato da Joan Mirò con un giornale, su cui aveva posto la firma e la data del dipinto eseguito, nel 1960, sul retro.
Il libero canto miroiano, un canto da «usignolo della pittura moderna», per usare le parole di Carlo Argan, viene reinventato. E’ questo il momento in cui l’artista, messa da parte la pittura a cavalletto, dipinge a terra, cammina sulle proprie tele, vi lascia l’impronta della propria mano con il colore, vi si stende sopra, sporcandosi «tutto –lo scrive egli stesso nel 1974- di pittura, faccia, capelli». Il pennello sgocciola, il gesto si fa ampio e istintivo, forse brutale.
In alcuni casi le squillanti macchie di blu, rosso, giallo e verde, che rendono riconoscibile a tutti l’arte di Joan Mirò, lasciano spazio a una tavolozza cromatica ridotta al bianco e nero, a una figurazione che evoca la predilezione dell’artista per la calligrafia orientale, conosciuta direttamente nei suoi due viaggi in Giappone (1966 e 1969).
Tra le opere esposte, si potranno ammirare l’olio «Donna nella via» (1973), un intenso «Senza titolo» dallo sfondo blu (1978), i bronzi «Donna» (1966) e «L’equilibrista» (1969), gli schizzi per la decorazione murale della Harkness Commons-Harvard University, lavori tutti provenienti da Palma di Maiorca dove la «Fundació Pilar i Joan Miró» detiene molte opere dell'artista, concesse in via del tutto straordinaria per questa mostra italiana. Una mostra che testimonia come il maestro catalano sia sempre stato fedele al suo stile, incurante delle mode del momento, come sia cresciuto artisticamente fino all’ultimo respiro, senza arenarsi mai. Il cartellone ferroviario che Joan Mirò aveva scovato in un negozio e appeso alla porta del suo studio -lo ricorda Janis Mink- sembrava fatto apposta per lui: «Questo treno non fa fermate».

Didascalie delle immagini
[fig. 1] Joan Mirò, «Femme dans la rue», 1973. Olio, guazzo e acrilico su tela, 195 x 130 cm. Fundació Pilar i Joan Miró, Mallorca. Foto: © Joan Ramón Bonet & David Bonet /. Cortesía Archivo Fundació Pilar i Joan Miró a Mallorca; [fig. 2] Joan Mirò, «Senza titolo», 1978. Olio su tela, 92 x 73 cm. Fundació Pilar i Joan Miró, Mallorca. Foto: © Joan Ramón Bonet & David Bonet / Cortesía Archivo Fundació Pilar i Joan Miró a Mallorca; [fig. 3] Joan Mirò, «Senza titolo», n.d. Olio, acrilico e carboncino su tela, 162,5 x 131 cm. Fundació Pilar i Joan Miró, Mallorca. Foto: © Joan Ramón Bonet & David Bonet / Cortesía Archivo Fundació Pilar i Joan Miró a Mallorca; [fig. 4] Joan Mirò, «Senza titolo», 1972. Giornale, guazzo, inchiostro, corda, legno e filo metallico, 40 x 13 x 8 cm. Fundació Pilar i Joan Miró, Mallorca. Foto: © Joan Ramón Bonet & David Bonet / Cortesía Archivo Fundació Pilar i Joan Miró a Mallorca; [fig. 5] Joan Mirò, «Senza titolo», n.d. Acrilico su tela, 162,5 x 130,5 cm. Fundació Pilar i Joan Miró, Mallorca. Foto: © Joan Ramón Bonet & David Bonet / Cortesía Archivo Fundació Pilar i Joan Miró a Mallorca


Informazioni utili
Miró! Poesia e luce. Chiostro del Bramante, via della Pace - Roma. Orari: lunedì-venerdì, ore 10.00-20.00; sabato e domenica, ore 10.00-21.00 (la biglietteria chiude un’ora prima). Ingresso: intero € 12,00, ridotto [65 anni compiuti (con documento); ragazzi fino a 18 anni non compiuti; studenti fino a 26 anni non compiuti (con documento); militari di leva e appartenenti alle forze dell’ordine; portatori di handicap; ex ridotti legge] € 10,00; biglietto famiglia [solo genitori e figli - minimo 3 persone] € 30,00; ridotto gruppi € 10,00, ridotto gruppi scolastici € 5,00; giovedì universitari (promozione estiva per studenti) € 5,00. Catalogo: 24 ORE Cultura - Gruppo 24 ORE. Informazioni: tel. 06.68809036 o tel. 06.916508451. Sito internet: www.mostramiro.it o www.chiostrodelbramante.it o www.facebook.com/Miropoesiaeluce. Fino a giovedì 23 agosto 2012.

