ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

venerdì 31 marzo 2017

Gioachino Rossini, un compositore tra note e fornelli

A nove anni pizzicava le corde della viola e strimpellava vari strumenti a tastiera, tra cui la spinetta. A dieci anni era in grado di cavarsela in molte discipline musicali come il canto, l’accompagnamento al clavicembalo e la trascrizione degli spartiti. A undici anni iniziava gli studi di composizione e, intanto, cantava e suonava in chiese e teatri. A quattordici anni si iscriveva alle classi di violoncello e contrappunto del neonato Liceo musicale di Bologna; si aggregava come cantore all’Accademia filarmonica felsinea e scriveva la sua prima opera, «Demetrio e Polibio», che sarebbe rimasta per qualche anno nel cassetto. È la storia di un uomo dotato di un talento straordinario e precoce quella di Gioachino Rossini, apprezzato compositore ottocentesco noto per opere famose come «Il barbiere di Siviglia» e il «Gugliemo Tell», nato a Pesaro il 29 febbraio 1792 da una famiglia di modesti musicisti.
Il papà, Giuseppe Rossini, suonava la tromba e il corno nella banda cittadina. Gli amici lo chiamavano «Vivazza» per quel suo carattere sempre allegro e tendente alla burla, ma anche per le sue veraci origini romagnole.
La mamma, Anna Giudarini, era una bella ragazza che cuciva cappelli e che, grazie alla sua voce dolce e piena di grazia, si esibiva nei teatri minori di opera buffa come cantante lirica «a orecchio».
Con l’arrivo a Bologna, datato intorno al 1798, il compositore ebbe la fortuna di trovarsi a vivere in una delle maggiori città musicali del tempo ed è qui che si accostò per la prima volta alle musiche di due grandi autori tedeschi, Wolfgang Amadeus Mozart e Franz Joseph Haydn, le cui partiture erano ancora difficilmente reperibili in Italia, tanto da guadagnarsi il soprannome di «tedeschino».
Poco dedito agli studi ufficiali e incapace di sopportare le regole, Gioachino non completò mai gli studi al Liceo musicale di Bologna, ma le sue idee erano così fresche e innovative che, a soli diciotto anni, nel 1810, riuscì a debuttare con una sua opera, «La cambiale di matrimonio», nel prestigioso teatro San Moisè di VeneziaFu l’inizio di una brillante carriera, che vide la sua musica dinamica, trascinante e di facile ascolto accogliere i favori del pubblico, anche se non mancò qualche insuccesso. È il caso de «Il turco in Italia», accolto con freddezza dagli appassionati del teatro alla Scala nel 1814, e dell’opera «Il signor Bruschino» (1813), le cui repliche furono totalmente annullate, ma la cui ouverture continua a far parlare di sé per il caratteristico percuotere ritmico degli archi dei violini sul leggio.
Dal 1810 al 1829 Gioachino Rossini compose quarantuno opere, a tamburo battente, con un ritmo di cinque o sei l’anno (con un «rallentando» negli ultimi anni della sua vita).
Già l’anno dopo il debutto veneziano andava in scena a Bologna un altro suo lavoro: «L’equivoco stravagante». E ben presto la fama del compositore pesarese si diffuse oltre i confini nazionali grazie a due opere come il «Tancredi», le cui arie più famose venivano addirittura cantate per le strade, e «L’Italiana in Algeri», della quale i giornali scrissero che alla ‘prima’ gli spettatori stavano quasi per soffocare dal ridere e per la quale Stendhal parlò di «follia organizzata e completa».
