ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

lunedì 23 marzo 2015

«Ashes/Ceneri», il libro di Pierpaolo Mittica tra i finalisti del «Pictures of the year International POYI»

C’è anche un editore insolito come il Comune di Pordenone tra i finalisti del «Pictures of the year International POYI», uno dei più prestigiosi concorsi internazionali di fotografia al mondo, la cui prima edizione si tenne nel 1944 per iniziativa dell’istituto di giornalismo «Donald W. Reynolds» del Missouri.
Il riconoscimento è stato conseguito dall’amministrazione della città friulana grazie alla pubblicazione del libro «Ashes/Ceneri. Racconti di un fotoreporter», catalogo della mostra di Pierpaolo Mittica (Pordenone, 1971) tenutasi dal settembre 2014 al gennaio 2015 negli spazi della galleria Harry Bertoia, all’interno di Palazzo Spelladi.
Il volume, realizzato da Roberto Duse e Carlo Rossolini di Obliquestudio, contiene contributi di Luis Sepúlveda, Angelo Bertani, Charles – Henri Favrod, Naomi Rosenblum e dello stesso Pierpaolo Mittica.
Al suo interno vengono documentate dieci emergenze del nostro mondo: «Balcani: dalla Bosnia al Kosovo, 1997-1999», «Incredibile India, 2002-2005»; «Chernobyl l’eredità nascosta 2002-2007»; «Vite riciclate, 2007-2008»; «Kawah Ijen – Inferno, 2009»; «Piccoli schiavi, 2010»; «Fukushima No-Go Zone, 2011-2012»; «Karabash, Russia, 2013»; «Mayak 57, Russia 2013» e «Magnitogorsk, Russia 2013».
Arrivare a classificarsi tra i sei volumi fotografici finalisti del «Pictures of the year International POYI», concorso che ogni anno premia le eccellenze del fotogiornalismo, del visual editing e del multimedia on-line, è una grande soddisfazione per il Comune di Pordenone. Basti pensare che la giuria, composta dai maggiori esperti mondiali, ha selezionato il volume «Ashes/Ceneri. Racconti di un fotoreporter» dopo uno screening su ben cinquantaduemila opere in concorso, presentate da editori e fotografi di settantuno diverse nazioni.
«A far emergere questa nostra opera –ha affermato l’assessore alla Cultura Claudio Cattaruzza- credo sia stata la qualità e l’intensità del lavoro di Mittica, innanzitutto. Ma anche la terribile attualità della tematica da lui affrontata. «Ashes / Ceneri. Racconti di un fotoreporter» ci trasmette, senza alcuno sconto, i devastanti effetti sociali ed ecologici causati dallo sfruttamento degli uomini e dell’ambiente in varie parti del mondo. Ma, in positivo, indica l’urgenza di una svolta epocale e di una rinascita, proprio a partire dalla conoscenza di ciò che, anche negli ultimi decenni, è stato provocato da ciniche scelte politiche ed economiche».
Pierpaolo Mittica è, d’altronde, da sempre particolarmente attento alle tematiche sociali e ambientali, interesse che lo ha portato ad essere definito come «fotografo umanista». Si è occupato soprattutto degli oppressi, degli ultimi e delle persone che non hanno diritto di parola nei luoghi più difficili del terzo mondo. E, negli ultimi anni, ha iniziato a indagare sui più gravi disastri ecologici che hanno afflitto l’umanità e distrutto l’ambiente.
Ha ricevuto la sua preparazione scolastica con docenti come Charles - Henri Favrod, Naomi Rosenblum e Walter Rosenblum, che egli considera il suo mentore. Le sue fotografie sono state esposte in Europa, negli Stati Uniti e, nel 2011, alla Biennale di Venezia. «L’Espresso», «Vogue Italia», «Repubblica», «Panorama», «Il Sole 24 ore», «The Telegraph» e «The Guardian» sono solo alcuni dei giornali che hanno pubblicato i suoi scatti.
La sua mostra «Chernobyl - l’eredità nascosta» è stata scelta nel 2006 come rassegna ufficiale per il ventennale del disastro di Chernobyl. L’elenco dei riconoscimenti che gli sono stati assegnati è lunghissimo e di assoluto prestigio; alle sue opere sono state dedicate monografie pubblicate da editori specializzati di vari Paesi, così come le sue immagini sono patrimonio di grandi musei e collezioni internazionali.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Copertina del libro «Ashes / Ceneri. Racconti di un fotoreporter»; [fig. 2] Pierpaolo Mittica, La  memoria. Sarajevo, Bosnia Herzegovina, 1997; [fig. 3] Pierpaolo Mittica, Rifiuti chimici tossici scaricati dalla fonderia di rame. Karabash, Russia, 2013