lunedì 9 luglio 2012

Da Caravaggio a Goya: pittori da set sul grande schermo del teatro Blu di Firenze

Il cinema incontra le suggestioni della pittura. Succede a Firenze, dove Cambiamusica e Hulot&Cortomobile propongono, per tutto il mese di luglio, «L’arte dei pittori raccontata dalla pellicola», rassegna sulla vita, sulle opere e sui sentimenti di undici tra i più grandi artisti di tutti i tempi, da Francisco Goya ad Amedeo Modigliani, da Pablo Picasso a Francis Bacon.
Scenario dell’iniziativa, promossa con la collaborazione e il contributo economico di Publiacqua, società che gestisce il servizio idrico nelle province di Firenze, Prato, Pistoia ed Arezzo, sarà il cinema teatro Blu, all’interno del parco dell’Anconella, già location del festival estivo «Diramazioni».
A tenere a battesimo l’evento, in programma da lunedì 9 a martedì 31 luglio, sarà la proiezione del film «Caravaggio» (Gran Bretagna, 1986) di Derek Jarman, che racconta, con importanti licenze poetiche e particolari volutamente anacronistici, la vita, avventurosa e vagabonda, del pittore lombardo, tra risse, ferimenti, omicidi, torbidi rapporti con i potenti della Chiesa e i bassifondi. La pellicola, che focalizza l’attenzione anche sul triangolo amoroso con Ranuccio Tomassoni e con l'amante di lui, Lena, si sofferma, inoltre, sull'impiego da parte dell'artista di gente di strada, ubriachi e prostitute, come modelli per i suoi lavori intensi, generalmente religiosi, raccontando ciò attraverso dei veri e propri quadri viventi, come avviene, per esempio, con «La deposizione» (1602-1604), conservata presso la Pinacoteca Vaticana.
Martedì 10 luglio salirà, invece, sotto l’occhio di bue il pittore irlandese Francis Bacon attraverso il film «Love is the Devil» (Gran Bretagna, 1998), diretto da John Maybury e teso a rievocare i sette anni del rapporto sadomasochistico tra l'artista e il suo amante e modello, George Dyer, morto per una dose fatale di barbiturici ed alcol, durante l’inaugurazione della grande mostra baconiana, al Grand Palais di Parigi, dell’ottobre 1971.
Il giorno successivo, mercoledì 11 luglio, verrà celebrato il genio di Basquiat, meglio noto come «American Graffiti», nel film (Usa, 1996) diretto da Julian Schnabel, con David Bowie nei panni di Andy Warhol.
La rassegna proseguirà, quindi, con un omaggio ad Amedeo Modigliani, la cui vita maledetta e il cui amore con la diciannovenne Jeanne Hébuterne verranno ripercorsi, nella serata di lunedì 16 luglio, attraverso il film «I colori dell’anima» (Gran Bretagna, 2005) di Mick Davis. Toccherà, poi, alla proiezione di «Surviving Picasso» (Gran Bretagna, 1996), pellicola diretta da James Ivory e ispirata al libro «Picasso: creator and destroyer» di Arianna Stassinopoulos Huffington, che narra la vita dell'artista, interpretato da Anthony Hopkins, da un punto di vista diverso da quello dei libri d'arte: la  quotidianità, i sentimenti e gli amori sono, infatti, esposti tramite la narrazione fuori campo di Françoise Gilot, sua amante, dalla quale il pittore ebbe due figli. Mercoledì 18 luglio si terrà, invece, una serata dedicata al maestro dell’action painting, Jackson Pollock, attraverso il film girato da Ed Harris (Usa, 2000).
La rassegna proseguirà la settimana successiva, nella serata di lunedì 23 luglio, con «Brama di vivere» (1956), una pellicola di Vincente Minnelli, ispirata all’omonimo romanzo di Irving Stone, che racconta di quando Vincent Van Gogh, giovane predicatore, con una forte passione per l'arte ed il disegno, venne mandato ad officiare tra i minatori della regione belga del Borinage, luogo nel quale, vivendo le difficoltà di queste persone, scoprì la propria definitiva passione per la pittura. Spazio, quindi, all’unico omaggio al femminile della rassegna: martedì 24 luglio verrà proiettato il film «Frida» (Usa, 2002) di Julie Taymor, sulla vita di Frida Kahlo; a seguire, mercoledì 25 luglio, si terrà la presentazione di una vera e propria rarità: l’introvabile sceneggiato televisivo su Antonio Ligabue, diretto nel 1977 da Salvatore Nocita per la Rai, nel cui cast figurano Flavio Bucci, Pamela Villoresi e Renzo Palmer.
Un altro piccolo capolavoro sarà sotto i riflettori del cinema teatro Blu lunedì 30 luglio, quando si terrà la proiezione del film «Klimt» (Sa, 2006) di Raul Ruiz, presentato, nel 2006, al Festival di Berlino e al Torino Film Festival, nel quale vengono raccontati i successi di Gustav Klimt, gli incontri presso i caffè di Vienna, i dibattiti accesi sugli stili dell'arte. Nella trama si rende anche visibile l'erotismo contenuto nelle tele del pittore, gli istanti di creazione e il rapporto con le donne, sino al momento della sua fine assistito da un'infermiera e dall'amico Schiele.
A chiudere la rassegna sarà, invece, la raffinata pellicola «Goya» (Spagna, 1999), diretta da Carlos Saura e con la stupenda fotografia del maestro Vittorio Storaro.
Prima di tutte le proiezioni, che avranno inizio alle 21.30 e saranno a ingresso libero e gratuito, verrà mostrato il video di Publiacqua per la campagna «Acqua, usiamola bene», realizzata in collaborazione con la Regione Toscana, che vede Paolo Handel vestire i panni di Leonardo da Vinci e invitare il pubblico al risparmio di uno dei nostri beni più preziosi, l’acqua appunto.