Nel 1815 Gioachino Rossini si trasferì a Napoli su invito di Domenico Barbaja, importante impresario del teatro San Carlo, e vi rimase fino al 1822. Appena arrivato nella città partenopea compose «Elisabetta Regina d’Inghilterra», opera che ebbe grande successo grazie anche alla magistrale interpretazione della bella cantante spagnola Isabella Colbran, con cui il compositore si sarebbe sposato sette anni dopo. Fu un periodo molto intenso, che vide il maestro pesarese scrivere anche per altri teatri. Basti pensare che, tra il 1816 e il 1817, videro la luce due delle sue opere più celebri: «Il barbiere di Siviglia» per il teatro Argentina di Roma (1816) e «La Cenerentola» per il teatro Valle di Roma (1817). In questi anni vennero scritti anche lavori come «La gazza ladra» (1817), «Mosè in Egitto» (1818), «La donna del lago» (1819) e «Maometto II» (1820).
Il compositore si trasferì, quindi, a Londra, ma vi rimase pochi mesi preferendo spostarsi a Parigi, dove gli avevano offerto la direzione del Thèâtre des Italiens. Lì compose «Il viaggio a Reims» (1825), la sua ultima opera in lingua italiana, e il «Guglielmo Tell», con cui lanciò un nuovo genere musicale detto grand-opèra, basato su soggetti storici e caratterizzato da spettacolari effetti scenici, balletti e grandi cori. Il debutto di questo lavoro si ebbe la sera del 3 agosto 1829. Il successo fu strepitoso e il compositore fu premiato con la Legione d’Onore, una delle massime onorificenze del Governo francese. Malgrado ciò Gioachino Rossini decise di ritirarsi dalle scene. Non compose più opere, ma continuò a scrivere per piacere sonate e composizioni per pianoforte, oltre a musiche sacre come lo «Stabat Mater» (1841) e la «Petit Messe Solennelle» (1863).
Al momento del ritiro il compositore pesarese aveva trentasette anni. Sarebbe morto trentanove anni dopo, il 3 novembre 1868, nella sua villa di Passy, vicino a Parigi.
La decisione di ritirarsi sorprese tutti i suoi amici e ammiratori che non riuscivano a spiegarsene il motivo. Ma non c’è da sorprendersi: Gioachino Rossini era un personaggio dalle mille sfaccettature: era suscettibile e collerico, ma anche ironico e spiritoso; amava la buona tavola e l’ozio, ma era anche un infaticabile lavoratore quando si trattava di comporre un’opera. Di lui si ricordano molti aneddoti e battute spiritose: «non conosco -diceva- un lavoro migliore del mangiare» o ancora «l’appetito è per lo stomaco quello che l’amore è per il cuore». Di lui si ricordano molti aneddoti e battute spiritose: «non conosco -diceva- un lavoro migliore del mangiare» o ancora «l’appetito è per lo stomaco quello che l’amore è per il cuore». Era talmente ossessionato dal buon mangiare che quando Richard Wagner si recò da lui a Parigi, Rossini continuò per tutta la visita ad alzarsi per andare a controllare un capriolo sul fuoco. Ed era un ghiottone così raffinato da essere sempre alla ricerca di cibi speciali che si faceva portare dai diversi paesi d’origine: da Gorgonzola il formaggio, da Milano il panettone, da Siviglia il prosciutto e così via. La sua passione per il buon cibo era così grande che a chi gli chiedeva se avesse mai pianto, rispondeva sorridendo: «sì, una volta in barca quando mi è caduto nel lago uno stupendo tacchino farcito con i tartufi. Quella volta ho proprio pianto».
Per il mondo della musica è noto non solo per alcune sue opere immortali, ma anche per aver inventato il «crescendo», un procedimento compositivo che consisteva nel ripetere in maniera ossessiva, e a intensità crescente, un modulo melodico-armonico inserendo gradualmente nuovi strumenti a ogni ripetizione.
Le sue spoglie riposano nella Basilica di Santa Croce a Firenze, definita da Ugo Foscolo «il Tempio dell’Itale glorie», perché al suo interno sono conservate le tombe di grandi personaggi italiani come Michelangelo Buonarroti, Galileo Galilei e Vittorio Alfieri.