Informazioni utili
 Pierpaolo Mittica, «Ashes / Ceneri. Racconti di un fotoreporter». Edizioni Comune di Pordenone, Pordenone 2015. Testi di Luis Sepúlveda, Angelo Bertani, Charles – Henri Favrod, Naomi Rosenblum e Pierpaolo Mittica. Informazioni: Ufficio Cultura - Comune di Pordenone, tel. 0434.392916 e
attivitaculturali@comune.pordenone.it.

venerdì 20 marzo 2015

Pollock e «Alchimia», a Venezia una mostra per scoprire come nacque la tecnica del dripping

È il 4 settembre 1947 quando Jackson Pollock scrive alla madre Stella informandola che sta usando il suo grande telaio da ricamo per realizzare un’opera d’arte. Nasce così «Alchimia», il primo capolavoro dell’artista americano realizzato con la tecnica del dripping, ovvero la tecnica dello «sgocciolamento» del colore su una tela distesa a terra.
Quell'opera, del cui lavoro di esecuzione rimane documentazione in una serie di foto di Herbert Matter scattate nell’atelier di Long Island, è stata di recente restaurata dall’Opificio delle pietre dure di Firenze ed è attualmente al centro di una mostra allestita alla Collezione Peggy Guggenheim di Venezia.
«Alchimia di Jackson Pollock. Viaggio all’interno della materia» è il titolo dell’esposizione, a cura di Luciano Pensabene Buemi e Roberto Bellucci, che fino al prossimo 6 aprile accompagnerà il pubblico in un viaggio sorprendente all’interno del dipinto, eccezionalmente esposto senza la teca protettiva in modo da offrire l’esatta lettura della sua complessa superficie tridimensionale e della sua ampia palette di diciannove colori.
Video, riproduzioni in 3D, touch-screen, strumenti interattivi, nonché documentazioni e oggetti storici provenienti dalla Pollock-Krasner House and Study Center di Long Island permetteranno al visitatore di avere notizie sulla tecnica esecutiva e sull’intervento di restauro, rivelando la personalità di un artista che ha combinato materiali e metodi di applicazione tradizionali con tecniche totalmente anti-convenzionali.
L’esposizione veneziana costituisce il primo, importante risultato di un più ampio progetto di studio e conservazione dedicato a dieci opere di Jackson Pollock, realizzate tra il 1942 e il 1947, oggi di proprietà collezione Peggy Guggenheim. Le tele vennero acquisite dalla stessa Peggy Guggenheim, mecenate dell’artista americano, che le espose nella propria galleria newyorkese «Art of This Century» nel corso degli anni Quaranta.
Nell’insieme queste opere rappresentano un momento cruciale nel lavoro del maestro americano, ovvero il passaggio da un linguaggio pittorico relativamente tradizionale e figurativo/astratto, a quella tecnica distintiva di versare, schizzare e sgocciolare la pittura sulla tela stesa a terra.
Nell’ambito di questo progetto, «Alchimia» è stata trasferita lo scorso dicembre nel Laboratorio dipinti dell’Opificio delle pietre dure di Firenze, per un attento studio analitico e intervento di conservazione. Qui, nel corso del 2014, è stato esaminato ogni aspetto tecnico del dipinto da un team di oltre cinquanta persone, tra studiosi, scienziati e conservatori, provenienti da diversi istituti scientifici italiani impegnati nel campo della conservazione dei beni culturali, che ha lavorato incessantemente sull’opera, con l’entusiasmo di chi per la prima volta si avvicina a un capolavoro d’arte moderna del Novecento di queste dimensioni.
