ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

lunedì 21 novembre 2016

Giacomo Balla e Torino, un artista e la sua città natale

Giacomo Balla e Torino: racconta il legame tra la città della Mole e il pittore futurista, le cui ricerche su colore, ritmo e movimento sono state al centro del dibattito artistico nei primi decenni del Novecento, la nuova mostra che la Gam – Galleria d’arte moderna di Torino ospita negli spazi della sua Curata da Virginia Bertone con un giovane allievo della Normale di Pisa, Filippo Bosco, l’esposizione offre un ritratto della scena artistica torinese fin de siècle in relazione alla formazione e alle amicizie dell’artista, che sotto il profilo professionale si affermerà poi a Roma all’inizio del Novecento.
La rassegna, visitabile fino al 27 febbraio, allinea per la prima volta una serie di rare fotografie di Mario Gabinio che documentano la realtà povera dei sobborghi torinesi, e in particolare del quartiere Rubatto, dove nacque l’artista, Accanto a queste immagini sono visibili il «Ritratto di Olimpia Oytana Barucchi» di Giacomo Grosso, lo studio di Giacomo Balla per il «Ritratto di Clelia Ghedini Marani», oltre a opere di Federico Boccardo, Giuseppe Pellizza da Volpedo, Pilade Bertieri, Felice Carena e Antonio Maria Mucchi.
Il percorso espositivo prende avvio dalla sua frequentazione dei corsi all’Accademia Albertina (1886-1891), scelta che appare decisiva per un artista che sarà sempre consapevole dei suoi mezzi tecnici e non secondario in tal senso è l’autorevole insegnamento di Giacomo Grosso, che si afferma in quegli anni come figura centrale della scena accademica torinese.
La difficile situazione familiare ed economica impone al giovane Balla esperienze lavorative nel mondo della tecnica, che saranno importanti tanto quanto l’educazione artistica: dapprima dal litografo Pietro Cassina e poi nell’importante studio di Paolo (Pietro) Bertieri; qui l’artista approfondisce la pratica della fotografia cui lo aveva già avviato la passione autodidatta del padre.
L’amicizia con il figlio di Bertieri, Pilade, lo introduce nell’ambiente dei giovani artisti torinesi, che si individuano proprio come la generazione degli allievi di Grosso. Ricerche pittoriche isolate e singolari di coetanei di Balla, come gli interni intimisti di Federico Boccardo e soprattutto le analitiche vedute urbane di Francesco Garrone, sono esempi utili ad arricchire il panorama torinese. Questo era caratterizzato dalla pittura di paesaggio e da quella accademica: un particolare rilievo per l’artista assume la conoscenza di Giuseppe Pellizza da Volpedo, importante riferimento per il divisionismo che poi adotterà a Roma.
Il trasferimento a Roma nel 1895 non gli consente che una prima timida apparizione pubblica, con un acquerello non identificato, all’Esposizione della Promotrice di Belle arti nel 1891.

Non partecipa, dunque, alle grandi rassegne nazionali di fine secolo, nelle quali si profila la nuova generazione dei giovani torinesi, tutti allievi di Giacomo Grosso. È con questi artisti che può essere confrontata la prima produzione romana di Balla, che nel 1902 mandava da Roma un’opera alla Prima Quadriennale. Oltre a Pilade Bertieri, si tratta di Felice Carena, Antonio Maria Mucchi, Luigi Onetti, Mario Reviglione, Domenico Buratti.
Il fondamentale incontro con l’arte internazionale a Parigi nel 1900, la vivace ricerca di una modernità della pittura, la forte istanza sociale nelle opere di questi artisti, l’impatto positivo della torinese Esposizione d’arte decorativa moderna del 1902 sono tutti elementi presenti nel Giacomo Balla pre-futurista.
Questa mostra alla Gam permette, dunque, di recuperare una pagina importante e ben specifica della storia artistica di Torino, troppo a lungo dimenticata, ma è anche un’occasione per comprendere i successivi sviluppi artistici del pittore futurista, al centro in questi giorni di una rassegna promossa dalla Fondazione Ferrero ad Alba.