Per saperne di più
Gaia Servadio, «Gioachino Rossini. Una vita», Feltrinelli, Milano 2015;
Lina M. Ugolini, Piano pianissimo, forte fortissimo, Rueballu, 2015;
Monica E. Lapenta, «A cena con Giachino Rossini», Babetta's World, Baltimora 2012;
Cecilia Gobbi e Nunzia Nigro, «Alla scoperta del melodramma. Il teatro e le sue storie», Edizioni Curci, Milano 2009;
Fiorella Colombo e Laura Di Biase, «Recitar cantando ovvero come accostare i bambini all’opera lirica attraverso il teatro», Erga edizioni, Genova 2006;
Giorgio Paganone, «Insegnare il melodramma. Saperi essenziali, proposte didattiche», Pensa MultiMedia, Lecce –Iseo 2010;
Fiorella Colombo e Laura Di Biase, «Il barbiere si Siviglia – Un percorso di sensibilizzazione e avvicinamento all’opera di Gioachino Rossini», Erga edizioni, Genova 2012;
Fiorella Colombo e Laura Di Biase, «Figaro qua, Figaro là», Vallardi, Milano 2014 (le immagini pubblicate sono tratte da questo libro);
Cecilia Gobbi e Nunzia Nigro, «Alla scoperta del melodramma – Il barbiere di Siviglia», Curci, Milano 2010;
Isabella Vasilotta (a cura di), «Rossini. Ascoltando Il barbiere di Siviglia, La Cenerentola e Guglielmo Tell», Sillabe, Livorno 2015
Fiorella Colombo e Laura Di Biase, «La Cenerentola – Un percorso di sensibilizzazione e avvicinamento all’opera di Gioachino Rossini», Erga edizioni, Genova 2009;
Cristina Pieropan, «La Cenerentola», Nuages, Milano 2010;
Cecilia Gobbi e Nunzia Nigro, «Alla scoperta del melodramma – La Cenerentola di Rossini», Curci, Milano 2015.