L’opera è stata sottoposta in seguito a un meticoloso intervento di pulitura, particolarmente complesso a causa della ricca e stratificata superficie pittorica, costituita da smalti, resine alchidiche, colori a olio, sabbia e sassolini, il tutto combinato in un impasto denso, fatto di grumi di pittura, schizzi e sgocciolamenti.
Il lavoro di conservazione, realizzato da Luciano Pensabene Buemi con Francesca Bettini ed illustrato in mostra da un filmato realizzato dalla Web Tv del Cnr - Consiglio nazionale delle ricerche, è stato necessario per rimuovere lo strato di sporco accumulato negli anni, che aveva compromesso la leggibilità del quadro, opacizzando i colori e diminuendo lo spazio tridimensionale creato dalla tecnica innovativa di Pollock.
Questo studio ha permesso di avere informazioni nuove sul dipinto: in passato si pensava che «Alchimia» fosse stata realizzata senza un piano preciso, attraverso schizzi e colate casuali. Oggi è emerso un progetto di lavoro razionale nella stesura dei colori, un sistema di contrappunti e simmetrie, in cui le linee rette si bilanciano con quelle curve, i colori brillanti con i colori opachi, il nero con l’argento, il blu con il rosso. I sottili tratti bianchi riemersi dopo la pulitura disegnano una sorta di griglia, come se Jackson Pollock avesse avuto in mente fin dall’inizio l’architettura generale del dipinto, e avesse così diretto l’opera come fa un direttore d’orchestra con i suoi elementi.
Il team coinvolto nel progetto di ricerca -formato da studiosi dell’Opificio delle Pietre Dure, del Molab e dell’Istituto Cnr, che per l’intera durata della mostra tutti i giovedì, alle 11.30 e alle 15, incontreranno il pubblico per raccontare il loro lavoro- concorda che in un’opera così grande sarebbe stato impossibile ottenere tale risultato in modo del tutto incontrollato. È, inoltre, stato scoperto che la tela è stata realizzata con 4,6 chilogrammi di materia pittorica, una quantità enorme se paragonata a quella utilizzata per i dipinti antichi e rinascimentali delle stesse dimensioni, che ne contengono in media tra i 200 e 300 grammi.
Con questa mostra si inaugura il progetto espositivo ideato dalla collezione Peggy Guggenheim, con il patrocinio della Missione diplomatica statunitense in Italia e il prezioso sostegno della Pollock-Krasner Foundation, per omaggiare i due fratelli Pollock. Dopo la rassegna su «Alchimia», le sale di palazzo Venier dei Leoni ospiteranno, a partire dal 23 aprile, la prima tappa europea della mostra itinerante «Jackson Pollock Mural. L'energia resa visibile», curata da David Anfam, che fino al 9 novembre permetterà al pubblico di ammirare l'immenso «Murale» (1943, University of Iowa Museum of Art, Iowa City) realizzato dall'artista per l'appartamento newyorkese di Peggy Guggenheim.
Parallelamente, le sale destinate alle mostre temporanee, presenteranno, fino al 14 settembre, la prima grande retrospettiva dedicata a Charles Pollock. La mostra, curata da Philip Rylands e realizzata grazie alla collaborazione dell'archivio Pollock di Parigi, allineerà un centinaio di opere tra dipinti, materiali e documenti, in parte inediti, oltre a lettere, fotografie e schizzi che analizzeranno il rapporto tra i due fratelli. Un’occasione, questa, per gettare nuova luce su uno dei maestri dell’Action Painting.