Didascalie delle immagini
[fig. 1] Locandina del film «Caravaggio» di Derek Jarman (Gran Bretagna, 1986); [fig. 2] Una scena del film «Caravaggio» di Derek Jarman (Gran Bretagna, 1986), incentrata sul quadro con «La deposizione» (1602-1604), conservata presso la Pinacoteca Vaticana; [fig. 3] Locandina del film «Modigliani» di Mick Davis (Gran Bretagna, 2005); [fig. 4] Locandina del film «Goya» di Carlos Saura (Spagna, 1999); [fig. 5] locandina della campagna «Acqua, usiamola bene», realizzata da Publiacqua, in collaborazione con la Regione Toscana. Nell’immagine: Paolo Handel interpreta Leonardo da Vinci

Informazioni utili
L’arte dei pittori raccontata dalla pellicola. Parco dell’Anconella - Teatro Blu, via di Villamagna, 39/B – Firenze. Programma: www.cambiamusicafirenze.blogspot.com. Orari: ore 21.30. Ingresso libero e gratuito. Informazioni: Francesco Azzini, cell. 333.4383513 o Luca Longo, cell. 338.9180725. Da lunedì 9 a martedì 31 luglio 2012.

venerdì 6 luglio 2012

Toscana, la Madonna di Pio II in mostra per il Giubileo pientino

Al Museo diocesano di Pienza proseguono i festeggiamenti per il Giubileo pientino, indetto da papa Benedetto XVI per ricordare i cinquecentocinquanta anni dalla dedicazione della cattedrale, gioiello rinascimentale della città consacrato il 29 agosto 1462. Dopo il restauro del prezioso piviale di papa Pio II, ritornato lo scorso maggio accanto a opere preziose come la raffinata «Madonna con bambino» di Pietro Lorenzetti e uno splendido «Crocifisso» di Segna di Bonaventura, il museo diretto da Gabriele Fattorini accoglie, nell’estate del 2012, uno squisito rilievo in marmo: una «Madonna col Bambino e angeli», commissionata dallo stesso Pio II.
L’opera, destinata alla cattedrale di Montepulciano e ora conservata al Museo civico Pinacoteca «Crociani», fu eseguita da un elegante scultore quattrocentesco che la storiografia artistica, in assenza di una sicura identità anagrafica, ha ribattezzato con l’appellativo di «Maestro di Pio II», dal momento che la sua mano, insieme con quella di Paolo Romano, è riconoscibile nel colossale Monumento sepolcrale di papa Enea Silvio Piccolomini, oggi in Sant’Andrea della Valle a Roma.
Verosimilmente di origine toscana, l’artista dovette giungere nella Città eterna al seguito di Mino da Fiesole, ottenendo un buon successo, particolarmente nella cerchia piccolominea. Tra le opere a lui attribuite si segnala, per esempio, l’arca destinata a contenere, in Santa Maria sopra Minerva, il corpo di Santa Caterina da Siena, canonizzata proprio da Pio II. I lavori eseguiti da questo scultore testimoniano efficacemente l’interesse per la prospettiva e per l’antico della generazione che precedette l’affermazione romana di Andrea Bregno. Un interesse, questo, che si evince anche dal rilievo esposto al Museo diocesano di Pienza: un’ordinata architettura prospettica accoglie, infatti, al suo interno la Madonna seduta in trono, nell’atto di fare il solletico al Figlio che si erge sulle sue ginocchia, mentre quattro angeli osservano la scena.
Nella cornice inferiore è visibile lo stemma di papa Enea Silvio Piccolomini e ciò ha fatto supporre che l’opera dovesse essere originariamente destinata a Pienza, nel cui Museo diocesano è presente una sezione dei doni elargiti da Pio II alla ‘sua’ Cattedrale: dal famosissimo piviale gotico in opus anglicanum raffigurante le «Storie di Maria Vergine e delle sante Caterina d’Alessandria e Margherita d’Antiochia» alla trecentesca croce bizantina di San Sava, dalle insegne del vescovo (il pastorale, la mitria) agli elementi del corredo liturgico (il secchiello, il turibolo, la navicella, la pace).
In contemporanea, sempre in occasione del Giubileo pientino, la città ospiterà la mostra «De reditu Il ritorno: Libri e manoscritti fra ‘400 e ‘500 di Pio II a Pienza», promossa dall’amministrazione comunale, con l’Accademia senese degli Intronati, la Società bibliografica Toscana e la Società esecutori pie disposizioni, presso la cripta della cattedrale. Preziosi volumi provenienti dalla biblioteca conservata nel palazzo Piccolomini di Pienza, passato alla Società esecutori pie disposizioni per lascito testamentario dell’ultimo dei Piccolomini della Triana, il conte Silvio (del quale ricorre, quest’anno, il cinquantesimo della morte), dialogano, in questa esposizione, con testi conservati nella Biblioteca comunale degli Intronati di Siena ed edizioni possedute dalla Biblioteca civica «Attilio Hortis» di Trieste. Libri che raccontano le letture di un uomo che costruì a Pienza la sua città ideale.

Vedi anche
Nuovo allestimento per il piviale di Pio II
Fa tappa anche a Pienza l’«ArcheoFest 2012»

Didascalie delle immagini
[fig. 1] Maestro di Pio II, «Madonna col Bambino e angeli». Montepulciano, Museo civico Pinacoteca «Crociani»; [fig. 2] Locandina della mostra «De reditu Il ritorno: Libri e manoscritti fra ‘400 e ‘500 di Pio II a Pienza», in corso a Pienza, nella cripta della cattedrale. 

Informazioni utili
La Madonna di Pio II. Museo diocesano, corso Il Rossellino, 30 - Pienza (Siena). Orari: sabato e domenica, ore 10.00-13.00 e ore 15.00-18.00; chiuso il martedì (non festivo). Ingresso: intero € 4,10, ridotto (bambini sotto 12 anni, gruppi di almeno 20 persone, soci Touring Club Italia, oltre 65 anni) € 2,60. Informazioni: tel. 0578.749905. Fino al 30 settembre 2012.

De reditu Il ritorno: Libri e manoscritti fra ‘400 e ‘500 di Pio II a Pienza. Cripta della Cattedrale – Pienza (Siena). Ingresso libero. Informazioni: telefono: 0578.749905. Catalogo: disponibile in mostra. Fino all’8 settembre 2012. 