Informazioni utili 
Protoballa. La Torino del giovane Balla. Gam, via Magenta, 31 – Torino. Orari: martedì-domenica, ore 10.00-18.00; chiuso il lunedì | la biglietteria chiude un’ora prima. Ingresso: intero € 10,00, ridotto € 8,00. Informazioni: centralino tel. 011.4429518, segreteria tel. 011.4436907, e-mail gam@fondazionetorinomusei.it. Sito internet: www.fondazionetorinomusei.it. Fino al 27 febbraio 2017. 

venerdì 18 novembre 2016

Roma, apre l’area archeologica del Circo Massimo

È stato da poco restituito agli abitanti e ai turisti di Roma uno dei suoi luoghi simbolo: il Circo Massimo, il più grande edificio per lo spettacolo e lo sport dell’antichità e di tutti i tempi.
Con suoi i seicento metri di lunghezza e centoquaranta di larghezza, questo importante sito archeologico è stato scenografia nel corso di oltre 2800 anni di varie leggende legate alle origini della città, a cominciare dal ratto delle Sabine, avvenuto in occasione dei giochi in onore del dio Conso.
Non si contano facilmente anche le trasformazioni subite dal luogo nel corso dei secoli. La prima sistemazione della Valle Murcia per adibirla a luogo per le corse dei carri risale all'epoca dei Tarquini, con sistemazione di spalti lignei. Ma è solo con Giulio Cesare che sarà realizzato un vero e proprio edificio in muratura, la cui pianta è conservata, almeno parzialmente, nelle costruzioni successive. Nel Circo Massimo si svolgevano le gare di corse dei carri che, insieme ai giochi gladiatori, erano l’attività agonistica più amata dai Romani: i conduttori delle quadrighe diventavano ben presto personaggi idolatrati dal popolo di Roma. Poiché le quadrighe facevano capo a scuderie distinte in base ai colori (verde, azzurro, rosso e bianco) anche gli spettatori si dividevano sulle gradinate del circo in base al colore di appartenenza dei propri beniamini, che venivano incitati con cori e motti composti per l’occasione. L’ampio spazio del fondovalle si prestava anche a manifestazioni di vario tipo legate in ogni caso alla vita politica, sociale e religiosa della città, come manifestazioni trionfali, processioni, giochi gladiatori, cacce, pubbliche esecuzioni.
Devastato più volte dal fuoco, il Circo Massimo fu ricostruito quasi integralmente sotto il principato di Traiano, alla cui fase appartengono per la maggior parte le strutture in laterizio attualmente visibili. Numerosissimi gli interventi degli imperatori successivi tra cui quello, spettacolare, dell'erezione del gigantesco obelisco portato a Roma da Costante II, ora al Laterano. Il circo rimase in attività, forse solo parzialmente, fino ai primi decenni del VI secolo.
In seguito il grande invaso fu utilizzato come area agricola, proprietà privata dei Frangipane (1145), luogo di passaggio dell'acqua Mariana, cimitero degli ebrei, per poi diventare a partire dal XIX secolo sede degli impianti del Gazometro, magazzini, manifatture, imprese artigianali e abitazioni, fino agli inizi del Novecento, quando si mette mano ai lavori per la passeggiata archeologica.
La monumentalizzazione dell'area fu realizzata negli anni Trenta contemporaneamente a grandi opere di scavo le quali, insieme a quelle attualmente in corso, hanno messo in luce buona parte dell'emiciclo e i resti dell'arco di Tito. L’area intorno alla torre è smantellata, sono scavati gli ambienti dell’emiciclo e parzialmente restaurate le strutture emergenti. In seguito l’area è ceduta al Partito nazionale fascista, che la utilizza, per l’alto valore simbolico, per i suoi eventi. Nello spazio del circo si organizzano le grandi mostre degli anni 1937-40 (del tessile, del minerale e delle colonie estive). Nell’immediato dopoguerra ritorna uno spazio verde, in cui le strutture antiche sono sostanzialmente abbandonate.
A partire dagli anni Ottanta cominciano alcuni interventi di scavo e restauro, ma una nuova sistemazione dell’area archeologica prende avvio solo nel 2009.
