ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

mercoledì 8 ottobre 2014

Andrea Palladio, il primo archi-star di Russia

È il 1699 quando in Russia viene pubblicata, probabilmente ad opera del principe Dolgorukov, la prima traduzione del famoso «Trattato di Architettura» di Andrea Palladio, stampato a Venezia nel 1570. Da quel momento il grande architetto veneto diventa punto di riferimento imprescindibile anche nelle terre degli Zar, non solo perché il suo nome è riconducibile alle eccellenze del Rinascimento italiano, ma anche perché la sua opera diventa fonte di ispirazione per la progettazione architettonica del Paese, oltre che modello per la formazione della coscienza e della vita quotidiana.
Da questa considerazione nasce la mostra «Russia palladiana. Palladio e la Russia dal Barocco al Modernismo», a cura di Arkadij Ippolitov e Vasilij Uspenskij dell'Ermitage di San Pietroburgo, allestita fino al 10 novembre al museo Correr di Venezia.
L’esposizione, del tutto inedita per i contenuti e i risultati scientifici pubblicati in catalogo, ma anche per la sua ideazione, permette per la prima volta di seguire la storia, ormai tricentenaria, del palladianesimo russo attraverso un numero significativo di materiali ignoti al pubblico, provenienti dai fondi dei più prestigiosi musei e archivi della Russia, ventitré realtà tra le quali si ricordano il Museo di stato di San Pietroburgo, l'Archivio dei documenti antichi e la Biblioteca nazionale.
Oltre duecento le opere esposte, non solo disegni, progetti, schizzi e modelli di opere architettoniche, ma anche dipinti e opere grafiche, che portano la firma di artisti quali Levickij, Borovikovskij, Soroka, Borisov-Musatov, Sudejkin, Grabar’, Benois, Dobužinskij, Kandinskij e Suetin.
La prima parte della rassegna, nata da un’idea di Zelfira Tregulova e organizzata dal Ministero della Cultura della Federazione russa per l’Anno del turismo italo-russo e in occasione della Biennale, spiega come sia nata la fascinazione per l'opera di Andrea Palladio nella prima metà del XVIII secolo, all’epoca delle riforme di Pietro I che «aprirono una finestra sull’Europa».
Dalla fine del Seicento, poi, le idee dell'architetto italiano giocarono un ruolo sempre più importante, ispirando le opere di molti progettisti russi, come appare chiaramente nella costruzione di Pietroburgo. Tuttavia, la passione per l’opera palladiana conobbe il suo vero apogeo all’epoca di Caterina II. Desiderosa di apparire come una sovrana illuminata, la zarina fu promotrice delle più innovative tendenze artistiche provenienti dall’Europa non solo nelle arti visive, ma anche nell’architettura e chiamò alla sua corte due famosi architetti dell’epoca, Giacomo Quarenghi e Charles Cameron, convinti seguaci di Palladio, che esercitarono anche una forte influenza sullo sviluppo della Weltanschauung del grande maestro russo Nikolaj L’vov.
Non è un’esagerazione dire che fu proprio quest’ultimo artista a dare vita ad un fenomeno unico come quello dell’usad’ba russa, che coinvolgeva certamente l’architettura, con la costruzione di ville di campagne, ma anche l’arte nel suo complesso e soprattutto la vita quotidiana del tempo.
I lavori di Quarenghi, Cameron e L’vov contribuirono in buona parte all’avvento del «Secolo d’oro» della cultura russa, epoca che coincise con il regno di Alessandro I, meravigliosamente descritta nelle pagine dell’«Evgenij Onegin» di Puškin e di «Guerra e pace» di Tolstoj.
Non meno interesse per il palladianesimo si ebbe nel XX secolo, periodo caratterizzato da un entusiasmo generalizzato per il modernismo, che tuttavia non disdegnò un interesse per le forme neoclassiche, combinato alla nostalgia per la passata cultura delle usad’ba, come documentano i lavori degli architetti Žoltovskij, Fomin e Ščusev. Del resto, il carattere essenziale dello stile palladiano sembrava essere molto vicino all’estetica rivoluzionaria dell’avanguardia e, com’è noto, il costruttivista Mel’nikov era un fervente ammiratore dell’opera del maestro veneto.
Andrea Palladio influenzò anche l’architettura staliniana, nata dalla complessa fusione tra neoclassicismo e avanguardia. Basti pensare ai progetti dell'architetto Ivan Žoltovskij, che oltre a compiere l'ultima traduzione in russo dei «Quattro libri dell'architettura», una sorta di Bibbia dell’arte edificatoria, ne offrì nei suoi progetti una interpretazione visionaria.
L'opera del maestro continua ancora oggi ad affascinare i giovani progettisti russi. A chiudere la mostra è, infatti, un lavoro di Brodskij, creato all’alba del terzo millennio, dove si ritrovano quelle caratteristiche di utilità, durata e bellezza che erano per Andrea Palladio i fondamenti della progettazione, come già, prima di lui, aveva scritto Vitruvio: «tre cose in ciascuna fabrica deono considerarsi, senza le quali niuno edificio meriterà esser lodato; e queste sono, l'utile o commodità, la perpetuità, e la bellezza».