Vedi anche
Venezia, un anno all’insegna dei fratelli Pollock alla collezione Geggenheim
Venezia, alla Guggenheim un progetto di studio su Jackson Pollock

Per saperne di più
Il filmato su «Alchimia» della Web tv Cnr 

Didascalie delle immagini 
[Fig. 1] Jackson Pollock, «Alchimia» («Alchemy»), 1947. Olio, pittura d'alluminio (e smalto?) e spago su tela, 114,6 x 221,3 cm. Collezione Peggy Guggenheim, Venezia 76.2553 PG 150;[fig. 2] Jackson Pollock, «Alchimia» («Alchemy») - particolare, 1947. Olio, pittura d'alluminio (e smalto?) e spago su tela, 114,6 x 221,3 cm. Collezione Peggy Guggenheim, Venezia 76.2553 PG 150; [fig. 3] Il quadro «Alchimia» di Jackson Pollock all'Opificio delle pietre dure di Firenze; [fig. 4] Allestimento della mostra «Alchimia di Jackson Pollock. Viaggio all’interno della materia» alla Collezione Peggy Guggenheim di Venezia. Foto: Matteo De Fina

Informazioni utili 
«Alchimia di Jackson Pollock. Viaggio all’interno della materia». Collezione Peggy Guggenheim - Palazzo Venier dei Leoni,  Dorsoduro 701   – Venezia. Orari: mercoledì-lunedì, ore 10.00-18.00; chiuso il martedì. Ingresso (comprensivo della visita alla collezione permanente, alle raccolte di Hannelore B. e Rudolph B. Schulhof e Gianni Mattioli e del Giardino delle sculture Nasher): intero € 14,00; seniors oltre i 65 anni € 12,00; studenti entro i 26 anni € 8,00; bambini (0-10 anni) e soci ingresso gratuito. Prevendita on-line: http://www.vivaticket.it/index.php?nvpg[evento]&id_evento=1212198. Visite guidate: tutti i giorni, alle ore 15.30; non è necessaria la prenotazione. Informazioni: Tel. 041.2405440/419 o info@guggenheim-venice.it. Fino al 6 aprile 2015. 