mercoledì 4 luglio 2012

Venezia, restaurati gli appartamenti della principessa Sissi

Chi non ricorda l’ultima, emozionante, scena del film «Sissi, il destino di un’imperatrice», nel quale Elisabetta Amalia Eugenia di Wittelsbach, la duchessa di Baviera interpretata dall’affascinante attrice viennese Romy Schneider, fa il suo ingresso in piazza San Marco, al braccio del marito «Franzi», il giovane e attraente imperatore Francesco Giuseppe I d’Austria?
Quello ricordato dall'edulcorata pellicola, che il regista austriaco Ernst Marischka girò nel 1958, fu il primo soggiorno della principessa Sissi e del consorte a Venezia, città passata sotto il dominio asburgico, dopo la caduta di Napoleone, nel 1816.
La coppia più discussa del momento entrò in Laguna il 25 novembre 1856, dopo essere salpata con il vapore «Elisabetta» dal porto di Trieste, e lì vi rimase per trentotto giorni, fino al 3 gennaio 1857, quando riprese il viaggio tra le province italiane assoggettate al regime degli Asburgo. L’accoglienza non fu delle migliori, nonostante manifesti affissi tra le calli veneziane cercassero di addolcirne l’arrivo e a dispetto dell’enfatico resoconto che il giornalista Francesco Beltrame, già consigliere del Governo rivoluzionario del 1848, pubblicò su un giornale locale: «Da lungo tempo Venezia ardentemente bramava di tributare in modo solenne l’omaggio alla sua fedeltà ed esultanza al magnanimo Sire, sul cui sacro capo ripesano i destini di trent’otto milioni di sudditi, ed all’eccelsa Donna, chiamata da Dio a lenirgli le cure dello Stato e a spargergli di fiori il sentiero della vita ed a santificare il trono, coll’esercizio della più bella virtù, il doppio impero della grazia e bellezza».
Anche la storia dell’applauso festante all’imperatrice, dopo l’abbraccio commosso con la figlia sul tappeto rosso di piazza San Marco, è pura leggenda filmica. In quell’inverno del 1856, la principessa Sissi fu, infatti, oggetto di numerose contestazioni ed entrò nel cuore dei veneziani solo più tardi, quando l’imperatore Francesco Giuseppe emanò, si dice proprio dietro suo consiglio, editti di clemenza e si impegnò in una riforma dell’amministrazione pubblica.
Una prova, questa, di quel carattere liberale e attento al prossimo che, insieme con la bellezza selvaggia e l’avversione per la ferrea etichetta della cortese viennese, fecero entrare l’imperatrice d’Austria nel mito. Un mito che la città lagunare, con i suoi teatri e le sue case nobiliari, ebbe modo di ospitare, in maniera ufficiale, almeno altre due volte: per sette mesi, tra l’ottobre 1861 e il maggio 1862, di ritorno da Corfù e a causa di un terribile dolore alla caviglia, e nell’aprile 1895, in occasione della prima Biennale d’arte di Venezia, quando l’imperatrice –lo documenta chiaramente la copertina del settimanale «La Tribuna illustrata della Domenica», uscito in quei giorni- andò a rendere omaggio al re d’Italia, Umberto I.