Gli interventi hanno restituito una nuova leggibilità al monumento, ridefinendo la zona dell’emiciclo attraverso operazioni di restauro delle strutture, contenimento del terreno e la realizzazione di nuovi percorsi di visita con relativi impianti di illuminazione.
È stata realizzata una terrazza panoramica sul margine meridionale dell’area e per restituire visibilità alle strutture archeologiche e ripristinare il continuum spaziale tra le diverse quote, raccordandole, è stato realizzato un piano inclinato che permette di superare gradualmente il dislivello oggi presente tra il livello dell’area verde, di libera fruizione, e quella del recinto archeologico. Anche gli spazi pubblici adiacenti sono stati sistemati e riqualificati.
I margini dell’area archeologica sono stati provvisti di idonea recinzione di forma semicircolare in corrispondenza dell’emiciclo, seguendo il perimetro della costruzione romana fino all’ideale inizio della spina, la lunga piattaforma posizionata al centro della pista che era decorata con statue, tempietti, vasche, con due grandi obelischi egizi –che dal Cinquecento sono stati ricollocati in piazza San Giovanni in Laterano ed in Piazza del Popolo– e dotata di metae I resti della spina sono stati localizzati in profondità (attraverso indagini geofisiche condotte in collaborazione con l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale.
I visitatori possono accedere alle gallerie che un tempo conducevano alle gradinate della cavea (i senatori al piano terra e la plebe al piano superiore). Nelle gallerie, che si possono percorrere per un tratto di circa 100 metri ciascuna, si possono osservare anche i resti delle latrine antiche. Si prosegue sulla strada basolata esterna ritrovata durante gli scavi, in cui spicca una grande vasca-abbeveratoio in lastre di travertino. Qui è possibile visitare anche alcune stanze che venivano utilizzate come botteghe (tabernae) per soddisfare le necessità del numeroso pubblico dei giochi: locande, negozi per la vendita di generi alimentari, magazzini, lupanari, lavanderie, ma anche uffici di cambiavalute necessari per assecondare il giro di scommesse sulle corse dei cavalli.
Nella zona centrale dell’emiciclo sono visibili le basi dell’Arco di Tito, uno dei più grandi archi trionfali di Roma, a lui dedicato in occasione della vittoria giudaica. Le indagini hanno consentito di rimettere in luce le basi delle colonne frontali e alcuni importanti frammenti architettonici che hanno permesso agli archeologi di stabilire le sue dimensioni originarie (le colonne erano alte almeno 10 metri) grazie anche all’anastilosi virtuale del monumento realizzata in collaborazione con l’Università Roma Tre - Dipartimento di Architettura. Nel corso degli scavi sono state rinvenute anche parti della grande iscrizione, rimarcata con lettere bronzee, su cui era incisa la dedica da parte del Senato e Popolo Romano all’imperatore.
L’intervento di riqualificazione dell’area ha interessato anche la medievale Torre della Moletta (realizzata nel XII secolo), su cui si è intervenuti con il restauro delle murature antiche ed un impegnativo progettodi consolidamento statico. Una scala interna consente di arrivare fino al piano superiore, uno splendido punto panoramico sull’area archeologica, che permette di apprezzare in pieno le dimensioni del Circo.
I numerosi frammenti lapidei presenti nell’area sono stati in parte anche sistemati ad arredo dello spazio aperto. In particolare ai piedi dell’emiciclo palatino sono stati collocati, da un lato, alcuni elementi provenienti dall’edificio antico (gradini, cornici, capitelli, le soglie delle botteghe, etc.), mentre sull’altro versante sono state collocate una serie di colonne in marmi colorati rinvenute negli scavi archeologici. Infine, nello spazio antistante la torre sono stati posizionati i frammenti architettonici di marmo lunense provenienti dallo scavo dell’arco di Tito.