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Giacomo Quarenghi, Progetto incompleto della Cattedrale di Kazan’a Pietroburgo,1780. San Pietroburgo, Museo di Stato della storia di San Pietroburgo; [fig. 2] Benjamin Paterssen, Facciata del Palazzo di Tauride dal lato dei giardini, fine del XVIII secolo. San Pietroburgo, Museo di Stato dell'Ermitage; [fig. 3] Marian Peretiakovjc, Progetto per il Padiglione dell’Esposizione internazionale di Roma, 1911. San Pietroburgo, Museo dell’Accademia russa di Belle arti

Informazioni utili 
«Russia palladiana. Palladio e la Russia dal Barocco al Modernismo». Museo Correr – Secondo piano, piazza San Marco – Venezia. Orari: fino al 31 ottobre 2014, ore 10.00-19.00 (la biglietteria chiude un’ora prima); dal 1° novembre 2014, ore 10.00-17.00 (la biglietteria chiude un’ora prima). Biglietti: intero € 16,00, ridotto € 14,00 o € 8,00, scuole € 5,50, gratuito per i residenti e nati nel Comune di Venezia e per gli aventi diritto per legge. Informazioni:  call center 848082000 (dall’Italia) o +39.04142730892 (dall’estero). Sito internet: www.correr.visitmuve.it. Fino al 10 novembre 2014.

martedì 7 ottobre 2014

Sulle vette con Eugenio Fasana. La «mitografia di un alpinista» in mostra a Gemonio