giovedì 30 marzo 2017

Giorgio Morandi e Tacita Dean, un dialogo tra artisti in mostra a Mantova

Che cosa accade quando un’artista guarda e incorpora nel proprio lavoro quello di un altro artista, magari distante da sé nello spazio e nel tempo? Che opportunità viene offerta al pubblico quando questa inclusione si fa a sua volta opera d’arte? Sono queste due domande a fare da filo rosso alla mostra «Giorgio Morandi e Tacita Dean. Semplice come tutta la mia vita», allestita a Mantova, negli spazi del Centro internazionale d’arte e di cultura di Palazzo Te, per la curatela di Massimo Mininni e Augusto Morari e con il supporto di Cristiana Collu.
L’esposizione mette a confronto, fino al prossimo 4 giugno, i film «Day for Night» e «Still life», che l’artista inglese ha realizzato nel 2009 nello studio bolognese del pittore, e una raccolta di circa cinquanta opere del maestro novecentesco: dipinti, disegni, acquarelli e grafiche, concessi da importanti musei e collezioni private, che illustrano la sua ricerca relativa alla natura morta nel periodo dal 1915 al 1963.
L’intero percorso espositivo, che si apre con una ricostruzione in grandezza naturale dello studio dell’artista, mette in luce il legame tra due artisti, raccontando non solo la linfa che alimenta il lavoro di Tacita Dean, ma facendo anche splendere la contemporaneità del lavoro di ricerca sviluppato per tutta la vita -con pazienza, attenzione e sensibilità- da Giorgio Morandi.
L’artista inglese si sofferma sugli oggetti dell’universo poetico del maestro bolognese e sulle tracce lasciate su un piano dalle basi degli oggetti stessi, tracce composte dalla matita del pittore che calcolava, centrava, affiancava, spostava, ricollocava, aggregava, insisteva, con un’attenzione matematica, sperimentale, priva di casualità plausibilmente in rapporto con le ore del giorno, le luci, i colori dell’aria.
Partendo dagli oggetti cari a Morandi - bottiglie, lumi, caffettiere, tazze, porcellane e vetri -, il processo di creazione artistica attivato dall’osservazione e dalla meditazione sulle cose è il punto di incontro dei lavori dei due artisti. I film di Tacita Dean esprimono l’intuizione della necessità di guardare alle cose e alle tracce involontarie del processo della pittura. La sua opera non è un documentario: non antologizza Morandi, non analizza il suo contesto e il suo tempo, ma lo guarda con semplicità e permette allo spettatore di sperimentare come il suo lavoro sia ben vivo nel presente.
Le nature morte di Giorgio Morandi esposte nello spazio delle Fruttiere mostrano come l’elaborazione del colore nelle sue composizioni si sia arricchita sino a raggiungere gli ultimi raffinatissimi accordi dei toni più alti. Forme, cromie e valori spaziali sono associati a una musica di luce: la luce e l’ombra, presenti nelle stanze abitate dal pittore, sono appunto alla base della sua espressione grafica e coloristica.
Tacita Dean ci restituisce con chiarezza nei suoi lavori le atmosfere e gli ambienti morandiani: le ombre delle bottiglie, dei vasi appaiono in una pallida penombra. I film raccontano un mondo limitato, polveroso, dimesso e domestico, dove cose umili affiorano in una luce fioca e rendono magiche le stanze, il carattere del luogo e l’arte di Morandi. Si avverte che l’artista si è soffermata a indagarle, cercando di scoprire la rigorosa ricerca di quel mondo plastico, di quel vedere e sentire per volumi e parallele, di quel comporre con chiarezza l’ordine con il quale Morandi procedeva nel misurare e disporre gli oggetti, qualità sostanziali nelle nature morte che metteva in scena.