mercoledì 18 marzo 2015

Parma, apre a Palazzo Smeraldi lo studio di Carlo Mattioli

Il tempo sembra essersi fermato a vent’anni fa, a quel 12 luglio 1994 quando Carlo Mattioli (Modena, 1911-Parma, 1994) lasciava per sempre la sua Parma. Al piano terreno del seicentesco Palazzo Smeraldi, dove l’artista emiliano ebbe il suo atelier a partire dalla fine degli anni Sessanta, tutto è come allora. Ci sono i tubetti aperti sul tavolo da lavoro, gli olî appena stemperati, una giacca di lino bianca intrisa di mille colori appoggiata a una sedia, una sigaretta ridotta a mozzicone, un orologio da polso e fogli con schizzi e disegni appena abbozzati.
Da venerdì 20 marzo quelle stanze vibranti di memoria, un vero e proprio santuario dell’arte e della creatività artistica, saranno aperte per la prima volta al pubblico, su prenotazione, per due giorni a settimana.
Gli spazi, che non verranno «musealizzati» ma conservati nello spirito e nell’aspetto originario, diventeranno anche luogo di racconto, incontro e confronto aperto a tutte le arti con la realizzazione di esposizioni e di eventi culturali, di musica o di letteratura, dedicati alla cultura del Novecento per spiegare come l’artista, pur vivendo nell’isolamento di Parma e sfuggendo a ogni tentativo di inquadramento della sua opera in una precisa avanguardia, fosse un uomo profondamente inserito nel suo tempo.
Nello studio di Borgo Retto 2, che vide nascere molte nature morte ispirate alla «Canestra di frutta» del Caravaggio e i ritratti della nipotina Anna, passarono, infatti, tanti grandi intellettuali del secolo scorso: scrittori, poeti, registi, fotografi, giornalisti, pittori, storici e critici come Mario Luzi, Attilio Bertolucci, Alberico Sala, Cesare Garboli, Pier Carlo Santini e Carlo Carrà, attratti dal carisma del pittore, amante della sua privacy al pari del conterraneo Giorgio Morandi, e affascinati dal suo modo di lavorare «entro una “logora solitudine”», per usare le parole di Simona Tosini Pizzetti, e con costanza e metodo, per dare forma di poesia a coaguli di materia.
Tantissime così sono le testimonianze illustri sull’artista. «Sono andato a trovare Carlo Mattioli a Parma -racconta, per esempio, Enzo Biagi-. Ho visto il suo studio raccolto e antico, oltre il cortile del palazzo, con le antiche pietre annerite dal tempo e dalle nebbie. Non lo conoscevo e davanti a lui ho ritrovato una sensazione dell’adolescenza, quando per la prima volta, al Caffè della Borsa, in Bologna, vidi Morandi. Il profumo della pulizia, del rigore morale e, nella figura alta e severa, qualcosa di monacale».
Scrive, invece, Vittorio Sereni: «Mattioli mi guida nell’appartamento che gli fa da studio a Parma, stanze fresche, soffitti alti [...] uno studio che pare sul punto di mutarsi in pinacoteca tanti sono i dipinti recenti e meno che hanno trovato una collocazione lungo le pareti. Il solo soggetto “irregolare” è la giacca da lavoro dell’artista, un’imbrattata casualità, quasi un riflesso della tavolozza».
L’apertura al pubblico dello studio parmense è stata voluta dall’Archivio Carlo Mattioli che, dalla scomparsa del maestro, ne cura l’opera con numerose mostre come quelle organizzate al museo della cattedrale di Barcellona in Lussemburgo (1998), alla Tour Fromage di Aosta (2000), alla Galleria nazionale di Parma (2004), al Braccio di Carlo Magno in Vaticano (2011) e al Museo Morandi di Bologna (2011).
In questi anni, l’archivio ha, inoltre, provveduto a fotografare, catalogare e studiare le opere, i disegni e il prezioso materiale documentario, tra cui numerose carte autografe e vari libri, conservati nello studio.
A breve il lavoro di valorizzazione e di promozione della produzione artistica del maestro passerà nelle mani di una fondazione, che intende pubblicare un’importante, esaustiva monografia, a cura di Luca Massimo Barbero, nella quale il catalogo dei dipinti dell’artista sarà affiancato a un’antologia critica di approfondimento. Un’occasione, questa, per accendere ancora una volta i riflettori su un pittore «di grandi finezze, di deliberate succosità cromatiche e luministiche», il cui «tocco -scriveva Mario Luzi- arriva sulla tela intriso di dense e svarianti sostanze che non coincidono in tutto e per tutto con la sola materia o, se mai, con una materia non solo usata ma anche pensata».

Vedi anche 
Carlo Mattioli, nature morte come stati d’animo 

Didascalie delle immagini 
[Figg. 1, 2, 3 e 4] Studio/Museo Carlo Mattioli a Parma. Foto di Fabrizio Piscopo [Si ringrazia lo Studio Esseci di Padova per le immagini] 

Informazioni utili 
Studio/Museo Carlo Mattioli, Borgo Retto, 2 – Parma. Informazioni: Archivio Carlo Mattioli, tel. 0521.231076 o tel. 0521.230366, info@carlomattioli.it o archiviocarlomattioli@gmail.com. Sito internet: www.carlomattioli.it. Conferenza stampa: venerdì 20 marzo, ore 12.00; inaugurazione: venerdì 20 marzo, ore 17.30. Da venerdì 20 marzo 2015.

lunedì 16 marzo 2015

Dall’India alla Corea, viaggio a tempo di musica alla Fondazione Giorgio Cini di Venezia