Ad accogliere Sissi, la più amata «regina di cuori» dell’Ottocento, nei suoi due primi soggiorni veneziani furono nove stanze degli appartamenti imperiali d’Austria del Palazzo reale di Venezia, oggi di proprietà del Demanio e in concessione d’uso al Comune, ubicati presso l’ala napoleonica delle Procuratie nuove in piazza San Marco. Questi sfarzosi locali -che ospitarono anche il generale francese Eugenio di Beauharnais e, dal 1866, la famiglia Savoia- saranno nuovamente visibili al pubblicoda martedì 10 luglio 2012, dopo un impegnativo lavoro di restauro, promosso dal Comité Français pour la Sauvegarde de Venise e realizzato sotto l’egida della Direzione regionale per i Beni culturali e paesaggistici del Veneto e con il coordinamento della Fondazione Musei civici di Venezia. Bisognerà, invece, attendere ancora del tempo per vedere il ritorno a nuovo splendore delle altre quattordici sale della dimora, quelle che accolsero Francesco Giuseppe I d’Austria.
Un tesoro perduto ritorna, dunque, in parte a rispecchiarsi nelle acque del bacino di San Marco, in quella parte del Museo Correr, che s’affaccia sui Giardini Reali, fatti realizzare in epoca napoleonica, così come tutta l’ala nella quale si trovano le stanze di Sissi: dalla sala delle udienze allo studiolo, dalla camera da letto al delizioso boudoir, alla stanza da toilette.
Per il primo ingresso dell’imperatrice e del marito in Laguna, quello del 1856, i lavori di risistemazione delle stanze, già in parte rimaneggiate negli anni Trenta per la visita di Ferdinando I, iniziarono due anni prima con l’istituzione di una commissione che sovrintese all’acquisto degli arredi, commissionati ad importanti artigiani locali, ma anche a maestranze di Milano e Vienna.
Gli appartamenti furono oggetto anche di interventi decorativi: ovunque apparvero ghirlande e motivi capricciosi, formati dall'intreccio di stucchi bianchi e ornati in colo o in oro, e fiori policromi, tra i quali mughetti e fiordalisi; mentre, le aquile, già esistenti e simbolo del potere napoleonico, furono usate per sostenere gli stemmi dei regni di Austria e di Baviera.
Nuovi lavori di ammodernamento furono realizzati in occasione della seconda visita di Sissi, nel 1861, stando a quanto scrive lo studioso Emmanuele Cicogna nei suoi «Diari»: «Far e disfar se tutto un far».
Il restauro, iniziato nel 2009, ha fatto riemergere tutte e due queste opere: gli stucchi dorati, i decori di Giuseppe Borsato, gli ornati di Giovanni Rossi per la stanza da toilette, che ha soffitti in finissimo marmorino con l’inclusione di microcristalli brillanti e che, nel medaglione centrale, reca una raffigurazione de «La Dea protettrice della Arti», il cui volto richiama con evidenza i tratti della bella sovrana asburgica; sulla parete è, invece, dipinta «La toletta di Venere».
Le sale cambiano a seconda dell’ora del giorno, non solo per l’effetto della luce sugli stucchi e sulle decorazioni, ma anche per la stupenda tappezzeria color rosso-oro e blu-beige (di questa raffinata tonalità sono le pareti della camera da letto di Sissi), realizzata e donata dalla ditta veneziana Rubelli sul modello di quella antica.
L'arredamento è stato ricostruito in base agli elementi segnati nell’inventario, custodito negli archivi. Alcuni pezzi sono originali, come le sontuose poltrone dorate con velluti del ’700; altri, invece, ne copiano il modello. Tra tutti questi arredi, appare assolutamente d'eccezione il letto da riposo del vicerè d’Italia, Eugenio di Beauharnais, in puro stile Impero.
Venezia riscopre, così, un pezzo della sua storia e celebra il mito di una donna che incantò il mondo, riportando al pieno splendore un eccezionale edificio, in cui stile Impero e Biedermeier si integrano in un unicum affascinante, magniloquente e intimo al tempo stesso.