È stato tra i primi in Italia a praticare lo sci ad alta quota. Le sue imprese sportive sono entrate nel mito. In meno di trent’anni, dal 1906 al 1935, ha compiuto oltre centoventi ascensioni nelle Alpi Occidentali, Centrali, Dolomitiche, Bavaresi e Bernesi. Il suo nome è legato anche alla storia di importanti protagonisti del Novecento come la regina Maria José, il re Alberto I del Belgio e papa Pio XI, dei quali fu guida alpina esperta. Stiamo parlando di Eugenio Fasana (Gemonio, 1886 – Milano, 1972), vero e proprio pioniere dell’alpinismo moderno, membro autorevole del Cai – Club alpino italiano e della Sem – Società escursionisti milanesi, da ricordare anche per la sua attività di scrittore, giornalista e pittore, che lo vide redigere articoli, saggi, libri, aforismi, poesie e produrre olî, carboncini, chine e fotografie ritoccate con raffinati interventi pittorici.
Alla figura di questo alpinista coraggioso, che fu anche maestro di Vitale Bramani (l’inventore della suola «a carrarmato», realizzata con il procedimento della vulcanizzazione), è dedicata la mostra «Eugenio Fasana. Mitografia di un alpinista», allestita fino a martedì 23 dicembre al Museo civico Floriano Bodini di Gemonio, nell’alto Varesotto, per la curatela di Daniele Astrologo Abadal, Gianni Pozzi e Luca Zuccala. La rassegna –che si avvale dei contributi scientifici di Carlo Caccia, Anna Gasparotto e Marco Ferrazza- presenta tutte le edizioni pubblicate dallo scrittore-alpinista, da «Uomini di sacco e di corda» (Sen, Milano 1926) a «Quando il Gigante si sveglia» (Montes, Torino 1944), da «Cinquant’anni di vita della Società Escursionisti Milanesi» (Sem, Milano 1941) al celebre «Il Monte Rosa. Vicende Uomini e Imprese» (Rupicapra Editore, Milano 1931), poi “scopertinato” e ripresentato come «L’epopea del Monte Rosa» (edizioni L’Eroica, Milano 1934) nella collezione «Montagna» di Zoppi.
Sono presenti lungo il percorso espositivo anche articoli di Eugenio Fasana apparsi su alcuni periodici italiani dedicati alla montagna, come la rivista del «Cai» o «Lo scarpone», e sul quotidiano «La Stampa» di Torino, dove per vari anni il giornalista tenne una rubrica alpinistica.
Nella mostra di Gemonio ci sono, poi, anche una serie di pubblicazioni su Eugenio Fasana come il volume «Grigna assassina» di Marco Ferrazza (Edizioni Vivalda, Torino 2006) o il saggio «Il francescano delle Alpi», edito nel libro «Alpinismo Romantico» di Sandro Prada (Tamari Editori, 1972), o ancora articoli apparsi su riviste specializzate nazionali e internazionali quali, per esempio, «La vie alpine», «Lo Scarpone», «Revue Alpine», «Spiritualità» e «Verbanus».
Nelle sale del Museo Bodini si trovano esposte anche lettere autografe (come l’interessante scambio epistolare con l’abate Henry e quello con Guido Rey), stampe fotografiche, cartine topografiche intelate, medaglie al valore, dattiloscritti, documenti provenienti dagli archivi del comune di Gemonio e dalla parrocchia (tra i quali il registro di nascita e di battesimo), atti sulla cartiera di famiglia, parte dell’attrezzatura sportiva di Eugenio Fasana e un busto in marmo che lo ritrae.
Grande attenzione è data nella mostra anche all’amore dell’alpinista-scrittore per l’arte: accanto a schizzi e dipinti di suo conio, sono visibili alcuni quadri della sua collezione e una serie di fotografie ritoccate con interventi pittorici, oltre ad alcune opere pittoriche con vedute di montagna, firmate, tra gli altri, da Achille Jemoli, Luigi Russolo e Innocente Salvini.
Un ritratto, dunque, a tutto tondo di Eugenio Fasana quello che offre la mostra al Museo Bodini di Gemonio, realtà che merita una visita anche per la sua ricca collezione di sculture, pitture e grafiche, all’interno della quale spiccano i nomi di Leonardo Bistolfi, Giuseppe Grandi e Francesco Messina.

Didascalie delle immagini 
[Fig. 1] Eugenio Fasana in Grignetta nel 1921. Archivio Fasana; [fig. 2] Eugenio Fasana, «Dente del Gigante (Monte Bianco) », 1947. Olio su compensato. Eredi Fasana-Zuccala. Foto: Franco Ricci; [fig. 3] Eugenio Fasana, «Campaniletto», s.d.. Carboncino su carta. Eredi Fasana-Zuccala. Foto: Franco Ricci. 

Informazioni utili 
 «Eugenio Fasana. Mitografia di un alpinista». Museo civico Floriano Bodini, via Marsala, 11 – Gemonio. Orari: sabato e domenica, ore 10.30-12.30 e ore 15.00-18.30. Ingresso: intero € 5,00, ridotto € 3,00. Informazioni: archiviofasana@gmail.com o info@amicimuseobodini.com. sito internet: www.mostrafasana.it. Fino a martedì 23 dicembre 2014.