Sarà Pandit Vishwa Mohan Bhatt a inaugurare la nuova stagione di seminari, concerti e spettacoli promossa dall’Istituto interculturale di studi musicali comparati di Venezia, una delle eccellenze della Fondazione Giorgio Cini, per far conoscere al grande pubblico la musica di Paesi come l’India, la Turchia e la Corea.
Giovedì 19 marzo, alle ore 19, l’isola di san Giorgio ospiterà un appuntamento con il musicista indiano, conosciuto per le sue numerose collaborazioni con artisti occidentali quali Taj Mahal, Béla Fleck, Jerry Douglas e il chitarrista americano Ry Cooder, con cui ha realizzato l’album «A Meeting by the River», vincitore di un Grammy Award nel 1994.
Pandit Vishwa Mohan Bhatt, che sarà accompagnato nella sua esibizione veneziana da Krishna Mohan Bhatt al sitar e Nihar Mehta alle tabla, intratterrà i presenti con le sonorità inconfondibili della mohan veena, strumento di sua creazione, ibrido tra sitar e chitarra spagnola, che questo, pur ricordando la chitarra slide occidentale, grazie alla fusione di melodia, bordone, corde che vibrano per simpatia e l’approccio microtonale alla melodia di Bhatt, si colloca chiaramente nel panorama musicale indiano.
La programmazione dell'istituto veneziano proseguirà mercoledì 15 aprile a Ca' Foscari con la giornata di studi «Musica e cultura ebraica nel mondo ottomano», a cura di Giovanni De Zorzi e Piergabriele Mancuso. Mentre dal 13 al 18 aprile si terrà il seminario Bîrûn, giunto alla quarta edizione, nel quale Kudsi Erguner parlerà a un gruppo di borsisti specializzati in diversi strumenti (ney, ûd, tanbûr, kanûn, kemençe, percussioni e voce) del tema «I maftirîm e le opere degli ebrei sefarditi nella musica classica ottomana». Le lezioni si chiuderanno, come da tradizione, con un concerto aperto al pubblico. Nel quale i partecipanti si esibiranno diretti dal maestro Erguner.
Giovedì 26 maggio è, invece, in programma un concerto di musica coreana di Ji Aeri, virtuosa della cetra gayageum e una delle più autorevoli interpreti di questo strumento nel suo Paese, accompagnata da Kim Woongsik al tamburo a clessidra janggu. I due interpreti si esibiranno in un repertorio di musiche sia tradizionali che contemporanee composte per questo duo di strumenti che viene utilizzato nel repertorio denominato kayagum sanjo, una sorta di suite strumentale che ha avuto origine nel XIX secolo, nella quale si susseguono diverse sezioni melodiche e ritmiche.
Il programma riprenderà il 29 e il 30 settembre con il terzo Convegno annuale del comitato italiano dell’International council for traditional music, l’organizzazione più autorevole e rappresentativa a livello internazionale per lo studio dell’etnomusicologia. Ci sarà, quindi, nelle giornate del 21 e del 22 ottobre un corso di formazione per gli insegnanti, dal titolo «Polifonie in viva voce a scuola: proposte didattiche», a cura di Serena Facci e Gabriella Santini.
Dal 29 al 31 ottobre sarà, poi, possibile partecipare al prestigioso convegno internazionale organizzato dalla Fondazione Giorgio Cini, con vari enti tra i quali l’Università Ca’ Foscari Venezia - Dipartimento di studi sull’Asia orientale, la School of Oriental and African Studies della University of London e l’Aga Khan Foundation.
«Music, Art and Spirituality in Central Asia» è il titolo dell’incontro che mira a collocare le pratiche musicali, artistiche e spirituali all’interno del loro retroterra culturale, politico e ideologico e, allo stesso tempo, pone questioni sui confini tra sacro e secolare, tradizionale e contemporaneo.
Il convegno si concluderà sabato 31 ottobre con un concerto, aperto al pubblico, di musica classica uzbeka con la partecipazione di Nodira Pirmatova (voce, tamburo a cornice, dutar), Sirojiddin Juraev (dutar e tabu) e Abduvali Abdurashidov (tabu e sato).
L’isola di San Giorgio farà, quindi, da scenario alla master class (a numero chiuso) «Dal bharata natyam alle tecniche della danza contemporanea» con Shobana Jeyasingh, fondatrice e coreografa della Shobana Jeyasingh Dance Company di Londra. Il 4 e 5 novembre, la famosa artista indiana di nascita, da tempo residente in Inghilterra, terrà due giorni intensivi di incontri con danzatori professionisti e semi-professionisti su come la sua formazione di danzatrice bharata-natyam abbia influito sul proprio modo di creare coreografie.
Il 3 dicembre sarà, invece, la volta della diciannovesima edizione della rassegna «Polifonie in viva voce», curata da Maurizio Agamennone, che sarà dedicata, quest’anno, alle polifonie liturgiche e paraliturgiche della Sardegna. Per la giornata è previsto il seminario «Cantare a cuncordu» e, a seguire, il concerto del coro «Su Concordu e’ su Rosariu» di Santu Lussurgiu (Oristano).
A chiudere il ricco programma musicale della Fondazione Giorgio Cini sarà, dal 28 al 30 gennaio 2016, l’appuntamento con il seminario di etnomusicologia nella rinnovata formula «I seminari dell’Iismc: musiche e musicologie del XXI secolo». Un vero e proprio viaggio intorno al mondo e alla scoperta di sonorità poco conosciute in Europa, dunque, quello proposto, a partire dal prossimo 19 marzo, sull’isola di San Giorgio.

