ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

mercoledì 27 settembre 2017

Milano, mounir fatmi inaugura la nuova sede della galleria Officine dell’Immagine

È tra i protagonisti della Biennale di Venezia, dove espone al Padiglione Tunisino e e al NSK State Pavilion e, questo autunno, sarà protagonista, a Milano, della sua prima personale in Italia. Stiamo parlando di mounir fatmi (Tangeri, Marocco, 1970), artista marocchino chiamato a esporre in prestigiosi musei come il Centre Georges Pompidou, il Victoria & Albert Museum e il Mori Art Museum di Tokyo, che dal 26 ottobre inaugurerà la nuova sede della galleria Officine dell’Immagine.
La mostra, dal titolo «Transition State», ripercorre i tratti distintivi della sua vasta sintesi poetica, ponendo l’accento sul concetto di ibridazione culturale, una combinazione di preconcetti e stereotipi svelati e poi screditati, che rafforzano una visione d’insieme costruita sul dialogo fra religione, scienza, le ambivalenze del linguaggio e quanto queste si trasformino nel corso della storia.
Un chiaro esempio del potere del linguaggio sulla verità è «Martyrs», un dittico realizzato su neri pannelli di legno, la cui superficie è tagliata da una moltitudine di linee che sembrano muoversi come ferite sulla pelle di un corpo. L’emblematico titolo gioca sulle varianti semantiche di questa parola che, nel corso della storia, hanno trasformato il suo significato. Dall’antico greco martus, testimone”ì, a colui che sacrifica se stesso in nome della fede, fino ad arrivare all’accezione di oggi, quando viene erroneamente affiancato al concetto di kamikaze.
Il tema del martirio torna anche nel video «The Silence of Saint Peter Martyr» (2011), con protagonista San Pietro Martire, anche noto come Pietro da Verona, un prete del XIII secolo appartenente all’Ordine dei Domenicani, che fu giustiziato atrocemente a causa della sua forte opposizione agli eretici. La quiete della scena, che vede il soggetto muovere lentamente il dito mimando il pacifico gesto del silenzio, si contrappone violentemente all’audio del video stesso, un sottofondo disturbante e aggressivo.
L’ispirazione di materia religiosa si riconferma nella serie fotografica «Blinding Light» (2013), un progetto che vede la manipolazione sia concettuale che visiva della cosiddetta «Guarigione del Diacono Giustiniano», un miracolo immortalato anche in un noto dipinto del Beato Angelico. La storia narra di due santi, Cosma e Damiano -celebri per le loro capacità mediche- che una notte entrarono nella stanza di Giustiniano e gli scambiarono la gamba malata con quella di un etiope appena deceduto. Al risveglio Giustiniano si accorse quindi di avere la gamba destra guarita, ma di colore. Giocata sulle sovrapposizioni fra il dipinto antico e scene di chirurgia odierna, mounir fatmi sorprende per l’abilità lessicale con la quale riesce ad affrontare temi di grande richiamo come l’identità etnica, l’ibridazione e la nozione di diversità con una sorprendete sensibilità culturale.
La visione sensoriale dello spettatore viene, poi, esortata nel video «Technologia» (2010), dove il susseguirsi convulso di dettagli geometrici e motivi calligrafici arabi di natura religiosa, danno vita a un processo dal forte carattere ipnotico. Lo sguardo dello spettatore a fatica riesce a resistere, così come anche il suo udito, messo alla prova da suoni stridenti.
La giustapposizione fra oggetto, il suo utilizzo e il suo significato culturale si conferma centrale nell’installazione «Civilization» (2013), realizzata semplicemente con un paio di scarpe nere da uomo poste sopra un libro; con questi due oggetti, spesso utilizzati come indicatori del livello di civilizzazione delle persone, l’artista marocchino s’interroga sulla seduzione della materialità e sul suo ingannevole potere nella cultura contemporanea.
La mostra milanese, che vede la curatela di Silvia Cirelli, permette, quindi, di approfondire alcuni temi di attualità che fanno parte da sempre della poetica di mounir fatmi come l’identità, la multiculturalità, le ambiguità del potere e della violenza. Negli anni l’artista marocchino è riuscito a rinnovarsi costantemente, esplorando una molteplice varietà di linguaggi stilistici che vanno dal video all’installazione, dalla fotografia alla performance. Il suo è un percorso narrativo che oltre a confermare una notevole abilità lessicale, miscela ingredienti personali a testimonianze del reale, tracciando importanti passaggi della storia contemporanea. Lo dimostrerà anche la performance inaugurale costruita attorno all’installazione «Constructing Illusions», un’opera partecipativa che gioca sugli equilibri fra immaginazione e realtà, concetti che spesso si mescolano fra loro, fino ad arrivare anche a scambiarsi completamente di significato.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] mounir fatmi, The Silence of Saint Peter Martyr, 2011. Video HD in bianco e nero con audio, 5'04" edizione di 5. Courtesy l’artista e Officine dell’Immagine, Milano; [fig. 2] mounir fatmi, Civilization, 2013. Artist’s shoes and book 30x43 cm edizione di 5. Courtesy l’artista e Officine dell’Immagine, Milano; [fig. 3] mounir fatmi, Technologia, 2010. Video HD in bianco e nero con audio, 15' edizione di 5. Courtesy l’artista e Officine dell’Immagine, Milano