Informazioni utili
Area archeologica del Circo Massimo. Ingresso da piazza di Porta Capena – Roma.  Orari: 17 novembre - 11 dicembre  - dal martedì alla domenica, ore 10.00-16.00 (ultimo ingresso ore 15.00) | dal 12 dicembre - sabato e domenica, ore 10.00-16.00  (ultimo ingresso ore 15.00)  e dal martedì al venerdì su prenotazione allo 060608. Ingresso: intero  € 4,00, ridotto € 3,00. Informazioni: tel 060608. Sito internet:  
www.sovraintendenzaroma.it

giovedì 17 novembre 2016

Alessio Deli e il sacro, un’indagine tra Rinascimento e Arte Povera

È un percorso alla scoperta di come l’arte contemporanea si accosti al tema del sacro quello proposto dal progetto «Autunno contemporaneo», articolato in tre mostre che fino alla fine di dicembre animeranno la Sala Santa Rita di Roma, suggestivo spazio polifunzionale costruito all’interno dell’architettura barocca dell’omonima chiesa, ormai sconsacrata, progettata dall’architetto Carlo Fontana nei pressi della scalinata dell'Aracoeli.
Dopo le installazioni site specific «Antropocene» di Mauro Pipani e prima della rassegna dedicata a Fabrizio Cicero, la quinta edizione di «Autunno contemporaneo» si accosta all’arte di Alessio Deli, protagonista fino al 26 novembre della mostra «La bellezza e la ruggine», della quale rimarrà documentazione in un catalogo corredato da un testo critico di Lorenzo Canova e da una poesia di Marco Lodoli.
L’artista romano, classe 1981, ha riflettuto sul concetto di sacro e sacralità intesa come memoria originaria, ma anche come fondamentale istanza antropologica, ideando un incontro misterioso tra epoche e stili differenti, in un’installazione che lavora sul ricordo e sulla nostalgia attraverso un ciclo di sculture recenti che fondono sacralità, classicità e avanguardia.
Alessio Deli interviene così nei suggestivi spazi della ex chiesa di Santa Rita facendone dialogare l’impianto barocco con le presenze plastiche e angeliche di opere che evocano antiche liturgie, memorie rinascimentali ed elementi di forte contemporaneità, nel mistero di un misticismo legato allo splendore delle figure femminili.
L’artista coniuga con maestria la grazia misteriosa e celestiale delle donne rinascimentali scolpite da Francesco Laurana, Verrocchio o Jacopo della Quercia alla ricerca su materiali nuovi o di recupero tipica dell’Arte povera e oltre, che ha avuto il suo apice nell’opera di Alberto Burri , Ettore Colla, Mimmo Rotella e Jannis Kounellis.
La capacità del giovane artista, infatti, non è solo quella di lavorare con il ready-made in senso installativo, ma anche di creare un’armonia tra il polimaterismo e la sua capacità di modellare e comporre le anatomie e i volti, con una qualità formale da scultore antico che nella sua leggerezza si redime da ogni possibile accademismo evidenziando invece una finissima intensità di immaginazione e realizzazione iconica.
Le opere di Deli si trasformano così in una vera e propria sublimazione sacrale della materia brutale del mondo, degli scarti della civiltà postindustriale e delle cose neglette, consumate dal tempo e dall’uso, abbandonate ai margini delle nostre città, in un’azione di redenzione degli oggetti scartati, che vengono riscattati dalla loro condizione di inutilità, per trasformarsi negli abiti sontuosi di figure metaforiche che portano con sé allusioni enigmatiche. Così, così come un fiore nato in luoghi contaminati e in rovina, la grazia spirituale delle donne di Deli sboccia dal metallo arrugginito e dalla materia corrosa, metafora di una bellezza che trova sempre la sua via di rinascita.

Informazioni utili
«La bellezza e la ruggine» - Mostra di Alessio Deli. Sala Santa Rita, via Montanara (adiacenze piazza Campitelli) - Roma. Orari: martedì-sabato, ore 15.00-19.00; chiuso il lunedì e la domenica. Ingresso libero. Informazioni: 060608. Sito internet: www.comune.roma.it/cultura. Fino al 26 novembre 2016. 