Didascalie delle immagini

[Fig. 1] Vishwa Moahn Bhatt; [fig. 2] Krishna Moahn Bhatt; [fig. 3] Ji Aeri

Informazioni utili
Fondazione Giorgio Cini - Istituto interculturale di studi musicali comparati, Isola di San Giorgio Maggiore - Venezia, tel. 041.2710357, fax 041.2710221,e-mail musica.comparata@cini.it. Sito internet: www.cini.it

venerdì 13 marzo 2015

«Un anno sull’altipiano», Daniele Monachella rilegge Emilio Lussu

«Tra i libri sulla Prima guerra mondiale «Un anno sull’altipiano» di Emilio Lussu è per me il più bello. Tra quanti ne ho letti, studiati, consultati di autori italiani, tedeschi, francesi, inglesi, russi, americani, nessuno, proprio nessuno, mi ha coinvolto e reso partecipe con quanto l’autore racconta». Così Mario Rigoni Stern, scrittore che ha narrato la tragica ritirata degli italiani in Russia nel libro «Il sergente nella neve» e che ha lasciato pagine indimenticabili sulle terre intorno all’altipiano di Asiago, descriveva, nella sua introduzione alla ristampa edita nel 2000 per i tipi della Einaudi editore di Torino, il valore del libro di memorie che lo scrittore e politico sardo Emilio Lussu (Armungia - Cagliari, 1890 – Roma, 1975) redasse tra il 1936 e il 1937 in un sanatorio svizzero di Clavadel, tra le montagne dei Grigioni, dietro invito di Gaetano Salvemini. Questo testo è stato ridotto per la scena dall’attore e doppiatore Daniele Monachella e venerdì 27, sabato 28 e domenica 29 marzo sarà rappresentato al teatro dell’Orologio di Roma, nell’ambito del programma di Governo per il Centenario della prima guerra mondiale curato dalle struttura di missione per gli anniversari di interesse nazionale.
Con l’interprete milanese saranno in scena in questo inedito recital di teatro e musica, ideato da Mab Teatro con il Cecad Sardegna - Circuito teatrale regionale sardo, l’etnomusicologo Andrea Congia alla chitarra classica e Andrea Pisu (vincitore del Premio Maria Carta) alle launeddas e alle percussioni.
Apparso per la prima volta in Francia nel 1938 grazie alle Edizioni italiane di cultura, pubblicato a Roma da Giulio Einaudi nel 1945 (subito dopo la Liberazione della capitale) e giunto al successo nel 1960 con la sua seconda ristampa, «Un anno sull’altipiano» narra, con uno stile asciutto e disincantato, la vita dei Reggimenti di fanteria 151° e 152° della Brigata Sassari nel periodo tra il giugno 1916 e il luglio 1917, quando «i diavoli rossi» combatterono contro l’esercito austro-ungarico e i bosniaci nei territori intorno ad Asiago, sui monti Fior, Lisser, Castelgomberto, Spil, Miela e Zebio.