lunedì 6 ottobre 2014

A Firenze una mostra sui segreti della Cupola del Brunelleschi

«Structura si grande, erta sopra è cieli, ampla da coprire chon sua ombra tutti e popoli toscani»: così Leon Battista Alberti, nel suo trattato « De pictura», descriveva la cupola di Santa Maria del Fiore a Firenze, una delle imprese più significative dell’intero Rinascimento, alla cui edificazione lavorò, tra il 1420 e il 1436, Filippo Brunelleschi, il padre della prospettiva. Rimane ancora oggi avvolta nel mistero la modalità con cui l’architetto fiorentino realizzò la costruzione di questa struttura che, con i suoi quarantatré metri di ampiezza e cinquantaquattro di altezza, è tuttora la più grande cupola in muratura mai edificata.
L’ultimo a provare a dare una risposta a questo quesito è stato Roberto Corazzi, già professore ordinario presso la Facoltà di architettura dell’ateneo fiorentino e tra i massimi conoscitori dell’opera brunelleschiana, che, in collaborazione con Barbara Corazzi, ha curato la mostra «Dalle cupole nel mondo alla Cupola del Brunelleschi», allestita fino a venerdì 10 ottobre nel cinquecentesco Palazzo Coppini, centro studi e incontri internazionali della Fondazione Romualdo Del Bianco e del suo istituto Life Beyond Tourism.
Capace di far credere una cosa per un’altra, Filippo Brunelleschi non lasciò alcuna testimonianza in merito al funzionamento statico del suo capolavoro e le ricerche effettuate finora sono terminate con una vasta bibliografia ricca di ipotesi, ma povera di dati sperimentali.
L’esposizione fornisce al visitatore la possibilità di conoscere, anche attraverso plastici e riproduzioni in scala, gli studi passati e quelli più recenti, curati appunto da Roberto Corazzi, grazie ai quali è stato possibile accertare la composizione dei materiali, l’aspetto strutturale, materico e la geometria che l’artista ideò per realizzare la cupola del duomo fiorentino.
Per tutta la durata della mostra, un gruppo di esperti illustrerà al pubblico i modelli presentati e le varie sezioni, offrendo anche una straordinaria panoramica su costruzioni affini ubicate in Paesi diversi per collocazione geografica, storia, tradizione e fede religiosa. Tra foto, video e documenti sarà, per esempio, possibile studiare cupole come quelle della Basilica di Santa Sofia di Istanbul, di Gol Gumbaz in India, di Sant’Agnese a Roma, della Moschea del Venerdì di Isfahan (in Iran) e della Basilica di San Pietro.
In particolare, la mostra illustra la recente teoria di Roberto Corazzi, secondo cui la realizzazione della cupola è strettamente collegata a un’altra scoperta del Brunelleschi, ovvero quella della prospettiva. In pratica, le stesse tavolette utilizzate dall’artista per studiare proprio la prospettiva, sarebbero servite per verificare lo sviluppo della cupola e per controllarne distanze e proporzioni in fase di realizzazione.
Laserscanner, georadar, tomografia dell'intradosso e dell'estradosso ed endoscopia sono i mezzi messi in campo per avvalorare questa tesi e per passare al setaccio gli embrici delle vele, il marmo dei costoloni, i vuoti delle buche pontaie, i corridoi, le volticciole, le corde blande, fino ad individuare i sesti di quarto e quinto acuto e anche la configurazione delle lesioni.
Secondo questo recente studio, Filippo Brunelleschi avrebbe riprodotto su una tavoletta, caratterizzata da un foro centrale, il progetto da lui elaborato per la cupola. Quindi, esattamente come faceva per i suoi studi prospettici, avrebbe utilizzato una seconda tavoletta con superficie riflettente per “specchiare” il primo disegno, guardandolo attraverso il foro praticato nella prima tavoletta. In questo modo, ponendosi davanti al duomo in costruzione, e “regolando” le dimensioni del riflesso attraverso la maggior o minore distanza fra le due tavolette, sarebbe riuscito a verificare la rispondenza della cupola in costruzione con il disegno stesso.
Sempre secondo il professor Corazzi, questa teoria potrebbe superare le ipotesi dell’utilizzo, da parte del Brunelleschi, di meccanismi ingombranti e difficili da manovrare per le verifiche sul corretto procedere dei lavori e, in particolare, sull'inclinazione della cupola. Una mostra, dunque, interessante quella a Palazzo Coppini per scoprire i segreti di un capolavoro capace di resistere ai fulmini, ai terremoti, al passare dei secoli, e che ancora oggi incanta chiunque lo osservi da lontano.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Roberto Corazzi con un modellino della Cupola del Brunelleschi; [figg. 2 e 3] Disegno di Roberto Corazzi sulla Cupola del Brunelleschi.

Informazioni utili 
«Dalle cupole nel mondo alla Cupola del Brunelleschi». Palazzo Coppini, via del Giglio, 10 - Firenze.Orari: lunedì-venerdì, ore 10.00-13.00 e ore 15.00-17.00. Ingresso libero. Informazioni: tel. 055.216066.Sito web: www.palazzocoppini.org. Fino al 10 ottobre 2014.