mercoledì 16 novembre 2016

«Invideo», tre giorni all’insegna delle seduzioni

Compie ventisei anni «Invideo», mostra internazionale di cinema e video che da giovedì 17 a domenica 20 novembre animerà, nell’ambito del «Mese della sperimentazione sull’immagine», la città di Milano.
Per tre giorni lo Spazio Oberdan e lo Ied - Istituto europeo di design apriranno le porte a proiezioni e incontri con ospiti italiani e internazionali, eventi ai quali farà da filo conduttore il tema «Seduzioni: attrazioni visive e desiderio, mutazioni, fascino di corpi e di tecnologie, di gesti e di sguardi».
Trentotto le opere presentate nella «Selezione internazionale», metà delle quali realizzate da under 35, e nove gli eventi speciali che compongono il cartellone di questa nuova edizione del festival milanese, organizzato da Aiace Milano e diretto da Romano Fattorossi e Sandra Lischi.
«Invideo» presenterà in anteprima italiana «Final Gathering» (domenica 20 novembre, alle ore 16.00, allo Spazio Oberdan), il nuovo lavoro di Alain Escalle sulla memoria, caratterizzato per la sua forte sperimentazione: «partendo dalle immagini di un gruppo di persone e bambini attivi su una spiaggia, -si legge nella scheda di presentazione- l'artista ne ha completamente alterato il dato reale, donando alle immagini un freddo aspetto pittorico. I corpi evaporano in silhouette fantasmatiche, lasciando allo spettatore una sensazione di attesa, di metamorfosi ineluttabile del tempo e dei corpi».
Alta importante anteprima, ma in questo caso solo milanese, sarà, poi, quella di «Love is All» (domenica 20 novembre, alle 21, allo Spazio Oberdan), toccante ritratto di Piergiorgio Welby firmato da Francesco Andreotti e Livia Giunti, che si configura come un viaggio tra animazione, video-arte e documentario alla scoperta di un uomo diventato -si legge nella scheda di presentazione- «un simbolo della lotta per i diritti civili e per l’autodeterminazione dei cittadini».
La rassegna, di cui rimarrà documentazione in un catalogo cartaceo e digitale, presenterà, inoltre, una personale dedicata ad Alessandro Amaducci, sperimentatore radicale con un profilo che spicca nel panorama italiano per l’esplorazione di effetti e tecniche. Nello specifico, «Invideo» omaggerà l’artista torinese con una masterclass allo Ied (venerdì 18 novembre, alle ore 11.30) e un incontro con l’autore (venerdì 18 novembre, alle ore 22, allo Spazio Oberdan), durante il quale verranno ripercorsi vent’anni di carriera: «fra immagini simboliche e riferimenti poetici, echi filosofici e memorie si dipanerà una riflessione audiovisiva – fra analogico e digitale – densa, ricca di richiami, intrecciata con varie arti eppure radicalmente altra».
Tra gli eventi in programma si segnala anche l’omaggio al cinema indipendente e a una delle sue più importanti protagoniste: Maya Deren. Anche in questo caso si sarà una masterclass allo Ied (giovedì 17 novembre, alle ore 15.30), alla quale seguirà la performance «Homage to Maya» (2015) dei Karmachina, importante studio milanese leader nell’ambito del visual design, che si è ispirato alle immagini e al montaggio dell’autrice, giustapponendo alcuni lavori realizzati negli anni Quaranta come «Meshes of the Afternoon, At Land» e «A study in Choreography for Camera», con un’elaborazione sonora del gruppo Fernweh.
«Invideo» apre, poi, per la prima volta alla videoarte peruviana (venerdì 18 novembre, dalle ore 16, allo Spazio Oberdan), con opere recenti di diverso taglio, tematica e stile, curata da Angie Bonino e José-Carlos Mariátegui, due protagonisti della scena artistica, tecnologica e culturale di questo Paese.
Spazio anche ai video reportage degli allievi del Centro sperimentale di cinematografia de L’Aquila (venerdì 18 novembre, alle ore 18, allo Spazio Oberdan), diretto da Daniele Segre, protagonista anche di una masterclass allo Ied (venerdì 18 novembre, alle ore 9.00), e all’incontro con Georges Bollon (sabato 19 novembre, alle ore 18.30, allo Spazio Oberdan), fondatore del Festival internazionale del cortometraggio di Clermont – Ferrand, la più importante vetrina internazionale dedicata ai corti che nell’edizione 2016, la trentottesima, ha registrato 162.000 spettatori.
Stanley Kubrick è, invece, fonte d’ispirazione e contaminazione dell’happening video-musicale «Nekrotzar – Inseguendo l’arcobaleno» di Matias Guerra (giovedì 17 novembre, alle ore 22.30, allo Spazio Oberdan). L’opera, che fa parte della serie Compendium, si configura come una partitura intessuta di riferimenti alle opere del regista, in cui il materiale video si intreccia con un intervento sonoro dal vivo, creando risonanze, evocazioni ed enigmi.
«Invideo» presenterà, inoltre, la rassegna «Identità negate», composta da due opere che proporranno un focus sul bullismo e sul tema dell’identità sessuale: «Bullied to Death» di Giovanni Coda e «Deseos» di Carlos Motta (sabato 19 novembre, dalle ore 16.00). Mentre nell’incontro «VideoARTgames» (domenica 20 novembre, alle ore 17.30) Roberto Cappai farà il punto della situazione sull’universo dei videogame artistici, un mondo ricco di ibridazioni e di aspetti non ancora conosciuti.