Didascalie delle immagini
[figg. 1 e 2] Stanza delle udienze dell’imperatrice Sissi. Venezia, Museo Correr; [fig. 3] Studiolo dell’imperatrice Sissi. Venezia, Museo Correr; [fig. 4] Boudoir dell’imperatrice Sissi. Venezia, Museo Correr; [fig. 5] Camera da letto dell’imperatrice Sissi. Venezia, Museo Correr; [fig. 6] Boudoir dell’imperatrice; Decoratore Giovanni Rossi, 1854. Particolare con stemmi dei regni d’Austria e Baviera.Venezia, Museo Correr; [fig. 7] Sala dei pranzi settimanali. Decoratore Giuseppe Borsato, 1836. Venezia, Museo Correr

Informazioni utili
Le stanze di Sissi. Museo Correr, San Marco, 52 –Venezia. Orari: dal 1° aprile al 31 ottobre, ore 10.00–19.00 (biglietteria, ore 10.00–18.00); dal 1° novembre al 31 marzo, ore 10.00–17.00 (biglietteria, ore 10.00 – 16.00), chiuso il 25 dicembre e 1° gennaio. Ingresso: intero € 16,00, ridotto € 8,00 (ragazzi da 6 a 14 anni; studenti dai 15 ai 25 anni; accompagnatori di gruppi di ragazzi o studenti; cittadini ultra-sessantacinquenni; personale del ministero per i Beni e le Attività culturali; titolari di Carta Rolling Venice; soci Fai); gratuito per residenti e nati nel Comune di Venezia e membri Icom; bambini da 0 a 5 anni; portatori di handicap con accompagnatore; guide autorizzate; interpreti turistici che accompagnino gruppi; offerta scuola: € 5,50; offerta famiglia: un biglietto intero e gli altri ridotti; Museum pass (valido per più musei veneziani): intero € 20,00, ridotto € 14,00; offerta scuola € 10,00 a persona. Informazioni: tel. 041.2405211, fax 041.5200935, e-mail: info@fmcvenezia.it. Sito internet:http://www.visitmuve.it/. Da martedì 10 luglio 2012. 