Didascalie delle immagini 
[Fig. 1] Giorgio Morandi, Natura morta con brocca e bottiglia, 1921; [Fig.2] Giorgio Morandi, Natura morta, 1921 

Informazioni utili 
«Giorgio Morandi e Tacita Dean. Semplice come tutta la mia vita». Museo civico di Palazzo Te, viale Te, 19 – Mantova. Orari: fino a sabato 25 marzo 2017 – lunedì, dalle ore 13.00 alle ore 18.30; da martedì a domenica, dalle ore 9.00 alle ore 18.30 (ultimo ingresso alle ore 17.30) | da domenica 26 marzo 2017 - lunedì, dalle ore 13.00 alle ore 19.30; da martedì a domenica, dalle ore 9.00 alle ore 19.30 (ultimo ingresso 18.30). Ingresso: intero € 12,00, ridotto € 8,00, ridotto studenti € 4,00 (visitatori tra i 12 e i 18 anni, studenti universitari). Informazioni: tel. 0376.323266. Sito web: www.centropalazzote.it. Fino al 4 giugno 2017.

mercoledì 29 marzo 2017

Teatro Manzoni di Busto Arsizio, ad aprile il pranzo è servito in scena

Si apre all’insegna della solidarietà il mese di aprile del cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio. Sabato 1° aprile, alle ore 21, la sala di via Calatafimi ospiterà la compagnia amatoriale «I ragazzi dell’altro ieri» di Magenta con la commedia brillante «Mistero a Villa Gaia», per la drammaturgia e la regia di Francesco Cuccaro.
L’appuntamento teatrale, che gode del patrocinio dell’Amministrazione comunale, si propone di raccogliere fondi a favore del progetto «Borsa di studio Guatemala», un’iniziativa di solidarietà rivolta ai ragazzi in età scolare nata dall’esperienza di alcuni giovani dell’oratorio «San Filippo Neri» di Busto Arsizio nel centro «Manos Amigas», situato nel Sud America, nella campagna di San André Itzapa, tra Città del Guatemala e Antigua. Il costo del biglietto per questo spettacolo, per il quale sarà disponibile anche un servizio di baby sitting, è fissato ad euro 10,00 per l’intero ed euro 5,00 per il ridotto, riservato ai bambini fino ai 12 anni.
All’insegna del sorriso sarà anche l’altro appuntamento teatrale in cartellone nella sala di via Calatafimi per queste prime settimane primaverili. Venerdì 21 aprile, alle ore 21, la stagione «Mettiamo in circolo la cultura», inserita nel cartellone cittadino «BA Teatro», si chiuderà, infatti, con lo spettacolo «Bedda Maki – Come reSUSHItare il ristorante e vivere felici» (biglietti da € 30,00 a € 23,00, in vendita al botteghino da venerdì 14 aprile).
Il testo drammaturgico, scritto da Chiara Boscaro e Marco Di Stefano, ha vinto la quarta edizione del concorso «Una commedia in cerca d'autori», con il quale il cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio prosegue la propria collaborazione con la Bilancia Produzioni, realtà che gestisce il teatro Martinitt di Milano e il teatro de’ Servi di Roma, e con altre sale di comunità del territorio come il cine-teatro Cristallo di Cesano Boscone, la Sala Argentia di Gorgonzola e il teatro San Rocco di Seregno.
Cinque giovani e talentuosi attori professionisti -Roberta Azzarone, Caterina Gramaglia, Franco Mirabella, Lorenzo Parrotto e Arturo Scognamiglio- porteranno il pubblico tra i tavoli del ristorante «La Tonnara di Toni», un locale siciliano a Milano che, per sconfiggere la crisi, cerca di trasformarsi in un’azienda di ristorazione particolarmente all’avanguardia, dove i capisaldi della gastronomia isolana vengono trasformati in piatti sushi-fusion.
Con uno stile comico e fluido, lo spettacolo, sapientemente diretto da Roberto Marafante, porta così il pubblico alla scoperta di tanti temi attuali: dai «problemi mai risolti tra il nostro nord e il nostro sud» alla crisi delle attività commerciali, dalla «spasmodica ricerca del nuovo ‘a tutti i costi’» all’improbabile culto del mondo degli chef e molto altro.