Informazioni utili 
«Invideo 2016». Sedi varie – Milano. Ingresso: con Tessera Aiace (€ 5,00). Informazioni: tel. 02.76115394 o info@mostrainvideo.com. Sito internet: www.mostrainvideo.com. Dal 17 al 20 novembre 2016.

martedì 15 novembre 2016

«Artisti rivali», Sebastian Smee racconta le amicizie e i tradimenti dell’arte contemporanea

Lucian Freud e Francis Bacon, Édouard Manet ed Edgar Degas, Henri Matisse e Pablo Picasso, Jackson Pollock e Willem De Kooning: sono queste le quattro coppie di autori al centro del volume «Artisti rivali» scritto da Sebastian Smee, firma del «Boston Globe» e premio Pulitzer per la critica nel 2011, la cui uscita nelle librerie italiane è prevista per il prossimo 15 novembre.
Edito per i tipi della Utet, il volume combina perfettamente «gusto artistico, comprensione della natura umana e prosa cristallina», raccontando -scrive Peter Schjeldahl nel periodico statunitense «The New Yorker»- «il dramma, talvolta farsesco, di artisti che sono stati fonte vicendevole di ispirazione e tormenti, spingendosi a raggiungere vette altrimenti inspiegabili».
«Ricco di dettagli e vivido come un romanzo», per usare le parole di Michael Upchurch del «Boston Globe», «Artisti rivali» attinge a biografie, memorie, testimonianze e lettere per raccontare come la misteriosa dinamica tra riconoscimento e repulsione che ha caratterizzato la vita di alcuni artisti, portandoli a lottare con ferocia per conquistare gli stessi collezionisti e i medesimi riconoscimenti, abbia scandito le tappe principali della storia dell’arte recente.
Ma nel libro di Sebastian Smee siamo lontani dai luoghi comuni sulla violenta inimicizia tra il Bernini e il Borromini o dalla mitologia fiorita sul, pur autenticamente storico, «sdegnio grandissimo tra Michelangelo Buonarroti e Leonardo», di cui parlò il Vasari.
Il critico australiano scrive, infatti, che il suo saggio «non ha nulla a che fare con il cliché macho dei nemici giurati, degli acerrimi competitori, o dei rancorosi testardi che si contendono senza quartiere la supremazia artistica, o anzi la supremazia tout court. Al contrario, è un libro sulla duttilità, sull'intimità, sull'apertura all'influenza altrui».
La storia dell’arte moderna è piena di storie simili: «a meno di un anno dalla morte di Jackson Pollock in un incidente d’auto, -si legge nella presentazione del libro- il suo sodale Willem de Kooning iniziò una relazione con la sua ragazza, Ruth Kligman, l’unica sopravvissuta a quell’incidente. Pablo Picasso ha tenuto in bella vista in casa sua per tutta la vita il ritratto che Matisse fece alla propria figlia Marguerite, lo stesso ritratto che un tempo veniva usato da lui e dai suoi amici come bersaglio per il tiro a freccette. Dieci anni dopo la morte di Francis Bacon, Lucian Freud ancora non voleva sentirlo neppure nominare, ma conservava gelosamente un suo grande dipinto, rifiutandosi di prestarlo per le mostre».
Tra queste storie Sebastian Smee ricorda anche quella, clamorosa, del doppio ritratto che Edgar Degas dipinse a Édouard Manet e a sua moglie Suzanne: un quadro, conservato nel museo di Kitakyūshū, che oggi termina a metà del profilo della donna, perché il marito lo vandalizzò a coltellate in un momento di rabbia. Che cosa era successo? L'incontrollabile iconoclastia di Manet era causata dall’irritazione per la crudeltà con cui l'amico Degas aveva ritratto il decadimento fisico di sua moglie? O forse le radici del gesto affondano in qualcosa di più profondo e torbido, in un’inconfessabile gelosia?
Questa e molte altre curiosità vengono raccontate nel libro «Artisti rivali», teso a ricostruire gli incontri e gli scontri, i traumi, le invidie e le gelosie che hanno forgiato l’amicizia e l’influenza reciproca tra otto grandi personalità dell’arte contemporanea, di cui ancora oggi resta traccia, con la stessa intensità e la stessa fiamma, nelle loro opere.

Informazioni utili 
Sebastian Smee, «Artisti rivali - Amicizie, tradimenti e rivoluzioni nell'arte moderna», Novara-Milano, Utet, 2016. Dati tecnici: pagg. 352, con inserto a colori. ISBN-10: 885112681X. Prezzo: € 20,00 (ebook compreso nel prezzo). In libreria dal 15 novembre 2016. Informazioni: Utet, info@utetlibri.it.