Informazioni utili
mounir fatmi.Transition State. Officine dell’Immagine, via Carlo Vittadini, 11 – Milano. Orari: martedì – sabato, ore 11.00 – 19.00; lunedì e giorni festivi su appuntamento. Ingresso libero. Informazioni: tel. 02.91638758 o info@officinedellimmagine.com. Sito internet: www.officinedellimmagine.com. Dal 26 ottobre al 7 gennaio 2018.

lunedì 25 settembre 2017

Giacomo Grosso, un artista ottocentesco tra pittura e Accademia

Si articola in tre sedi espositive l’omaggio che la città di Torino fa a Giacomo Grosso (Cambiano 1860 - Torino 1938), uno dei pittori piemontesi più conosciuti e amati nel periodo a cavallo tra Ottocento e Novecento, che fu per oltre quarant’anni docente di pittura all’Accademia Albertina. Il Museo di arti decorative Accorsi-Ometto, la Pinacoteca dell’Accademia di Belle arti e Palazzo Madama, insieme con il Comune di Cambiano, sono i luoghi selezionati per ospitare l’esposizione curata da Angelo Mistrangelo, con l’intento di raccontare l’ultima stagione pittorica dell’artista caratterizzata da una ritrattistica di sicura fascinazione come mostrano i dipinti dedicati ai Duchi d’Aosta, Lorenzo Delleani, Arturo Toscanini e Giuseppe Verdi.
La storia e il percorso del pittore piemontese comincia idealmente nella Sala del Consiglio del Palazzo comunale di Cambiano. Il corpus di opere e di documenti esposti in questa sede concorre a delineare la vita e la storia artistica di Giacomo Grosso: si va dagli studi giovanili alla formazione presso l’Accademia Albertina, dove fu allievo di Andrea Gastaldi, dai ritratti dei genitori a quelli dei figli e della moglie Carolina. Questa sezione, nella quale si trova esposto un capolavoro come l’imponente e suggestiva tela «Il Pater Noster», permette di conoscere i momenti salienti di un percorso che nel 1895 raggiunse l’importante palcoscenico della Biennale internazionale di Venezia, dove il quadro «Il supremo convegno» -che raffigura un gruppo di donne nude intorno alla bara aperta di Don Giovanni, collocata all’interno di una chiesa- fece così tanto scalpore da essere condannato dal Patriarca Giuseppe Sarto, il futuro Pio X.
L’artista legò il suo nome alla Biennale altre tredici volte con un corpus di oltre cento opere esposte, ma fu protagonista anche alla Quadriennale di Torino, alle sociali della «Promotrice» e del Circolo degli artisti, oltre a varie esposizioni a Parigi, Vienna, Dresda, Buenos Aires e in diverse rassegne internazionali.
Questa storia viene raccontata quasi in toto alla Pinacoteca dell’Accademia Albertina di Belle arti. Attorno all’autoritratto dell’artista, si possono scoprire paesaggi e vedute urbane, bozzetti inediti, nature morte, composizioni floreali, ritratti e nudi femminili, tutte opere di assoluto rilievo. Tra i capolavori allestiti in Pinacoteca spiccano «La nuda» del 1896, proveniente dalla Gam di Torino, e i sontuosi ritratti di Umberto I, della Regina Elena e di Vittorio Emanuele III di Savoia, oltre al dipinto su cui Giacomo Grosso diede l’ultima pennellata poco prima di morire, nel 1938.