Ricco è anche il cartellone della rassegna «Mercoledì d’essai – Stagione 2016/2017», promossa dal cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio nell’ambito del progetto «Sguardi d’essai – Sale cinematografiche culturali a Busto Arsizio». Quattro i film in agenda per questo mese di aprile, con l’usuale doppia programmazione alle ore 16 e alle ore 21.
Si inizia mercoledì 5 aprile con «Non c’è più religione» di Luca Miniero, commedia incentrata sull'incontro-scontro fra diverse etnie e relative confessioni, che vede nel cast Claudio Bisio, Alessandro Gassmann e Angela Finocchiaro. Sarà, quindi, la volta, nella giornata di mercoledì 12 aprile, del film «Il viaggio di Fanny» di Lola Doillon, vincitore dell'ultimo Giffoni Film Festival, nel quale si racconta la storia vera di Fanny Ben-Ami, oggi 86enne, che nel 1943 riuscì a portare, senza adulti, un gruppo di bambini come lei dalla Francia alla Svizzera, fuggendo all’esercito tedesco.
Mercoledì 19 aprile l’atmosfera si tingerà dei colori dell’Oscar con «La la land» di Damien Chazelle, interpretato da Ryan Gosling ed Emma Stone, film che si è aggiudicato sette Golden Globe, la Coppa Volpi per la miglior interpretazione femminile alla settantatreesima Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, il premio del pubblico al Toronto International Film Festival e sei statuette alla notte degli Oscar, tra cui quelle per la miglior regia e la miglior colonna sonora. «La storia -si legge nella sinossi- è quella di due sognatori che cercano la fama a Los Angeles, si incontrano e si innamorano: sono un'aspirante attrice che si sente sola nella città caotica e un carismatico e sfacciato pianista jazz che impara a sue spese la difficoltà di conciliare una relazione amorosa e la carriera».
A chiudere la programmazione per questa edizione di «Mercoledì d’essai» sarà, nella giornata di mercoledì 26 aprile, la commedia «Mister Felicità» di Alessandro Siani, con Diego Abatantuono e Carla Signoris, che racconta la storia di un giovane napoletano, residente in Svizzera, che si finge assistente del dottor Gioia, un mental coach specializzato nel motivare le persone e nel far ritrovare loro l’ottimismo per affrontare le avversità della vita.
Tutte le proiezioni del cineforum saranno corredate da schede di approfondimento; all’appuntamento pomeridiano, pensato specificatamente per il pubblico della terza età, seguirà sempre un momento conviviale con tè e dolci. Le schede e i trailer dei film in programmazione -comprese le prime visioni, il cui calendario viene diffuso ogni giovedì- sono consultabili sul sito www.cinemateatromanzoni.it. Nel mese di aprile la sala di via Calatafimi ospiterà, inoltre, nella serata di venerdì 7 aprile, alle ore 21, l’associazione «La mia voce ovunque» con lo spettacolo «Io, padrona di me stessa», per le coreografie di Elisa Valentino, Lucia Urgese, Alessio Campanelli ed Angelica Masla. Il costo del biglietto per questo appuntamento, presentato da Massimo Brugnone e patrocinato dal Comune di Busto Arsizio, è fissato ad euro 5,00; per informazioni è possibile contattare Monica Guanzini al numero 347.8148673.
Per maggiori informazioni sulla programmazione della sala è possibile contattare il numero 339.7559644 o lo 0331.677961 (negli orari di apertura del botteghino e in orario serale, dalle ore 20.30 alle ore 21.30, tranne il martedì) o scrivere all’indirizzo info@cinemateatromanzoni.it.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Una scena del film «Il viaggio di Fanny» di Lola Doillon [figg.2, 3, e 4] Una scena del film «La la land»[fig. 5] Immagine promozionale dello spettacolo «Bedda Maki – Come reSUSHItare il ristorante e vivere felici»