lunedì 2 luglio 2012

«ArcheoFest 2012», l’archeologica incontra la contemporaneità

La storia dialoga con la contemporaneità. L’archeologia incontra il genio metafisico di Giorgio De Chirico e le «suggestioni d’antico» di Ivan Theimer. Accade ad «ArcheoFest 2012», manifestazione nata da un’idea della Fondazione Monte dei Paschi e di Vernice progetti culturali, che si sono avvalsi per la sua realizzazione del supporto scientifico della Fondazione Musei Senesi.
Da venerdì 6 a sabato 21 luglio mostre temporanee, convegni, spettacoli teatrali, laboratori educativi, percorsi a piedi e molte altre iniziative legate alla promozione e alla valorizzazione del patrimonio archeologico della val di Chiana avranno per scenario la provincia di Siena e, più precisamente, i centri Chianciano Terme, Chiusi, Sarteano, Montepulciano, Cetona, Pienza e San Casciano dei Bagni.
A inaugurare il festival, giunto alla sua seconda edizione e proposto in contemporanea con la rassegna toscana «Notti dell’archeologia», sarà la vernice della mostra «De Chirico. Il ventre dell’archeologo», un dialogo tra i capolavori del padre della pittura metafisica e vasi e canopi antichi, in programma dall’8 luglio al 30 settembre, presso il Museo civico archeologico e delle acque di Chianciano Terme. In queste stesse stanze si terrà anche la rassegna «Splendori. Capolavori dal Museo archeologico di Firenze»; mentre per vedere l’altro suggestivo dialogo antico-contemporaneo in programma ad «ArcheoFest 2012» bisognerà recarsi a Sarteano, dove, sempre dall’8 luglio al 30 settembre, si terrà la mostra «Ivan Theimer. Suggestioni d’antico».
Il cartellone espositivo della manifestazione senese non termina, però, qui. A Cetona, per l’intera estate, sarà allestita la rassegna «Dall’acqua alla terra. Balene e orche fossili in val di Chiana»; mentre a Chiusi si terrà l'esposizione «Ori e gemme del Museo archeologico nazionale» e ritornerà in mostra, ma solo virtualmente (grazie a una riproduzione 3D), il vaso François, reperto esposto presso il Museo archeologico nazionale di Firenze.
Completano il cartellone la mostra «Tular - Tolle. Testimonianze etrusche tra val di Chiana e val d’Orcia», che racconterà, negli spazi del conservatorio «san Carlo Borromeo» di Pienza, la genesi e la storia della più grande necropoli dell’Etruria settentrionale, e la rassegna «Una porta sull’aldilà. Dal mondo egizio agli etruschi», che esporrà, a Montepulciano, l’imponente porta in travertino acquisita di recente dal Museo civico Pinacoteca «Crociani», testimonianza della misteriosa ideologia funeraria del mondo antico.
All’interno della rassegna senese ci sarà spazio anche per l’approfondimento. Il Teatro comunale di Chiusi farà da scenario, nella giornata di giovedì 12 luglio, dalle ore 17.30 alle ore 19.30, a un pomeriggio di studi sulla storia degli scavi che hanno riportato alla luce il vaso François. Il giorno successivo, venerdì 13 luglio, alle ore 17, si terrà, invece, la presentazione dei ritrovamenti della necropoli di Balena a San Casciano dei Bagni. Mentre a Chianciano Terme, negli spazi del Parco termale Acqua santa, si terrà, da venerdì 13 a domenica 15 luglio, l’iniziativa «Mediterraneo: archeologia tra crisi e conflitti», occasione di confronto e di approfondimento sulle ripercussioni che i violenti cambiamenti degli ultimi anni hanno avuto sull’archeologia e sul patrimonio archeologico del Mediterraneo, per capire meglio cosa stia accadendo in Europa, nord Africa e vicino Oriente, grazie alle testimonianze dirette di direttori dei musei, archeologi attivi sul campo, docenti universitari e ricercatori, funzionari dei ministeri e delle organizzazioni internazionali, ma anche giornalisti, divulgatori e opinionisti. Sempre a Chianciano Terme, nel pomeriggio di sabato 21 luglio, si terrà la presentazione del libro «Una sola moltitudine. Saggio sull’identità italiana» (Rubbettino, 2012) di Michele Rossi, alla quale prenderà parte Marino Biondi, docente di Storia della critica e della storiografi¬a letteraria dell’Università degli studi di Firenze. Altra presentazione libraria si terrà a Cetona, nella serata del 31 luglio, quando Alessandra Minetti racconterà la genesi e i contenuti del suo volume «La necropoli delle Pianacce nel Museo civico archeologico di Sarteano». Mentre a Trequanda, venerdì 13 luglio, alle ore 17.00, si terrà la conferenza «Trequanda nell’antichità: Dagli etruschi alla grotta del romito», con annessa visita guidata alla raccolta archeologica della collezione Pallavicini.
Completano l’offerta culturale di «ArcheoFest 2012» eventi come la presentazione del video «Cosa es lo humano?» di Franca Marini (in programma sabato 14 luglio, al Museo civico per la preistoria del Monte Cetona) o lo spettacolo «Un piccolo flauto magico», opera buffa da camera scritta e musicata da Luigi Maio, che vedrà in scena, nella suggestiva cornice del lago di Chiusi (sempre nella serata di sabato 14 luglio), il trio strumentale Hyperion Ensemble.
L’iniziativa prevede, infine, laboratori didattici per adulti e bambini (questi appuntamenti si terranno al parco di Cetona nelle giornate del 10 e del 17 luglio, dalle 10 alle 12 e dalle 17 alle 19), aperture straordinarie dei musei con viste guidate gratuite, comprese nel biglietto (sarà, tra l’altro, visibile la Tomba della Quadriga Infernale, a Sarteano) e percorsi a piedi nelle zone di Chiusi e Chianciano, come la visita alle grotte del Monte Cetona e gli itinerari del trekking archeologico sul percorso delle acque.
E’, dunque, un percorso a 360° gradi nel mondo dell’archeologia quello che propone la seconda occasione di «ArcheoFest 2012», ottima occasione anche per una gita culturale nelle Terre di Siena.