Particolarmente affascinante è la sezione «Studium», curata dal direttore Salvo Bitonti e da alcuni docenti dell’Albertina, che propone la ricostruzione dello studio di Giacomo Grosso all'interno dell’accademia attraverso le sorprendenti fotografie autocrome stereoscopiche scattate all’inizio del Novecento da Ferdinando Fino, mentre un video racconta, con una tecnica raffinata e innovativa (picture motion), il mondo pittorico dell'artista.
Al Museo Accorsi-Ometto si possono, invece, ammirare i grandi ritratti: personalità della cultura, affascinanti signore dell’aristocrazia e dell’alta borghesia, tutti raffigurati con sorprendente capacità compositiva ed espressiva.
«Lidia Bass Kuster» (1903), «Luisa Chessa» (1903), «Daisy de Robilant Francesetti di Malgrà» (1897), «La Contessa Gallo» (1918), «Eleonora Guglielminetti Vigliardi Paravia» (1919), «L’ingegner Vittorio Tedeschi» (1925) sono solo alcuni dei personaggi che con i loro volti signorili, gli sguardi profondi e i sontuosi vestiti esprimono il senso della ricerca visiva di Grosso e la straordinaria definizione degli interni, con le figure che quasi emergono dallo spazio della tela e che creano un intrigante rapporto con gli ambienti e l’arredamento del museo.
In mostra, i dipinti sono affiancati da una serie di accessori, quali raffinati cappelli, ventagli di piume di struzzo, scarpe da sera in raso e guanti in camoscio, oltre a due abiti che occhieggiano e ricreano la suggestione delle toilettes delle dame ritratte da Grosso.
Alla Corte medievale di Palazzo Madama sarà, infine, possibile vedere, all'interno dell’imponente «Cornice d’alcova», una significativa tela dell’artista, la «Ninfea», esposta nel 1907 alla Biennale Internazionale di Venezia.
 Un viaggio, dunque, completo attraverso l’opera di Giacomo Grosso quello proposto a partire dal 28 settembre dalla città di Torino, a ventisette anni dalla mostra ospitata alla Promotrice delle Belle arti, che permette di mettere in risalto il talento, caratterizzato da un altissimo valore tecnico-artistico, del maestro piemontese, ma anche numerose testimonianze della sua vita, alcune delle quali inedite.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Giacomo Grosso, Autoritratto, 1931. Olio su tela, cm 86 x 66. Pinacoteca dell’Accademia Albertina, Torino (inv. 396); [fig. 2] Giacomo Grosso, Il Pater Noster (Sacra Famiglia), 1934. Olio su tela, cm 198 x 271,5. Palazzo Comunale, Cambiano; [fig. 3] Giacomo Grosso, Ninfea, 1907. Olio su tela, cm 230 x 100. Collezione privata; [fig.4] Giacomo Grosso, Nudo di donna. Olio su tela, cm 200 x 69. Pinacoteca dell’Accademia Albertina, Torino (inv. 418)