Informazioni utili 
www.cinemateatromanzoni.it

martedì 28 marzo 2017

La via della Seta, un viaggio sulle rotte tra Oriente ed Europa

Un viaggio lungo rotte carovaniere, marittime e spirituali. Un punto di riferimento per le interconnessioni tra Occidente e Oriente. Una vasta e antica rete di scambi da sempre proiettata verso il futuro. Una sinfonia di civiltà dove far prevalere lo spirito di dialogo e di collaborazione in tutti i campi. Tutto questo è la via della Seta. A raccontarla, al Mao - Museo d’arte orientale di Torino, sarà fino al prossimo 2 luglio una mostra curata da Louis Godart, David Gosset e Maurizio Scarpari, con oltre settanta opere antiche e preziose a rappresentare la storia millenaria dei rapporti tra la Cina e l’Occidente.
«Dall’antica alla nuova Via della Seta», questo il titolo dell’esposizione, si propone di raccontare la storia di questo percorso che per almeno due secoli ha unito Oriente e Occidente e ha così permesso alle diverse culture di crescere, attingendo reciprocamente alle conquiste scientifiche e culturali degli uni e degli altri attraverso l’intermediazione e il dialogo. Mercanti, ambasciatori, monaci, esploratori, avventurieri e missionari di varie fedi, provenienti dai luoghi più disparati, si incontravano lungo le strade confrontando senza sosta usanze, pratiche e fedi religiose.
Dal Musée du Louvre di Parigi al Museo archeologico nazionale di Napoli, dalla Biblioteca Apostolica Vaticana alla Procuratoria della Basilica di San Marco di Venezia, sono numerose le istituzioni museali, bibliotecarie e archivistiche europee e italiane che hanno prestato le proprie opere per questa mostra che testimonia la varietà e la ricchezza degli scambi tra Oriente e Occidente, l’abilità dei maestri artigiani e la velocità di circolazione delle informazioni.
Accanto a questi lavori è esposta anche una ventina di opere moderne provenienti dalla Cina e realizzate da artisti cinesi contemporanei.
Tra i pezzi che è possibile vedere si segnalano un Cammelliere su cammello battriano (VI-VII secolo), animale simbolo delle vie carovaniere, uno Straniero dal volto velato (VII-VIII secolo), piccolo capolavoro dell’arte funeraria cinese e un Piatto con girotondo di pesci (XIII-XIV secolo), prodotto durante la dinastia mongola ilkanide. Una segnalazione meritano anche la Mattonella con giocatori di polo (1256-1335), una importante e rara manifestazione artistica dell’Iran durante il dominio degli Ilkhanidi di origine mongola dipinta a lustro e blu cobalto, e la Descrizione illustrata del mondo di P. Ferdinand Verbiest (1674), un lavoro monumentale che rappresenta la sintesi più avanzata delle conoscenze geografiche dell’epoca.
L’Italia ha avuto un ruolo fondamentale nella storia dei rapporti con la Cina. Si tramanda, per esempio, che già Marco Aurelio, nel 166 d.C., inviò un’ambasceria alla corte del Figlio del Cielo permettendo ai due imperi più grandi e longevi della storia di entrare in contatto. Mentre, nel Duecento, Marco Polo celebrò lo splendore della Cina nell’opera «Il Milione», contribuendo a migliorare le conoscenze di popoli e mondi ancora poco noti in Occidente. Nel Seicento sono, invece, il gesuita Matteo Ricci e Martino Martini a far conoscere l’Oriente agli italiani. Il primo, nel 1601, è accolto nella Città proibita come ambasciatore d’Europa, è ammesso dall’imperatore Wanli nella cerchia ristrettissima dei Mandarini e ha il permesso di fondare una chiesa a Pechino; il secondo redige il «Novus Atlas Sinensis», primo atlante moderno della Cina che verrà pubblicato in Europa nel 1655.
Come in passato, saranno gli uomini capaci di proiettare verso il futuro questa antica realtà i protagonisti di questo nuovo corso, che non va inteso come un fenomeno esclusivamente economico, ma come un cantiere aperto di interconnessioni e di arricchimento reciproco.