Didascalie delle immagini
[figg. 1 e 2] Particolare di un affresco della Tomba della Quadriga Infernale, a Sarteano; [fig. 3] Opera di Ivan Theimer; [fig. 4] Giorgio De Chirico,«Archeologi», scultura in bronzo patinato. Informazioni utili «ArcheoFest 2012». Sedi varie - provincia di Siena (Toscana). Informazioni: Museo civico archeologico delle acque di Chianciano Terme, tel. 0578.30471 o museoetrusco@libero.it; Fondazione Musei Senesi, tel. 0577 530164 o info@museisenesi.org; Vernice Progetti Culturali, tel. 0577.226406 o info@verniceprogetti.it. Sito internet: www.museisenesi.org. Dal 6 al 21 luglio 2012.

Calendario mostre 
«De Chirico. Il ventre dell’archeologo» e «Splendori - Capolavori dal museo archeologico di Firenze». Museo Civico Archeologico, viale Dante, 80 - Chianciano Terme. Orari: martedì-domenica 10.00-13.00 e 16.00-19.00. Informazioni: tel. 0577.530164 o tel. 0578.30471. Dall’8 luglio al 30 settembre 2012.
«Dall’acqua alla terra. Balene e orche fossili in Val di Chiana». Museo civico archeologico per la preistoria del Monte Cetona, via Roma, 37 – Cetona. Orari: martedì-domenica 10.00-13.00 e 16.00-19.00. Informazioni: tel. 0577.530164 o tel. 0578.237632. Dal 7 luglio al 30 settembre 2012.
«Il vaso François» e «Ori e gemme del Museo archeologico nazionale di Chiusi». Museo nazionale Etrusco, via Porsenna, 43 – Chiusi. Orari: 9.00-20.00 (ultimo ingresso ore 19.30). Informazioni: tel. 0577.530164 o tel. 0578.20177. Dall’8 luglio al 30 settembre 2012.
«Ivan Theimer. Suggestioni d’antico». Museo civico archeologico, via Roma, 24 – Sarteano. Orari: martedì-domenica ore 10.30-12.30 e ore 16.00-19.00. Informazioni: tel. 0577.530164 o tel. 0578.269261. Dall’8 luglio al 30 settembre 2012.
«Tular - Tolle. Testimonianze etrusche tra Val di Chiana e Val d’Orcia». Conservatorio S. Carlo Borromeo, via San Carlo, 2 – Pienza. Informazioni: tel. 0577.530164. Dal 14 luglio al 30 settembre 2012.
«Una porta sull’aldilà. Dal mondo egizio agli etruschi». Museo civico Pinacoteca Crociani, via Ricci, 10 – Montepulciano Orario: martedì-domenica, ore 10.00-13.00 e ore 15.00-18.00; agosto: ore 10.00-18.00. Informazioni: tel. 0577.530164 o tel. 0578.717300. Dal 9 luglio al 30 settembre 2012.