Informazioni utili
«Giacomo Grosso. Una stagione tra pittura e accademia». Museo di Arti Decorative Accorsi - Ometto, via Po, 55 – Torino; Pinacoteca Accademia Albertina, via Accademia Albertina 8 – Torino; Palazzo Madama, piazza Castello – Torino; Palazzo del Comune di Cambiano, piazza Vittorio Veneto - Cambiano. Informazioni: comunicazione@accademialbertina.torino.it, tel. 011.0897370 | info@fondazioneaccorsi-ometto.it, tel. 011.837688 (int. 3). Dal 28 settembre 2017 al 7 gennaio 2018

sabato 23 settembre 2017

A Prato una mostra sulla Sacra cintola di Maria

È il 1141 quando a Prato, grazie al mercante e pellegrino Michele Dagomari, giunge da Gerusalemme la Sacra cintola, reliquia che la tradizione, mutuata da un testo apocrifo del V-VI secolo, ritiene essere stata donata dalla Vergine Maria a San Tommaso nel momento in cui veniva assunta in cielo. Dal Duecento questa preziosa cintura, donata nel 1172 alla pieve pratese e oggi custodita nella cattedrale di Santo Stefano, è oggetto di venerazione ed è considerata, sia dal punto di vista spirituale che civile, il tesoro più prezioso della città, contribuendo a rafforzarne il prestigio e l’identità in un avvincente intreccio di devozione, arte e tradizione.
Alla Sacra cintola -una striscia di ottantasette centimetri di lana finissima dalle tonalità verdoline, broccata in filo d'oro con ai capi due cordicelle per legarla- è dedicata la mostra allestita fino al 14 gennaio al Museo di Palazzo Pretorio, negli spazi espositivi recuperati dell’ex Monte dei Pegni.
L’esposizione, a cura di Andrea De Marchi e Cristina Gnoni Mavarelli, prende spunto da questo prezioso simbolo dalla storia pratese per intrecciare i fili di un racconto che parla della città toscana e del suo ricco patrimonio di cultura e bellezza custodito sul territorio e riconoscibile anche al di fuori dei confini locali.
È ad esempio attorno alla Sacra cintola, disputata per secoli fra chiesa e comune, che crebbe per gradi la fabbrica gotica dell’allora prepositura di Santo Stefano, nella quale fu realizzata una cappella apposita per il manufatto, affrescata da Agnolo Gaddi tra 1392 e 1395 e arricchita da una statua di Giovanni Pisano, e per la quale Donatello e Michelozzo realizzarono tra il 1428 e il 1438 il pulpito per l’ostensione periodica, sull’angolo della nuova facciata. Quest’ultimo manufatto, definito da Gabriele D’Annunzio «il grande nido», è stato recentemente sottoposto a restauro e «riconsegnato alla città -raccontano gli organizzatori della rassegna- nel pieno della sua bellezza d’insieme, un fascino generato dal perfetto, equilibrato rapporto fra le parti: il ricco basamento retto dal capitello bronzeo, il parapetto coi putti danzanti, fino all’elegante baldacchino che lo protegge».
Il percorso espositivo della mostra pratese, il cui allestimento è stato curato da Francesco Procopio, si apre con una delle prime attestazioni in Occidente della Madonna assunta che dona la Cintola, con il rilievo eponimo del Maestro di Cabestany, scultore romanico attivo nel Roussillon e in Toscana che lavorò anche a Prato, nei capitelli del chiostro dell’antica prepositura di Santo Stefano.
Cuore pulsante della rassegna è, però, la ricomposizione della pala dell’«Assunta» di Bernardo Daddi, uno dei più eleganti allievi di Giotto. L’opera fu realizzata tra il 1337 e 1338 in seguito al nuovo allestimento della Sacra cintola, posizionata in una cappella a lato della maggiore, dopo il furto del 1312 ad opera del pistoiese Musciattino. Nel tempo è stata smembrata e la mostra pratese permette di tornare ad ammirarla nel suo complesso, riunendo tutti i suoi componenti che originariamente comprendevano una doppia predella con la storia del viaggio della cintola e del suo approdo a Prato (questa custodita nel museo toscano) e la parallela migrazione del corpo di Santo Stefano da Gerusalemme a Roma, oltre a una tavola con San Lorenzo (custodita nei Musei Vaticani) e a una terminazione con la «Madonna assunta che cede la Cintola a San Tommaso» (conservata al Metropolitan Museum di New York).