Informazioni utili 
«Dall’antica alla nuova Via della Seta». Mao – Museo d’arte orientale, via San Domenico, 11 – Torino. Orari: martedì-venerdì, ore 10.00-18.00; sabato-domenica, ore 11.00–19.00; chiuso lunedì | la biglietteria chiude un'ora prima. Ingresso: intero € 10,00, ridotto € 8,00, gratuito fino ai 18 anni e abbonati Musei Torino Piemonte. Informazioni: tel. 011.4436927, mao@fondazionetorinomusei.it. Sito internet: www.maotorino.it. Fino al 2 luglio 2017.

lunedì 27 marzo 2017

Art For Kids: «La Cenerentola» di Rossini, ovvero «la bontà in trionfo»

Esistono circa trecentoquarantacinque versioni differenti della storia di Cenerentola. La vicenda della fanciulla povera e maltrattata che, a dispetto delle sorellastre invidiose e poco avvenenti, riesce a sposare un bel principe azzurro con il quale vivere per sempre «felice e contenta» è, infatti, presente in tutte le culture del mondo, dall’America alla Norvegia, già a partire da epoche molto remote.
La versione più antica della favola fu scritta in Cina nel IX secolo, con circa settecento anni di anticipo rispetto alla prima stesura occidentale, che si deve allo scrittore Gianbattista Basile, autore nel 1634 del racconto in dialetto napoletano «La gatta Cenerentola», inserito in una raccolta di fiabe popolari intitolata «Lo cunto de li cunti ovvero la tratteneimento de peccerille», detta anche «Pentamerone».
Le due varianti più conosciute della storia, insieme con quella del cartone animato di Walt Disney (1950), sono scritte dal francese Charles Perrault, autore nel 1697 di «Cendrillon», e dai fratelli Grimm, che nel 1812 diedero alle stampe «Aschenputtel».
Le due fiabe si differenziano per il messaggio contenuto nel finale: nella prima, le sorellastre sono perdonate da Cenerentola e non subiscono alcun castigo per la loro cattiveria; nella seconda sono, invece, punite da due colombe fatate che strappano loro gli occhi. Nella storia di Charles Perrault trionfa, dunque, il perdono, in quella dei fratelli Grimm il castigo. Il racconto dello scrittore francese inventa, poi, particolari, che ci sono diventati così familiari da sembrare inscindibili dalla fiaba: la madrina fatata, la zucca trasformata in cocchio, il ritorno a casa allo scoccare della mezzanotte e la scarpina di vetro.
Anche Gioachino Rossini volle cimentarsi con questa storia romantica e appassionante, che si chiude con il lieto fine. Nacque così il dramma giocoso in due atti «La Cenerentola, ossia la bontà in trionfo», che il librettista Jacopo Ferretti trasse dall’omonima favola di Charles Perrault (1697), ma anche dai lavori operistici «Cendrillon» di Charles Guillaume Etienne per Nicolò Isouard (1810) e «Agatina, o la virtù premiata» di Francesco Fiorini per Stefano Pavesi (1814).
L’opera fu scritta tra la fine del 1816 e gli inizi del 1817, in poco più di una ventina di giorni, per i festeggiamenti carnevaleschi al teatro Valle di Roma. Il debutto si ebbe la sera del 22 gennaio 1817, duecento anni fa.
Il lavoro non ottenne il successo sperato: la musica piacque molto, ma l’esecuzione fu pesantemente criticata a causa della preparazione frettolosa. Gioachino Rossini era, però, ottimista. Agli amici diceva: «gli impresari faranno a pugni per allestirla come le prime donne per poterla cantare». Il tempo gli diede ragione: nel giro di pochi mesi «Cenerentola» fu rappresentata in molti teatri italiani e, con gli anni, è diventata una dei titoli più amati del repertorio operistico.
Non trovandosi a proprio agio tra fate e prodigi vari, il compositore pesarese ne fece una storia edificante basata sulle doti morali della protagonista, fermamente convinta che la bontà sia destinata a trionfare sulla cattiveria e abbia il potere di convertire persino gli animi più malvagi, piuttosto che sull’incantevole scenografia della zucca trasformata in carrozza.
Gioachino Rossini sostituì così la celebre scarpetta con un braccialetto. «Mandò in pensione» la fatina e mise al suo posto il saggio filosofo Alidoro, precettore del principe Ramiro. Sarà lui ad aiutare Angelina, detta Cenerentola, a realizzare il suo sogno d’amore: sposare un uomo bello, nobile, ricco e di buoni e onesti sentimenti.
Per dare vita a una girandola di travestimenti ed equivoci esilaranti, che ben si sposano con i travolgenti «crescendo rossiniani», il compositore aggiunse, poi, un personaggio buffo, il cameriere Dandini. La matrigna, infine, venne sostituita con un patrigno, Don Magnifico, un uomo tanto disonesto quanto ridicolo, che si è riempito di debiti per vivere nel lusso e soddisfare i capricci delle sue due figlie: Clorinda e Tisbe.
La musica è divertente e frizzante. Tra i brani più famosi c’è l’ouverture, presa in prestito da un altro lavoro rossiniano di minor successo: «La Gazzetta» del settembre 1816.
L’intera vicenda narrata viene, invece, ben riassunta nella cavatina «C’era una volta un re», nella quale si parla di un sovrano che vuole prendere moglie, trova tre candidate possibili e, alla fine, sceglie colei che dimostra dolcezza e amore anziché cedere alle lusinghe della ricchezza. È questa una semplice aria in re minore che si svolge su un tempo di barcarola, ovvero un brano in cui il movimento ritmico ricorda quello ondulatorio delle gondole veneziane. Il carattere visionario di quest’aria trova coronamento nella morale finale del coro: «Tutto cangia a poco a poco. / Cessa alfin di sospirar. / Di fortuna fosti il gioco: incomincia a giubilar».

Per saperne di più
Fiorella Colombo e Laura Di Biase, «La Cenerentola – Un percorso di sensibilizzazione e avvicinamento all’opera di Gioachino Rossini», Erga edizioni, Genova 2009;
Cristina Pieropan, «La Cenerentola», Nuages, Milano 2010 (le prime due immagini pubblicate sono tratte da questo libro);
Cecilia Gobbi e Nunzia Nigro, «Alla scoperta del melodramma – La Cenerentola di Rossini», Curci, Milano 2015 (la terza immagine pubblicata è tratta da questo libro).