Continui assalti a trincee inespugnabili, battaglie assurde volute da comandanti imbevuti di retorica patriottica e di vanità (emblematica è nel libro la figura del generale Leone) storie di giovani estranei al mito dell’interventismo e nonostante questo mandati biecamente al macello, racconti di uomini che, con dignità e grande capacità di sopportazione, hanno donato la propria vita animati da un grande «desiderio di libertà e di giustizia» rivivono attraverso gli occhi di Emilio Lussu, protagonista e testimone del primo conflitto bellico come ufficiale della Brigata Sassari.
Pagina dopo pagina, emerge un’austera invettiva contro i nazionalismi e i conflitti di lingua, religione e costumi, una spietata requisitoria contro l'orrore della guerra, rivelata nella sua dura realtà di «ozio e sangue», di «fango e cognac». In questo libro, intriso di quotidianità minuta (come non pensare, per esempio, all’episodio dei soldati che, lasciando il Carso per l’Altipiano di Asiago, intonano «Quel mazzolin di fiori»), i giovani di oggi trovano, inoltre, «quello che i testi scolastici non dicono, quello che i professori non insegnano, -scrive Mario Rigoni Stern, nell’introduzione alla ristampa edita nel 2000 per i tipi della Einaudi editore di Torino - quello che la televisione non propone. E nemmeno il cinema».
«I Dimonios della Brigata Sassari e gli eventi della trincea, la poesia del ferro e del cognac, del fuoco e del sangue, i flash, le fughe e le ferite della Grande Cagnara, le cadute delle vittime sul fango dell'Altipiano in contemporanea alle disfatte dei Giganti Europei: questi - raccontano gli organizzatori- sono alcuni degli ingredienti di cui è intriso il docu-spettacolo di Daniele Monachella, reso maggiormente emozionale dalle parole di un autore che si rivolta moralmente alla guerra e alla classe che la provoca, permeate dal commento sonoro della tradizione musicale sarda e di suoni universali, espressa contrappuntisticamente in relazione alla voce dell’unico attore in scena».
Un viaggio mnemonico emozionale, dunque, quello che proposto al teatro dell'Orologio di Roma, intriso dal ricordo di una guerra il cui racconto, per la prima volta nella letteratura italiana, denuncia l'irrazionalità e il suo non-senso, porta a riflettere sul passato per scrivere il futuro con la penna della pace. (sam)

Didascalie delle immagini
[fig. 1] Ritratto di Emilio Lussu; [fig. 2] Daniele Monachella; [figg. 3 e 4] Una scena dello spettacolo «Un anno sull’altipiano», ideato da Mab Teatro con il Cecad Sardegna - Circuito teatrale regionale sardo

Informazioni utili
«Un anno sull’altipiano». Teatro dell'Orologio -  Sala Moretti, via dei Filippini, 17/a – Roma.Orari spettacoli: 27 e 28 marzo 2015, ore ore 20.00; 29 marzo 2015, ore 16.00. Ingresso: intero € 15,00, ridotto € 12,00, tessera associativa del teatro € 3,00. Informazioni: tel. 06.50619598 o biglietteria@teatroorologio.com. Sito internet: www.mabteatro.com o www.teatroorologio.com.