Il percorso espositivo continua con un nucleo scelto di cintole profane del XIV secolo, preziosamente decorate, che fanno capire la carica simbolica di un simile oggetto, esibito anche dall’elegantissima Santa Caterina dipinta da Giovanni da Milano nel polittico per lo Spedale della Misericordia, uno dei capolavori del museo di Palazzo Pretorio.
Segue in mostra una rassegna esemplificativa delle diverse elaborazioni nell'arte toscana del Trecento dell'iconografia dedicata alla morte della Vergine e alla sua Assunzione: dipinti, miniature, sculture che consentono di apprezzare la diversa interpretazione del tema in area fiorentina, dove San Tommaso afferra la cintola, e in area senese, dove la cintola è lasciata cadere dalla Madonna in volo.
Chiudono il percorso espositivo testimonianze documentarie e visive che accompagnarono, nel corso dei secoli, il culto della stessa cintola e la sua ostensione: preziose custodie, suppellettili e arredi della cappella in cattedrale.
Ma la mostra esce in realtà anche fuori dalle mura di Palazzo Pretorio, forziere delle memorie e delle vicende storiche della città che conserva al suo interno opere, tra gli altri, di Luca Signorelli, Andrea Della Robbia, Mattia Preti e Ardengo Soffici. Il Duomo di Prato è, infatti, parte integrante di un percorso che permette ai visitatori di entrare nella Cappella della Cintola, abitualmente preclusa alla visita e di ammirare da vicino il ciclo di affreschi realizzati da Agnolo Gaddi. Qui il visitatore può vedere anche le «Storie di Santo Stefano e San Giovanni Battista», una delle più alte espressioni della produzione di Filippo Lippi per qualità e complessità della pittura. Il lavoro, eseguito dal 1452 al 1465, fu caratterizzato da lunghe pause legate agli altri impegni della bottega e alle umanissime vicende sentimentali dell’artista. Data, infatti, intorno al 1456 il «rapimento», dal vicino convento di Santa Margherita, della monaca Lucrezia Buti, dalla cui unione nacque Filippino, il più grande dei pittori pratesi. Il maestro fiorentino rimase così incantato dalla «bellissima gratia et aria» della donna, per usare le parole di Giorgio Vasari, da usarla come modella per dipingere la Santa Margherita raffigurata nella pala d’altare «La Madonna della Cintola», oggi conservata a Palazzo Pretorio. Una storia, dunque, interessante che intreccia i fili  di storia e devozione, arte e tradizione quella in mostra a Prato.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Giovanni Pisano, Madonna col Bambino, parata con dalmatica e mantellino del 1775, Diocesi di Prato; [fig. 2] Bernardo Daddi, L'Assunzione della Vergine, 1337-39, The Metropolitan Museum of Art, Robert Lehman Collection, 1975 (1975.1.58); [fig. 3] Bernardo Daddi, Storie della sacra Cintola, 1337-39, tempera e oro su tavola, Prato, Museo di Palazzo Pretorio; [fig. 4] Filippo Lippi-Fra' Diamante, La Madonna de la Cintola a S.Tommaso, 1456-65. Prato, Museo di Palazzo Pretorio

Informazioni utili 
Legati da una cintola. L’Assunta di Bernardo Daddi e l’identità di una città. Palazzo Pretorio, piazza del Comune – Prato. Orari:  tutti i giorni, dalle ore 10.30 alle ore 18.30; chiuso il martedì; la biglietteria chiude alle ore 18.00. Ingresso: intero € 12,00, ridotto € 10,00. Informazioni e prenotazioni : tel. 0574.19349961 (dal lunedì al venerdì, ore 9.00-18.00, il sabato, ore 9.00-14.00) o museo.palazzopretorio@comune.prato.it. Sito internet: www.palazzopretorio.prato.it. Fino al 14 gennaio 2018.